Risoluzione – la tutela generale contrattuale

Risoluzione – la tutela generale contrattuale

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Ultimo aggiornamento 26 giugno 2022, non riscontrabile però all’interno del file in pdf

 

Sommario

A)           Introduzione

 

          La risolubilità si verifica quando il programma contrattuale non é più in grado di svolgere la propria funzione che é quella di assicurare il soddisfacimento degli interessi contrastanti composti nel regolamento contrattuale.

          In linea generale la risoluzione può essere definita come un rimedio concesso ai contraenti al fine di sciogliere retroattivamente il vincolo contrattuale in alcune ipotesi nelle quali, ad opera di circostanze estranee e sopravvenute (causate dal comportamento delle parti o da eventi non imputabili, né prevedibili), non funziona più il sinallagma, vale a dire la corrispettività tra le due prestazione.

          Essa, perciò, é ammessa solo per i contratti a prestazioni corrispettive.

          Si determina una alterazione della causa del contratto (es. lo scambio in cui questa consiste non può più compiersi) e si parla di difetto funzionale che si manifesta in sede di esecuzione del contratto e investe il rapporto contrattuale comportando la risoluzione del contratto (a differenza del difetto genetico, che é la mancanza originaria della causa o la sua illiceità che investe il contratto e comporta nullità, annullamento o dichiarazione di inefficacia).

          Inoltre va inquadrata nel più vasto fenomeno dell’inefficacia al quale appartengono anche la nullità, l’annullabilità e la rescissione.

          La risoluzione mira a riequilibrare la posizione economica – patrimoniale dei contratti eliminando (con efficacia ex tunc) non già il contratto ma piuttosto i suoi effetti.

          La risoluzione pertanto incide non sull’atto ma sul rapporto, cioé sulla situazione giuridica che consegue alla stipula del contratto.

  • Il fondamento

Prevale in dottrina[1] la teoria del difetto funzionale della causa.

La causa, si afferma, pur esistendo originariamente, può non realizzarsi in conformità della volontà negoziale per circostanze sopravvenute perché assume un particolare rilievo nei contratti con prestazioni corrispettive.

Questa mancanza funzionale della causa può essere totale (inadempimento, impossibilità sopravvenuta totale della prestazione) o parziale (impossibilità sopravvenuta parziale della prestazione, eccessiva onerosità sopravvenuta).

  • Il potere di risoluzione

Ha natura potestativa, categoria che si ha quando il potere del soggetto é allo stato puro, nel senso che gli é dato d’incidere sulla sfera del soggetto passivo prescindendo dal comportamento di quest’ultimo, che non può e non deve fare nulla se non, semplicemente, soggiacere alle conseguenze dell’altrui dichiarazione di volontà.

Per la S.C.[2] nei contratti a prestazioni corrispettive (nella specie, vendita), quando sia sorto a favore della parte adempiente il diritto potestativo alla risoluzione del contratto, l’inadempiente non può paralizzare tale diritto mediante il suo tardivo adempimento (ancorché precedente alla proposizione della domanda di risoluzione) — salva, in ogni caso, la valutazione del giudice della non scarsa importanza dell’inadempimento — perché, altrimenti, gli si consentirebbe di effettuare utilmente la prestazione tardiva e con essa di modificare a suo arbitrio, e senza il concorso dell’altra parte, la situazione giuridica a lui sfavorevole, dal medesimo determinata.

In tale ambito, poi,  viceversa è riconosciuto, come da ultima pronuncia

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 febbraio 2014, n. 3207

che il contraente non inadempiente, così come può rinunciare ad eccepire l’inadempimento che potrebbe dar causa alla pronuncia di risoluzione, può, del pari, rinunciare ad avvalersi della risoluzione già avveratasi per effetto della clausola risolutiva espressa o dello spirare del termine essenziale o della diffida ad adempiere, e può anche rinunciare ad avvalersi della risoluzione già dichiarata giudizialmente, ripristinando contestualmente l’obbligazione contrattuale ed accettandone l’adempimento (v. Cass. 10-3-2011 n. 5734; Cass. 24-11-2010 n. 23824; Cass. 8-11-2007 n. 23315; Cass. 1-8-2007 n. 16993; Cass. 28-6-2004 n. 11967). Si è precisato, al riguardo, che la rinuncia agli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento che si sia già verificata per una delle cause previste dalla legge (art. 1454, 1455, 1457 c.c.) ovvero anche per effetto di pronuncia giudiziale (art. 1453 c.c.), costituisce tipica espressione dell’autonomia privata, che come riconosce al creditore il diritto potestativo di non eccepire preventivamente l’inadempimento che potrebbe dare causa alla risoluzione del contratto, così non gli nega, anche in “executivis”, quello di non avvalersi della risoluzione già verificatasi o già dichiarata, e di ripristinare contestualmente l’obbligazione rimasta inadempiuta. (Cass. 4-5-1991 n. 4908).

Da ultimo nuovamente dalla Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 dicembre 2014, n. 25853

è stato anche precisato in merito che la regola prevista dall’art. 1453, terzo comma, cod. civ., secondo cui il debitore inadempiente non può più adempiere dopo che sia stata chiesta la risoluzione, è norma a carattere dispositivo. Pertanto, nulla vieta che il creditore, nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata, possa accettare l’adempimento della prestazione, successivo alla domanda di risoluzione, rinunciando agli effetti della stessa (Cass. n. 11967 del 2004), prendendo atto dell’adempimento per quanto tardivo del conduttore. Nel caso di specie dunque il locatore avrebbe potuto, a fronte del pagamento banco iudicis del debito capitale per i canoni scaduti, rinunciare del tutto alla domanda o concentrare la sua domanda di risoluzione sull’inadempimento limitato alla mancata corresponsione di interessi e spese.

B)       L’Inadempimento

 

La risoluzione per inadempimento, come ogni altro tipo di risoluzione, ha il suo fondamento nel difetto funzionale della causa; lo squilibrio tra le reciproche prestazioni.

Per la dottrina prevalente questa soluzione rappresenta un rimedio obiettivo per la mancata attuazione dell’obbligo, indipendentemente dalle ragioni che l’abbiano determinato; indipendentemente, cioè, dall’imputabilità, a titolo di dolo o colpa, del comportamento del contraente inadempiente.

Verificatasi l’inadempienza di una delle parti, colpevole o non colpevole che sia, il contraente adempiente avrà il diritto di chiedere la risoluzione del contratto; se poi vi sarà anche colpevolezza da parte del debitore, il creditore potrà, in aggiunta chiedere i danni.

La giurisprudenza della S.C.[3], in via di principio, ritiene che la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ben potendo implicitamente essere contenuta in altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione; rimane tuttavia il dubbio se una tale valutazione possa operarsi anche laddove la parte non inadempiente si avvalga della procedura monitoria, scelta che di per sé potrebbe portare ad escludere la proposizione di una richiesta implicita di risoluzione, esulando una tale pretesa dalle possibilità’ di tutela previste dalla legge attraverso la procedura per decreto ingiuntivo (articolo 633 e seguenti c.p.c.).

Di fronte all’inadempimento (incolpevole) o al rifiuto di adempimento (colpevole) della controparte,  l’altra può scegliere tra 2 possibili soluzioni,   a seconda che  abbia o non abbia  ancora interesse nell’adempimento tardivo.

1 – A  soluzione

Adempimento

Se ha ancora interesse all’adempimento: se ancora non ha adempiuto, essa può opporre l’eccezione d’inadempimento al fine di rifiutarsi di adempiere a sua volta.

Se invece la parte ha già adempiuto, può costituire in mora la controparte debitrice

1)           in vista di un adempimento tardivo

2)           ovvero al fine di iniziare il giudizio per ottenere la condanna ad agire poi con l’esecuzione forzata.

2 – A  soluzione  Risoluzione

Se non ha più interesse all’adempimento: percorra la strada della risoluzione.

  • Risarcimento del danno

art. 1453 c.c.   risolubilità del contratto per inadempimento: nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua volta chiedere l’adempimento o  la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso, il risarcimento del danno (nel caso in cui ci sia stata condotta colpevole del debitore).

 

L’azione di risoluzione del contratto per inadempimento e la relativa azione risarcitoria hanno differenti presupposti applicativi, perché la prima esige che l’inadempimento di una delle parti non sia di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra, mentre l’azione risarcitoria presuppone che l’inesatta esecuzione della prestazione abbia prodotto al creditore un danno; ne consegue che, ad esempio, in tema di mediazione[4], la condanna del mediatore al risarcimento del danno nei confronti di una delle parti per inadempimento del proprio dovere di informazione non implica automaticamente che il contratto debba essere risolto e che il mediatore perda il diritto alla provvigione[5].

Ai fini prettamente processuali, secondo la S.C.[6], in relazione ad un giudizio per inadempimento contrattuale, deve ritenersi che la domanda di risarcimento danni presupponga quella di risoluzione del contratto, che può ritenersi proposta anche se non espressa con formula “sacramentale”, perché nel contenuto della domanda originaria ad essa viene fatto espresso riferimento.

In precedenza però la stessa cassazione[7] ha affermato che la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, giacché l’art. 1453 c.c., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione del contratto o, a maggior ragione, il suo accoglimento.

Per altra pronuncia[8] la causa di risarcimento danni per inadempimento contrattuale non é accessoria rispetto alla causa di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento, proposta dal medesimo attore nei confronti del medesimo convenuto dinanzi ad un diverso giudice, perché la decisione dell’una non presuppone, per correlazione logico-giuridica, la decisione dell’altra, né vi é subordinazione, essendo invece autonome tra loro, benché presupposto di entrambe sia l’accertamento dell’inadempimento, che però incide diversamente, dovendo essere di non scarsa importanza per accogliere la domanda di risoluzione e fungendo soltanto da parametro di valutazione per la domanda risarcitoria. Pertanto il giudice della seconda causa non é competente a decidere anche la prima che resta invece di competenza del giudice adito.

In altre parole la domanda di condanna generica al risarcimento dei danni costituisce una domanda eventuale e distinta rispetto alla domanda di risoluzione del contratto, avendo per oggetto un bene diverso da quello che, nell’ipotesi di inadempienza, può essere alternativamente richiesto, a norma dell’art. 1453 c.c., con la domanda di adempimento o di risoluzione del contratto.

Tale domanda, pertanto, deve essere specificamente formulata dall’attore, non essendo ricompresa in quella di adempimento o di risoluzione, con la conseguenza che é inammissibile ove sia formulata in sede di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado e sulla stessa non sia stato accettato il contraddittorio da parte del convenuto[9].

Mentre come già scritto può avvenire il contrario, ovvero che la domanda di risarcimento può presupporre quella di risoluzione.

Ciò posto, cosa comporta il risarcimento del danno ?

Per la giurisprudenza la risoluzione del contratto per inadempimento comporta l’obbligo dell’inadempiente di rifondere l’altra parte, a titolo di risarcimento del danno, anche del lucro che abbia perduto in conseguenza della mancata esecuzione della prestazione.

Ad esempio, con riguardo alla risoluzione, per inadempimento del venditore, della compravendita di un quadro dichiarato di autore, ma rivelatosi non autentico, deve riconoscersi al compratore il diritto non soltanto di ottenere la restituzione del prezzo versato, ma anche, ove il quadro se autentico avrebbe conseguito nel tempo un maggior valore, di ottenere il risarcimento della perduta plusvalenza, mentre l’eventuale difficoltà di tradurre quest’ultima in un preciso ammontare non può di per sé escludere tale risarcimento, spiegando rilievo solo al diverso fine del ricorso a criteri equitativi per la liquidazione del danno.

Ancora per la medesima Corte, la parte non inadempiente ha diritto al ristoro di tutti i pregiudizi subiti a causa della condotta della controparte inadempiente, compreso il rimborso delle spese affrontate in vista del proprio adempimento e, specificamente, ove il contratto in questione sia costituito da un preliminare avente ad oggetto il trasferimento di una cosa determinata, gli esborsi sostenuti per la realizzazione di quest’ultima o, comunque, finalizzati a renderla conforme all’oggetto delle pattuizioni contrattuali[10].

In senso generale ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni é sufficiente l’esistenza potenziale del danno, che dovrà poi essere determinato o anche escluso dal giudice della liquidazione. Pertanto, la risoluzione del contratto per inadempimento di una delle parti giustifica la condanna generica di questa al risarcimento del danno, indipendentemente dal concreto accertamento di uno specifico pregiudizio patrimoniale, posto che l’anticipato scioglimento del rapporto é di per sé un evento potenzialmente generatore di danno, avendo turbato e compromesso le aspettative economiche della parte adempiente, anche se fatti specifici di violazione contrattuale non abbiano, in ipotesi, prodotto direttamente alcun pregiudizio patrimoniale al contraente incolpevole[11].

Bisogna, poi, fare attenzione ad una massima della S.C.[12] secondo la quale l’accettazione della prestazione ritardata da parte del creditore, senza contestazioni o riserve, può dare luogo ad una rinunzia alla risoluzione del contratto, ma non già, in mancanza di altri elementi, anche ad una rinunzia al risarcimento del danno o a far valere la clausola penale stipulata appositamente per il caso di ritardo.

Inoltre[13], la domanda di risarcimento del danno, che sia proposta contestualmente a quella di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c., la reiezione di quest’ultima domanda per la scarsa importanza dell’inadempimento non comporta necessariamente il venir meno del presupposto per l’accoglimento della prima (come si verifica nel caso in cui la pretesa risolutoria sia respinta per difetto dell’imputabilità dell’inadempimento stesso), potendo il danno essere stato determinato da una colpevole inadempienza del debitore, ancorché inidonea per l’accoglimento della domanda di risoluzione a termini dell’art. 1455 c.c.

1)   Imputabilità

L’inadempimento, affinché possa avere effetto risolutorio, deve essere valutato non soltanto in ordine all’elemento obiettivo in cui si concreta la violazione contrattuale, ma anche in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo, che qualifica la stessa violazione e consiste nella effettiva volontà del debitore di sottrarsi ingiustamente alla prestazione dovuta.

Ma perché tale volontà manchi, rendendo l’inadempimento non imputabile al debitore, é necessario che questi abbia usato la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.), senza essere sufficiente la sola buona fede circa l’apprezzamento della propria condotta se questa non coincida con l’esaurimento di tutte le possibilità di adempiere l’obbligazione secondo la normale diligenza potendo la colpa, a differenza del dolo, sussistere anche in caso di errore, per non avere usato la diligenza che avrebbe preservato dal cadere nell’errore[14].

Orbene  non basta accertare la esistenza del fatto oggettivo del mancato o tardivo adempimento e della sua attitudine a turbare l’equilibrio del sinallagma contrattuale, ma occorre, altresì, accertare che l’inadempimento sia imputabile all’obbligo quanto meno a titolo di colpa, la quale, pur presumendosi (art. 1218 c.c.), va, tuttavia, esclusa quando ricorrono circostanze oggettive idonee a provare la sua inesistenza[15].

art. 1218 c.c.    responsabilità del debitore: il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta é tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo é stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Pertanto la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo va accertata specificamente, sulla scorta delle risultanze processuali ed in base alle deduzioni delle parti, con riferimento alla natura ed all’oggetto del contratto, alle modalità del concreto svolgimento del rapporto ed all’interesse delle parti stesse. Conseguentemente l’inadempimento può essere ritenuto incolpevole solo ove emergano concrete e precise circostanze idonee ad escludere l’elemento qualificante la condotta dell’obbligato, a termini dell’art. 1218 c.c. non bastando al riguardo il mero convincimento dello stesso senza alcun riscontro nella realtà accertata[16].

La colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, é presunta sino a prova contraria e tale presunzione é superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l’uso della normale diligenza, non é stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili. Ne consegue che non può essere pronunciata la risoluzione del contratto in danno della parte inadempiente, ove questa superi la presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, dimostrandone la non imputabilità a causa dell’ingiustificato rifiuto della controparte di ricevere la prestazione[17].

É bene precisare che nelle obbligazioni di mezzi, l’obbligato non può essere ritenuto responsabile in caso di mancata realizzazione dell’interesse del creditore, a meno che quest’ultimo non provi che sussista la colpa del debitore, mentre nella categoria delle obbligazioni di risultato la colpa non deve essere dimostrata dal creditore, ma sarà il debitore, in sede di giudizio, a dimostrare la sua mancanza di colpa.

  • Inadempienze reciproche

Non é raro che due parti addebitino l’una all’altra l’inadempimento e chiedano entrambe la risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’altra parte.

In questi casi, secondo la S.C.[18] non é possibile giungere ad una pronuncia di risoluzione per fatto e colpa di ambo le parti, in quanto nei contratti con prestazioni corrispettive non é consentito al giudice del merito di pronunciare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c. o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere a norma dell’art. 1460 c.c., in favore di entrambe le parti, perché la valutazione della colpa nell’inadempimento ha carattere unitario e l’inadempimento deve essere addebitato esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento colpevole prevalente, abbia alterato il nesso di reciprocità che lega le obbligazioni assunte con il contratto, dando causa al giustificato inadempimento dell’altra parte.

Principio ripreso da altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 3455.

nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito, in caso di inadempienze reciproche, di pronunciare la risoluzione, ai sensi dell’art. 1453 c.c., o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere, a norma dell’art. 1460 c.c., in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell’inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte.

Secondo, poi, altra ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 21 settembre 2020, n. 19706.

quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all’altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione dello stesso, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, sono tuttavia, in considerazione delle premesse contrastanti, dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale.

Dunque occorre accertare chi con il suo comportamento ha alterato maggiormente il nesso di reciprocità.

Ad esempio la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, alla quale sia stata opposta dal convenuto la reciprocità degli inadempimenti, comporta un giudizio comparativo dei rispettivi comportamenti che, al di là del semplice dato cronologico, li investa nei loro rapporti di dipendenza e di proporzionalità, nel quadro della funzione economico-sociale del contratto, e che consenta, così, di stabilire su quale dei contraenti debba ricadere l’inadempimento colpevole che possa giustificare l’inadempimento dell’altro, in virtù del principio inadimpleti non est adimplendum. Tale accertamento di fatto é sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato[19].

Per altra pronuncia[20] per stabilire da quale parte sia l’inadempimento colpevole, il giudice del merito non può limitarsi ad esaminare la condotta di una sola parte, ma deve necessariamente procedere ad una valutazione comparativa dei comportamenti di entrambi i contraenti, per accertare la sussistenza di reciproche inadempienze, secondo un ordine di successione cronologica, onde apprezzare la loro effettiva gravità e la loro concreta incidenza causale, nell’ambito dell’economia complessiva del rapporto.

Ancora in altra massima si legge che ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in un contratto a prestazioni corrispettive, nel caso di asserite inadempienze reciproche, il compito del giudice del merito non é limitato all’esame dell’inadempienza di uno solo dei contraenti, dovendosi necessariamente procedere ad una valutazione unitaria e comparativa della condotta di entrambi i contraenti, per accertare la sussistenza degli inadempimenti reciprocamente addebitatisi dalle parti ed apprezzarne l’effettiva gravità ed efficienza causale rispetto alla finalità economica complessiva del contratto ed alla conseguente influenza sulla sorte di esso. La valutazione del giudice di merito, concretandosi in un apprezzamento di fatto, é insindacabile in sede di legittimità, ove sia sorretta da motivazione sufficiente, logica ed immune da errori di diritto[21].

