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Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 6 febbraio 2015, n. 605. Va ritenuto corretto il provvedimento del Ministero della salute, di concerto con quelli delle politiche agricole e dell'ambiente, con cui è stata vietata la coltivazione della varietà di mais OGM MON 810, sul presupposto che, non prevedendo l'autorizzazione 98/294/CE alcuna misura di gestione, e non avendo la Commissione ritenuto di intervenire per imporne l'attuazione, ai sensi dell'art. 53 del regolamento n. 178/2002, il mantenimento della coltura di detta varietà di mais transgenico senza adeguate misure di gestione non tutelasse a sufficienza l'ambiente e la biodiversità. Del resto, l'applicazione del principio di precauzione postula l'esistenza di un rischio potenziale per la salute e per l'ambiente, ma non richiede l'esistenza di evidenze scientifiche consolidate sulla correlazione tra la causa, oggetto di divieto o limitazione, e gli effetti negativi che ci si prefigge di eliminare o ridurre; e comporta che quando non sono conosciuti con certezza i rischi connessi ad un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali

Consiglio di Stato sezione III sentenza 6 febbraio 2015, n. 605 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE TERZA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4252 del 2014, proposto da: Gi.Fi., rappresentato e difeso dagli avv. Fr.Lo., Ma.Cl., con domicilio eletto presso...

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Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 10 febbraio 2015, n. 714. In materia di accesso della parte datoriale alle dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di ispezioni eseguite presso il luogo di lavoro, ai fini del corretto bilanciamento tra i diritti contrapposti, entrambi costituzionalmente garantiti, alla tutela degli interessi giuridici ed alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni da loro rese in sede ispettiva, il diritto di difesa, per quanto privilegiato in ragione della previsione di cui all'art. 24, comma 7, L. n. 241 del 1990, deve essere contemperato con la tutela di altri diritti, tra cui quello alla riservatezza, anche dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva (art. 2, comma 1, lett. c), D.M. n. 757 del 1994). Ciò allo scopo di prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte delle società datrici di lavoro o di quelle obbligate in solido con le medesime e per preservare, in tal modo, l'interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro. In via generale, pertanto, deve attribuirsi tutela prevalente alla necessità di riservatezza delle suddette dichiarazioni contenenti dati sensibili, la cui divulgazione potrebbe comportare azioni discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei lavoratori, i quali devono essere posti in grado di collaborare con le autorità amministrative e giudiziarie, nonché di presentare esposti e denunce, senza temere negative conseguenze nell'ambiente di lavoro in cui vivono

Consiglio di Stato sezione VI sentenza 10 febbraio 2015, n. 714 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE SESTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6240 del 2014, proposto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in persona del Ministro pro-tempore,...

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Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 28 gennaio 2015, n. 1. La prova di ammissione ad un corso universitario può essere richiesta per il solo accesso al primo anno di studi e non anche nel caso di domande di trasferimento da università di altri Stati membri per gli anni successivi, in conformità al principio di libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea e nel rispetto degli obiettivi perseguiti dalle norme nazionali in materia

Consiglio di Stato adunanza plenaria sentenza 28 gennaio 2015, n. 1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE ADUNANZA PLENARIA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 24 di A.P. del 2014, proposto da: Università degli Studi di Messina, in persona del legale rappresentante...

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Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 27 gennaio 2015, n. 375. Il dispositivo integra esercizio della potestà giurisdizionale, e costituisce momento decisorio che si consuma con l'esternazione del comando, come normalmente è per ogni manifestazione giurisdizionale. La sentenza non può quindi mai contenere motivazioni, ed un correlato comando, tali da porsi in radicale ed insanabile contrasto con il comando innanzi reso pubblico. Ove ciò avvenga, l'antinomia può essere contestata dalla parte soccombente, a mezzo di gravame, e determina la nullità della sentenza, ossia della complessiva manifestazione giurisdizionale costituita dal dispositivo anticipato e dalla successiva incompatibile motivazione. Non v'è invece spazio per il procedimento di correzione di errore materiale – al più esperibile in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione quando essi siano contestuali, e sempre che dal contesto emerga con evidenza il refuso – posto che, quando il dispositivo è reso pubblico anticipatamente, l'ordinamento è proteso ad elidere la possibilità, od anche il solo sospetto, che vi possa essere un successivo "ripensamento" del giudice

Consiglio di Stato sezione IV sentenza 27 gennaio 2015, n. 375 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE QUARTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7896 del 2014, proposto da: L’O. Soc.Coop. Arl in proprio ed in qualità di Mandataria del RTI...

