Sentenza passata in giudicato e preclusione in altro giudizio del riesame del punto accertato e risolto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 dicembre 2022| n. 37543.

Sentenza passata in giudicato e preclusione in altro giudizio del riesame del punto accertato e risolto

Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo e il “petitum” del primo.

Ordinanza|22 dicembre 2022| n. 37543. Sentenza passata in giudicato e preclusione in altro giudizio del riesame del punto accertato e risolto

Data udienza 8 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: PROCEDIMENTO CIVILE – DOMANDA GIUDIZIALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24790/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (c.f.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo Studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., in persona dei suoi rappresentanti legali pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS), e, giusta procura in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. (OMISSIS), e presso lo Studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2638/2017, pubblicata il 14 giugno 2017;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 luglio 2022 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

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OSSERVATO IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:
– con atto di citazione notificato nell’aprile 2013, (OMISSIS), gia’ agente di assicurazione della convenuta (OMISSIS) spa, evocava in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, la predetta compagnia, chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di Euro 42.715,06, o della diversa somma, anche minore, da accertarsi in corso di causa; il tutto oltre interessi anche a titolo di maggior danno ex articolo 1224 c.c.;
– instaurato il contraddittorio con (OMISSIS), la quale eccepiva l’intervenuto giudicato di cui alle sentenze n. 4077/2011 del Tribunale di Milano e n. 123805/2013 del Giudice di Pace di Milano, nonche’ l’inammissibilita’ della domanda per frazionamento del credito, il giudice adito, con sentenza n. 4436/2016, dichiarava l’inammissibilita’ della domanda attorea, regolando le spese di lite secondo soccombenza;
– sul gravame interposto dal (OMISSIS), la Corte di appello di Milano, nella resistenza dell’appellata, respingeva l’appello, condannando il (OMISSIS) alle spese processuali del secondo grado di lite.
In particoare, per quanto di rilievo in questa sede, quanto alla censura di nullita’ della sentenza di primo grado perche’ pronunciata senza preventiva discussione, rilevava la Corte territoriale che si trattava di vizio di natura procedurale che avrebbe dovuto essere eccepito all’atto della decisione, mentre non risultava sollevata alcuna riserva sull’inosservanza delle forme di cui all’articolo 281 sexies c.p.c., dalla difesa dell’attore, per cui riteneva intervenuta la tacita rinuncia da parte dell’attore al rispetto della forma procedimentale ex articolo 157 c.p.c., con conseguente sanatoria della dedotta nullita’.
Circa l’abuso di diritto per la parcellizzazione giudiziale del credito, la Corte riteneva sussistere la fattispecie nel caso de quo non trovando condivisibile l’affermazione della difesa dell’appellante secondo cui la Suprema Corte avrebbe mutato orientamento. Inoltre, i crediti vantati dal (OMISSIS) erano remoti, conosciuti e conoscibili all’epoca delle precedenti azioni promosse dallo stesso nei confronti dell’ (OMISSIS);
– avverso la predetta sentenza della Corte di appello di Milano il (OMISSIS) proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la (OMISSIS) s.p.a.;
– depositata data 19 aprile 2019 dal ricorrente memoria di costituzione di nuovo difensore, in prossimita’ dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie ex articolo 380 bis.1 c.p.c..

 