Inoltre, la reciprocità degli inadempimenti per cui il giudice é tenuto a valutare unitariamente il comportamento dei contraenti al fine di stabilire quale, tra gli inadempimenti reciprocamente contestati, sia il più grave ai fini della risoluzione, non può essere rilevata di ufficio dal giudice, ma deve essere esplicitamente dedotta come contenuto di una domanda riconvenzionale del convenuto di risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore ovvero come contenuto di una eccezione di inadempimento dello stesso, restando escluso che la suddetta domanda od eccezione possa considerarsi proposta per il solo fatto della produzione in giudizio dei documenti che la giustificherebbero[22].

Il giudice, adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l’una e rigettare l’altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti[23].

In realtà successivamente alla pronuncia delle Sezioni Unite, la Corte[24] ha precisato che il giudice, in presenza di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell’altra, accerti l’inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione[25] del contratto per effetto della scelta, ex art. 1453, comma secondo, c.c., di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 dello stesso codice.

Per una recente sentenza di merito[26], riguardo la valutazione dei comportamenti inadempienti, nei contratti a prestazioni corrispettive, la condotta delle parti che si addebitano reciproci inadempimenti, proponendo l’una nei confronti dell’altra domande vicendevolmente contrapposte, attribuisce al Giudice del merito il potere di procedere, ai fini della decisione, ad una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e comportamenti dei contraenti, che, al di là del pur necessario riferimento all’elemento cronologico degli stessi, li investa nel loro rapporto di dipendenza e di proporzionalità, nel quadro sociale del contratto, in maniera da consentire di stabilire su quale delle due parti debba ricadere l’inadempimento colpevole che possa giustificare il successivo inadempimento dell’altro, in applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum.

Non si tratta di una indagine soggettiva, ma oggettiva, nel senso che la parte potrebbe addirittura non conoscere l’inadempimento dell’altra parte nel momento in cui, a sua volta, risulti inadempiente.

Si pensi al caso in cui il promissario acquirente ritardi la propria prestazione di pagamento del bene e poi scopra che il contratto sia nullo stante la falsa dichiarazione urbanistica contenuta nell’atto di provenienza. In tali casi il comportamento inadempiente del promissario compratore assume carattere di irrilevanza a fronte dalla impossibilità congenita del promittente venditore di dar corso all’obbligazione principale per nullità del suo atto di acquisto. E proprio in una considerazione unitaria dei comportamenti contrapposti si coglie la preponderanza causale di una condotta sull’altra, tale da rendere irrilevante la ricerca della conoscenza dell’inadempimento da parte del promissario acquirente.

L’alterazione dei rapporti che scaturisce dalla condizione di nullità dell’atto di provenienza in capo alla promittente venditrice é tale da far imputare alla stessa la lesione del programma negoziale di interessi, in modo così incisivo e assorbente, da rendere privo di rilievo il ritardo dell’altra parte. In ipotesi siffatte non si prospetta neppure una comparazione – nel senso di confronto tra diversi gradi di gravità della condotta – ma si registra una violazione così prevalente – per l’irrealizzabilità stessa del negozio – da far perdere ogni rilevanza alla condotta ritardataria o inadempiente dell’altra parte. In tal senso quindi risulta giustificato l’inadempimento dell’altra parte, ancorché l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c. sia sollevata solo dopo l’avvio del giudizio

In conclusione

il giudice, in caso di addebito reciproco, deve valutare il comportamento maggiormente colpevole, ovvero quello che altera maggiormente il sinallagma contrattuale.

  • Autonomia privata –  Clausola di irresolubilità

Non vi é dubbio che una tale clausola sarebbe nulla in caso d’inadempimento dovuto a dolo o colpa grave, per il divieto stabilito dall’art. 1329, 1 co, ma é nulla  anche l’ipotesi d’inadempimento non colpevole.

Nel caso in cui tale patto sia previsto per il successivo inadempimento, la dottrina prevalente[27] ritiene consentita la rinuncia, perché, ormai, sono maturati i presupposti dell’azione di risoluzione e questa é già proponibile; si tratta, perciò di diritti disponibili; una conferma é stata ritrovata anche nell’art. 1444 (convalida del contratto annullabile), che viene considerato espressione di un principio generale.

É discussa, invece, l’ammissibilità di una diversa clausola con cui le parti rinunziano preventivamente alla risoluzione, vale a dire prima dell’inadempimento.

Anche se sembra che la Cassazione[28] abbia manifestato un’opinione positiva in proposito, é preferibile la tesi negativa sostenuta dalla dottrina prevalente la quale afferma che non può essere prevista all’interno di un contratto, la clausola con la quale sia esclusa la risoluzione, poiché si finirebbe con l’escludere la causa stessa del contratto.  Inoltre questo tipo di clausola introdurrebbe nei contratti un elemento di aleatorietà, nel senso che i contraenti accetterebbero preventivamente che uno si possa arricchire ai danni dell’altro.

2)   L’inadempimento parziale

La cassazione é unanime[29] nel ritenere che anche in presenza di un adempimento parziale può essere pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento se il giudice di merito, con valutazione incensurabile in sede di legittimità, ritenga la inadeguatezza dell’adempimento effettuato in relazione all’economia del contratto e all’interesse dell’altro contraente.

Ad esempio in caso di preliminare[30] di vendita di una pluralità di beni, dalla sola circostanza che il contratto definitivo abbia avuto ad oggetto soltanto alcuni di essi, sicché, ove non risulti che le parti abbiano voluto così limitare le obbligazioni reciprocamente assunte, il contratto definitivo si configura come adempimento parziale e non impedisce la risoluzione per inadempimento del preliminare[31].

Anche se per altra pronuncia[32] non é ammissibile una caducazione parziale del contratto quanto all’oggetto, ossia per una sola parte della prestazione, salvo che il contratto stesso sia ad esecuzione continuata o periodica (nel qual caso trova applicazione l’art. 1458, comma primo, c.c.). Il contratto, infatti, é unico, e l’impossibilità di restituire l’oggetto nel suo stato originario esclude la risoluzione, non solo quando l’impossibilità sia totale, ma anche quando sia parziale non essendo più possibile l’esatta rimessione in pristino. In tale caso ne consegue che il contratto permane in toto salvo per la parte adempiente di chiedere — ove non si siano verificate preclusioni di ordine sostanziale o processuali — la riduzione della propria prestazione, ed il risarcimento del danno nel caso di colpa della controparte.

Ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l’indagine circa la gravità della inadempienza deve tener conto del valore complessivo del corrispettivo pattuito in contratto, determinabile mediante il criterio di proporzionalità che la parte dell’obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso, e non rispetto alla sola caparra[33].

Principio già espresso in altra pronuncia[34] secondo la quale, la gravità dell’inadempimento deve essere valutata in relazione sia alla parte inadempiuta dell’obbligazione rispetto a questa nel suo complesso, sia alla sensibile alterazione dell’equilibrio contrattuale, ed il giudizio sulla importanza dell’inadempimento deve fondarsi su di un criterio idoneo a coordinare l’elemento obiettivo, rappresentato dalla mancata o inesatta prestazione nel quadro della esecuzione generale del contratto, con l’elemento soggettivo, consistente nell’interesse concreto della controparte alla esatta e tempestiva prestazione.

Per ultima Cassazione[35], poi, anche in caso di inadempimento parziale il giudizio della non scarsa importanza dell’inadempimento in negozi collegati non può essere affidato solo all’entità della prestazione inadempiuta rispetto al valore complessivo della prestazione, ma deve essere valutato nel risultato complessivo.

3)   Importanza dell’inadempimento

art. 1455 c.c.  importanza dell’inadempimento: il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra.

 

La non scarsa importanza dell’inadempimento é elemento che attiene al fondamento della relativa domanda di risoluzione del contratto e, di conseguenza, il giudice adito con la predetta domanda non può limitarsi ad accertare soltanto l’esistenza dell’inadempimento, ma, deve, anche d’ufficio, controllare in relazione alle contrapposte deduzioni delle parti, e comunque in base agli atti, se l’inadempimento accertato presenti i requisiti d’importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte, tali da giustificarne la richiesta risoluzione, dando ragione dell’eseguito controllo con opportuna, sufficiente motivazione[36].

Con altra recente pronuncia la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 4 ottobre 2017, n. 23199

ha chiarito che in tema di risoluzione contrattuale per inadempimento, la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 cod. civ., della non scarsa importanza dell’inadempimento deve ritenersi implicita, ove l’inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ovvero quando, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice lo abbia considerato tale da incidere in modo rilevante sull’equilibrio negoziale.

 Con ultima sentenza la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 20 febbraio 2018, n. 4022

ha affermato che l’interesse cui, ai sensi dell’articolo 1455 c.c., va comparata l’importanza dell’inadempimento ai fini della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto, è rappresentato dall’interesse che la parte inadempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto, e non dalla convenienza, per essa, della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all’adempimento.

La dottrina si é divisa riguardo all’individuazione dell’importanza o della gravità dell’inadempimento:

a)   interpretazione in chiave oggettiva: secondo questa interpretazione le norma avrebbe riguardo alle prestazioni così come dedotte in contratto e quindi dovrebbe essenzialmente  tenersi  presente il profilo funzionale.

b)   interpretazione in chiave soggettiva: secondo questa impostazione, si dovrebbe risalire alla volontà delle parti per valutare fino a quale punto, nella loro intenzione, un dato inadempimento può considerarsi importante avuto riguardo alle finalità soggettivamente perseguite in relazione ai singoli interessi che sono stati composti nel regolamento.

La Giurisprudenza oscilla tra i 2 orientamenti e li tende a coordinare.

Affermando che la valutazione della gravità dell’inadempimento o del suo ritardo deve essere compiuta sulla base di un criterio relativo che consenta di coordinare la valutazione dell’elemento obiettivo (mancata o tardiva prestazione nel quadro dell’economia generale del contratto) con l’elemento subiettivo, ossia con il comportamento della controparte che é indice del suo interesse all’esatto o tempestivo adempimento.

Difatti ai fini della risoluzione del contratto a norma dell’art. 1455 c.c., il giudizio sull’importanza dell’inadempimento deve essere fondato sopra un criterio idoneo a coordinare l’elemento obiettivo, rappresentato dalla mancata od inesatta prestazione nel quadro dell’esecuzione generale del contratto, con l’elemento soggettivo consistente nell’interesse concreto della controparte all’esatta e tempestiva prestazione[37].

Per una non recente pronuncia ai fini della determinazione della gravità dell’inadempimento, quale presupposto essenziale per la risoluzione del contratto a norma dell’art. 1455 c.c., deve effettuarsi un’indagine unitaria coinvolgente tutto il comportamento del debitore, desumibile dalla durata della mora e dal suo eventuale protrarsi, nonché una valutazione oggettiva della ritardata o mancata prestazione con riferimento all’interesse dell’altra parte all’esatto adempimento[38].

Secondo altra lettura della medesima Corte[39] del principio normativo, il disposto dell’art. 1455 c.c. pone una regola di proporzionalità in virtù della quale la risoluzione del vincolo contrattuale é collegata unicamente all’inadempimento delle obbligazioni che abbiano una notevole rilevanza nell’economia del rapporto, per la cui valutazione — che costituisce apprezzamento di fatto demandato istituzionalmente al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esauriente ed immune da vizi logici — occorre tener conto dell’esigenza di mantenere l’equilibrio tra prestazioni di eguale peso, talché l’importanza dell’inadempimento non deve essere intesa in senso subiettivo, in relazione alla stima che la parte creditrice abbia potuto fare del proprio interesse violato, ma in senso obiettivo in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale e a reagire sulla causa del contratto e sul comune intento negoziale.

Inoltre, il principio sancito dall’art. 1455 c.c. va adeguato anche ad un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale. Pertanto, la gravità dell’inadempimento di una delle parti contraenti non va commisurata all’entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell’altra parte all’esatta e tempestiva prestazione[40].

Infine, secondo ultima interpretazione[41] lo scioglimento del contratto per inadempimento — salvo che la risoluzione operi di diritto — consegue ad una pronuncia costitutiva, che presuppone da parte del giudice la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte.

Tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio, applicandosi in primo luogo un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; l’indagine va poi completata mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza del’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata.

  • Valutazione e presupposti

Come già enunciato la valutazione della gravità dell’inadempimento contrattuale é rimessa all’esame del giudice di merito, ed é incensurabile in Cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici[42].

La tolleranza del creditore non può giustificare l’inadempimento, né comportare per sé stessa modificazioni alla disciplina contrattuale, non potendosi presumere una completa acquiescenza alla violazione di un obbligo contrattuale posto in essere dall’altro contraente, né un consenso alla modificazione suddetta da un comportamento equivoco come é normalmente quello di non avere preteso in passato l’osservanza dell’obbligo stesso, in quanto tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto[43].

Ai fini della determinazione della gravità dell’inadempimento, il giudice del merito può tenere conto anche del comportamento dell’inadempiente posteriore alla domanda di risoluzione del contratto, in considerazione del fatto che l’unità del rapporto obbligatorio, cui tutte le prestazioni inadempiute si riferiscono, non consente una valutazione frammentaria della condotta della parte inadempiente, per cui, quando nel corso del giudizio siano scadute le residue obbligazioni gravanti sull’inadempiente, occorre tener conto dell’integrale condotta di quest’ultimo ed operare una valutazione globale[44].

Inoltre, la legittimità o illegittimità del rifiuto, opposto alla offerta di adempimento tardivo dal contraente che in quel momento, nella sua libera determinazione, non abbia ancora proposto la domanda di risoluzione, deve essere accertata nel giudizio di risoluzione instaurato da detto contraente successivamente al rifiuto stesso. Pertanto, il giudice, al fine di stabilire, ai sensi dell’art. 1455 c.c., se sussistono oppure no gli estremi dell’inadempimento di non scarsa importanza, ossia grave, non può omettere di valutare l’offerta di adempimento intervenuta anteriormente alla proposizione della domanda di risoluzione[45].

La proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento comporta, a termini dell’art. 1453 c.c., la cristallizzazione, fino alla pronuncia giudiziale definitiva, delle posizioni delle parti contraenti, nel senso che come é vietato al convenuto di eseguire la sua prestazione (art. 1453 c.c.), così non é consentito all’attore di pretenderla, avendo dimostrato con la richiesta di risoluzione del contratto il proprio disinteresse all’adempimento anche per i pagamenti non ancora scaduti al momento della domanda. Con la conseguenza che il giudice potrà accertare se vi sia stato inadempimento imputabile al debitore soltanto con riguardo alle prestazioni già scadute, e non anche con riferimento a quelle ancora da scadere, rispetto alle quali il comportamento del debitore non é ancora suscettibile di valutazione in termini di adempimento-inadempimento[46]. Mentre per altra massima[47], contrariamente, ai fini della determinazione della gravità dell’inadempimento, il giudice del merito può tenere conto anche del comportamento dell’inadempiente posteriore alla domanda di risoluzione del contratto, in considerazione del fatto che l’unità del rapporto obbligatorio, cui tutte le prestazioni inadempiute si riferiscono, non consente una valutazione frammentaria della condotta della parte inadempiente, per cui, quando nel corso del giudizio siano scadute le residue obbligazioni gravanti sull’inadempiente, occorre tener conto dell’integrale condotta di quest’ultimo ed operare una valutazione globale.

L’adempimento effettuato dopo la domanda di risoluzione del contratto, pur non arrestando gli effetti di tale domanda, deve essere preso in esame dal giudice del merito al fine della valutazione dell’importanza dell’inadempimento, potendo esso costituire circostanza decisiva a rendere l’inadempimento di scarsa importanza, con diretta influenza sulla risolubilità del contratto, ai sensi dell’art. 1455 c.c.

  • Prestazione accessoria

Anche l’inadempimento di una prestazione accessoria può rilevare, nei limiti in cui faccia venir meno l’utilità della prestazione principale e non sia quindi di scarsa importanza.

Per la S.C.[48], infatti, non é giustificata, rispetto alla norma dell’art. 1455 c.c., la distinzione fra obbligazioni principali ed accessorie, potendo, rispetto a ciascuna prestazione, l’inadempimento essere tale da giustificare la risoluzione, per converso anche l’inadempimento totale di un’unica obbligazione non può considerarsi in senso assoluto ed automatico come determinante la risoluzione.

Ai fini processuali occorre  rilevare che in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, secondo il consolidato orientamento della S.C.[49], il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto é gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, perché l’eccezione si fonda sull’allegazione dell’inadempimento di un’obbligazione, al quale il debitore di quest’ultima dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall’esatto adempimento.

4)   Ambito

A)          contratti con prestazioni corrispettive

B)          contratti unilaterali, ma con attribuzioni patrimoniali reciproche in situazione di sinallagma, dei quali esempio tipico é il mutuo oneroso e la rendita vitalizia; poiché esso, dopo la perfezione del contratto (che ha natura reale), la prestazione (di restituire l’equivalente di quanto si é ricevuto egli interessi) é solo a carico del mutuatario, ma é, nello stesso tempo, contratto a prestazioni corrispettive, in quanto nel contratto si realizzano due attribuzioni patrimoniali contrapposte.

C)          Contratti sottoposti a condizione sospensiva: é ammissibile la risoluzione per inadempimento del contratto condizionato sospensivamente ad una condicio iuris e rimasto inefficace per il mancato avveramento della condizione — nella specie diniego di concessione di licenza d’importazione della merce, la cui necessità era nota ai contraenti qualora la parte abbia determinato col fatto proprio il mancato avveramento della condizione stessa, realizzando tale condotta una violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione, al fine di mantenere integre le ragioni dell’altra parte. La violazione di detto obbligo, che costituisce una specificazione di quello più generale imposto dalla legge ai contraenti di comportarsi secondo correttezza nell’esecuzione delle obbligazioni, dà luogo a responsabilità contrattuale[50].

D)         Contratti sottoposti a termine: un contratto può essere risolto per inadempimento, ancorché non sia stato fissato un termine per l’adempimento, richiesto dalla natura della prestazione, qualora la parte debitrice abbia in modo univoco manifestato la volontà di non adempiere[51].

E)          Inadempimento nel caso di contratto plurilaterale

 in dottrina: si sostiene che in tal caso la risoluzione deve essere richiesta congiuntamente da tutti i contraenti adempienti.

 

art. 1459 c.c. risoluzione nel contratto plurilaterale: nei  contratti indicati dall’art. 1420 c.c. l’inadempimento di una delle parti non importa la risoluzione del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancata debba secondo le circostanze considerarsi essenziale.

 

Per la Cassazione[52] la domanda diretta ad ottenere la risoluzione per inadempimento di un contratto con pluralità di parti (nella specie, di un contratto preliminare di compravendita di un immobile) deve essere proposta nei confronti di tutti i contraenti, non potendo un contratto unico essere risolto nei confronti soltanto di uno dei soggetti che vi hanno partecipato e rimanere in vita per l’altro o gli altri stipulanti.

Per altra pronuncia[53] la domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto con una pluralità di parti dà luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario, posto che il rapporto sostanziale dedotto in giudizio essendo unico non può essere risolto e, quindi, non può sussistere nei confronti di alcuni dei contraenti e rimanere in vita e vincolante per gli altri, onde la decisione pronunciata senza la partecipazione di tutti i contraenti é inutiliter data.

