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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 17 luglio 2015. Vanno sottoposte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) le seguenti questioni pregiudiziali: 1) Se il principio di conservazione dei dati personali in modo da consentire l’identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, previsto dall’art. 6, lett. e), della direttiva 4 6/95/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, attuata d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, debba prevalere e, quindi, osti al sistema di pubblicità attuato con il registro delle imprese, previsto dalla Prima direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968 nonché dal diritto nazionale agli art. 2188 c.c. e 8 l. 29 dicembre 1993, n. 580, laddove esso esige che chiunque, senza limiti di tempo, possa conoscere i dati relativi alle persone fisiche ivi risultanti; 2) Se, quindi, l’art. 3 della Prima direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968 consenta che, in deroga alla durata temporale illimitata e ai destinatari indeterminati dei dati pubblicati sul registro delle imprese, i dati stessi non siano più soggetti a pubblicità, in tale duplice significato, ma siano invece disponibili solo per un tempo limitato o nei confronti di destinatari determinati, in base ad una valutazione casistica affidata al gestore del dato.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I SENTENZA 17 luglio 2015 Motivi della decisione I motivi del ricorso. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli art. 18 e 19, 3 comma, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, oltre al vizio di insufficiente motivazione, perché la sentenza impugnata ha finito per negare la funzione...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 2 luglio 2015, n. 13639. In caso di azione contro le immissioni illecite, occorre avere riguardo, non alla distanza in se’ della installazione del vicino, ma se da questa provengano immissioni che superino i livelli di accettabilita’ stabiliti da leggi o da regolamenti o che siano intollerabili alla stregua dei criteri dettati dall’articolo 844 c.c.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 2 luglio 2015, n. 13639 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 2 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETITTI Stefano – Presidente Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere Dott. MANNA Felice – Consigliere Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere...

Sulla natura e la funzione della rendita pagata dall’INAIL a seguito di infortuni sul lavoro, e sulle modalità di calcolo del “danno differenziale” spettante alla vittima nei confronti del terzo responsabile
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Sulla natura e la funzione della rendita pagata dall’INAIL a seguito di infortuni sul lavoro, e sulle modalità di calcolo del “danno differenziale” spettante alla vittima nei confronti del terzo responsabile

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 giugno 2015, n. 13222. Sulla natura e la funzione della rendita pagata dall’INAIL a seguito di infortuni sul lavoro, e sulle modalità di calcolo del “danno differenziale” spettante alla vittima nei confronti del terzo responsabile. In particolare, atteso che la rendita INAIL copre in parte il danno biologico...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 14 luglio 2015, n. 14667. L’art. 22, n. 2, della Convenzione di Montreal individua, entro un determinato “limite assoluto” di ristoro, soltanto la portata complessiva dell’area di risarcibilità del danno, da assumersi secondo una nozione generica e come tale astrattamente omnicomprensiva sia del pregiudizio inferto alla sfera meramente patrimoniale del passeggero (il danno “materiale”), sia di quello attinente alla sfera “non patrimoniale” (il danno “morale”), lasciando, però, alle regole di ciascun ordinamento degli Stati aderenti la fissazione del contenuto proprio della obbligazione risarcitoria. Nel caso di specie (in cui non è in discussione l’applicazione del nostro diritto nazionale), in riferimento al danno “morale” occorre, quindi, far riferimento alla disciplina dettata dall’art. 2059 cod. civ., secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata di detta norma che consente la risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè nelle ipotesi di fatto illecito astrattamente configurabile come reato, di fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato e, infine, di fatto illecito gravemente lesivo di diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. Con l’ulteriore precisazione che in quest’ultima ipotesi (come in quella di espressa previsione legislativa), il danno non patrimoniale sarà risarcibile anche se derivante da inadempimento contrattuale (siccome, per l’appunto, ricondotto dall’attuale “diritto vivente” alla norma dell’art. 2059 cod. civ. e non nell’orbita della disciplina, contrattuale, di cui agli artt. 1174, 1218,1223, 1225 e 1227 cod. civ.). La Convenzione di Montreal del 1999, ratificata e resa esecutiva con la legge n. 12 del 2014, non stabilisce essa stessa di risarcire il danno non patrimoniale, ma – utilizzando una nozione generica di danno – circoscrive il suo ammontare in un limite assoluto (salvo dichiarazione speciale di interesse) entro il quale è da includere ogni tipologia o manifestazione dello stesso, la cui scomposizione, in ragione del tipo di pregiudizio (materiale o “morale”), potrà aver luogo, o meno, in base alle regole poste dai singoli ordinamenti degli Stati aderenti.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 14 luglio 2015, n. 14667 Ritenuto in fatto 1. – E.C., per il proprio viaggio di nozze in V. con il coniuge S.D.S.m aveva acquistato due biglietti aerei per la tratta Roma/New York/Caracas con partenza il 2 agosto 2004;X una volta giunta a Caracas aveva appreso dello smarrimento...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 7 luglio 2015, n. 14084. In virtù dell’art. 41 del DM 20 luglio 2012 n. 140, che è applicazione dell’art. 9 comma II, d.l. 1/12 conv. in l. 27/12, i nuovi parametri sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso di un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate. Ne deriva che le tariffe abrogate possono trovare ancora applicazione qualora la prestazione professionale di cui si tratta si sia completamente esaurita sotto il vigore delle precedenti tariffe. Deve invece applicarsi il DM 140/2012 con riferimento a prestazioni professionali (iniziatesi prima, ma) ancora in corso quando detto decreto è entrato in vigore ed il giudice deve procedere alla liquidazione del compenso.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 7 luglio 2015, n. 14084 Svolgimento del processo F.A. , (+Altri) , con separati ricorsi poi riuniti dalla Corte di Appello di Roma, chiedevano che fosse accertata e dichiarata la violazione dell’art. 6 della CEDU sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui al relativo...