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CONSIDERATO IN DIRITTO

– con il primo motivo parte ricorrente lamenta – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullita’ ex articoli 158 e 161 c.p.c., della stessa sentenza di appello, per essere stata la stessa deliberata da un collegio composto da giudici diversi da quelli dinanzi ai quali erano state precisate le conclusioni. In particolare, assume il ricorrente che all’udienza del 15 febbraio 2017 il Collegio della sez. II della Corte milanese (composto dai giudici (OMISSIS) – (OMISSIS) – (OMISSIS)) aveva rinviato la causa ex articolo 281-sexies c.p.c., all’udienza successiva del 16 giugno 2017, assegnando termine fino al 25 maggio 2017 per il deposito di brevi note conclusive. In data 15 maggio 2017, il Presidente della Corte di appello, sez. II, visto l’impedimento di un Consigliere (Dott.ssa (OMISSIS)), assegnava la causa ad altro giudice per gli stessi incombenti. All’udienza del 14 giugno 2017 i procuratori presenti ribadivano le proprie conclusioni, come da rispettivi atti introduttivi ed illustravano oralmente i rispettivi argomenti, ed il Collegio pronunciava la sentenza nella diversa composizione Dott. (OMISSIS) (presidente), (OMISSIS) (consigliere relatore) e (OMISSIS) (consigliere).
Il motivo non puo’ trovare ingresso.
Pur vero che questa Corte ha piu’ volte affermato (v., tra le altre, Cass. 6 dicembre 2016 n. 24951) che, in grado di appello, in base alla disciplina di cui al novellato articolo 352 c.p.c., il Collegio che Delib. la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali e’ stata compiuta l’ultima attivita’ processuale (cioe’ la discussione o la precisazione delle conclusioni), conseguendo la nullita’ della sentenza al mutamento della composizione del collegio medesimo (e salvo che la divergenza consistente nell’indicazione, nell’intestazione della sentenza, di un magistrato diverso da quello indicato nel verbale dell’udienza collegiale dipenda da un errore materiale, allora emendabile con la procedura di correzione di cui agli articoli 287 e 288 c.p.c.: infatti, pur non avendo efficacia probatoria a se’ stante l’intestazione del provvedimento e possedendo pubblica fede invece il verbale di udienza, in ogni caso l’assenza da questa del magistrato che sottoscrive quale estensore la sentenza e’ sicuro indice della non corrispondenza del Collegio decidente con quello che ha assunto la causa in decisione e, pertanto, causa di nullita’ della sentenza stessa).
E’ altrettanto vero che, nella specie, la composizione del Collegio a cui e’ originariamente intestato il verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni e quella del Collegio che ha in concreto deciso l’appello risultano differenti: nel primo risultando presidente la Dott.ssa (OMISSIS), consigliere relatore la Dott.ssa (OMISSIS) e consigliere a latere la Dott.ssa (OMISSIS) e nel secondo risultando presidente il Dott. (OMISSIS), consigliere relatore la Dott.ssa (OMISSIS) e consigliere a latere la Dott.ssa (OMISSIS); tuttavia la disamina degli atti di causa ed in particolare del verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni, possibile per la natura del vizio denunciato ed adeguatamente descritto nel ricorso, consente di rilevare che il Collegio decidente e’ lo stesso davanti al quale sono state rassegnate le conclusioni finali.

 