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Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 27 gennaio 2015, n. 371. La normativa di cui al D.Lgs. 17-8-1999 n. 334, costituisce l'applicazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose. Le principali misure di prevenzione previste sono tese ad imporre cautela e controlli suoi luoghi e sul processo produttivo, in modo che il rischio sia neutralizzato e depotenziato nella sua fonte. Altre e più avanzate misure di prevenzione si rivolgono invece al territorio circostante la fonte di rischio e sono tese ad evitare che l'inurbamento aggravi gli effetti di un eventuale fallimento delle misure di prevenzione primarie. L' aggravamento del rischio è evitato, in particolare, attraverso l'imposizione di "opportune distanze" tra stabilimenti a rischio ed insediamenti ed infrastrutture. Il legislatore italiano con l'art. 14 del d.lgs cit. ha previsto che: 1) gli enti locali debbano revisionare la pianificazione urbanistica in modo che gli insediamenti residenziali risultino ubicati ad "opportuna distanza" da quelli industriali a rischio; 2) nella more dell'aggiornamento della pianificazione (luogo deputato al contemperamento dell'interesse urbanistico con quello alla sicurezza) il titolo edilizio debba essere rilasciato "previo parere tecnico dell'autorità competente…, sui rischi connessi alla presenza dello stabilimento". Le esigenze di prevenzione legate al rischio industriale sono state cioè esaurientemente garantite sul versante urbanistico, per il necessario tramite della pianificazione: livello in cui evidentemente l'interesse alla sicurezza si confronta con armonico e funzionale sviluppo edilizio, la conservazione e valorizzazione degli ambiti di godimento e fruizione collettiva, ossia con tutti gli aspetti del possibile utilizzo del territorio secondo criteri urbanistici ma anche socio economici, calibrati sulla realtà territoriale di riferimento considerata nella sua specificità locale. A livello edilizio, ossia attuativo delle previsioni urbanistiche, se e sino a quando queste ultime non siano state ancora revisionate in funzione di prevenzione, le esigenze di prevenzione invece sfuggono a considerazioni di carattere generale e complessivo tipiche della pianificazione, e non possono che concentrarsi sull'eventuale aggravamento del rischio legate al nuovo insediamento residenziale. Talché, ove l'organo tecnico, nell'esercizio delle proprie valutazioni tecnico discrezionali, ravvisi, alla luce della dimensione, dell'ubicazione e delle caratteristiche della progettata iniziativa edilizia e del contesto territoriale nella quale si insedia, un aggravamento del rischio o comunque, non possa escluderlo con ragionevole certezza in forza del principio di cautela, l'amministrazione procedente non ha ulteriori margini. Pretendere che a fronte di un parere tecnico che rileva dei rischi o un aggravamento di quelli esistenti, il funzionario possa valorizzare, in occasione della singola istanza edilizia, altri interessi che consentano l'accettazione del rischio, o addirittura, elementi infrastrutturali o contingenti che ne consentano il superamento, costituisce un quid pluris non previsto dalla legge ed, a ben vedere, sul piano della ragionevolezza, una vera e propria ipocrisia giuridica. I margini d'azione sono piuttosto quelli forniti, ed anzi resi doverosi, dal principio di proporzionalità, sicché se il rischio risiede nelle dimensioni o nell'ubicazione di parti del complesso edilizio non v'è ragione per inibire in radice l'iniziativa edificatoria, dovendosi valutare modifiche idonee a rendere eventualmente compatibile il progetto

Consiglio di Stato sezione IV sentenza 27 gennaio 2015, n. 371 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE SEZIONE QUARTA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5373 del 2013, proposto da: Comune di Genova, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli...