La mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 dicembre 2022| n. 36993.

La mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza

La mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio ex articolo 2697 cod. civ., benché la parte abbia offerto di adempierlo. (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta in tema di compravendita immobiliare, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dalla parte venditrice, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata: nella circostanza, infatti, la corte territoriale, nel rigettare la domanda di rescissione per lesione proposta ex articolo 1448 cod. civ., aveva ritenuto mancasse la prova della volontà della parte acquirente di profittarsi dello stato di bisogno della ricorrente senza tuttavia motivare alcunché sulle istanze istruttorie ritualmente formulate da quest’ultima e volte a provare la sussistenza degli elementi per pronunciare la predetta rescissione contrattuale aventi carattere astrattamente decisivo ai fini del giudizio).

Ordinanza|16 dicembre 2022| n. 36993. La mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza

Data udienza 23 novembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Vendita – Compravendita immobiliare – Prezzo – Integrazione – Patto ulteriore – Forma scritta ad substantiam – Necessità – Prova orale della diversa volontà delle parti – Inammissibile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12817/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avv.to (OMISSIS), ( (OMISSIS));
– controricorrenti –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TRENTO n. 307/2017 depositata il 22/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/11/2022 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

La mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Trento i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendo accettarsi l’irrisorieta’ del prezzo pattuito in una compravendita immobiliare tra loro intercorsa, nonche’ la condanna dei convenuti al versamento della somma di Euro 56.800 a titolo di integrazione del suddetto prezzo pattuito o in subordine chiedendo la nullita’ del contratto ex articolo 1325, 1418 e 1470 c.c., ovvero la rescindibilita’ del negozio medesimo per lesione ex articolo 1448 c.c..
L’attrice deduceva di aver concluso con i convenuti l’11 ottobre del 2013 un contratto di compravendita avente ad oggetto due depositi, una tettoia ed una parte di cortile per un prezzo di Euro 10.000 con contestuale costituzione di una servitu’ di passaggio a carico della restante proprieta’ della venditrice.
Il prezzo suddetto, regolarmente versato dai convenuti, era soltanto una parte della somma realmente pattuita perche’ i contraenti si erano precedentemente accordati per il versamento di un importo maggiore, peraltro mai riscosso da parte attrice. La pattuizione del maggior prezzo sarebbe stata giustificata dal valore di mercato dei beni compravenduti, quantificati dal perito incaricato da parte attrice nell’importo di Euro 66.800 di gran lunga maggiore rispetto a quello effettivamente riscosso. L’attrice precisava di essersi trovata nelle more della contrattazione con i convenuti in stato di necessita’ e di aver accettato la somma di Euro 10.000 per un impellente bisogno di liquidita’, concordando verbalmente con le controparti il versamento del maggiore importo. Deduceva, infine, che i convenuti, resi edotti della propria gravosa condizione economica, si sarebbero approfittati del suo stato di bisogno integrando i presupposti applicativi dell’articolo 1848 c.c..
2. I convenuti si costituivano chiedendo il rigetto di tutte le domande.
3. Il Tribunale di Trento nel rigettare le domande formulate dall’attrice rilevava che la pretesa integrazione del prezzo di compravendita non poteva che fondarsi su di un patto ulteriore, recante forma scritta ad substantiam e, in assenza di un accordo siffatto, la prova orale della diversa volonta’ negoziale delle parti doveva dichiararsi inammissibile. Il giudice di primo grado rigettava anche la domanda di nullita’ del contratto atteso che il prezzo pattuito indicato nella stessa misura tanto nel preliminare quanto nel definitivo di compravendita non poteva dirsi privo di valore intrinseco. Del pari rilevava come emergesse dai documenti di causa che la parte venditrice aveva quantificato in maniera del tutto autonoma il prezzo dei beni compravenduti nel pieno esercizio dei propri poteri di autonomia negoziale. Il Tribunale escludeva, infine, che sussistessero i presupposti per l’esercizio dell’azione di cui all’articolo 1448 c.c., atteso il difetto di prova dell’asserito stato di bisogno di parte attrice, nonche’ della volonta’ delle controparti di trarne profitto.
4. (OMISSIS) proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

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5. I convenuti si costituivano in appello chiedendone il rigetto.
6. La Corte d’Appello di Trento rigettava l’appello. In particolare, il giudice del gravame evidenziava la correttezza della decisione di primo grado circa la necessita’ della forma scritta dell’accordo di integrazione del prezzo di vendita, tanto piu’ collocandosi tale accordo tra la stipula del contratto preliminare e la sottoscrizione del testo del definitivo. Pertanto, in assenza di un documento scritto contenente l’indicazione di una diversa volonta’ negoziale dei contraenti era corretto desumere la volonta’ delle parti unicamente dal testo del contratto definitivo e andava condivisa anche la valutazione di inammissibilita’ della prova testimoniale, ai sensi dell’articolo 2722 c.c..
Doveva rigettarsi anche il motivo di appello relativo alla nullita’ del contratto per mancanza di un elemento essenziale in conformita’ alla giurisprudenza di legittimita’ il prezzo pattuito di Euro 10.000 non poteva dirsi del tutto privo di valore intrinseco. Peraltro, sin dal conferimento dell’incarico all’agenzia immobiliare e nelle successive fasi di contrattazione e stipulazione dei negozi, la venditrice aveva manifestato chiaramente la propria volonta’ di cedere gli immobili di cui era proprietaria al prezzo di Euro 10.000 e simile manifestazione di volonta’, espressione del principio di autonomia negoziale, portava ad escludere la ricorrenza delle condizioni per la dichiarazione di nullita’ del negozio. Infine, la Corte d’Appello rigettava la domanda di rescissione del contratto per lesione in quanto mancava la prova della volonta’ dell’acquirente di profittarsi dello stato di bisogno del venditore. Nella specie il fatto che la (OMISSIS) aveva manifestato agli acquirenti l’esigenza di procurarsi liquidita’ non era sufficiente, essendo necessaria la volonta’ di questi di trarre profitto dalla situazione di indigenza economica della parte venditrice.
7. (OMISSIS) ha proposto ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso
8. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
9. (OMISSIS), con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 2723, 2722 e 2721 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto inammissibili la prova testimoniale e l’interrogatorio formale sul patto di integrazione del prezzo.
La ricorrente ritiene errata la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha ritenuto inammissibile la prova testimoniale sull’integrazione del prezzo di vendita in un momento successivo al contratto preliminare e prima del contratto definitivo. A parere della ricorrente doveva farsi applicazione dell’articolo 2723 c.c., e non dell’articolo 2722 c.c., trattandosi di un patto intervenuto successivamente alla stipula del preliminare. In tal caso la prova per testimoni non avrebbe dovuto essere esclusa, essendo ammissibile anche in considerazione della natura del contratto, oltre che della qualita’ delle parti e della circostanza che il prezzo fosse irrisorio. Inoltre, non poteva essere escluso l’interrogatorio formale dei convenuti essendo le norme ricavabili dagli articoli 2721 c.c. e segg., riferibili esclusivamente alla prova testimoniale.
1.1 Il primo motivo di ricorso e’ infondato per una pluralita’ di motivi.
In primo luogo, deve darsi continuita’ ai seguenti principi del tutto consolidati in tema di prova testimoniale: “In tema di prova testimoniale, ove il giudice di merito ritenga di non poter derogare al limite di valore previsto, per essa, dall’articolo 2721 c.c., non e’ tenuto a esporre le ragioni della pronunzia di rigetto dell’istanza di prova, trattandosi di mantenere quest’ultima entro il suo fisiologico limite di ammissibilita’. (Sez. 2, Ord. n. 8181 del 14/03/2022)”; “Il divieto, previsto dall’articolo 2722 c.c., di dimostrare con testi la conclusione di accordi anteriori o contemporanei rispetto ad un contratto stipulato in forma scritta opera quando la prova si riferisce alla contrarieta’ tra cio’ che si sostiene essere pattuito e quello che risulta documentato, ma non ove tenda solo a fornire elementi idonei a chiarire o interpretare il contenuto del documento” (Sez. 2, Sent. n. 28407 del 2018); “La valutazione delle circostanze, in presenza delle quali e’ consentita, a norma dell’articolo 2723 c.c., l’ammissione della prova per testimoni di patti, aggiunti o contrari, posteriori alla formazione di un documento, e’ demandata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale puo’ anche attribuire, in negativo o in positivo, valore preminente ad una od alcune di esse, con apprezzamento che, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimita’” (Sez. 3, Sent. n. 11932 del 2006).
Richiamati i suddetti principi deve evidenziarsi che l’infondatezza delle censure emerge ictu oculi secondo la stessa prospettazione della ricorrente. Infatti, non si puo’ provare per testimoni la pattuizione di un diverso prezzo rispetto a quello previsto nel contratto scritto, tanto piu’ quando la forma scritta sia prevista ad substantiam. Inoltre, la presunta pattuizione del diverso prezzo sarebbe anteriore al preliminare ma successiva al definitivo che invece riportava il medesimo prezzo. Risulta evidente, pertanto, l’irrilevanza di una tale eventuale pattuizione posto che quando al preliminare segue il definitivo e’ quest’ultimo che regola integralmente i rapporti tra le parti.
La ricorrente non eccepisce neanche la simulazione del prezzo o l’errore nella stipulazione del contratto definitivo limitandosi ad affermare la sussistenza di una diversa volonta’ negoziale emersa successivamente al contratto preliminare e non confluita nel contratto definitivo del tutto corrispondente al preliminare.
Deve ribadirsi, infatti, che qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina puo’ anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformita’ del nuovo accordo alla volonta’ delle parti puo’, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo (Sez. 3, Sent. n. 17986 del 2014).
Ne consegue che oltre all’inammissibilita’ ex articolo 2721 e 2722 c.c., della prova testimoniale del diverso prezzo la stessa era del tutto irrilevante essendoci stato, secondo lo stesso ricorrente, un successivo contratto definitivo. Le stesse argomentazioni valgono in relazione all’interrogatorio formale. Peraltro, anche con riferimento all’interrogatorio formale, deve ribadirsi che la simulazione del prezzo in un contratto di vendita immobiliare non puo’ essere provata con il deferimento dell’interrogatorio formale volto a provocare la confessione giudiziale del diverso prezzo pattuito (per un caso di simulazione relativa soggettiva vedi Sez. 2, Sent. n. 6262 del 2017).
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 1418, 1325, 1470 c.c., per mancato accertamento della nullita’ del negozio traslativo della proprieta’ stante il difetto di causa contrattuale.
La ricorrente ha allegato che il prezzo di vendita di Euro 10.000 versato dalla controparte era palesemente inferiore al valore di mercato immobiliare del tempo e della zona ed era del tutto simbolico ed irrisorio, tanto da determinare la mancanza della causa del contratto come elemento essenziale di esso con conseguente nullita’ in radice del negozio posto in essere dai contraenti, trattandosi di una vendita senza corrispettivo. Sul punto la sentenza sarebbe erronea.
2.1 Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile.
La censura proposta, sotto l’ombrello del vizio di violazione di legge, tende ad un’inammissibile rivalutazione in fatto della vicenda intercorsa tra le parti come ricostruita attraverso l’istruttoria processuale.
Il giudice del merito, tanto in primo quanto in secondo grado, ha ritenuto che il prezzo di Euro 10.000 stabilito nel contratto non fosse un prezzo irrisorio tale da determinare la nullita’ del contratto per mancanza di un elemento essenziale. La ricorrente sostiene che il valore di mercato del bene fosse di molto superiore tanto che in via subordinata chiede anche la rescissione per lesione. Risulta evidente, pertanto, l’inammissibilita’ della censura non essendo sindacabile da questa Corte la valutazione fatta dal giudice del merito circa la non irrisorieta’ del prezzo pattuito tra le parti, valutazione congruamente motivata e corrispondente alle risultanze di causa.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1448 c.c., in materia di rescindibilita’ del contratto per lesione anche in relazione all’immotivato rigetto di ogni prova testimoniale e di interrogatorio formale sul punto per dare prova della violazione degli articoli 244 e 245 c.p.c..