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Orbene, pur dovendosi in effetti intendere il provvedimento di sostituzione (nella specie, tre componenti del Collegio su tre) come logicamente premesso alla formale precisazione delle conclusioni onde consentire agli effettivi componenti del Collegio chiamato a decidere di acquisire contezza delle attivita’ defensionali svolte fino all’ultima udienza, il contesto in cui i fatti si sono, nella specie, svolti consente di riferire utilmente ogni attivita’ espletata anche prima del trattenimento della causa in decisione appunto al Collegio come designato per la medesima. In altri termini, sarebbe stata preclusa la modifica della composizione del Collegio giudicante a verbale conclusivamente e definitivamente chiuso – e quindi al di fuori del contraddittorio tra le parti appunto sul mutamento dell’Organo giudicante – ed a causa quindi assegnata o trattenuta a sentenza, con la conseguenza che, nella specie, ogni eventuale irritualita’ derivante dalla invertita scansione della sequenza procedimentale resterebbe sanata per l’evidente raggiungimento dello scopo di quei provvedimenti.
La pubblica fede che assiste quel verbale impone di concludere nel senso che il Collegio, mutato prima dell’assegnazione della causa in decisione e comunque nello stesso contesto con la precisazione delle conclusioni, era ritualmente composto appunto dal detto presidente e dai due giudici a latere da ultimo designati: e, cosi’, con ogni evidenza in composizione corrispondente a quella dell’intestazione della sentenza ed a quella del Collegio che questa ha deliberato, con conseguente esclusione della fondatezza della doglianza qui svolta.
Del resto, la sentenza impugnata a pag. 4 da’ atto che sono stati “ascoltati all’odierna udienza i procuratori delle parti, che hanno confermato le rispettive conclusioni ed illustrato oralmente i rispettivi argomenti….”.
Ne’ rileva – se non altro, di per se’ sola – la circostanza che le conclusioni fossero state gia’ precisate prima di tale sostituzione, non avendo l’odierno ricorrente allegato (ne’ tanto meno provato) specifiche lesioni del suo diritto di difesa in dipendenza di tale invertita scansione, avendo invero le parti ancora facolta’ ed onere di presenziare e fare constare a verbale osservazioni o contestazioni che provino una specifica lesione del loro diritto di difesa in dipendenza di tale scansione. Del resto la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione: sicche’ e’ inammissibile l’impugnazione con cui si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 18 dicembre 2015 n. 26831; Cass. 10 luglio 2019 n. 18574; Cass. 8 luglio 2020 n. 141440); o, in altri termini, in virtu’ del generale principio di diritto processuale, elaborato da questa Corte (Cass. 22 febbraio 2016 n. 3432; Cass. 24 settembre 2015 n. 18394; Cass. 16 dicembre 2014 n. 26450; Cass. 13 maggio 2014 n. 10327; Cass. 22 aprile 2013 n. 9722; Cass. 19 febbraio 2013 n. 4020; Cass. 14 novembre 2012 n. 19992; Cass. 23 luglio 2012 n. 12804; Cass. 9 marzo 2012 n. 3712; Cass. 12 settembre 2011 n. 18635; Cass., Sez. Un., 19 luglio 2011 n. 15763; Cass. 21 febbraio 2008 n. 4435; Cass. 13 luglio 2007 n. 15678), per il quale nessuno ha diritto al rispetto delle regole del processo in quanto tali, ma solo se, appunto in dipendenza della loro violazione, ha subito un concreto pregiudizio.
A nulla rileva al riguardo invocare – come ha fatto parte ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c. (in ordine alla quale potranno essere esaminate solo le difese formulate gia’ con l’atto introduttivo, non potendo in siffatta sede essere integrate le ragioni del ricorso) – l’articolo 24 Cost. e l’articolo 6 CEDU dal momento che nella specie e’ stata garantita proprio la difesa sostanziale delle parti assicurando la definizione in tempi ragionevoli del giudizio (nonostante l’impedimento dell’originario consigliere relatore) a salvaguardia del giusto processo, senza alcuna compromissione dei diritti delle parti, peraltro neanche dedotti;
– con il secondo, e subordinato, motivo il (OMISSIS) si duole – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – della erronea applicazione (in fatto ed in diritto) di principi di origine giurisprudenziale “che hanno portato la Corte a non pronunciarsi sul merito delle domande proposte dall’attuale ricorrente ritenendo erroneamente che la di lui azione dovesse preliminarmente essere dichiarata inammissibile per abuso di diritto”. Piu’ precisamente, parte ricorrente ritiene che, nel caso di specie, non avesse dovuto trovare applicazione il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione n. 26726 del 2007, bensi’ quello statuito dalle stesse nella sentenza n. 4090 del 2017, in base al quale “le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un diverso rapporto di durata fra le parti, possono essere proposti in separati processi”.
Anche il secondo mezzo non puo’ trovare accoglimento.
Le Sezioni Unite di questa Corte, com’e’ noto, hanno affermato il principio per cui non e’ consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, di proporre plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto la scissione del contenuto dell’obbligazione, cosi’ operata dal creditore per sua esclusiva utilita’ con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (Cass., Sez. Un., n. 23726 del 2007). E cosi’, sulla scorta di tale intervento nomofilattico delle Sezioni Unite e’ stato, di recente, affermato che “… non e’ consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell’obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilita’ con unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale”(Cass. n. 19898 del 2018; conf., Cass. n. 15398 del 2019; Cass. n. 26089 del 2019; Cass. n. 9398 del 2017 e Cass. n. 17019 del 2018).