In particolare, ad esempio, con riguardo ad un contratto stipulato da un soggetto in proprio ed in nome e per conto di altri soggetti, qualora la controparte deduca la ricorrenza, fra detto stipulante e gli altri soggetti, di una società di fatto, e chieda, nei confronti della società medesima, una pronuncia di risoluzione per inadempimento, la relativa domanda deve essere proposta nei confronti di tutti i soci della pretesa società di fatto, in qualità di litisconsorti necessari, sia in considerazione dell’esigenza di accertare in via principale la sussistenza del rapporto sociale, sia in relazione al fatto che la pronuncia risolutoria viene richiesta nei confronti di tutti i componenti del gruppo sociale non personificato, rispetto ad un rapporto contrattuale plurilaterale[54].

F)  contratti onerosi costitutivi di servitù – la soluzione positiva non ragione di presentare dubbi perché la servitù rappresenta, al pari del diritto di proprietà e degli altri diritti reali, nient’altro che un oggetto del contratto, il quale non ne modifica la natura giuridica che, normalmente, consiste in una compravendita.

G) Aliud pro alio

Per il Tribunale capitolino[55], con una sentenza recente, la vendita di aliud pro alio si configura nel caso in cui la cosa consegnata dal venditore non sia semplicemente difettosa, ma addirittura diversa rispetto a quella pattuita, ossia carente dei suoi requisiti essenziali al punto da divenire inidonea in modo permanente alla sua funzione economico – sociale. In tale ipotesi non opera la disciplina prevista dalla garanzia per vizi della cosa venduta, ma la disciplina generale sulla risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive ex artt. 1453 e seg. c.c., con una tutela dell’acquirente molto più incisiva, poiché non é sottoposta ai rigorosi e brevi termini di prescrizione e decadenza previsti nel caso di garanzia per vizi e mancanza di qualità.

C)        Il procedimento

sul piano procedimentale 2 sono pertanto i modi con cui si attua la risoluzione, a seconda che sia o non sia necessaria una sentenza.

 

Risoluzione giudiziale:

[azione redibitoria (azione edilizia)]

se il creditore vuole risolvere il contratto

A)   ma non ha pattuito una clausola risolutiva espressa

B)  o un termine essenziale

C) ovvero non vuole assegnare al debitore un termine per l’adempimento, rischiando così di non poter più pervenire alla risoluzione, deve agire giudizialmente.

1)   La domanda di risoluzione

  • Profili generali

La volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ma può essere implicitamente contenuta in altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, ferma restando la necessità che, nel rito del lavoro, ad esempio, qualora la relativa domanda sia proposta nella memoria di costituzione, nella medesima siano esposti i fatti e gli elementi di diritto sui quali essa si fonda[56].

É opportuno già sottolineare che la domanda di risoluzione per inadempimento — che tende ad una pronuncia costitutiva e si fonda sul comportamento doloso o colpevole di una parte — ha presupposti e natura diversi dalla domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta[57], che invece tende ad una pronuncia di accertamento e si fonda su un fatto estraneo alla sfera di imputabilità dei contraenti. Pertanto é violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ove — avendo le parti domandato la risoluzione del contratto per contrapposti inadempimenti — il giudice dichiari la risoluzione del contratto ex art. 1463 c.c. per sopravvenuta impossibilità della prestazione contrattuale[58].

Inoltre, la materiale impossibilità di specifica reintegrazione delle posizioni giuridiche anteriori al contratto non pregiudica la esperibilità e il favorevole esito dell’azione di risoluzione per inadempimento, potendo ciò comportare soltanto che la reintegrazione patrimoniale avvenga per equivalente pecuniario, secondo il principio pretium succedit in locum rei, attraverso una sostituzione oggettiva sancibile anche d’ufficio qualora — dall’accertamento riservato al giudice del merito — risulti l’obiettiva impossibilità della restituzione specifica[59].

Invece, per altra lontana pronuncia della S.C.[60], l’azione generale di risoluzione per inadempimento é preclusa al compratore che abbia alienato la cosa acquistata, essendone impossibile in tal caso la restituzione da parte sua al venditore: tale principio, tuttavia, non opera nel caso in cui il venditore stesso abbia partecipato o consentito a questa alienazione.

Il principio per cui la risoluzione del contratto é preclusa dall’impossibilità di restituire l’oggetto nel suo stato originario opera, ai sensi dell’art. 1492, terzo comma, c.c., che é espressione di una regola generale e, quindi, non ha valore limitatamente al contratto di vendita, solo quando l’impossibilità di restituzione nello status quo ante si sia verificata senza colpa di colui che ha consegnato il bene, poiché non é lecito addebitare ad un contraente le conseguenze di un evento (perimento in senso fisico o giuridico di un bene) che é stato determinato quanto meno in modo prevalente da fatto imputabile all’altro contraente[61].

art. 1492 cc   effetti della garanzia: nei casi indicati dall’Articolo 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto (1453 e seguenti) ovvero la riduzione del prezzo, salvo, che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.

La scelta irrevocabile quando fatta con la domanda giudiziale.

Se la cosa consegnata perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se invece perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l’ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo.

In tema alla riduzione del prezzo per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 ottobre 2013, n. 24132

ad esempio, la questione dell’edificabilità o meno del terreno non costituisce un vizio del bene compravenduto legittimante l’applicazione dell’art. 1492 c.c., potendosi tradurre al più in un errore sulla qualità dell’oggetto, eventualmente rilevante unicamente ai fini della risoluzione del contratto.

Nella fattispecie non si è discusso tanto se, in caso di preliminare di vendita, si potesse configurare l’azione per esecuzione in forma specifica ex art. 2932 unitamente alla “quanti minoris” ex art. 1492 c.c. e dunque la compatibilità tra le due azioni come del resto ammette pacificamente la giurisprudenza (Cass. S.U. n. 1720 del 27/02/1985 (Rv Cass. n.1562 del 26.01.2010; Cass. n. 5121 del 19.04.2000);
La corte territoriale, nel caso di specie, affermava che non esisteva alcun vizio o difetto della cosa compravenduta, quanto al più di un errore dell’acquirente sulla qualità della stessa, che come tale avrebbe potuto legittimare, in base ai principi generali, solo l’azione di risoluzione del contratto ma non l’actio quanti minoris.
Ciò del resto è conforme all’insegnamento di questa S.C., secondo cui la falsa rappresentazione della realtà circa la natura (agricola o edificatoria) di un terreno, ricadendo direttamente su di una qualità dell’oggetto, integra l’ipotesi normativa dell’errore di fatto e non di diritto, poiché la inesatta conoscenza della norma che ne preveda la destinazione urbanistica si risolve in una (altrettanto) inesatta conoscenza della circostanza della edificabilità o inedificabilità del suolo, di una circostanza, cioè, inerente ai caratteri reali del bene, differenziandosi un terreno non fabbricabile da un altro utilizzabile a scopi edilizi essenzialmente sotto il profilo dei relativi, possibili impieghi, così che le parti di una compravendita si determinano alla stipula del negozio proprio in relazione alle qualità del terreno ed alle utilità (ed utilizzazioni) da esso ricavabili, incorrendo in errore essenziale in caso di ignoranza della sua vera natura (errore che, per converso, non influirà sulla validità del contratto qualora verta esclusivamente sul valore, attenendo, in tal caso, ai motivi che possano aver indotto le parti alla stipula e che, come tali, non spiegano una incidenza diretta sul processo formativo del volere negoziale) (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5900 del 01/07/1997).

  • Costituzione in mora

Per la risoluzione del contratto per inadempimento non é, in generale, richiesta la costituzione in mora, essendo dalla legge imposta come unica condizione, al riguardo, il fatto obbiettivo dell’inadempimento di non scarsa importanza ed essendo l’intimazione ad adempiere richiesta soltanto per la produzione di specifici effetti dell’inadempimento, quali il trasferimento, a carico del debitore, del rischio della prestazione (cosiddetta perpetuatio obligationis), e il rendere, inoltre il debitore responsabile dei danni derivati dall’inadempimento. La necessità della costituzione in mora ai fini della risoluzione per inadempimento (e, a fortiori, ai fini della domanda di risarcimento) può concepirsi soltanto se la risoluzione si basi sulla mora in senso stretto, cioé su di un inadempimento temporaneo e quindi non definitivo, e l’inadempimento riguardi una prestazione da eseguire al domicilio del debitore in questa ipotesi, invero, qualora il creditore alla scadenza del termine (non essenziale), non richieda l’adempimento, l’indugio del debitore é giustificato — secondo una valutazione sociale — da una presunzione di tolleranza[62].

Per altra pronuncia[63] al fine della risoluzione del contratto a norma dell’art. 1453 c.c., la costituzione in mora della parte inadempiente, mentre può essere necessaria, in presenza di un inadempimento temporaneo, per escludere una presunzione di tolleranza della controparte a fronte dell’inosservanza di un termine non essenziale, non é richiesta nel caso di inadempimento di tipo definitivo (salva la sua rilevanza al diverso scopo, oltre che del risarcimento del danno, dell’assunzione del rischio per la sopravvenuta impossibilità della prestazione, ai sensi dell’art. 1221 c.c.).

In altre parole la formale costituzione in mora del debitore é prescritta dalla legge per determinati effetti, tra cui preminente é quello del carico al debitore medesimo del rischio della sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile, ma non già al fine della risoluzione del contratto per inadempimento, essendo sufficiente per ciò il fatto obiettivo dell’inadempimento di non scarsa importanza[64].

  • Competenza

Ove la domanda abbia ad oggetto la risoluzione di un contratto per inadempimento, occorre far riferimento, per la individuazione del foro competente, al luogo nel quale doveva essere eseguita l’obbligazione al cui inadempimento si ricollega la pretesa di risoluzione[65].

Per stabilire il foro competente, ai sensi dell’art. 20 c.p.c., a decidere una domanda di risoluzione per inadempimento di contratto, occorre aver riguardo al luogo ove doveva esser adempiuta l’originaria obbligazione di cui in giudizio si deduce l’inadempimento[66].

  • La sentenza ha carattere costitutivo

Ciò a differenza di quanto avviene nella risoluzione di diritto ove, avvenendo la risoluzione a seguito di diffida, di termine essenziale o di dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa il giudice si limita a constatarla con sentenza dichiarativa.

Per la S.C.[67], infatti, l’azione di risoluzione di un contratto per inadempimento rientra tra quelle che mirano ad una sentenza costitutiva, cioé produttiva di un mutamento nella situazione giuridica.

Con ultimo adagio la S.C.

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 marzo 2015, n. 6401

ha nuovamente sottolineato che la risoluzione del contratto per inadempimento a seguito della pronuncia costitutiva del giudice priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti. Ne consegue che l’obbligo restitutorio relativo all’originaria prestazione pecuniaria, anche in favore della parte non inadempiente, ha natura di debito di valuta, come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno – da provarsi dal creditore – rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali, ai sensi dell’articolo 1224 c.c. (da ultimo: Cass. n. 5639 del 12/03/2014).

Sul punto nuovamente è tornata la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 novembre 2015, n. 22664

affermando il seguente principio: la retroattività ex art. 1458 cod. civ. della pronuncia (costitutiva) di risoluzione fa venir meno la causa delle attribuzioni patrimoniali derivanti dal contratto, determinando a carico della parte non colpevole un obbligo, non risarcitorio, ma restitutorio, avente ad oggetto le cose ricevute ed i frutti effettivamente percetti, per i quali ultimi si configura un debito di valore se trattasi di frutti naturali, laddove ricorre invece un debito di valuta, soggetto al principio nominalistico, se trattasi di frutti civili (somme di danaro) costituenti il corrispettivo del godimento della cosa (Sez. 2, Sentenza n. 2962 del 11/05/1982, Rv. 420867). Pertanto, in caso di risoluzione di un contratto di vendita per inadempimento del venditore questi è tenuto a restituire le somme ricevute con gli interessi legali, dovuti come frutto civile del denaro, a decorrere dal giorno in cui le stesse somme gli furono consegnate dall’acquirente (Sez. 3, Sentenza n. 4604 del 22/02/2008, Rv. 601804; Sez. 3, Sentenza n. 19659 del 18/09/2014, Rv. 633002).

Inoltre, l’obbligo restitutorio relativo all’originaria prestazione pecuniaria (anche in favore della parte non inadempiente) – conseguente ad una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento – ha natura di debito di valuta e, come tale, non è soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno – da allegarsi e provarsi dal creditore – rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali, ai sensi dell’art. 1224 cod. civ. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 5639 del 12/03/2014, Rv. 630187).

Nelle obbligazioni pecuniarie, infatti, il fenomeno inflattivo non consente un automatico adeguamento dell’ammontare del debito, né costituisce di per sé un danno risarcibile, ma può implicare – in applicazione dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ. – solo il riconoscimento in favore del creditore, oltre che degli interessi, del maggior danno che sia derivato dall’impossibilità di disporre della somma durante il periodo della mora, nei limiti in cui – tuttavia – il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre quegli effetti economici depauperativi che l’inflazione produce a carico di tutti i possessori di denaro

  • I legittimati all’azione sono soltanto i contraenti

La risoluzione del contratto per inadempimento, anche quando operi ope legis (come nel caso — di specie — dell’inutile decorso del termine fissato con la diffida ad adempiere), dev’essere accertata e dichiarata dal giudice solo se ne venga richiesto, con apposita domanda, dalla parte che vi ha interesse[68].

Problemi particolari sono stati individuati dalla dottrina nel caso

A)   in cui vi sia una pluralità di titolari di credito – varie soluzioni:

1)   autonomia dei creditori –

2)   necessità del consenso di tutti – preferibile – perché chi é parte di un contratto ha un diritto quesito che non può essere pregiudicato dalla volontà di un altro contraente (coerede); né le cose cambiano quando si tratta di prestazione divisibile perché anche in questo caso il rapporto contrattuale é unico e non può essere, perciò, suddiviso pro quota tra i singoli creditori.

B)   del contratto a favore del terzo[69] la risoluzione può essere chiesta soltanto dal promettente, non anche dallo stipulante o dal terzo; quest’ultimo, infatti, non dovrebbe avere alcuno interesse alla risoluzione, dal momento che la liberazione dall’obbligo riguarda solo lo stipulante.

 

  • Onere probatorio

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto é gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento; eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., risultando in tal caso invertiti i ruoli delle parti, in quanto il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione[70].

Da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 settembre 2013, n. 20110

è intervenuta nuovamente in tema di compravendita, affermando lo stesso principio testè letto, aggiungendo inoltre che nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.
In particolare, occorre osservare che in tema di compravendita, l’obbligazione (di dare) posta a carico del venditore è di risultato, in quanto l’interesse perseguito dall’acquirente è soddisfatto con la consegna di un bene in grado di realizzare le utilità alle quali, secondo quanto pattuito, la prestazione sia preordinata. Ne consegue che all’acquirente (creditore) sarà sufficiente allegare l’inesatto adempimento ovvero denunciare la presenza di vizi o di difetti che rendano la cosa inidonea all’uso alla quale è destinata o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, essendo a carico del venditore (debitore), in virtù del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di avere consegnato una cosa che sia conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ove sia stata fornita tale prova, sarà allora onere del compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa, ascrivibile al venditore.

Altra pronuncia sinteticamente ha affermato che nelle azioni di adempimento, di risoluzione e risarcitoria — che hanno come elemento comune il mancato adempimento — il creditore é tenuto a provare soltanto l’esistenza del titolo, ma non l’inadempienza dell’obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza di tale inadempimento, mentre incombe all’obbligato l’onere di provare di avere adempiuto, salvo che non opponga una eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c.[71].

La colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, é presunta sino a prova contraria e tale presunzione é superabile solo da risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l’uso della normale diligenza, non é stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili. Ne consegue che non può essere pronunciata la risoluzione del contratto in danno della parte inadempiente, ove questa superi la presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, dimostrandone la non imputabilità a causa dell’ingiustificato rifiuto della controparte di ricevere la prestazione[72].

 

2)       Vari mutamenti di domanda

 

art. 1453 2 e 3 co  c.c.   risolubilità del contratto per inadempimento: ………….La risoluzione  può essere domandata  anche quando il giudizio é stato promosso  per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando é stata domandata la risoluzione.

Dalla data della domanda (C.p.c. 163) di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.

In materia contrattuale, il diritto di scelta tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione attribuito dal primo comma dell’art. 1453 c.c. alla parte adempiente non si consuma all’esito della pronunzia di condanna del debitore all’esecuzione della prestazione (il suo esercizio non rimanendo a fortiori precluso dal mancato esperimento della relativa azione esecutiva o dall’esito infruttuoso di questa), giacché il rapporto contrattuale continua in tal caso ad essere regolato dall’art. 1453 c.c. e, se é ad essa consentito di mutare, nell’ambito dello stesso processo, la domanda di adempimento in quella di risoluzione, a maggior ragione deve ritenersi ammissibile la proposizione della domanda di risoluzione (la cui ragione é costituita dall’inadempimento del debitore e non già dall’inattività palesata dal creditore nel mettere in esecuzione il giudicato di condanna a sé favorevole) qualora l’inadempimento del debitore sia già stato accertato con pronunzia di condanna divenuta definitiva, non risultando in tal caso nemmeno configurabile l’ipotesi del contrasto di giudicati, atteso che la condanna del debitore all’adempimento attribuisce alla parte il diritto all’esecuzione del contratto non negandole tuttavia il diritto di ottenerne viceversa lo scioglimento laddove l’inadempimento si protragga ulteriormente rispetto a quello già accertato e posto a fondamento della decisione passata in cosa giudicata[73].

La disposizione dell’art. 1453, secondo comma, c.c. fissa un principio di contenuto processuale, in virtù del quale sono derogate le norme che vietano la mutatio libelli nel corso del processo, sicché la parte che ha chiesto la condanna dell’altra all’adempimento può sostituire a tale domanda quella di risoluzione non solo per tutto il corso del giudizio di primo grado ma anche nel giudizio di appello e persino in quello di rinvio[74].

Principio ripreso da ultima pronuncia

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 febbraio 2014, n. 3207

secondo la quale, appunto, la disposizione posta dal secondo comma dell’art. 1453 c.c., secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l’adempimento, fissa un principio di contenuto processuale, in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell’altra parte ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione – non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello -, in deroga agli artt. 183, 184, 345 cpc, sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi, e, quindi, inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria (Cass. 6-4-2009 n. 8234; Cass. 10-4-1999 n. 3502; Cass. 5-5-1998 n. 4521).
Nel caso in esame, la Corte di Appello non si è discostata dagli enunciati principi, nel ritenere ammissibile la domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore, proposta nel corso del giudizio di primo grado dall’attore, in sostituzione di quella di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, azionata con l’atto introduttivo del giudizio. E infatti, come è stato accertato nella sentenza impugnata, l’attore ha posto a base della domanda di risoluzione gli stessi fatti (rifiuto della controparte ad eseguire la propria prestazione, allorquando il promittente acquirente si era attivato per ottenere l’esecuzione del contratto) dedotti a fondamento della originaria domanda.

Tale facoltà, quella appunto di sostituire in qualsiasi fase e grado del giudizio alla originaria domanda di adempimento in forma specifica quella di risoluzione, consentita alla parte adempiente che abbia promosso il giudizio chiedendo l’adempimento in forma specifica del contratto, non comporta che la controparte possa spiegare tardivamente la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto anziché con la comparsa di risposta entro la prima udienza di trattazione[75].

E’ stato anche specificato con ultima pronuncia della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 2 ottobre 2017, n. 22983

che la deroga recata al divieto di domande nuove in appello fissato dall’articolo 345 c.p.c. dalla disposizione di cui al secondo comma dell’articolo 1453 c.c. può essere estesa a domande diverse dalla domanda risolutoria (purchè a questa consequenziali), solo in caso di accoglimento della domanda stessa, giacché, in caso contrario, dette domande risultano travolte dal rigetto della domanda risolutoria da cui esse dipendono.

In senso generale si ha mutatio libelli quando é proposta una domanda nuova, perché diversi sono i soggetti, la causa petendi o il petitum dell’azione.
La mutatio é consentita – nel rispetto delle preclusioni previste – solo quando l’esigenza difensiva nasca dalle difese della controparte.

L’emendatio libelli consiste invece nella precisazione e modificazione delle domande, e si ha – secondo una giurisprudenza tralaticia – quando si incida sulla causa petendi, in modo tale che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto; oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo (ad esempio l’attore riduce il quantum della pretesa risarcitoria; oppure passa da una domanda di condanna a una domanda di accertamento), al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio.

L’anzidetto mutamento della domanda di adempimento in domanda di risoluzione costituendo esercizio di una facoltà riconosciuta alla parte della legge (art. 1453 c.c.) non richiede l’accettazione del contraddittorio della controparte, né postula per altro verso che la relativa dichiarazione sia sottoscritta dalla parte personalmente o da un procuratore speciale, vertendosi in tema non di un atto di disposizione del diritto in contesa, ma di un’attività processuale che di tale diritto costituisce soltanto una modalità di esercizio e che rientra pertanto nei poteri del procurator ad litem essendo questi abilitato a proporre, in aggiunta o in sostituzione di quelle proposte con l’atto di citazione, tutte le domande che siano ricollegabili con l’originario oggetto, salva la sua responsabilità per l’eventuale inosservanza delle istruzioni del mandante[76].

  • Mutamento di domanda da risoluzione in adempimento

Non é possibile chiedere l’adempimento quando é stata domandata la risoluzione.

La proposizione, senza riserve, della domanda di risoluzione del contratto, preclude, ai sensi dell’art. 1453, comma secondo, c.c., la successiva proposizione della domanda di adempimento, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il comportamento del contraente che chieda senza riserve la risoluzione del contratto per l’inadempienza della controparte é valutato dalla legge come manifestazione della mancanza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva, con la conseguenza che, qualora il giudice non pronunci la risoluzione del contratto, l’obbligazione del contraente convenuto deve ritenersi comunque estinta[77].

Alla parte é preclusa la possibilità di chiedere l’adempimento del contratto solo ove la sua risoluzione sia stata richiesta in via giudiziale e non anche ove la stessa sia stata domandata in via stragiudiziale[78].

Per la giurisprudenza dominante, invece, la preclusione viene meno (quindi é possibile chiedere l’adempimento)  se viene meno successivamente alla proposizione della domanda l’interesse[79] del creditore alla risoluzione, per fatti non solo oggettivi (rigetto, dichiarazione d’inammissibilità o di estinzione[80], sentenza passata in giudicato[81]), ma anche soggettivi (rinunzia all’azione). Per autorevole dottrina[82] in tal modo, però, il debitore non potrebbe mai ritenersi liberato dall’adempimento, pur se il creditore inizi il giudizio di risoluzione e questo é contrario alla ratio della norma.

É dunque necessario distinguere:

1)           se il debitore si oppone: egli dimostra di avere interesse alla conservazione del rapporto e dunque ha l’onere di adempiere.

2)           se il debitore non si oppone: la domanda d’inadempimento é comunque preclusa.

In sintesi per una massima della S.C.[83] il divieto posto dall’art. 1453 c.c. di chiedere l’adempimento una volta domandata la risoluzione del contratto non può essere inteso in senso assoluto, ma é operante soltanto nei limiti in cui esiste l’interesse attuale del contraente che ha chiesto la risoluzione alla cessazione del rapporto, per modo che, quando tale interesse viene meno, per essere stata rigettata o dichiarata inammissibile la domanda di risoluzione, la preclusione non opera, essendo cessata la ragione del divieto. Da ciò consegue che le due domande, di risoluzione e di adempimento, possono essere proposte, in via subordinata, anche nello stesso giudizio.

Il principio dell’inammissibilità della domanda di adempimento proposta successivamente a quella di risoluzione (art. 1453 c.c.) deve ritenersi applicabile alla duplice condizione:

1) che la domanda di risoluzione sia stata proposta senza riserve, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il comportamento del contraente che chieda incondizionatamente la risoluzione é valutato dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva — sicché l’esercizio dello ius variandi deve, per converso, ritenersi consentito quando la domanda di risoluzione e quella di adempimento siano proposte nello stesso giudizio in via subordinata;

2) che esista un interesse attuale dell’istante alla declaratoria di risoluzione del rapporto negoziale — di talché, quando tale interesse venga meno per essere stata la domanda di risoluzione rigettata o dichiarata inammissibile, la preclusione de qua non opera, essendo venuta meno la ragione del divieto di cui al ricordato art. 1453 c.c.[84]

Per ultimo arresto della S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23 dicembre 2014, n. 27359

in materia di risoluzione del contratto per inadempimento, la disposizione dell’art. 1453, secondo comma, c.c. – secondo cui non può più chiedersi l’adempimento una volta domandata la risoluzione – comporta la cristallizzazione definitiva delle posizioni delle parti sino alla pronuncia giudiziale, sicché il giudice dovrà accertare l’esistenza di un inadempimento imputabile al debitore soltanto con riguardo alle prestazioni già scadute e non anche con riferimento a quelle ancora da scadere  ( Cass. Sentenza n. 19559 del 10/09/2009).
Ed ancora, secondo questa Cassazione nei contratti a prestazioni corrispettive le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 di cui all’art.1453 c.c. sono simmetriche, giacché, come non è consentito all’attore che abbia proposto domanda di risoluzione pretendere la prestazione avendo dimostrato di non avere più interesse al relativo adempimento anche per la parte di prestazione non ancora scaduta, così è vietato al convenuto di eseguire la prestazione dopo la proposizione della domanda di risoluzione e fino alla pronuncia giudiziale. Ne consegue che il perdurare dell’inadempimento nel corso del giudizio non può riflettersi negativamente sulla valutazione della gravità del comportamento pregresso, trasformando un inadempimento inizialmente “non grave” in un inadempimento “grave” e, perciò, tale da legittimare l’accoglimento della domanda di risoluzione.

Infine, il divieto posto dal secondo comma dell’art. 1453 c.c. di chiedere l’adempimento dopo aver chiesto la risoluzione del contratto é posto nell’interesse della controparte che da tale momento non é più tenuta ad adempiere. Pertanto la violazione di detta norma non é rilevabile d’ ufficio, ma deve esser eccepita dal convenuto per la risoluzione, spettando solo al medesimo valutare se ancora adempiere[85].

 

  • Mutamento di domanda da adempimento in risoluzione

     

La risoluzione può essere domandata anche quando é iniziato il giudizio di adempimento (ma non il risarcimento).

Difatti per la S.C. [86] non é precluso alla parte chiedere in via principale l’adempimento ed in via subordinata la risoluzione del contratto.

Il mutamento di domanda può avvenire in ogni grado di giudizio.

Tale facoltà, é, tuttavia, esercitabile solo quando la domanda di risoluzione resti nell’ambito degli stessi fatti posti a base dell’inadempimento, mentre, ove siano prospettati fatti nuovi idonei a configurare una diversa causa petendi, il mutamento deve ritenersi inammissibile anche nel regime processuale applicabile prima della riforma introdotta con la legge n. 353/1990, salva l’esplicita accettazione del contraddittorio della controparte sulla diversa domanda[87].

La risoluzione può essere chiesta pur dopo che é passata in cosa giudicata una sentenza che rigetta la domanda di adempimento, ponendo a base un inadempimento diverso da quello postulato con la domanda rigettata.

L’art. 1453 c.c., derogando ai principi di ordine processuale che vietano la mutatio libelli in corso di causa, consente di sostituire in qualsiasi fase e grado del giudizio alla originaria domanda di adempimento in forma specifica quella di risoluzione. Ma tale facoltà, consentita alla parte adempiente che abbia promosso il giudizio chiedendo l’adempimento in forma specifica del contratto, non comporta che la controparte possa spiegare tardivamente la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto anziché con la comparsa di risposta entro la prima udienza di trattazione[88].

Il secondo comma dell’art. 1453 c.c. deroga alle norme processuali che vietano la mutatio libelli nel corso del processo, non può essere applicato anche a quella di risarcimento del danno (fatto “salvo in ogni caso” dal primo comma), la quale integra un’azione del tutto diversa per petitum dalle altre due, con la conseguenza che urta contro tale divieto, e quindi é inammissibile, la domanda risarcitoria introdotta in corso di causa, in luogo di quella (iniziale) di adempimento. (Fattispecie relativa alla diversità e novità della domanda risarcitoria fondata sulla diversità della causa petendi individuabile, in un caso, nel mancato adempimento di un obbligo contrattuale di corrispondere un compenso retributivo e, nell’altro, nel risarcimento del danno per mancata conclusione di un obbligo a trattare e concludere un accordo[89].

Confermato tale principio in altra pronuncia[90] secondo la quale la previsione del secondo comma dell’art. 1453 c.c., in forza della quale é possibile, in deroga alle norme processuali che dispongono il divieto della mutatio libelli nel corso del processo, la sostituzione della domanda di risoluzione per inadempimento a quella originaria di adempimento del contratto, non può essere estesa al caso in cui la domanda originaria abbia avuto ad oggetto il risarcimento del danno, che integra un’azione avente un petitum del tutto diverso sia dalla domanda di adempimento che da quella di risoluzione.

Ne consegue che l’introduzione della domanda di risoluzione nel corso del giudizio, in aggiunta all’originaria domanda risarcitoria, urta contro il suddetto divieto, sicché la domanda di risoluzione dev’essere dichiarata inammissibile, non rilevando in contrario nemmeno che all’atto della proposizione della domanda risarcitoria si fosse fatta espressa riserva di chiedere la risoluzione del contratto, giacché tale riserva equivale alla mancata proposizione della relativa domanda.

Per altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 31 ottobre 2013, n. 24564

il creditore, dopo avere chiesto in giudizio l’adempimento della prestazione, possa, nel corso della causa iniziata per conseguire la manutenzione del contratto, avvalersi della clausola risolutiva espressa, non essendovi alcuna ragione per negare lo ius variandi ammesso in generale dall’art. 1453, secondo comma, cod. civ. Infatti, finché il contratto non sia risoluto (e ciò si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva), il creditore ha diritto di optare per l’adempimento: e questa sua richiesta, come non gli preclude la facoltà di agire giudizialmente in risoluzione con l’apposita azione costitutiva ex art. 1453 cod. civ., cosi non gli impedisce neppure la facoltà di instare per lo scioglimento del contratto in correlazione con la clausola risolutiva espressa, di cui intenda avvalersi.

Tale caso è infatti diverso da quello in cui, proposta azione ordinaria di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 cod. civ., la parte, nel corso del processo, promuova un’azione – differente per presupposti, carattere e natura – di risoluzione del contratto in applicazione dell’art. 1456 cod. civ., e quindi miri ad una pronuncia dichiarativa in conseguenza dell’esplicita dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (Cass., Sez. III, 5 gennaio 2005, n. 167; Cass., Sez. II, 12 gennaio 2007, n. 423).

  • Domanda di risoluzione e domanda di restituzione

Sul punto è intervenuta ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 26 luglio 2016, n. 15461

secondo cui:

il diritto ad ottenere la restituzione delle prestazioni rimaste senza causa a seguito della pronuncia di risoluzione del contratto, pur sorgendo ipso iure per effetto della pronuncia risolutoria, soggiace al principio della domanda, cosicche” rimane preclusa al giudice la possibilita” di pronunciare d”ufficio la condanna alla restituzione delle dette prestazioni.

Inoltre – si legge nella medesima sentenza – la facolta” di mutatio libelli riconosciuta dall”articolo 1453 c.c., comma 2, con riferimento alla possibilita” per l”attore di sostituire l”originaria domanda di adempimento del contratto con la domanda di risoluzione dello stesso si estende anche alla domanda consequenziale e accessoria di restituzione, a condizione che tale domanda sia proposta contestualmente o, comunque, nel medesimo grado di giudizio in cui e” proposta la prima, essendo esclusa la possibilita” per la parte di aggiungere nel giudizio di appello, alla domanda di risoluzione del contratto proposta in primo grado, la domanda di restituzione delle prestazioni rimaste senza causa a seguito della pronuncia di risoluzione.

Infine, ove nel giudizio di primo grado sia stata proposta ab initio domanda di adempimento del contratto e, successivamente, l”attore abbia, nel corso dello stesso grado del giudizio, modificato la domanda iniziale -ai sensi dell”articolo 1453 c.c., comma 2 – per sostituirvi la domanda di risoluzione del contratto senza tuttavia avanzare domanda di restituzione delle prestazioni effettuate, al giudice d”appello e” preclusa, ai sensi dell”articolo 345 cod. proc. civ., la possibilita” di prendere in esame la domanda restitutoria avanzata per la prima volta in grado di appello, trattandosi di domanda nuova, inammissibile nel giudizio di gravame

 

  • Domanda di risoluzione e risarcimento del danno e domanda di recesso con ritenzione della caparra

Sul punto è intervenuta ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 novembre 2015, n. 24337

la quale ha riaffermato che i rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro, si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale: proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra perché verrebbe così a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella cioè di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale dei danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di ‘scommettere’ puramente e semplicemente sul processo, senza rischi di sorta;

l’azione di risoluzione avente natura costitutiva e l’azione di recesso si caratterizzano per evidenti disomogeneità morfologiche e funzionali che rendono inammissibile la trasformazione dell’una nell’altra ;

i rapporti tra l’azione di risarcimento integrale e l’azione di recesso, isolatamente e astrattamente considerate, sono, a loro volta, di incompatibilità strutturale e funzionale;

Questa Corte ha confermato i principi espressi dalla sentenza delle sezioni unite dei 2009, non condividendo quanto affermato nella isolata ordinanza di questa Corte n. 24.841 del 2011 dove si afferma che la parte, in sostituzione della domanda adempimento o di risoluzione contrattuale per inadempimento con domanda di risarcimento del danno, può legittimamente invocare (senza incorrere nelle preclusioni derivanti dalla proposizione dei ‘nova’ in sede di gravame) la facoltà di cui all’art. 1385 c.c., comma 2, poiché tale modificazione delle istanze originarie costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento, ed un’istanza di ampiezza più ridotta rispetto all’azione di risoluzione (Cass. Sez. 2, 11-1-1999 n. 186; Sez. 2, 23-9-1994 n. 7644). Tale decisione si fonda su una giurisprudenza di legittimità risalente nel tempo e dei tutto superata dalla decisione delle sezioni unite del 2009 da cui detta ordinanza si discosta senza contrastarne la motivazione con alcun argomento convincente e senza tenere conto dell’ulteriore rilievo che chi ammette una fungibilità tra le azioni lato sensu risarcitorie ignora che ciò si risolverebbe nella indiscriminata e gratuita opportunità di modificare, per ragioni di mera convenienza economica, la strategia processuale iniziale dopo averne sperimentato gli esiti ‘; dall’altro ancora, soltanto l’esclusione di una inestinguibile fungibilità tra rimedi consente di evitare situazioni di abuso e rende il contraente non inadempiente doverosamente responsabile delle scelte operate, impedendogli di sottrarsi ai risultati che ne conseguono, quando gli stessi non siano corrispondenti alle aspettative che ne hanno dettato la linea difensiva.

3)          Adempimento successivo alla domanda di risoluzione (adempimento tardivo)

  • Purgazione della mora

In linea di principio il debitore non potrebbe adempiere.

Infatti, come già scritto in precedenza, la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23 dicembre 2014, n. 27359

tornando nuovamente sul punto ha riaffermato il seguente principio: in materia di risoluzione del contratto per inadempimento, la disposizione dell’art. 1453, secondo comma, c.c. – secondo cui non può più chiedersi l’adempimento una volta domandata la risoluzione – comporta la cristallizzazione definitiva delle posizioni delle parti sino alla pronuncia giudiziale, sicché il giudice dovrà accertare l’esistenza di un inadempimento imputabile al debitore soltanto con riguardo alle prestazioni già scadute e non anche con riferimento a quelle ancora da scadere  ( Cass. Sentenza n. 19559 del 10/09/2009). Pertanto, nei contratti a prestazioni corrispettive le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 di cui all’art.1453 c.c. sono simmetriche, giacché, come non è consentito all’attore che abbia proposto domanda di risoluzione pretendere la prestazione avendo dimostrato di non avere più interesse al relativo adempimento anche per la parte di prestazione non ancora scaduta, così è vietato al convenuto di eseguire la prestazione dopo la proposizione della domanda di risoluzione e fino alla pronuncia giudiziale. Ne consegue che il perdurare dell’inadempimento nel corso del giudizio non può riflettersi negativamente sulla valutazione della gravità del comportamento pregresso, trasformando un inadempimento inizialmente “non grave” in un inadempimento “grave” e, perciò, tale da legittimare l’accoglimento della domanda di risoluzione.

Questo divieto non é in senso assoluto, nel caso in cui la domanda di risoluzione non sia fondata o é stata rigettata, la stesso debitore non é esonerato dall’obbligo di adempiere.

Difatti per la S.C.[91] il divieto per il debitore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda di risoluzione (art. 1453, terzo comma, c.c.) — divieto che si basa sulla mancanza di interesse del creditore ad ottenere l’adempimento — non é assoluto, presupponendo la fondatezza di tale domanda in base ai fatti dedotti, con la conseguenza che nel caso in cui la domanda non sia fondata, per cui il comportamento del debitore anteriore alla domanda non giustifichi il disinteresse del creditore all’adempimento, lo stesso debitore non é esonerato dall’obbligo di adempiere (o di farne congrua offerta), potendo il suo persistente atteggiamento negativo trasformare il suo precedente inadempimento non grave in inadempimento grave, e perciò tale da legittimare l’accoglimento della domanda di risoluzione.

Ancora, per la medesima Cassazione[92] l’art. 1453, comma terzo, c.c., non introduce per il convenuto un divieto assoluto di adempimento dopo la proposizione della domanda di risoluzione, ma si limita a sancire l’inefficacia di un adempimento tardivo a sanare o a diminuire le conseguenze del pregresso inadempimento posto a base della domanda, sull’implicito presupposto che questo sia sussistente e che, quindi, il creditore non abbia più interesse all’adempimento. Ne consegue che se l’obbligazione debba essere, per patto, adempiuta in più riprese, cioé abbia più scadenze che si siano verificate, il cennato disposto dell’art. 1453 c.c. si applica esclusivamente alle prestazioni già scadute — con riguardo alle quali soltanto il giudice potrà accertare se vi sia stato inadempimento imputabile al debitore — e non alle prestazioni ancora da scadere, rispetto alle quali il comportamento del debitore non é ancora suscettibile di valutazione in termini di adempimento-inadempimento, con la conseguenza che, permanendo, relativamente a queste, l’obbligo del debitore di adempierle e del creditore di accettarle, l’eventuale inadempienza del primo, intervenuta in corso di causa, va anch’essa considerata e valutata dal giudice, se dedotta sia pure implicitamente dal secondo, ai fini della pronuncia di risoluzione.