La Corte d’Appello nel rigettare la domanda di rescissione per lesione ex articolo 1448 c.c., ha fatto riferimento alla mancanza di prova della approfittamento dello stato di bisogno della controparte. La ricorrente lamenta che la mancata prova e’ dipesa dal rigetto delle sue istanze istruttorie per ritenuta superfluita’ delle prove testimoniali e per mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio. Dal momento in cui sono state rigettate tutte le istanze istruttorie della ricorrente sia da parte del giudice di primo grado sia da parte della Corte d’Appello non si poteva motivare il rigetto della domanda sulla mancanza di prova fornita dalla ricorrente. Peraltro, vi era un principio di prova gia’ in via documentale, quale l’estratto del conto corrente gia’ prodotto nel giudizio di primo grado a riprova dello stadio di bisogno della ricorrente al momento del preliminare e del definitivo.
3.1 Il terzo motivo di ricorso e’ fondato.
La Corte d’Appello ha ritenuto che mancasse la prova della volonta’ dell’acquirente di profittarsi dello stato di bisogno del venditore. In particolare, il fatto che la parte venditrice avesse manifestato all’acquirente l’esigenza di procurarsi liquidita’ non era sufficiente essendo necessaria la volonta’ di trarre profitto dalla situazione di indigenza economica della parte venditrice.
Cio’ premesso, risulta dagli atti che le richieste istruttorie formulate dalla ricorrente e volte a provare la sussistenza degli elementi per la rescissione del contratto per lesione ultra dimidium non sono state in alcun modo esaminate dalla Corte d’Appello. Infatti a pag. 5 del ricorso sono riportate le richieste istruttorie che il Tribunale ha rigettato in primo e grado e che la ricorrente ha riproposto, formulando una specifico motivo di appello avverso il loro rigetto ingiustificato. Inoltre, le medesime istanze istruttorie sono state reiterate anche nelle conclusioni delle (OMISSIS) (appellante) come riportate nella sentenza impugnata. Risulta, pertanto, ampiamente soddisfatto l’onere di specificita’ del motivo (Sez. 1, Sent. n. 23978 del 2015, Sez. 3, Sent. n. 9060 del 2003) il che permette di valutare positivamente l’astratta decisivita’ delle prove richieste.
Come si e’ detto, la Corte d’Appello ha ritenuto che mancasse la prova della volonta’ dell’acquirente di profittarsi dello stato di bisogno del venditore senza motivare in alcun modo sulle istanze istruttorie proposte dall’allora appellante. A proposito del loro carattere astrattamente decisivo, deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo il quale: L’azione generale di rescissione per lesione richiede la simultanea esistenza dei requisiti di una sproporzione ultra dimidium fra le reciproche prestazioni del contratto, di uno stato di bisogno del contraente danneggiato e di un approfittamento di esso da parte dell’altro contraente: per stabilire se risultino integrati gli estremi della lesione nella compravendita di un immobile occorre, da un lato, far riferimento al valore che esso presumibilmente avrebbe avuto in una comune contrattazione al tempo della stipulazione e, dall’altro lato, tener presente che anche una semplice difficolta’ economica o una contingente carenza di liquidita’ possono integrare lo stato di bisogno, purche’ siano in rapporto di causa ed effetto con la determinazione a contrarre, e che non e’ richiesta la prova di una specifica attivita’ posta in essere dal contraente avvantaggiato allo scopo di promuovere o sollecitare la conclusione del contratto, occorrendo unicamente che, dall’istruzione della causa, emerga una situazione tale da consentire di ritenere, attraverso una motivata valutazione complessiva, che la conoscenza dello stato di bisogno della controparte abbia costituito la spinta psicologica a contrarre. (Sez. 2, Sentenza n. 5133 del 06/03/2007, Rv. 596232 – 01).
Deve, pertanto, farsi applicazione del seguente principio di diritto: “La mancata ammissione di un mezzo istruttorio (nella specie, prova testimoniale) si traduce in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio ex articolo 2697 c.c., benche’ la parte abbia offerto di adempierlo” (ex plurimis Sez. 3, Ord. n. 18285 del 2021).
4. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Trento in diversa composizione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Trento in diversa composizione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.

 

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