 

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Si e’ posto, tuttavia, il problema se il principio cosi’ affermato, secondo il quale e’ vietato l’indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, debba, o meno, trovare applicazione (ed, eventualmente, in quali limiti) nella diversa ipotesi in cui siano state proposte distinte domande per far valere pretese creditorie diverse ma derivanti da un medesimo rapporto contrattuale, quale fonte unitaria di obblighi e doveri per le parti e produttivo di crediti collegabili unitariamente alla loro genesi, e cioe’ la volonta’ delle parti di stipulare un contratto, specie quando si tratta di controversie (recuperatorie di crediti) promosse a rapporto concluso, quando, cioe’, il complesso di obbligazioni derivanti dal contratto e’ ormai noto e consolidato.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 4090 del 2017, si sono pronunciate sul punto ed hanno affermato che, in linea di principio, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi: tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, si’ da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attivita’ istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (conf., in seguito, Cass. n. 17893 del 2018; Cass. n. 6591 del 2019).
La sentenza, in particolare, ha evidenziato che il principio dell’infrazionabilita’ del singolo diritto di credito affermato dalla sentenza n. 23726 del 2007 non comporta inevitabilmente che il creditore debba agire nello stesso processo per far valere “diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riferibili ad un medesimo rapporto complesso” intercorrente tra le medesime parti. D’altra parte, hanno ulteriormente osservato le Sezioni Unite del 2017, il creditore puo’, finanche in relazione ad un singolo, unico credito, agire con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua senza per questo incorrere in un abuso dello strumento processuale per frazionamento del credito. In effetti, “l’onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, avere diversa natura (ad esempio – come frequentemente accade in relazione ad un rapporto di lavoro – retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente complica e ritarda di molto la possibilita’ di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre – non in un alleggerimento bensi’ – in un allungamento dei tempi del processo, dovendo l’istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a numerosi fatti, ontologicamente diversi ed eventualmente tra loro distanti nel tempo”.

 