Anche se per altra pronuncia[93] il debitore inadempiente, seppure non può impedire la risoluzione del contratto con adempimento successivo alla proposizione della relativa domanda da parte del creditore, tuttavia può, in corso di causa, offrire la somma dovuta — comprensiva di capitale, interessi e danni — al fine di impedire gli ulteriori effetti della sua mora, consistenti nella maturazione degli ulteriori interessi e degli ulteriori danni, senza che rilevi — ai suddetti effetti — il rifiuto dell’offerta da parte del creditore, non potendo questi aggravare, con il proprio comportamento, la situazione del debitore.

Bisogna, poi, precisare che il divieto imposto dall’art. 1453, comma terzo, c.c. alla parte inadempiente di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda di risoluzione presuppone che questa ultima sia fondata. Tale divieto non sussiste, pertanto, qualora la domanda di risoluzione non sia stata accolta, dato che il rigetto di essa lascia in vita il vincolo contrattuale e fa sorgere l’interesse all’esecuzione della prestazione[94].

Inoltre il rifiuto può essere posto anche se non é stato attivato alcun giudizio, così secondo la S.C.[95]; l’adempimento tardivo di una parte può essere legittimamente rifiutato dall’altra parte adempiente anche nel caso in cui quest’ultima non abbia ancora proposto domanda per conseguire la risoluzione del contratto, salva la valutazione, da parte del giudice, della non scarsa importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., dovendosi escludere che l’opposto principio possa farsi derivare dalla disposizione dell’art. 1453, ultimo comma, c.c. (secondo cui l’inadempiente non può più adempiere dopo la domanda di risoluzione), perché in tal modo si consentirebbe alla parte inadempiente di modificare a suo arbitrio e senza il concorso dell’altra parte la situazione a lei sfavorevole da essa stessa determinata.

Il tutto purché il termine per l’adempimento non sia essenziale[96], poiché secondo la S.C.[97] nei contratti con prestazioni corrispettive (nella specie, promessa di vendita di cosa altrui) l’adempimento tardivo di una parte può essere legittimamente rifiutato dall’altra anche quando il termine di adempimento non sia essenziale ed indipendentemente dal previo esperimento dell’azione di risoluzione, purché il ritardo non sia di scarsa importanza per la creditrice.

Però, per altra pronuncia[98], proprio in virtù del principio fissato dal terzo comma dell’art. 1453 c.c., secondo il quale dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione, si evince che l’adempimento o la valida offerta dell’adempimento, effettuati da una parte tardivamente, quale che sia l’entità del ritardo, non possono essere legittimamente rifiutati dall’altra parte, ove questa non abbia ancora proposto domanda per conseguire la risoluzione del contratto, e che, conseguentemente, tale domanda non può trovare fondamento in un ritardo dell’adempimento della controparte, il quale, ancorché abbia superato i limiti della tollerabilità, sia cessato prima della data della domanda stessa.

Mitiga i principi contrapposti della medesima Cassazione altra massima[99] secondo la quale in caso di inadempimento di una delle parti di un contratto a prestazioni sinallagmatiche per essere inutilmente decorso il previsto termine non essenziale, l’altra parte, che non abbia ancora proposto domanda giudiziale di risoluzione del contratto, può non di meno rifiutare legittimamente l’adempimento tardivo quando — tenuto conto della non scarsa importanza dell’inadempimento in relazione alle posizioni delle parti, suscettibile di verifica ad opera del giudice — sia venuto meno l’interesse della parte non inadempiente a che il contratto abbia esecuzione e pertanto può, anche dopo l’offerta di adempimento tardivo, agire in giudizio per la risoluzione del vincolo contrattuale.

Oppure, il contraente non inadempiente non può, prima di proporre la domanda di risoluzione del contratto, rifiutare l’adempimento tardivo dell’altro contraente qualora una idonea offerta di adempimento sia intervenuta prima della domanda[100].

Per idonea offerta si intende quella ai sensi e per gli effetti dell’art. 1208 c.c.

art. 1208 c.c.     requisiti per la validità dell’offerta

Affinché l’offerta sia valida é necessario:

che sia fatta al creditore capace di ricevere o a chi ha la facoltà di ricevere per lui (1188 e seguenti);  che sia fatta da persona che può validamente adempiere;

che comprenda la totalità della somma o delle cose dovute, dei frutti o degli interessi e delle spese liquide, e una somma per le spese non liquide, con riserva di un supplemento, se é necessario;

che il termine sia scaduto, se stipulato in favore del creditore (1184);

che si sia verificata la condizione dalla quale dipende l’obbligazione (1353 e seguenti)

che l’offerta sia fatta alla persona del creditore o nel suo domicilio (1182);

che l’offerta sia fatta da un ufficiale pubblico a ciò autorizzato (att. 73 e seguenti).

Il debitore può subordinare l’offerta al consenso del creditore necessario per liberare i beni dalle garanzie reali o da altri vincoli che comunque ne limitano la disponibilità (1200; C.p.c. 678).

 

 

D)          Risoluzione di diritto

 

Si ottiene senza una necessaria pronuncia giurisprudenziale avente carattere costitutivo.

Il fondamento di tale diritto – si ritrova nell’autonomia delle parti per ovviare ad uno stato di lunga incertezza dovuto alla proposizione della domanda di risoluzione giudiziale, il quale può comportare, come é ovvio, un notevole danno, soprattutto in questa epoca dove gli scambi commerciali si basano sulla celerità delle prestazioni.

 

1)          Diffida ad adempiere

[101]

art. 1454 c.c.  diffida ad adempiere: alla parte inadempiente   l’altra   può   (1° elemento) intimare per iscritto di adempiere  (2° elemento) in un congruo termine, con  (3° elemento) dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto.

Il termine non può essere inferiore a 15 giorni, salvo diversa pattuizione della parti o salvo, che per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine diverso.

Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo é risoluto di diritto (significa soltanto che la pronuncia giudiziale ha carattere meramente dichiarativo).

 

  • Ha carattere negoziale

Si tratta più precisamente di un negozio unilaterale recettizio e revocabile che pretende la forma scritta.

Per la S.C.[102], la diffida ad adempiere ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che a detta clausola si ricollegano e, cioé, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine essenziale nell’interesse della parte adempiente, cui é rimessa la valutazione di farne valere la decorrenza e che può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi; tale diffida é stabilita nell’interesse della parte adempiente e costituisce non un obbligo ma una facoltà che si esprime «a priori» nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e «a posteriori» nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti, il che rientra nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all’art. 1454 c.c..

  • LA DIFFIDA DEVE CONTENERE  3 ELEMENTI –

Premesso che vi deve essere l’adempimento del creditore, poiché dalla diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) rimasta infruttuosa non scaturisce la risoluzione del contratto quando anche il diffidante sia inadempiente perché, per il principio inadimpleti non est adimplendum, sancito dall’art. 1460 c.c., l’inadempimento del diffidente priva di giuridica rilevanza quello del diffidato[103].

 

1)   l’intimazione di adempimento

2)   la fissazione di un termine

La regola secondo cui il termine concesso al debitore con la diffida ad adempiere, cui é strumentalmente collegata la risoluzione di diritto del contratto, non può essere inferiore a quindici giorni, non é assoluta, potendosi assegnare a norma dell’art. 1454, comma secondo, c.c., un termine inferiore ritenuto congruo per la natura del contratto e per gli usi. L’accertamento della congruità del termine costituisce un giudizio di fatto di competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se esente da errori logici e giuridici[104].

La valutazione in ordine alla congruità del termine assegnato dal creditore al debitore con la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. va compiuta con esclusivo riferimento alla diffida stessa e al periodo in essa indicato, senza che possa avere rilievo il fatto che in precedenza vi siano state altre diffide rimaste infruttuose[105].

Anche se con una pronuncia più recente la medesima Cassazione[106] ha affermato che il giudizio sulla congruità del termine di quindici giorni previsto dall’art. 1454 c.c. non può essere unilaterale ed avere ad oggetto esclusivamente la situazione del debitore, ma deve prendere in considerazione anche l’interesse del creditore all’adempimento ed il sacrificio che egli sopporta per l’attesa della prestazione; ne consegue che la valutazione di adeguatezza va commisurata – tutte le volte in cui l’obbligazione del debitore sia divenuta attuale già prima della diffida – non rispetto all’intera preparazione all’adempimento, ma soltanto rispetto al completamento di quella preparazione che si presume in gran parte compiuta.

Inoltre, la diffida ad adempiere, che non prefigga il preciso termine entro cui il contraente inadempiente deve adempiere sotto pena di risoluzione del contratto, é in contrasto con il precetto dell’art. 1454 c.c., in quanto determina nel diffidato una situazione di incertezza obbiettiva, impedendogli di giudicare se il termine stesso sia congruo — come la legge prescrive — ed esaurendosi, in sostanza, nella pretesa che spetti soltanto al contraente adempiente di giudicare ex post se la prestazione dell’altro contraente successiva alla diffida, ove si verifichi, ottemperi o meno alla diffida medesima quanto al termine di adempimento[107].

Il termine decorre dal momento della ricezione della diffida.

In pendenza del termine, il creditore non può chiedere né l’adempimento (logicamente giudiziale), né la risoluzione, né può procedere ad esecuzione forzata, salvo che il debitore non dichiari per iscritto di non voler adempiere. Difatti poiché deve considerarsi inadempiente il contraente che, in pendenza del termine, abbia manifestato in modo certo ed inequivoco di non voler eseguire la sua obbligazione, nulla vieta che, in costanza di tale comportamento, l’altra parte possa avvalersi della diffida ad adempiere prevista dall’art. 1454 c.c. anche prima della scadenza pattuita, per conseguire quegli effetti risolutori che derivano dalla suddetta norma[108].

Una volta notificata la diffida, il creditore non può più revocarla né modificarla[109], nemmeno rinnovando il termine, poiché si deve considerare anche l’interesse del debitore alla certezza della situazione venutasi a creare; cosicché l’effetto risolutorio, in caso d’inadempimento, é bensì inevitabile, ma egli può però rinunziarvi (la diffida ad adempiere é un atto che resta nella piena disponibilità dell’intimante, il quale può non solo decidere a priori se effettuarla o meno, ma ben può, a posteriori, rinunciare ad avvalersi dell’effetto risolutivo ad essa connesso[110]); di contro, altro autorevole autore[111], sostiene, che finché non é scaduto il termine assegnato dal creditore, questi può sempre revocare la diffida ovvero modificarla, prorogando il termine, in quanto l’interesse del debitore alla certezza della situazione non può conferirgli l’ulteriore pretesa alla risoluzione del contratto, ossia la pretesa ad un rimedio che é previsto nell’interesse esclusivo del creditore).

Per la S.C.[112] la diffida ad adempiere, intimata a norma dell’art. 1454 c.c., ha l’effetto di rimettere in termini il debitore fino alla data assegnata con la diffida medesima, con la conseguenza che il suo inadempimento può essere dedotto a sostegno di una successiva domanda di risoluzione del contratto solo quando si sia protratto oltre quella data.

Infine, secondo ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 marzo 2016, n. 4205

sebbene nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora la parte adempiente, dopo aver ritualmente intimato alla controparte diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c. non domandi la risoluzione di diritto per l’inutile decorso del termine assegnato, ma intimi nuova diffida assegnando nuovo termine, la risoluzione di diritto consegue solo quale effetto della seconda diffida e, quindi, a condizione che la stessa sia valida anche in relazione alla congruità del termine, la reiterazione stessa non esclude che l’inadempimento del diffidato si sia già manifestato alla scadenza del primo termine, potendo ricondursi alla rinnovazione della diffida l’interesse del diffidante ad un tardivo adempimento della controparte, con la concessione quindi di un nuovo termine entro il quale adempiere, impedendo l’effetto risolutorio di diritto ricollegabile alla prima diffida. Tuttavia, l’inadempimento continua ad essere tale, e si è manifestato, anche nella sua oggettiva gravità, a far data dalla scadenza del termine assegnato con la prima diffida.

3)   La menzione della risoluzione del contratto in caso di mancato adempimento nel termine suddetto.

In merito alla forma per la diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c., la legge non prescrive speciali requisiti di forma, dovendosi avere riguardo solamente agli effetti sostanziali, che consistono nel porre il contraente in condizione di conoscere con chiarezza che la controparte intende che il contratto sia tempestivamente adempiuto, e nel concedergli un termine congruo per l’adempimento non inferiore a quindici giorni[113].

Ma per altra pronuncia più restrittiva[114] la diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c. esige la manifestazione univoca della volontà dell’intimante di ritenere risolto il contratto in caso di mancato adempimento entro un certo termine. Non é pertanto sufficiente per produrre l’effetto risolutivo del rapporto costituito fra le parti, previsto dalla norma richiamata, la manifestazione della generica intenzione «di agire in tutte le sedi più opportune», senza specificare se si intenda ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto.

In effetti secondo, altra pronuncia (Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 12 luglio 1979, n. 4037) per la diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 c.c., la legge non prescrive particolari requisiti di forma, dovendosi avere riguardo soltanto agli effetti sostanziali, che consistono nel porre il contraente in condizione di conoscere con chiarezza che la controparte intende che il contratto sia tempestivamente adempiuto nel termine fissato e che, nel caso che lo stesso decorra inutilmente, il contratto stesso si riterrà risolto. (Nella specie, si è ritenuto che l’espressione con cui il creditore faceva presente alla controparte che avrebbe tratto dal mancato rispetto del termine tutte le conseguenze di diritto, non rendeva chiara la determinazione del diffidante di voler fare derivare dall’inutile decorso del tempo contenuto nella diffida la risoluzione “ipso iure” del contratto).

Principio, in realtà, già sancito in un’altra massima[115] secondo la quale la diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 c.c., pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali, esige comunque la manifestazione in modo inequivocabile della volontà dell’intimante, da un lato, di ottenere l’adempimento del contratto entro un certo termine e, dall’altro, di considerare risolto il contratto stesso come effetto dell’inutile decorrenza del termine.

In realtà, però, con una massima[116] recente é stato affermato che non determina la risoluzione del contratto la diffida con la quale un contraente intimi all’altro di adempiere la prestazione in misura superiore al dovuto.

Logicamente qualora la parte adempiente, dopo aver ritualmente intimato alla controparte diffida ad adempiere non domandi la risoluzione di diritto, per l’inutile decorso del termine assegnato, ma proceda ad una nuova diffida con assegnazione di un nuovo termine, detta risoluzione di diritto può essere riscontrata solo quale effetto della seconda diffida, e, quindi, a condizione che la stessa sia valida anche in relazione alla congruità del termine, mentre resta esclusa l’operatività della prima diffida, in conseguenza della successiva iniziativa del creditore[117].

Bisogna, poi, precisare, come da ultima sentenza della Cassazione[118], che l’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità ai sensi dell’articolo 1455 c.c. dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine, secondo un criterio che tenga conto, sia dell’elemento oggettivo della mancata prestazione nel quadro dell’economia generale del contratto, sia degli aspetti soggettivi rilevabili tramite un’indagine unitaria sul comportamento del debitore e sull’interesse del creditore all’esatto e tempestivo adempimento.

Per altra pronuncia[119] anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto, conseguente a diffida ad adempiere senza esito, intimata dalla parte adempiente, il giudice é tenuto comunque a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento; in particolare, dovrà verificare sotto il profilo oggettivo che l’inadempimento sia non di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 c.c., e, sotto il profilo soggettivo, l’operatività della presunzione di responsabilità del debitore inadempiente fissata dall’art. 1218 c.c., la quale, pur dettata in riferimento alla responsabilità per il risarcimento del danno, rappresenta un principio di carattere generale.

Invece altra pronuncia, ancora della medesima Corte[120], ha stabilito che in tema di diffida ad adempiere, avuto riguardo alla lettera della norma di cui all’art. 1454 c.c. e considerato che la stessa non menziona in alcun modo l’importanza dell’inadempimento, neppure con un semplice rinvio formale alla previsione di cui all’art. 1455 c.c., se ne deve dedurre che il grave inadempimento non assurge ad elemento essenziale della risoluzione di diritto per diffida ad adempiere, al pari di quanto accade nelle altre due ipotesi di risoluzione per clausola espressa e per termine essenziale, essendo presupposto imprescindibile della sola risoluzione giudiziale.

2)          Clausola risolutiva espressa

[121]

 

art. 1456 c.c. clausola risolutiva espressa: i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.

In questo caso la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola.

  • Natura della clausola

Di recente il tribunale Meneghino[122] ha avuto modo di precisare che la clausola risolutiva espressa, costituisce, dal punto di vista generale, una deroga alle regole in tema di risoluzione per inadempimento, consentendo di superare il limite dell’inadempimento qualificato tale di particolare gravità e di non scarsa rilevanza avuto riguardo all’interesse della parte non inadempiente, la cui operatività consente di porre termine al rapporto con effetto immediato in caso di inadempimento anche di una sola delle obbligazioni ivi indicate, prescindendo dalla gravità dell’inadempimento, la quale si presume per il solo fatto dell’inserimento della obbligazione nella clausola. Tale prescrizione, pertanto, non rientra tra le clausole vessatorie e, conseguentemente, non necessita di essere posta in doppia sottoscrizione al fine di garantirne la validità, anche perché l’elenco delle clausole vessatorie di cui all’art. 1341, comma secondo, c.c. ha carattere tassativo e, di conseguenza, la norma non é suscettibile di applicazione analogica, ma solo di interpretazione estensiva all’interno dei tipi di clausole dalla stessa già indicate.

La clausola risolutiva espressa, pertanto, attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento di controparte senza doverne provare l’importanza, sicché la risoluzione del contratto per il verificarsi del fatto considerato non può essere pronunziata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiara di volersene avvalere (Cass. 1-8-2007 n. 16993; Cass. 5-1-2005 n. 167, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 ottobre 2014, n. 20854).

Di regola la clausola risolutiva formerà parte dello stesso contratto, ma altre volte può essere stabilita con un atto autonomo, che dovrà rivestire la stessa forma del contratto a cui si riferisce.

Le parti devono specificare quale o quali sono le obbligazioni che devono essere adempiute, pena la risoluzione.

Anche se per ultima Cassazione[123] la stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l’unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell’inadempimento non deve essere valutata dal giudice.

Se l’indicazione invece é generica o addirittura il riferimento é al complesso delle pattuizioni, la clausola non avrà alcun valore in quanto di mero stile.

Infatti, per la S.C.[124], é priva di efficacia in quanto «di stile» la clausola risolutiva espressa redatta in termini generici, ossia non già con riferimento a specifiche inadempienze ma alla violazione di uno qualsiasi dei patti contrattuali, poiché simile clausola nulla aggiunge alle norme degli artt. 1453 e 1455 c.c., onde, per pronunciare la risoluzione, il giudice deve accertare la non scarsa importanza dell’inadempimento.

La risoluzione inoltre non é automatica, non consegue cioé de iure al mancato adempimento, ma é necessario che la parte interessata dichiari all’altra che intende avvalersi della clausola.

