Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 settembre 2021| n. 25494.
Sanzioni amministrative ed impugnazione dei verbali di accertamento.
Gli articoli 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (Nel caso di specie, relativo ad un contenzioso insorto in materia di violazioni al Codice della Strada, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dalle ricorrenti amministrazioni pubbliche per assenza di specificità dei motivi privilegiando tuttavia una non corretta formulazione del motivo di appello, secondo canoni da ritenere esplicitamente irrispettosi dei principi di diritto analiticamente formulati in seno alla giurisprudenza di legittimità). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 16 novembre 2017, n. 27199).
Ordinanza|21 settembre 2021| n. 25494. Sanzioni amministrative ed impugnazione dei verbali di accertamento
Data udienza 31 marzo 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Sanzioni amministrative – Impugnazione dei verbali di accertamento – Ingiunzione di pagamento – Presupposti – Elemento psicologico – Valutazione del giudice di merito – criteri
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12551-2016 proposto dal:
MINISTERO dell’INTERNO, e PREFETTURA UFFICIO TERRITORIALE del GOVERNO di ANCONA, in persona del Ministro e del Prefetto pro-tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 sono domiciliati;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 920/2015 del TRIBUNALE di FERMO pubblicata il 12/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/03/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
Sanzioni amministrative ed impugnazione dei verbali di accertamento
FATTI DI CAUSA
La Polizia Municipale del Comune di Senigallia, nell’anno (OMISSIS), elevava tre verbali di accertamento per altrettante violazioni dell’articolo 7, commi 9/14 C.d.S. e dell’articolo 157 C.d.S. nei confronti di (OMISSIS), proprietario della vettura Lancia Tesis tg. (OMISSIS), avverso i quali proponeva i ricorsi alla competente Prefettura, che li respingeva ingiungendo il pagamento a titolo di sanzione pecuniaria per ciascuna delle infrazioni contestategli.
Avverso le ordinanze della Prefettura il (OMISSIS) proponeva altrettanti ricorsi innanzi al Giudice di Pace di Fermo, che, disposta la riunione delle tre cause, con sentenza n. 91/2015, li accoglieva, mancando la prova circa la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa, in quanto il ricorrente non incorreva nelle violazioni contestate per negligenza, ma per obiettive difficolta’ determinate dalla scarsa conoscenza del luogo, nonche’ dal prolungarsi dell’impegno professionale che non consentiva di assentarsi.
Contro tale sentenza proponeva appello il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Ancona, rilevando l’omessa pronuncia del Giudice di Pace sull’eccezione di incompetenza per territorio (asseritamente in favore del Giudice di pace di Senigallia) e l’arbitrarieta’ delle conclusioni cui lo stesso giudicante era pervenuto in punto di non colpevolezza delle condotte dell’appellato.
Si costituiva in giudizio l’appellato, il quale chiedeva la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 920/2015, depositata in data 12.11.2015, il Tribunale di Fermo dichiarava inammissibile l’appello per assenza di specificita’ dei motivi.
Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno e la Prefettura Ufficio Territoriale del Governo di Ancona sulla scorta del seguente motivo. L’intimato (OMISSIS) non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto con il Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera c) bis convertito dalla L. n. 134 del 2012 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, giacche’ il Tribunale di Fermo ha optato per una lettura particolarmente formalistica e rigorosa del disposto dell’articolo 434 c.p.c. in punto di redazione dei motivi d’appello; l’impostazione e’ seguita da una parte della giurisprudenza di merito che ha ritenuto come, mediante la nuova formulazione degli articoli 342 e 434 c.p.c., l’introduzione del giudizio d’appello debba avvenire con modalita’ tali da consentire al Giudice di cogliere nel modo piu’ rapido e semplice le questioni sottoposte alla sua cognizione.
1.1. – Il motivo e’ fondato.
1.2. – Gia’ con riguardo all’articolo 342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012, ai sensi dell’articolo 54, commi 2 e 3-bis di detto D.L.), questa Corte (ex plurimis, Cass. sez. un. 3033 del 2013) sottolineato che l’originario connotato di novum iudicium del processo d’appello (disciplinato dal codice di rito del 1865), notevolmente attenuato nel nuovo codice del 1940 dalle disposizioni contenute negli articoli 342, 345 e 346 c.p.c. a seguito delle profonde modifiche apportate dalla L. n. 353 del 1990, non e’ piu’ riscontrabile nell’attuale processo civile, nel cui ambito il giudizio di secondo grado costituisce una revisio prioris instantiae, incanalata negli stretti limiti devoluti con i motivi di gravame – ha ribadito che, nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non puo’ piu’ dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata, ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata. In sostanza (Cass. sez. un. 28498 del 2005), l’appello deve puntualizzarsi all’interno dei capi di sentenza destinati ad essere confermati o riformati, ma “comunque” sostituiti dalla sentenza di appello (Cass. sez. un. 28498 del 2005). Pertanto, la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, con la conseguenza che tale specificita’ esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono; pertanto, nell’atto di appello deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilita’ del gravame rilevabile d’ufficio, una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice” (Cass. sez. un. 23299 del 2011; nonche’, Cass. n. 4068 del 2009; Cass. n. 18704 del 2015; Cass. n. 12280 del 2016). Al fine quindi di verificare la corretta applicazione della norma in esame, si deve ribadire che non si rivela sufficiente il fatto che l’atto d’appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma e’ altresi’ necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza (come nella specie), che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con idoneo grado di specificita’, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. sez. un. 16 del 2000; Cass. sez. un. 28498 del 2005).
Da cio’, la affermata inammissibilita’ dell’atto di appello redatto in modi non rispettosi dell’articolo 342 codice di rito (Cass. sez. un. 16 del 2000, cit.), che va tuttavia applicato senza inutili formalismi e senza richiedere all’appellante il rispetto di particolari forme sacramentali (v., tra le altre, Cass. 12984 del 2006; Cass. n. 9244 del 2007; Cass. n. 25588 del 2010; Cass. n. 22502 del 2014; Cass. n. 18932 del 2016; Cass. n. 4695 del 2017).
Tali principi hanno trovato conferma anche nelle sentenze delle Sezioni unite n. 28057 del 2008 e n. 23299 del 2011); nonche’ da ultimo (con riferimento agli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo certamente piu’ rigoroso, novellato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, e convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel giudizio de quo) in Cass. sez. un. 27199 del 2017, che – in coerenza con la regola generale per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale (Cass. n. 10916 del 2017); e non trascurando che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in piu’ occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalita’ tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Cass. n. 10878 del 2015; sent. CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia) – ha enunciato il seguente principio di diritto: “Gli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversita’ rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado” (conf. Cass. n. 4462 del 2019; Cass. n. 13535 del 2018).
1.3. – A tali principi il Tribunale s’e’ sottratto, privilegiando una non corretta, formulazione del motivo di appello, secondo canoni che esplicitamente non rispettano i principi di diritto analiticamente formulati da questa Corte di legittimita’.
2. – Il ricorso va dunque interamente accolto; va cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa al Tribunale di Fermo, diverso giudicante, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Fermo, diverso giudicante, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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