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Hanno aggiunto le Sezioni Unite del 2017, che “se e’ vero… che la citata disciplina ipotizza la proponibilita’ delle pretese creditorie suddette in processi (e tempi) diversi, e’ anche vero che essa e’ univocamente intesa a consentire, ove possibile, la trattazione unitaria dei suddetti processi e comunque ad attenuare o elidere gli inconvenienti della proposizione e trattazione separata dei medesimi”… “nella consapevolezza che la trattazione dinanzi a giudici diversi, in contrasto con il principio di economia processuale, di una medesima vicenda “esistenziale”, sia pure connotata da aspetti in parte dissimili, incide negativamente sulla “giustizia” sostanziale della decisione (che puo’ essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realta’ artificiosamente frammentata), sulla durata ragionevole dei processi (in relazione alla possibile duplicazione di attivita’ istruttoria e decisionale) nonche’, infine, sulla stabilita’ dei rapporti (in relazione al rischio di giudicati contrastanti)”. Le Sezioni Unite, quindi, hanno affermato che, se sono proponibili separatamente le domande relative a singoli crediti distinti pur riferibili al medesimo rapporto di durata, le pretese inscrivibili nel medesimo ambito di altro processo precedentemente instaurato cosi’ da potersi ritenere gia’ in esso deducibili o rilevabili, nonche’, ed in ogni caso, le pretese creditorie fondate sul medesimo fatto costitutivo, possono anche esse ritenersi proponibili separatamente ma solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, la cui carenza, ove non sia stata dedotta dal convenuto, puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice, il quale, pero’, e’ tenuto ad indicare alle parti la relativa questione ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., e, se del caso, assegnare alle stesse il termine previsto dall’articolo 101 c.p.c., comma 2 (per l’applicazione di tali principi, cfr., in seguito, Cass. n. 31012 del 2017 e n. 17893 del 2018; viceversa, per l’applicazione del principio del divieto di frazionamento in caso di unico rapporto contrattuale senza ulteriori distinzioni, v. Cass. n. 4016 del 2016, la quale ha sostenuto che sussiste indebito frazionamento di pretese, dovute in forza di un unico rapporto obbligatorio, anche nel caso di unico rapporto di lavoro, fonte di crediti di natura contrattuale e legale, specie se i giudizi siano promossi quando le obbligazioni sono note e consolidate per essersi il suddetto rapporto gia’ concluso, con conseguente necessita’ di evitare l’aggravamento della posizione del debitore nel rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuali e in coerenza con il principio anche sovranazionale del giusto processo, volto alla razionalizzazione del sistema giudiziario, che non tollera frammentazioni del contenzioso con pericolo di giudicati contrastanti).
Va quindi condiviso l’assunto (v. Cass. n. 14143 del 2021) secondo cui le Sezioni Unite del 2017, quindi, dopo aver ribadito il divieto di tutela frazionata del singolo diritto di credito in plurime richieste giudiziali di adempimento (contestuali o scaglionate nel tempo), hanno affermato il principio generale per il quale, al contrario, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, pur se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Ed e’, naturalmente, una questione di diritto sostanziale la verifica se la pretesa creditoria azionata sia da considerare come un unico diritto di credito (non suscettibile di tutela processuale frazionata), come nel caso del diritto al risarcimento del danno (cfr., sul punto, Cass. n. 15523 del 2019) ovvero se si tratti della sommatoria delle prestazioni dovute in conseguenza di crediti distinti (che, in quanto tali, pur se relativi allo stesso rapporto di durata tra le parti, sono in linea di principio, suscettibili di tutela processuale separata, come nel caso, deciso dalle Sezioni Unite, del credito al premio al premio di fedelta’ aziendale e di quello al trattamento di fine rapporto afferente al medesimo rapporto di lavoro subordinato).
Il principio della proponibilita’ in separati processi di domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, dunque, soffre di due possibili eccezioni, tra loro alternative, che operano nel caso in cui i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche riconducibili al “medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato” ovvero siano “fondati sul medesimo fatto costitutivo”.
Nell’una e nell’altra ipotesi, infatti, poiche’ le distinte pretese creditorie non possono essere accertate in altrettanti distinti giudizi se non a costo di una duplicazione dell’attivita’ istruttoria e di una conseguente dispersione di conoscenza dell’identica “vicenda sostanziale” che (“sia pure connotata da aspetti in parte dissimili”) e’ stata dedotta, in ragione dei differenti diritti di crediti azionati, nell’uno e nell’altro giudizio, le domande giudiziali ad esse relative non possono essere proposte separatamente, a meno che – ed e’ questo un dato imprescindibile – risulti dagli atti di causa che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla loro tutela processuale separata.
In altri termini, anche la sentenza delle Sezioni Unite del 2017 ha confermato che il frazionamento delle obbligazioni operato dal creditore per sua esclusiva utilita’, con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti sia durante l’esecuzione del contratto sia nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. In sostanza le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, benche’ fondati su differenti fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi, quando i menzionati fatti costitutivi si inscrivano in una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia, salvo che l’attore abbia un interesse oggettivo – il cui accertamento compete al giudice di merito – ad azionare in giudizio solo uno ovvero alcuni dei crediti sorti nell’ambito della suddetta relazione, unitaria (cfr. Cass. n. 14143/2021 cit.).