Difatti, poi, l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento, ex art. 1453 c.c., tendendo ad una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale previo accertamento da parte del giudice della gravità dell’inadempimento, differisce sostanzialmente dall’azione di risoluzione di cui all’art. 1456 c.c., tendente ad una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo (nel caso di specie, mancata stipula del contratto definitivo nel termine convenuto) previsto dalle parti come determinante per la sorte del rapporto. Ne consegue che, ove la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. sia stata proposta per la prima volta in appello, deve considerarsi domanda nuova, e pertanto preclusa a norma dell’art. 345 c.p.c.[125]

Inoltre, le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e 1457[126] c.c. (termine essenziale per una delle parti), ancorché riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell’inadempimento dell’altra verificandosi l’effetto risolutivo nella prima, con la dichiarazione dell’intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita dalla legge e nella seconda, con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza dei termini senza che essa abbia dichiarato all’altra di volere l’esecuzione[127].

Nell’ambito di queste clausole rientrano sia –

A)        la condizione risolutiva in senso tecnico (art. 1353 c.c.) – con notevoli differenze – la condizione in senso tecnico produce automaticamente  (mentre nella clausola c’é bisogno della dichiarazione) i suoi effetti rotroattivi reali (mentre nella clausola gli effetti sono obbligatori, quindi limitati solo alle parti) cioé si esplica  anche nei confronti dei terzi.

In merito per ultima Cassazione, già richiamata in precedenza,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 ottobre 2014, n. 20854

Lo stabilire se nel caso concreto sussista una condizione risolutiva o una clausola risolutiva espressa dipende dalla interpretazione della volontà delle parti, rimessa al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nella misura in cui sia informata ad erronei criteri giuridici o non sorretto da una motivazione logicamente adeguata.

B)        la facoltà di recesso unilaterale (art. 1373 c.c.)

C)        la risoluzione di un atto di liberalità per inadempimento del modus.

  • Natura della dichiarazione

     

É unilaterale, recettizia, non formale secondo autorevole opinione[128] e per la giurisprudenza  dominanti, secondo le quali la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa può essere manifestata in ogni valido modo idoneo, anche implicito, purché in maniera inequivocabile, e tale non può ritenersi il generico richiamo al contratto, pur se contenente tale clausola[129], ancora, con manifestazione volontaria recettizia che, in assenza di espressa previsione formale, può essere resa in ogni modo idoneo, anche implicito, purché inequivocabile, ed in particolare può essere contenuta anche in un atto giudiziale, senza che ne sia in tal caso necessaria la preventiva formulazione in via stragiudiziale[130].

Infine[131], la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purché inequivocabile, pure nell’atto di citazione in giudizio per la risoluzione del contratto o in atti giudiziari equipollenti, ma non può, in nessun caso, avere effetto se la controparte ha già adempiuto alle proprie obbligazioni contrattuali, anche se ciò é avvenuto oltre i termini previsti nel contratto per l’adempimento, atteso che fino a quando il creditore non dichiari di volersi avvalere della detta clausola il debitore può adempiere, seppure tardivamente, la sua obbligazione.

Mentre per altri autori[132] é preferibile avvalersi di una clausola risolutiva che abbia la stessa forma del contratto di cui si chiede, appunto, la risoluzione e ciò per il più volte citato principio di simmetria che involge i negozi accessori) ed ha natura negoziale.

In merito le Sezioni Unite[133] hanno affermato che con riguardo a contratto di pubblica fornitura, la deliberazione dell’amministrazione di risoluzione del rapporto, che venga adottata invocando una clausola risolutiva espressa, ai sensi ed agli effetti dell’art. 1456 c.c., integra atto di natura negoziale, sicché la controversia inerente a tale risoluzione non si sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario.

Non é necessario che la dichiarazione richiesta dall’art. 1456, secondo comma, c.c., per la risoluzione di diritto del contratto, sia fatta dalla parte fuori del giudizio e prima di questo, ben potendo essa essere contenuta nell’atto introduttivo del giudizio[134].

Sempre  ai fini processuali, poi, non può dunque essere pronunciata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola é stata inserita nel contratto dichiari di volersene avvalere. Differentemente, la risoluzione consensuale, o la sopravvenuta impossibilità della prestazione, che determinano automaticamente il venir meno del contratto, rappresentando fatti oggettivamente estintivi dei diritti nascenti da esso, possono essere accertati d’ufficio dal giudice[135].

  • Rinunzia alla facoltà di avvalersi della clausola

     

Tale rinunzia può essere espressa ma anche conseguente ad un comportamento inequivoco incompatibile con la volontà di risolvere il contratto.

Così come previsto dalla Cassazione[136] secondo la quale nel caso in cui la parte interessata non si limiti ad un comportamento di mera tolleranza di fronte all’inadempimento, ma rinunci, sia pur implicitamente, alla possibilità di avvalersi di tale clausola, una successiva dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa in relazione a quello stesso inadempimento non ha più alcuna rilevanza, anche se contenuta nell’atto introduttivo del relativo giudizio.

La tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo) non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né é sufficiente ad integrare una tacita rinuncia od avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento; la tolleranza può invece incidere sulla posizione soggettiva del debitore, escludendone la colpa, specialmente ove si accompagni ad una regolamentazione pattizia degli interessi prevista proprio per i ritardi nei pagamenti (Fattispecie relativa a mancato pagamento di canoni di contratto di «leasing», nonostante solleciti di pagamento)[137].

Per altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 31 ottobre 2013, n. 24564

in tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento.

Principio confermato anche da recente Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 maggio 2022| n. 14195

É bene precisare, che la clausola risolutiva espressa, resa inoperante dalla abituale tolleranza del creditore nel procrastinare il termine di esecuzione della prestazione dedotta in contratto, riprende la sua efficacia se il creditore stesso, provvede con una nuova manifestazione di volontà a richiamare il debitore all’esatto adempimento della sua obbligazione[138].

La sua rinuncia tacita da parte del creditore costituisce atto di volontà abdicativa, ancorché la volontà stessa venga manifestata, anziché espressamente, mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto. Ne consegue che l’indagine del giudice diretta ad accertarne l’esistenza, implicando sostanzialmente la risoluzione di una quaestio voluntatis, deve essere effettuata in modo che non residui alcun ragionevole dubbio sulla effettiva intenzione dell’asserito rinunziante[139].

  • Non occorre la valutazione della gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c.

     

In senso generale per la S.C.[140] quando la risoluzione del contratto si verifica di diritto a seguito della dichiarazione del creditore di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, la valutazione dell’incidenza dell’inadempimento sull’intero contratto é stata già compiuta dalle parti, la cui autonomia privata ha instaurato il collegamento tra singoli inadempimenti considerati nella clausola e risoluzione dell’intero contratto, con la conseguenza che tale collegamento non può più essere contestato né ai fini dell’accertamento giudiziale sull’avvenuta risoluzione, né agli effetti del risarcimento del danno, che va ricondotto al venire meno dell’intero contratto, e non limitato al singolo inadempimento considerato nella clausola risolutiva espressa. Tantomeno, per pervenire ad una riduzione dei danni risarcibili, può essere invocato l’art. 1227 c.c., in quanto, poiché la legge riconosce al contraente adempiente il potere di provocare la risoluzione del contratto, non può nella stessa condotta essere ravvisato un fatto colposo, ovvero il mancato impiego dell’ordinaria diligenza.

art.  1227 c.c.    concorso del fatto colposo del creditore: se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento [2056] é diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate [2055]

Il risarcimento non é dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza [1175, 2056].

La risoluzione di diritto del contratto conseguente all’applicazione di una clausola risolutiva espressa postula non soltanto la sussistenza, ma anche l’imputabilità dell’inadempimento, in quanto la pattuizione di tale modalità di scioglimento dal contratto, pur eliminando ogni necessità di indagine in ordine all’importanza dell’inadempimento, non incide, per converso, sugli altri principi regolatori dell’istituto della risoluzione, né, in particolare, configura un’ipotesi di responsabilità senza colpa, onde, difettando il requisito della colpevolezza dell’inadempimento, la risoluzione non si verifica né, di conseguenza, può in alcun modo essere legittimamente pronunciata[141].

In altri termini l’apposizione di una clausola risolutiva espressa se elimina l’indagine circa l’importanza di un determinato inadempimento, che é invece ordinariamente richiesta dall’art. 1455 c.c. per la pronuncia costitutiva della risoluzione, non comporta la necessaria conseguenza dello scioglimento del contratto a seguito del fatto oggettivo dell’inadempimento dell’obbligazione, essendo sempre necessario, giusta il disposto dell’art. 1218 c.c., l’accertamento che l’inadempimento sia imputabile almeno a titolo di colpa al debitore, come nel caso in cui il creditore abbia con univoca manifestazione di volontà richiamato il debitore all’esatto soddisfacimento della sua prestazione[142].

Utima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 15 ottobre 2014, n. 21836

la quale non si è affatto discostata dal principio costantemente affermato dalla medesima Corte (cfr. Cass., Sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2553; 5 agosto 2002, n. 11717; Cass., Sez. II, 14 luglio 2000, n. 9356), ha affermato che la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1456 cod. civ. postula non soltanto la sussistenza, ma anche l’imputabilità dell’inadempimento, in quanto la pattuizione di tale modalità di scioglimento del contratto rende superflua l’indagine in ordine all’importanza dell’inadempimento, ma non incide sugli altri principi che disciplinano l’istituto della risoluzione, né da luogo, in particolare, ad un’ipotesi di responsabilità senza colpa, sicché, difettando il requisito della colpevolezza dell’inadempimento, la risoluzione non si verifica e non può dunque essere legittimamente dichiarata .

 

art. 1218 c.c.  responsabilità del debitore: il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta [1176, 1181] é tenuto al risarcimento del danno [1223 ss.], se non prova che l’inadempimento o il ritardo é stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile [1221, 1229, 1256, 1257, 1307, 1557, 1558, 1673, 1693, 1821, 2740; disp.att. 160].

Per altra pronuncia[143] ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento, in presenza di clausola risolutiva espressa, pur se la colpa del contraente inadempiente si presume, ai sensi dell’art. 1218 c.c., il giudice non é tenuto solo a constatare che l’evento previsto dalla detta clausola si sia verificato, ma deve esaminare, con riferimento al principio della buona fede, il comportamento dell’obbligato, potendo la risoluzione essere dichiarata solo ove sussista (almeno) la colpa di quest’ultimo.

La valutazione del comportamento dell’obbligato compiuta dal giudice di merito, involgendo un apprezzamento di fatto, é incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione immune da vizi logici ed errori di diritto.

  • Prescrizione

 

Il diritto potestativo di risolvere il rapporto, in conseguenza dell’inadempimento di una parte, quando sia prevista la clausola risolutiva espressa, diritto che si esercita mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola stessa (art. 1456, secondo comma, c.c.), é soggetto a prescrizione ai sensi dell’art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge, e l’inizio della decorrenza della prescrizione coincide, secondo la regola generale dettata dall’art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere e cioé con il verificarsi dell’inadempimento[144].

 

art. 2934 c.c.   estinzione dei diritti: ogni diritto si estingue per prescrizione [disp.att. 252], quando il titolare non lo esercita per il tempo [2962, 2963] determinato dalla legge [12422].

Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge [2482, 2492, 2633, 2701, 5332, 9483, 11111, 1422, 1865, 1869].

 

 

3)          Termine essenziale

[145]

 

art. 1457 c.c.    termine essenziale per una delle parti: se il termine fissato per la prestazione di una della parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso  contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro 3 giorni.

In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto (significa soltanto che la pronuncia giudiziale ha carattere meramente dichiarativo)  anche se non é stata espressamente pattuita la risoluzione.

 

  • Automaticità della risoluzione

     

Scaduto il termine essenziale, senza che l’obbligazione sia stata adempiuta, il contratto é risolto di diritto anche se il contraente adempiente non abbia intimato diffida ad adempiere, essendo questa prevista dall’art. 1454 c.c.[146] solo nel caso in cui il termine di adempimento non sia indicato in contratto[147].

Diversamente dalla clausola risolutiva e della diffida ad adempiere, ma l’effetto risolutorio può essere evitato da una espressa dichiarazione del creditore, il quale comunichi, entro il termine di decadenza di 3 giorni, il proprio interesse ad un adempimento tardivo con  una dichiarazione espressa.

Per ultima pronuncia del Tribunale Milanese[148] in materia di contratti, l’essenzialità del termine rileva ai soli fini dell’operatività del meccanismo di risoluzione automatica ex art. 1457 c.c., senza che ciò implichi l’irrilevanza del termine, per così dire, semplice, ovvero non essenziale, atteso che il mancato rispetto di quest’ultimo determina, ad ogni modo, un inesatto adempimento dell’obbligazione, comportando l’insorgere di responsabilità per danni ex art. 1218 c.c.

Ciò detto, laddove (come accaduto nel caso concreto analizzato in sentenza), ad esempio, in un contratto preliminare di vendita, la parte promittente venditrice si sia impegnata ad ultimare e consegnare l’immobile oggetto di compravendita entro una data, e non sia poi riuscita a rispettare tale impegno, a prescindere dall’essenzialità o meno del termine, quest’ultima deve considerarsi inadempiente, specie se non ha neppure fornito la prova di non aver potuto adempiere per impossibilità della prestazione. Ed infatti, qualora una delle parti contrattuali agisca giudizialmente lamentando l’inadempimento dell’altra parte, su quest’ultima, quale debitrice-convenuta grava l’onere di fornire la prova dell’avvenuto esatto adempimento dell’obbligazione, o di non aver potuto adempiere all’obbligazione per cause alla stessa non imputabili. Del resto, tale regola di ripartizione dell’onere probatorio implica la soccombenza della parte convenuta anche in caso di prova perplessa, ovvero di mancato raggiungimento univoco della prova medesima nei termini innanzi descritti.

Ai fini processuali, poi, pur in presenza dell’inutile decorso di un termine essenziale, é sempre necessaria la domanda di parte affinché possa pronunciarsi la risoluzione di un contratto.

Invero l’espressione «di diritto», usata in proposito dalla norma dell’art. 1457, secondo comma, c.c., significa soltanto che la pronunzia giudiziale relativa ha carattere meramente dichiarativo della risoluzione stessa e che, quindi, i suoi effetti rimontano al tempo, in cui si é verificato l’evento, e non già che a tale pronuncia il giudice possa provvedere d’ufficio[149].

Ancora, sempre sotto un profilo processuale, come da recente sentenza della Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 1 giugno 2020, n. 10353

sul solco già tracciato dalle precedenti, l’accertamento dell’essenzialità del termine per l’adempimento, ex art. 1457 c.c., costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito – la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici – da condurre, oltre che alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti (quale, ad esempio, “entro e non oltre”), tenendo soprattutto conto della natura e dell’oggetto del contratto.

Il mancato adempimento entro un termine essenziale non dà luogo a risoluzione del contratto, se l’inadempimento non sia imputabile all’obbligato almeno a titolo di colpa, ma corrisponda alla mancata prestazione dell’altra parte, divenuta temporaneamente impossibile. In tal caso, infatti, l’obbligato può invocare l’exceptio inadimpleti contractus, restando per la temporanea impossibilità sospeso il termine essenziale[150].

In altre parole il requisito della colpa, nell’ipotesi di mancata osservanza del termine essenziale, non opera come elemento costitutivo della fattispecie risolutiva del contratto, ma solo come elemento eventualmente impeditivo, nel senso che nell’ipotesi di adempimento che richiede la cooperazione di entrambi i contraenti, sorge a carico di chi si oppone alla risoluzione del contratto, nonostante la scadenza del termine, l’onere di dimostrare che soltanto per effetto del comportamento della controparte, contrario a buona fede, l’adempimento non fu possibile[151].

  • Dichiarazione espressa entro 3 giorni

A carattere negoziale ed in forma libera.

  • Rinuncia al termine essenziale

Qualora siano trascorsi i tre giorni entro i quali, a norma dell’art. 1457 c.c. la parte deve dare notizia all’altra di esigere l’esecuzione del contratto nonostante la scadenza del termine essenziale, la rinuncia ad avvalersi dello stesso (e di ritenere, pertanto, il contratto risoluto di diritto) può risultare anche implicitamente, dai comportamenti tenuti dalla parte interessata, purché siano assolutamente incompatibili con la volontà di giovarsene. In relazione, in particolare, al termine essenziale previsto, nell’ambito di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, per la stipula del definitivo, integrano comportamenti contrari alla volontà di far valere la scadenza del termine essenziale: la presentazione delle pratiche catastali, il coinvolgimento, tramite contatto, del notaio per provvedere al rogito, nonché la corrispondenza con la quale l’acquirente solleciti il venditore a pervenire alla stipula del definitivo anche paventando la possibilità (nonostante il termine essenziale sia ampiamente scaduto) di chiedere l’emissione di una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (con ciò manifestando evidentemente la convinzione di ritenere ancora valido e vincolante il preliminare recante il termine essenziale perito)[152].

Principio già espresso dalla S.C.[153] secondo la quale, in senso più generale, in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, il contraente non inadempiente, così come può rinunciare ad eccepire l’inadempimento che potrebbe dar causa alla pronuncia di risoluzione, può, del pari, rinunciare ad avvalersi della risoluzione già avveratasi per effetto o della clausola risolutiva espressa o dello spirare del termine essenziale o della diffida ad adempiere e può anche rinunciare ad avvalersi della risoluzione già dichiarata giudizialmente, ripristinando contestualmente l’obbligazione contrattuale ed accettandone l’adempimento.

  • Effetti della risoluzione per inosservanza del termine

[154]

 

Si discute in dottrina in ordine al momento in cui il contratto deve ritenersi risolto:

A)          Per autorevole autore[155] – come stabilito dall’art. 1453, la risoluzione consegue pertanto al trascorrere dei 3 giorni (si ha semplicemente una sospensione dell’adempimento da parte del debitore) senza che il creditore abbia manifestato il proprio interesse all’adempimento.

B)          altra parte della dottrina[156] ritiene invece che il contratto si risolve al momento dell’inadempimento. Cosicché la successiva dichiarazione di interesse all’adempimento pone nel nulla l’effetto risolutorio facendo rivivere il rapporto contrattuale già sciolto.

Inoltre per la S.C.[157] la dichiarazione del debitore di non volere adempiere equivale a inadempimento e giustifica la risoluzione del contratto, l’immediatezza della quale evita un aggravio della posizione del debitore stesso. Tale principio opera anche quando l’obbligazione sia sottoposta ad un termine essenziale non ancora scaduto, poiché anche in tal caso presupposto della risoluzione é l’inadempimento, equiparato alla dichiarazione di non voler adempiere, ed é dal momento di tale dichiarazione che il contratto deve considerarsi risolto.

 

  • L’essenzialità del termine

     

 

Può essere desunta alternativamente soggettivamente oppure oggettivamente, poiché in tema di indagine sulla essenzialità del termine per adempiere, qualora detta essenzialità risulti prevista dalla volontà delle parti, rimane irrilevante ogni accertamento sull’oggettivo interesse del creditore all’osservanza di quel termine[158].

1)   essenzialità soggettiva

Volontà dei contraenti, che risulta da una dichiarazione espressa o tacita dei contraenti.

Le parti, in altri termini, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono stabilire che debba essere eseguita con piena puntualità una prestazione che, oggettivamente considerata, potrebbe anche essere eseguita con notevole ritardo.

2)   essenzialità oggettiva

Dalla natura del contratto o dalle modalità della prestazione. Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata[159].

Il termine essenziale, per sua natura, postula necessariamente che la scadenza sia esattamente individuata o individuabile, non essendo sufficiente che essa sia determinata o determinabile in modo soltanto approssimativo[160].

