Articolo

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 4 maggio 2015, n. 8870. L’art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attività forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d’appello e l’avvocato risulti essere iscritto all’ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’appello, ancorché appartenente allo stesso distretto di quest’ultima. Tuttavia, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c., apportate dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall’art. 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 4 maggio 2015, n. 8870     Svolgimento del processo e motivi della decisione I. – Il Consigliere, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione in base agli artt. 380-bis e 375 c.p.c.: “I. – L’avv. P.F., con studio professionale in Gorizia,...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 4 maggio 2015, n. 8865. L’avviso di ricevimento del plico postale, contenente l’atto di impugnazione, non risulta però mai depositato, ne’ in allegato al ricorso, ex art. 149 c.p.c., nella cancelleria di questa Corte, nel termine di giorni venti dalla notificazione (art. 369 c.p.c.) o, autonomamente e successivamente, con le modalità di cui al capoverso dell’art. 372 c.p.c. e non è quindi provata l’avvenuta ricezione dell’atto ad opera della controparte. La notifica a mezzo del servizio postale, anche se con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario si hanno per verificati, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 47 7 del 2002, gli effetti interruttivi ad essa connessi per il notificante, non si esaurisce con. la spedizione dell’atto ma si perfeziona con la consegna del plico al destinatario, e l’avviso d:i ricevimento prescritto dall’art. 149 cpc e dalle disposizioni della legge 890/82 è il solo documento idoneo a dimostrare sia l’intervenuta consegna che la data di essa e l’identità e idoneità della persona a mani della quale è stata eseguita.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 4 maggio 2015, n. 8865   Fatto e diritto   Il Ministero dell’Economia e delle Finanze propone ricorso contro S.S., che neon svolge difese in questa sede, avverso il decreto della Corte di appello di L’Aquila che lo ha condannato al pagamento di euro 2800 in relazione alla...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 4 maggio 2015, n. 8857. L’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare

Suprema Corte di Cassazione sezione II ordinanza  4 maggio 2015, n. 8857   Fatto e diritto Dato atto del deposito della relazione ex art. 380 cpc del seguente tenore: 1 “- L’avv. T.A. , proprietario di varie unità immobiliari in uno stabile sito in (omissis) , impugnò la delibera condominiale del 18 gennaio 2008, nel...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 maggio 2015, n. 18265. Il nuovo istituto della messa alla prova si configura come un percorso del tutto alternativo rispetto all’accertamento giudiziale penale, ma non incide affatto sulla valutazione sociale del fatto, la cui valenza negativa rimane anzi il presupposto per imporre all’imputato, il quale ne abbia fatto esplicita richiesta, un programma di trattamento alla cui osservanza con esito positivo consegua l’estinzione del reato. Si è, dunque ed all’evidenza, al di fuori dell’ambito di operatività del principio di retroattività della lex mitior ed è pertanto da escludere che la mancata previsione di una applicazione retroattiva dell’istituto della messa alla prova si ponga in contrasto con l’art. 7, par. 1 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo e violi l’art. 117, comma 1 Cost. che del primo (norma interposta) costituisce il parametro di legalità costituzionale. Il ricordato carattere alternativo del procedimento di messa alla prova rispetto all’accertamento giudiziale penale non rende, dunque irragionevole la fissazione del termine finale di presentazione della richiesta al momento delle conclusioni rassegnate dalle parti a norma degli art. 421 e 422 cod. proc. pen.; la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio ai sensi degli art. 550 e segg. cod. proc. pen., di quindici giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato all’imputato o dalla comunicazione del relativo avviso al difensore, nei casi di giudizio immediato; il medesimo termine previsto dall’art. 461 c.p.p. per l’opposizione, nei procedimenti per decreto. La possibilità di presentare la richiesta alla prima udienza successiva all’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 significherebbe collegare l’esercizio della facoltà ad un termine in realtà mobile, posto che detta udienza potrebbe avere luogo ad istruttoria dibattimentale sia in corso che conclusa, durante la discussione finale o addirittura coincidere con quella fissata unicamente per la lettura del dispositivo, con grave compromissione delle ragioni di economia processuale e della ragionevole durata del processo e, in definitiva, con il principio costituzionale del giusto processo.

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 4 maggio 2015, n. 18265 Ritenuto in fatto L’imputato C.F. ricorre avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano il 16 settembre 2014 con la quale veniva confermata la sentenza del GIP del Tribunale di Milano del 13 aprile 2012 di condanna per i reati a...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 29 aprile 2015, n. 8683. Il licenziamento intimato alla lavoratrice madre in violazione del divieto posto dall’art. 2 1. n. 1204/1971 come sottratto al regime sanzionatorio di cui all’art. 18 1. n. 300/1970 e, viceversa, soggetto al regime ordinario della nullità di cui all’art. 1418 c.c., che prevede, a fronte dell’inadempimento la comune sanzione del risarcimento del danno applicabile, tuttavia, per tutto il periodo di permanenza degli effetti dell’evento lesivo. Il che comporta l’inoperatività del disposto dell’invocato comma 5 dell’art. 18 citato che ricollega al rifiuto dell’offerta datoriale alla ripresa del lavoro l’effetto risolutivo del rapporto, del resto previsto con riguardo al periodo successivo all’emanazione dell’ordine giudiziale di reintegra, dovendosi semmai in precedenza parlare di revoca del licenziamento intervenuta allorché l’atto recettizio ha esplicato la sua efficacia, revoca che tuttavia il lavoratore ha diritto di rifiutare senza conseguenza alcuna

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 29 aprile 2015, n. 8683 Svolgimento del processo Con sentenza del 25 novembre 2011, la Corte d’Appello di Napoli, investita del gravame avverso la decisione resa dal Tribunale di Benevento nel giudizio promosso da M.M.E. avverso la Clean Style S.r.l., sua datrice di lavoro – decisione con cui...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 aprile 2015, n. 7776. L’avvocato, dipendente della Pubblica Amministrazione, ha diritto al rimborso dall’Ente-datore di lavoro nel caso in cui abbia anticipato il pagamento della tassa annuale di iscrizione all’Elenco speciale annesso all’Albo degli avvocati per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo dell’Ente datore di lavoro

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 16 aprile 2015, n. 7776 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere Dott. LORITO Matilde...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 aprile 2015, n. 8824. Nelle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condomini, cioè i veri proprietari e non coloro che si comportano come tali senza esserlo. Nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso, infatti, mancano le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza dei diritto volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini. D’altra parte, ed in generale, la tutela dell’apparenza del diritto non può essere invocata da parte del soggetto (nel nostro caso dal Condominio) che abbia trascurato di accertare l’effettiva realtà sui pubblici registri, contro ogni regola di prudenza. Del resto, il regime giuridico di pubblicità rappresenta un limite invalicabile all’operatività del principio dell’apparenza: pubblicità ed apparenza sono, infatti, istituti che si completano l’un l’altro, rispondenti alle medesime finalità di tutela dei terzi di buona fede; ma proprio per ciò stesso alternativi. La tutela dell’apparenza non può tradursi in un indebito vantaggio per chi abbia colpevolmente trascurato di accertarsi della realtà delle cose, pur avendone la concreta possibilità

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 30 aprile 2015, n. 8824 Svolgimento del processo P.E. con ricorso ex art. 1137 cc., ritualmente notificato conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma il Condominio di via (…) n. 170 Roma, per sentire dichiarare la nullità delle delibere condominiali assunte in data 27 marzo 1998 e...