 

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Corollario di tali principi e’ l’osservazione che il giudicato copre, in tali condizioni, sia il dedotto che il deducibile con cio’ intendendosi non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito). Pertanto, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalita’ diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo (cfr. Cass. n. 5486 del 2019).
Tuttavia, laddove il nuovo giudizio – pur instaurato tra le stesse parti e attinente al medesimo rapporto – si fondi su una causa petendi diversa rispetto a quella fatta valere nella controversia nella quale e’ intervenuta una sentenza passata in giudicato ed abbia ad oggetto un diverso petitum in relazione al quale l’accertamento non insiste nel medesimo ambito oggettivo del giudicato e richiede comunque differenti attivita’ istruttorie allora il giudicato non e’ preclusivo dell’ulteriore azione (cfr. Cass. n. 28963 del 2017).
Nella prima ipotesi, infatti, la contemporanea sussistenza tra le stesse parti di crediti giuridicamente eguali, che, pur se non conseguenti allo stesso contratto, siano nondimeno riconducibili (come pretendono le Sezioni Unite) al medesimo “rapporto” che, nel corso del tempo, si sia venuto a determinare (anche se in via di mero fatto) tra loro, ne impone la deduzione (ove esigibili) nello stesso giudizio.
In tali situazioni, in effetti, l’interesse sostanziale del creditore (salvo, naturalmente, che non sia dedotto e provato il contrario) puo’ essere adeguatamente tutelato anche con una domanda unitaria, trattandosi, a ben vedere, di pretese si’ distinte sul piano giuridico ma, in definitiva, concernenti pur sempre la “medesima vicenda esistenziale” e “sostanziale” (sia pure connotata da aspetti in parte dissimili): la cui trattazione dinanzi a giudici diversi, come le Sezioni Unite hanno espressamente evidenziato, incide negativamente non solo sulla “giustizia” sostanziale della decisione, che puo’ essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realta’ artificiosamente frammentata, ma anche sulla durata ragionevole dei relativi processi, in relazione alla possibile duplicazione di attivita’ istruttoria e decisionale su vicende fattualmente distinte ma tra loro simili e, spesso, connotate dall’esecuzione di prestazioni analoghe in contesti temporali ristretti.
Tanto premesso va rilevato che nel caso in esame la Corte distrettuale, nel condividere il giudizio formulato dal giudice di prime cure, ha chiarito che i crediti pretesi dal (OMISSIS) erano da riferire ad un rapporto di agenzia cessato ormai dal 31 dicembre 2006 per raggiunti limiti di eta’, “i cui conteggi di dare ed avere” fra le parti avevano dato luogo ad altri tre precedenti giudizi e neanche rilevava la dedotta circostanza che si sarebbe trattato di differenti voci creditorie, giacche’ trattandosi di posizioni soggettive ampiamente risalenti erano tutte ampiamente conosciute dalle parti. Ne’ il frazionamento poteva essere addebitato alla condotta tenuta dall’ (OMISSIS), che aveva contestato la illiquidita’ e la incertezza dei crediti vantati in questa sede, mentre per le altre voci pretese aveva potuto accedere alla procedura monitoria, in quanto anche in proiezione, si tratta di credito inscrivibile nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque “fondato” sul medesimo fatto costitutivo e non puo’ essere azionato con separato giudizio, non integrando la diversita’ delle azioni con le quali sono stati introdotti i giudizi, peraltro frutto di una scelta rimessa alla discrezionalita’ del creditore, costituire prova dell’interesse oggettivo del creditore a coltivare una tutela processuale frazionata.
Conclusivamente il ricorso proposto dal (OMISSIS) deve essere rigettato.
Le spese di legittimita’ vengono attribuite in base al principio della soccombenza, come da dispositivo.

 

Sentenza passata in giudicato e preclusione in altro giudizio del riesame del punto accertato e risolto

Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

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