La relatività e la variabilità insite nel tempo occorrente allo svolgimento di un’attività, specie quando questa sia complessa, sono inconciliabili con la natura del termine essenziale[161].

Orbene il termine per adempiere, la cui scadenza non sia con rigore determinata o che abbia carattere puramente indicativo, non riveste gli estremi dell’essenzialità, in senso tecnico, tale cioé da implicare, se non osservato, la risoluzione ipso iure del contratto ai sensi dell’art. 1457 c.c. e sebbene sia configurabile, pure in difetto di una qualificazione espressa in contratto, una essenzialità tacita in presenza di elementi i quali facciano ritenere che senza la stretta osservanza del termine le parti non sarebbero addivenute alla conclusione del contratto stesso, essa deve tuttavia essere insita nel contratto, non potendosi a tali effetti valorizzare ex post comportamenti di una delle parti[162].

  • La rinnovazione del termine

In ogni caso il termine essenziale può bensì essere rinnovato dalla parte interessata, ma prima della scadenza dei tre giorni, perché altrimenti il contratto é già risolto e non può rivivere.

Poiché l’art. 1457 c.c. — in tema di proroga del termine essenziale per l’adempimento — assegna al contraente fedele, che voglia ottenere l’adempimento, ancorché tardivo, l’onere di darne avviso alla controparte entro tre giorni, intendendosi altrimenti il contratto risoluto di diritto, la dichiarazione da esso effettuata oltre i tre giorni di volere esigere l’esecuzione nonostante la scadenza (ovvero il di lui comportamento concludente in tal senso) non comporta proroga del termine con l’eliminazione degli effetti dell’inadempimento, venendo essa ad incidere su un contratto ormai irrimediabilmente risolto[163].

  • Rapporti e differenze con l’azione di risoluzione ex art. 1453 c.c.

Le azioni di risoluzione contrattuale previste dagli artt. 1453 e 1457 c.c. sono ontologicamente diverse sia per causa petendi sia per petitum.

Infatti l’azione di risoluzione disciplinata dall’art. 1453 c.c. tende a una pronuncia costitutiva che comporta la caducazione del contratto ex nunc, anche se con effetto retroattivo, nel presupposto di un inadempimennto la cui non scarsa importanza deve essere verificata dal giudice, mentre l’azione di risoluzione ex art. 1457 c.c. é diretta ad ottenere l’accertamento della cessazione di un rapporto negoziale già avvenuta ex tunc, in seguito all’inutile scadenza del termine essenziale, convenzionalmente predeterminato dalle parti, quale ragione di per sé sufficiente a dare luogo alla risoluzione[164].

L’inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per la esecuzione di un’obbligazione contrattuale, pur impedendo la configurabilità della risoluzione di diritto, in mancanza di una diffida ad adempiere, non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell’art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza e cioé se il ritardo, imputabile al debitore anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, superi ogni ragionevole limite di tolleranza[165].

 

  • Rapporti e differenze con la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.

[166]

 

Le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e 1457 (termine essenziale per una delle parti), ancorché riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell’inadempimento dell’altra verificandosi l’effetto risolutivo nella prima, con la dichiarazione dell’intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita dalla legge e nella seconda, con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza dei termini senza che essa abbia dichiarato all’altra di volere l’esecuzione[167].

Anche se la previsione di un termine essenziale in un contratto ad effetti obbligatori non é incompatibile con l’inserimento nel medesimo contratto di una clausola risolutiva espressa, né la scadenza del termine essenziale paralizza per contraddizione gli effetti della clausola, con la conseguenza che il creditore può tanto avvalersi di detta clausola, ai fini della dichiarazione della risoluzione di diritto del contratto, quanto rinunciare all’effetto risolutivo ed esigere l’adempimento[168].

  • Clausola penale e caparra 

[169]

La pattuizione di una clausola penale é compatibile con la previsione di un termine non essenziale per l’adempimento della prestazione, in conseguenza della diversa funzione ed operatività del rapporto contrattuale, poiché mentre il termine di adempimento riguarda il momento in cui l’obbligazione deve essere adempiuta, la clausola penale si configura solo come mezzo rafforzativo del vincolo contrattuale sul diverso e successivo piano degli effetti dell’eventuale inadempimento e costituisce una concordata liquidazione anticipata del danno derivatone, indipendentemente dalla prova della sua effettiva esistenza[170].

Il recesso previsto dal secondo comma dell’art. 1385 c.c.[171], presupponendo l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale, configura uno strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto, da affiancare a quelle di cui agli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c., collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, intesa come determinazione convenzionale del danno risarcibile. Al fenomeno risolutivo, infatti, lo collegano sia i presupposti, rappresentati dall’inadempimento dell’altro contraente, che deve essere gravemente colpevole e di non scarsa importanza, sia le conseguenze, ravvisabili nella caducazione “ex tunc” degli effetti del contratto[172].

Su tale punto, ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 aprile 2013, n. 10183

ha affermato che il principio di cui al comma 2 dell’art. 1385 c.c. (in virtù del quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra ricevuta od esigendone il doppio rispetto a quella versata) non è applicabile tutte le volte in cui la parte non inadempiente, anziché recedere dal contratto, si avvalga del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, perdendo, in tal caso, la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno; tuttavia, deve affermarsi (cfr, ad es., Cass. n. 11356 del 2006) che, qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio, la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacché in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1453 ss. c.c., salvo che non ne sia stata convenzionalmente predeterminata la misura sotto forma di clausola penale.

E)        FORME DI AUTOTUTELA

 

1)   Eccezione d’inadempimento

 

art. 1460 c.c.   eccezione d’inadempimento: nei  contratti con prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria , salvo che termini diversi per l’adempimento siano stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.

Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se (rectius – eccepirla), avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto é contrario alla buona fede (1375) (di solito il rifiuto é contrario alla buona fede quando l’inadempimento della controparte sia di lieve entità ovvero quando pregiudica un diritto fondamentale della controparte – come ad es. ad un contratto di somministrazione in cui il somministrante sospenda l’erogazione dell’acqua potabile).

 

Forma di autotutela affidata ad un’eccezione senza dunque l’intervento ex ufficio del giudice, il cui fondamento deve essere provato dal contraente che l’oppone.

Qualora entrambe le parti oppongano l’eccezione, sarà il giudice a dover accertare quale dei inadempimenti é più grave.

Quando le prestazioni devono essere eseguite, mano contro mano, ciascuno dei contraenti può pretendere che l’altro, nel mentre chiede l’adempimento altrui, offra anche il proprio (inadimplenti non est adimplendum ).

É possibile opporre la suddetta eccezione anche in caso di parziale inadempimento o di inesatto adempimento (exceptio non rite adimpleti contractus). L’eccezione, oltre che in sede giudiziale, ossia a seguito della domanda di risoluzione della controparte, può essere opposta anche in via stragiudiziale, al fine di paralizzare tale eventuale domanda.

Il principio che sorregge l’eccezione inadimpleti contractus, e che trova la sua consacrazione nella formulazione dell’art. 1460 c.c., trae fondamento dal nesso di interdipendenza che nei contratti a prestazioni corrispettive lega le opposte obbligazioni e prestazioni nell’ambito di un rapporto sinallagmatico il cui contenuto, indipendentemente da esplicite previsioni negoziali, é — secondo il principio interpretativo-integrativo correlato all’obbligo di correttezza delle parti (art. 1175 c.c.) — esteso alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di collaborazione, di informazione etc.[173]

Ai fini dell’eccezione di inadempimento é irrilevante che la mancata prestazione della controparte sia o meno imputabile a colpa, in quanto l’elemento soggettivo opera solo al fine di escludere la risoluzione per l’inadempimento della parte tenuta alla prestazione[174].

L’art. 1460 c.c., il quale autorizza il contraente a rifiutare quella di cui é debitore, sempre che il rifiuto non sia contrario a buona fede, appresta uno strumento di tutela non solo in sede processuale, con l’eccezione di inadempimento rivolta a paralizzare la domanda dell’altro contraente, ma anche al di fuori del giudizio, rendendo legittimo un rifiuto della prestazione, altrimenti non consentito[175].

Nei contratti a prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia l’esecuzione non può rifiutarsi se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto é contrario alla buona fede.

Principio espresso in altra massima[176] secondo cui l’esercizio dell’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c., che trova applicazione anche in riferimento ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, nonché in presenza di contratti collegati, prescinde dalla responsabilità della controparte, in quanto é meritevole di tutela l’interesse della parte a non eseguire la propria prestazione in assenza della controprestazione e ciò per evitare di trovarsi in una situazione di diseguaglianza rispetto alla controparte medesima; sicché, detta eccezione può essere fatta valere anche nel caso in cui il mancato adempimento dipende dalla sopravvenuta relativa impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore.

Mentre per altra sentenza nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, poiché l’esecuzione avviene mediante coppie di prestazioni in corrispondenza di tempo, il sinallagma, alla cui tutela é predisposto il rimedio ex art. 1460 c.c., va considerato separatamente per ciascuna coppia di prestazioni; ne consegue che, in tali contratti, l’eccezione d’inadempimento può essere sollevata unicamente riguardo alla prestazione corrispondente a quella richiesta all’eccipiente, restando escluse, ai sensi dell’art. 1458, primo comma, c.c., le prestazioni già eseguite[177].

L’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. non trova applicazione nei rapporti tra condominio e singoli condomini[178].

Inoltre, l’eccezione d’inadempimento, in via generale, presuppone che le reciproche prestazioni siano contemporaneamente dovute, é opponibile anche alla parte che debba adempiere entro un termine diverso e successivo, a fronte di un evidente pericolo di perdere la controprestazione, avendo essa già dimostrato di non essere in grado di provvedere ai propri obblighi[179].

Ancora, nei contratti con prestazioni corrispettive la diversità dei termini per l’adempimento dipendente da espressa pattuizione contrattuale (o dalla natura del contratto) impedisce a chi deve adempiere per primo, e non adempie, di giovarsi dell’exceptio inadimpleti contractus salva l’ipotesi che vi sia pericolo di perdere la controprestazione[180].

Infatti per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 marzo 2016, n. 4502

la possibilità di eccepire, nel legittimo esercizio del potere di autotutela che l’art. 1460 comma 1 c.c. espressamente attribuisce a ciascuno dei contraenti nei contratti a prestazioni corrispettive, al fine di paralizzare la pretesa avversaria chiedendone il rigetto, l’inadempimento o l’imperfetto adempimento dell’obbligazione assunta da controparte, trova un limite nella ipotesi in cui siano stabiliti termini diversi per l’adempimento in relazione ai diversi contraenti. Anche in presenza di obbligazioni da adempiere in tempi diversi, è consentita l’opponibilità dell’exceptio inadimpleti contractus di cui all’art. 1460 c.c., alla parte che debba adempiere entro un termine diverso e successivo, qualora la controparte o abbia dichiarato di non voler adempiere, ovvero sia certo o altamente probabile che essa non sia in grado di adempiere, indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempimento.

Per la S.C.[181] come già affrontato in altro saggio[182], il diritto di ritenzione per il possessore in buona fede, trova il suo fondamento nel generale principio di autotutela sancito dall’art. 1460 c.c., per effetto del quale nei contratti a prestazioni corrispettive ciascun contraente può rifiutare la propria prestazione in costanza di inadempimento della controparte e va legittimamente esercitato da parte del contraente adempiente, allorché serva a stimolare l’altro contraente ad eseguire una prestazione ancora possibile e può trovare accoglimento previa valutazione comparativa del comportamento di entrambe le parti tenendo conto della funzione di salvaguardia dell’equilibrio contrattuale perseguita dalla eccezione.

Il principio generale é ripreso dall’art. 1481 in tema di compravendita; difatti la facoltà del compratore di sospendere il pagamento del prezzo, a norma dell’art. 1481 c.c., costituendo applicazione alla compravendita del principio generale inadimplenti non est adimplendum, di cui all’art. 1460 c.c., postula che l’esercizio dell’autotutela sia conforme a buona fede, dovendo connotarsi il pericolo di perdere la proprietà per serietà e concretezza e risultare attuale, e non già soltanto ipotizzabile in futuro o meramente presuntivo, senza che abbia rilievo distinguere, al riguardo, tra contratto di vendita, con immediato effetto traslativo, e contratto preliminare, atteso che la garanzia é prevista dall’art. 1481 c.c. in considerazione e per effetto del mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato dal compratore, tale da comportare l’alterazione del sinallagma contrattuale. Ne consegue che detta garanzia opera indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione, sussistendo la necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto[183].

Tale principio è ripreso nella compravendita, poichè l’eccezione d’inadempimento è istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive, che mira a conservare, in caso d’inadempimento di una delle parti, l’equilibrio sostanziale e funzionale del negozio, e perciò richiede quel giudizio sulla ragionevolezza del rifiuto di adempiere, espresso dal secondo comma dell’art. 1460 c.c., con la formula della non contrarietà alla buona fede.

Il rimedio dell’eccezione d’inadempimento è applicabile, pertanto,

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 26 novembre 2013, n. 26365

anche al contratto di appalto nell’ipotesi di rifiuto del committente di pagare il corrispettivo all’appaltatore inadempiente all’obbligo di eliminare i vizi e le difformità dell’opera, nonché nell’ipotesi in cui l’appaltatore non consegni l’opera perché il committente, adducendo vizi e difformità inesistenti, rifiuta il pagamento del corrispettivo.

Infine, per quanto riguarda la buona fede per una pronuncia della S.C.[184] non incorre in alcuna contraddizione il giudice di merito che apprezzi un comportamento di inadempimento come contrario a buona fede ai fini di giustificare un’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. e poi lo consideri di scarsa importanza ai fini di un’azione di risoluzione del contratto per inadempimento. Infatti, i due piani di valutazione sono del tutto diversi. Ai fini della valutazione prevista dall’art. 1460 c.c. l’inadempimento della parte viene valutato solo nell’ottica della realizzazione del sinallagma contrattuale, al fine di considerarlo o meno giustificato in dipendenza dell’inadempimento dell’altra. Tale valutazione si esprime in un confronto fra i due inadempimenti e non nell’oggettiva valutazione di ciascuno di essi e può risolversi negativamente sia per il fatto che le prestazioni corrispettive inadempiute dovessero eseguirsi in tempi diversi (art. 1460, primo comma, c.c.), sia perché uno degli inadempimenti non appaia conforme a buona fede. Il piano di valutazione supposto dall’art. 1455 c.c. in ordine alla non scarsa importanza dell’inadempimento quale fatto giustificativo della risoluzione del contratto é, invece, del tutto diverso, giacché non é funzionale all’apprezzamento della realizzazione del sinallagma contrattuale, ma del suo scioglimento e l’inadempimento viene valutato non comparativamente alla condotta dell’altra parte, bensì nel suo significato oggettivo di impedimento alla realizzazione del sinallagma stesso.

  • I rapporti con le altre figure

 

Ad esempio l’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c., quando é fondata, impedisce l’operatività della clausola risolutiva espressa[185] di cui al precedente art. 1456, in quanto tale clausola non é limitativa della proponibilità di eccezioni (art. 1462 c.c.), ma attuativa di un diritto potestativo di risoluzione immediata del rapporto negoziale, con effetti retroattivi, nel caso di comportamento della controparte costituente inadempimento in senso tecnico, mentre l’eccezione suindicata postula requisiti (prontezza all’adempimento e giustificazione della sospensione provvisoria del medesimo con la mancanza di sincronismo di quello corrispettivo) escludenti nel comportamento dell’eccipiente la situazione d’inadempimento[186].

Inoltre L’inadempimento di una delle parti, che, a norma dell’art. 1460 c.c., fa venir meno il dovere dell’altra di adempiere la propria obbligazione, può in pari tempo, e coerentemente, far venir meno anche l’interesse di questa alla manutenzione del contratto e giustificare la risoluzione di esso a norma dell’art. 1453 c.c. Non sussiste, pertanto, incompatibilità tra la proposizione della exceptio inadimpleti contractus e la domanda di risoluzione[187].

  • Aspetti processuali

1)          L’eccezione di inadempimento é una eccezione in senso stretto ed in senso proprio, ciò significa che il convenuto deve sollevarla non oltre la comparsa di costituzione tempestivamente depositata e il giudice non la può rilevare d’ufficio. L’attore ha l’onere di sollevarla entro la prima udienza di trattazione[188].

Il principio inadimplenti non est adimplendum, affermato dall’art. 1460 c.c., può essere invocato in via di eccezione anche nel giudizio di appello, essendo consentita alle parti la proposizione di nuove eccezioni in tale grado[189].

2)          Essa non richiede formule sacramentali essendo sufficiente che sia desumibile in modo non equivoco dall’insieme delle difese e in più in generale dalla condotta processuale della parte[190].

3)          Sollevata l’eccezione di inadempimento, spetta all’altra parte l’onere della prova di avere esattamente adempiuto, salvo che si tratti di una obbligazione negativa: in tal caso é l’eccipiente che deve provare la violazione dell’obbligo dell’altra parte[191].

Principio ripreso da ultima Cassazione[192] secondo la quale in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto é gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione).

Sul punto é opportuno riportare alcune ultime pronunce di merito

Secondo una prima[193] le azioni giudiziali volte ad ottenere l’adempimento della prestazione, la risoluzione del contratto ovvero il risarcimento del danno, hanno in comune tra loro il titolo ed il vincolo contrattuale di cui si deduce la violazione ad opera dell’altro contraente, per cui la parte che la propone non ha altro onere che quello di provare l’esistenza di quel titolo e quindi l’insorgenza di obbligazioni ad esso connesse. Incombe all’altra parte l’onere di provare l’adempimento della prestazione.

Dall’applicazione di tale principio si evince che il medesimo criterio di riparto dell’onere probatorio deve ritenersi applicabile nel caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento si avvalga dell’eccezione di inadempimento in quanto, in tal caso, il debitore eccipiente dovrà limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento.

Per altra sentenza di merito[194] il principio di presunzione della persistenza del diritto – in virtù del quale, una volta provata dal creditore l’esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine, grava sul debitore l’onere di dimostrare l’esistenza del fatto estintivo costituito dal suo (esatto) adempimento – deve ritenersi operante non solo nel caso in cui il creditore agisca per l’adempimento, ma anche nel caso in cui, sull’identico presupposto dell’inadempimento (o inesatto adempimento) della controparte, egli agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno. Risulta, viceversa, rovesciato un tal regime della prova nell’ipotesi di obbligazioni negative (cioé di non facere), riguardo alle quali la prova dell’inadempimento é sempre a carico del creditore, anche ove agisca per l’adempimento. Nell’ipotesi, infine, in cui il debitore convenuto (per l’inadempimento, la risoluzione o il risarcimento) si avvalga, a sua volta, dell’eccezione di inadempimento, di cui all’art. 1460 c.c., spetta (a ruoli invertiti) al creditore agente dimostrare (a fronte dell’allegazione della controparte) il proprio adempimento o la non ancora intervenuta scadenza della propria obbligazione.

Secondo il Tribunale di Campobasso[195] in tema di prova dell’inadempimento delle obbligazioni, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto é gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento Nell’ipotesi, infine, in cui il debitore convenuto (per l’inadempimento, la risoluzione o il risarcimento) si avvalga, a sua volta, della eccezione di inadempimento, di cui all’art. 1460 c.c., spetta (a ruoli invertiti) al creditore agente dimostrare (a fronte dell’allegazione della controparte) il proprio adempimento o la non ancora intervenuta scadenza della propria obbligazione. In virtù di tale principio, che muove dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l’onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione. Ed appare coerente alla regola dettata dall’art. 2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi, ritenere che la prova dell’adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetti al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva dell’adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione.

Per il Tribunale Potentino[196] in tema di adempimento contrattuale, grava sul debitore convenuto in giudizio per la risoluzione o per il risarcimento dei danni e si avvalga dell’eccezione d’inadempimento, l’onere di allegare l’altrui inadempimento spettando al creditore l’onere di dimostrare di aver adempiuto l’obbligazione in maniera puntuale donde il diritto di ricevere la controprestazione. Quest’ultimo quindi, deve fornire la prova della fonte negoziale del suo diritto limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte che invece deve dimostrare il fatto estintivo dell’obbligazione, ovvero l’adempimento.

In merito il Tribunale Capitolino[197] ha stabilito che nel caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno opponga l’eccezione inadimplenti non est adimplendum ex art. 1460 c.c. per paralizzare la pretesa dell’attore, deducendo l’integrale inadempimento delle proprie obbligazioni da parte del creditore agente (exceptio inadimpleti contractus), incombe su quest’ultimo l’onere di provare di avere esattamente adempiuto ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione. Analogamente, se il debitore convenuto si limita ad eccepire un inadempimento soltanto parziale o non tempestivo o comunque inesatto (exceptio non rite adimpleti contractus), é sempre la controparte, ossia il creditore agente, a dover dimostrare di avere esattamente adempiuto ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione.

Infine, secondo il tribunale di Ivrea[198] nelle controversie concernenti diritti d’obbligazione, il creditore che agisca per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte.

É, infatti, il debitore convenuto che ha l’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Uguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 del c.c., con l’unica differenza, tuttavia, che, in simile evenienza, i ruoli delle parti in lite risulteranno invertiti, ed infatti il debitore eccipiente potrà limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione. Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’inadempimento (per violazione di doveri accessori, come quello d’informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.

4)          La valutazione della gravità dell’inadempimento che legittima la parte non inadempiente a sollevare l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c. costituisce un apprezzamento di fatto demandato alla esclusiva competenza del giudice di merito[199].

Nei contratti a prestazioni corrispettive, la condotta delle parti che si addebitano reciproci inadempimenti, proponendo l’una nei confronti dell’altra domande vicendevolmente contrapposte, attribuisce al Giudice del merito il potere di procedere, ai fini della decisione, ad una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e comportamenti dei contraenti, che, al di là del pur necessario riferimento all’elemento cronologico degli stessi, li investa nel loro rapporto di dipendenza e di proporzionalità, nel quadro sociale del contratto, in maniera da consentire di stabilire su quale delle due parti debba ricadere l’inadempimento colpevole che possa giustificare il successivo inadempimento dell’altro, in applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum[200].

Inoltre, proseguendo su tale principio, ultima Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 gennaio 2014, n. 153

ha riaffermato la seguente massima: nel caso di contratti con prestazioni corrispettive, ove venga proposta dalla parte l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, il giudice deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti, avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse; per cui, qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l’eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art. 1455 c.c., deve ritenere che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell’art. 1460 comma 2 c.c. (Cass. 3-7-2000 n. 8880; Cass. 16-5-2006 n. 11430; Cass. 6-7-2009 n. 15796).

La sussistenza di una evidente sproporzione tra l’inadempimento addebitato alla controparte e la entità della prestazione corrispettiva determina la infondatezza della sollevata eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. All’uopo deve, invero, rilevarsi che nei confatti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti a giustificazione del proprio rifiuto di adempiere adduca l’inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell’altra, il Giudice é tenuto a procedere alla valutazione comparativa delle due condotte, avendo riguardo non solo all’elemento cronologico ma anche a quello logico. In circostanze siffatte di rende necessario l’accertamento in ordine alla sussistenza o meno di una relazione causale ed adeguata, nel senso della proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del negozio tra inadempimento dell’una e dell’altra parte. Il rifiuto di adempiere, in conseguenza dell’altrui inadempimento, seppure non contrastante con i principi generali della correttezza e della lealtà, deve in ogni caso risultare ragionevole e logico in senso oggettivo. Stante quanto innanzi, nella fattispecie al vaglio dell’adito Giudice, effettuate le valutazioni di cui innanzi, la sostanziale infondatezza delle contestazioni poste alla base dell’opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il pagamento del corrispettivo dovuto all’impresa e rifiutato dal committente, comporta la revoca del provvedimento monitorio solo per una minima riduzione degli importi dovuti e la condanna della ditta alla esecuzione di ulteriori opere dovute[201].

5)          L’eccezione di inadempimento non necessità di una previa costituzione in mora e può essere sollevata per la prima volta anche in giudizio[202].

6)          Proposta dal convenuto eccezione di inadempimento, costituisce domanda nuova la successiva proposizione di una domanda di risoluzione[203] (Cass.)

 

 

2)   Sospensione dell’esecuzione

 

art. 1461 c.c.   mutamento nelle condizioni patrimoniali dei contraenti: ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui voluta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.

S’inquadra nel più generale contesto delle autotutele e delle eccezioni che il contraente può opporre al fine di garantirsi nei confronti dei possibili futuri inadempimenti della controparte.

I rapporti con l’art. 1460 c.c. sono strettissimi.

In particolare la sospensione può invocarsi quando la controparte  deve eseguire la propria prestazione in un secondo momento mentre l’eccezione d’inadempimento può opporsi quando le prestazioni devono essere eseguite mano contro mano.

Ciò non impedisce l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento anche quando la prestazione va eseguita in un secondo momento ma il debitore ha già dichiarato di non voler adempiere o il suo inadempimento appare probabile ovvero la scadenza successiva é già decorsa.

La ratio dell’art. 1461 c.c., secondo cui il contraente in bonis può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni economiche dell’altro contraente sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, fa ritenere che non tanto la modificazione in se stessa sia dovuta intervenire successivamente alla stipulazione quanto la conoscenza di questa modificazione da parte del contraente in bonis[204].

Secondo autorevole dottrina[205] a prima vista potrebbe sembrare che tale norma sia inutile in quanto, di fonte ad un pericolo d’insolvenza della controparte, potrebbe farsi valere l’eccezione d’inadempimento.

In realtà non é così e, anzi, la sospensione costituisce un completamento dell’eccezione d’inadempimento; quest’ultima, infatti, presuppone che entrambe le prestazioni siano esigibili, mentre la sospensione del proprio adempimento si farà valere, prevalentemente, quando la controparte deve eseguire la propria prestazione in un secondo momento. A conferma della complementarità della sospensione dell’esecuzione rispetto all’eccezione d’inadempimento si ritiene[206]  che a tale istituto si applichi, per analogia, il 2 comma dell’art. 1460 c.c..

La sospensione dell’esecuzione della prestazione contrattuale non richiede per la sua validità alcuna previa comunicazione o dichiarazione alla controparte, né é necessario che la relativa decisione sia adottata prima della scadenza del termine previsto per l’adempimento[207].

  • Deterioramento delle condizioni patrimoniali

 

Nei contratti a prestazioni corrispettive, l’eccezione dilatoria di cui all’art. 1461 c.c. può essere opposta da una delle parti quando la situazione patrimoniale dell’altro contraente venga a deteriorarsi in maniera tale da porre in evidente pericolo il conseguimento della prestazione cui ha diritto il contraente in bonis.

Inoltre, per la sua applicabilità, non é neppure necessario che tale modificazione patrimoniale sia sopravvenuta rispetto al contratto, essendo sufficiente che il contraente che oppone la sospensione della sua prestazione ne sia venuto a conoscenza successivamente e che egli non l’abbia conosciuta o potuta conoscere con la normale diligenza (nella fattispecie, relativa ad un contratto di fornitura di tessuto, si é ritenuta giustificata la mancata consegna di nuova stoffa, a fronte dell’inadempimento di precedenti fatture per decine di milioni, della richiesta di concordare un piano di rientro e del mancato pagamento dell’ultima rata di esso).

Ai fini della sospensione cautelativa della prestazione ex art. 1461 c.c. non é sufficiente che l’altro contraente abbia contratto debiti verso terzi o non li abbia soddisfatti alla scadenza, atteso che tale situazione debitoria, di per sé considerata, se può giustificare la previsione di un futuro pericolo di conseguire la controprestazione, non legittima il contraente in bonis a sospendere la prestazione corrispettiva da lui dovuta ove in concreto non comporti, in relazione alla natura ed al contenuto di detta controprestazione, il pericolo attuale ed evidente di perderla[208].

  • Il pericolo

 

Ai fini della sospensione cautelativa della prestazione, ai sensi dell’art. 1461 c.c., é indispensabile la dimostrazione di un pericolo attuale ed evidente di perdere la controprestazione, non essendo sufficiente una mera rappresentazione soggettiva (timore, preoccupazione) di pericolo, non corroborata da alcuna dimostrazione di concrete circostanze idonee a giustificarla come rispondente ad una situazione reale[209].

Per ultima sentenza di merito[210] nel caso dell’eccezione di sospensione di cui all’art. 1461 c.c., il fatto lesivo indispensabile affinché sorga la facoltà di sospendere l’esecuzione della prestazione, paralizzando l’altrui pretesa, é rappresentato da un fatto (deterioramento delle condizioni patrimoniali) concernente la sfera economica dell’altro contraente.

A tal fine, con la locuzione “evidente pericolo” deve intendersi il pericolo di non conseguire la controprestazione, pericolo che, oltre a dover essere manifesto, deve connotarsi per serietà e concretezza; deve essere attuale a non soltanto ipotizzabile in futuro, ossia sussistente al momento in cui la prestazione sospesa avrebbe dovuto essere eseguita, ancorché la controprestazione non sia ancora scaduta.

Il mutamento che giustifica l’eccezione di sospensione, é, dunque, dato dal sopravvenire di circostanze incidenti sulla sostanza qualitativa e quantitativa del patrimonio dell’altro contraente, che rendono più incerto il conseguimento della controprestazione e, in ipotesi, più difficile l’utile esperimento della procedura esecutiva.

Ad esempio siffatta situazione di pericolo può essere correttamente desunta dalla comunicazione dalla quale l’altra parte dichiari di non volere adempiere la controprestazione[211].

3)   Clausola solve et repete

art. 1462 c.c.  clausola limitativa della proponibilità di eccezioni: la clausola con cui si stabilisce che una delle parti non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta, non ha effetto per l’eccezioni di nullità, di annullabilità, di rescissione del contratto.

Nei casi in cui la clausola é efficace, il giudice, se riconosce che concorrono gravi motivi, può tuttavia sospendere la condanna, imponendo, se nel caso, una cauzione (att. 167; C.p.c.1 19)

 

La disciplina del solve et repete (art. 1462 c.c.), se ha indubbie conseguenze nel campo del processo, ha, però, un contenuto fondamentale di diritto sostanziale, come é reso manifesto non solo dalla collocazione della norma nel codice civile, ma soprattutto dagli interessi che essa tutela (assicurare al creditore il soddisfacimento della sua pretesa, senza il ritardo imposto dall’esame delle eccezioni del debitore).

Il preventivo adempimento non può essere perciò considerato come un presupposto processuale, la cui mancanza impedisca l’instaurazione di un regolare rapporto processuale e non possa essere rimossa nel corso del processo stesso. La clausola limitativa di cui all’art. 1462 c.c., pertanto, é destinata ad operare solo sul piano dell’adempimento, cosicché non può rinvenirsi alcun ostacolo all’esame dell’eccezione o della domanda riconvenzionale, quando, sia pure in corso di giudizio (nella specie, nel corso dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal debitore), sia avvenuto il soddisfacimento della prestazione[212].

In merito alla forma é intervenuta una sentenza della S.C.[213] secondo la quale l’elencazione delle clausole onerose contenuta nell’art. 1341, secondo comma, c.c., pur avendo carattere tassativo, consente per ciascun tipo di esse l’interpretazione estensiva (con esclusione di quella analogica), e pertanto deve essere specificamente approvata per iscritto non soltanto la clausola solve et repete con cui si stabilisce che la parte non può opporre eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta, ma anche quella che vieta di promuovere azioni intese ad ottenere l’adempimento della controparte prima di eseguire la propria prestazione, in quanto diretta allo stesso scopo di assicurare la priorità temporale dell’adempimento del soggetto gravato della clausola.

art. 1341  c.c.  condizioni generali di contratto: le condizioni generali di contratto [1342, 1679, 2211] predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza [1176, 1370, 1469bis].

In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità [1229], facoltà di recedere dal contratto [1373] o di sospenderne l’esecuzione [1461], ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze [2965], limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni [1462], restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi [1379, 1566, 2596], tacita proroga o rinnovazione del contratto [1597, 1899], clausole compromissorie [c.p.c. 808] o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria [c.p.c. 6, 2830, 413]

 

Ad esempio in tema di fideiussione, la cosiddetta clausola solve et repete inserita nel contratto con formule del tipo “senza riserva alcuna” ovvero “dietro semplice richiesta”, ove prevedente l’esclusione per il garante di poter opporre al creditore principale eccezioni che attengono alla validità del contratto da cui deriva l’obbligazione principale, é pienamente valida e non é priva di efficacia ai sensi dell’art. 1462 c.c. in quanto costituisce manifestazione di autonomia contrattuale, non altera i connotati tipici della fideiussione e non comprende il divieto di sollevare eccezioni attinenti alla validità dello stesso contratto di garanzia[214].

 

F)        GLI EFFETTI

[215]  [216]

art. 1458 c.c. effetti della risoluzione : la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alla prestazioni già eseguite.

La risoluzione anche se é stata espressamente pattuita non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.

Lo scopo dell’azione di risoluzione é quello di liberare il creditore adempiente dagli obblighi nascenti del contratto.

Nessun particolare problema sorge quando nessuna delle prestazioni corrispettive sia stata eseguita: entrambe le obbligazioni si estinguono e nasce a carico dell’inadempiente solo l’obbligo del risarcimento del danno.

Per la Corte di Piazza Cavour[217] ai sensi dell’articolo 1458 c.c., comma 1, la risoluzione del contratto per inadempimento, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, non si estende infatti alle prestazioni già eseguite. Questa disposizione, per quanto esplicitamente dettata per i contratti di durata, esprime invero un principio applicabile in tutti i casi in cui la prestazione frazionata corrisponde ad un interesse del creditore, il quale utilizzando ed accettando parte della prestazione dimostra che essa ha comunque soddisfatto, sia pure in parte, il proprio interesse contrattuale all’adempimento. Non se ne può quindi prescindere nel caso di specie, in cui le parti avevano stipulato un contratto che, sulla base degli elementi di fatto risultanti dalla sentenza e dallo stesso ricorso, prevedeva la consegna frazionata di beni singolarmente utilizzabili.

Sono contratti ad esecuzione continuata o periodica quelli che fanno sorgere obbligazioni di durata per entrambe le parti, ossia quelli in cui l’intera esecuzione del contratto avvenga attraverso una serie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo. Pertanto, mentre non possono considerarsi compresi nella previsione normativa del citato art. 1458 c.c. quei contratti in cui ad una prestazione periodica o continuativa si contrappone una prestazione istantanea dell’altra parte, debbono esservi ricompresi quei contratti in cui ad una prestazione continuativa se ne contrappone un’altra periodica, poiché in tal caso la corrispettività si riflette su tutte le prestazioni attraverso le quali il contratto riceva esecuzione[218].

É bene precisare, ad esempio, che nel leasing di godimento il rapporto di leasing persegue essenzialmente una funzione di finanziamento, con la conseguente qualificazione dei canoni come corrispettivo del godimento del bene. Differente é l’ipotesi di leasing traslativo, in cui le parti hanno individuato nel contratto una prevalente funzione di trasferimento della proprietà del bene attribuendo a quest’ultimo, alla scadenza del rapporto, un elevato valore residuo ben superiore al prezzo di opzione. Mentre, nel primo caso, il negozio é stato ricondotto nella categoria dei contratti ad esecuzione continuata o periodica e, in quanto tale, considerato non soggetto agli effetti retroattivi della risoluzione ai sensi dell’art. 1458, comma 1°, c.c., nel secondo caso, considerata la eadem ratio, deve ritenersi applicabile in via analogica la disciplina prevista dall’art. 1526 c.c. in materia di vendita con riserva della proprietà[219].

La risoluzione parziale del contratto espressamente prevista dall’art. 1458 c.c. nell’ipotesi di contratti ad esecuzione continuata o periodica é ammissibile anche nell’ipotesi in cui l’oggetto del negozio sia rappresentato non già da una sola cosa caratterizzata da una sua unicità non frazionabile, ma da più cose aventi una propria individualità[220].

La risoluzione parziale del contratto é ammissibile anche nella ipotesi in cui l’oggetto del negozio sia rappresentato non già da una cosa caratterizzata da una sua unicità non frazionabile, ma da più cose funzionalmente collegate perché esse, una volta separate, abbiano una propria individualità fisica rispetto all’aggregato, conservino una concreta funzione economico giuridica ed abbiano attitudine ad essere oggetto di diritti come beni a se stanti[221].

  • Retroattività

Solo tra le parti

L’acquisto dei terzi non é pregiudicato purché in materia immobiliare sia stato osservato il disposto dell’art. 2652 c.c. n.1, pertanto il terzo prevarrà solo se avrà trascritto il proprio acquisto anteriormente alla trascrizione della domanda di risoluzione o della domanda che mira ad accertare l’avvenuta risoluzione di diritto, in caso di contestazione dei presupposti di legge.

La risoluzione deve essere annotata ai fini della continuità della trascrizione in margine alla trascrizione del contratto risolto.

  • Restituzione e la relativa domanda

La disposizione dell’art. 1458 c.c., secondo cui la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, significa soltanto che la risoluzione toglie valore alla causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali già effettuate, mentre l’obbligo delle reciproche restituzioni nasce dalla sentenza, che ha natura costitutiva e correlativa efficacia ex nunc. Ne consegue che il compratore che sia attore o convenuto in giudizio per la risoluzione della vendita ha l’obbligo di custodire la cosa venduta quale obbligato sub conditione alla restituzione di essa, mentre la proposizione della domanda di risoluzione non importa di per sé un’offerta di restituzione dell’oggetto del contratto[222].

Pertanto, all’effetto della risoluzione consegue l’obbligo reciproco restituzioni di quanto ricevuto, salvo il caso dei contratti di durata (ad esecuzione continuata o periodica), secondo le regole fissate per la ripetizione dell’indebito e dunque non di ufficio, in caso di risoluzione giudiziale.

Naturalmente l’azione di risoluzione non può essere iniziata da chi non é in grado di operare le restituzioni.

La declaratoria di risoluzione del contratto, pur comportando, per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall’art. 1458 c.c., l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere i relativi provvedimenti restitutori, in assenza di domanda della parte interessata[223].

Anche se la stessa Cassazione[224] stabiliva che la risoluzione del contratto per inadempimento produce effetti liberatori e restitutori: se questi ultimi non possono essere disposti in forma specifica, il giudice deve ordinarli per equivalente, ancorché questa forma di restituzione non sia stata esplicitamente chiesta dalla parte interessata.

In realtà a parere di chi scrive l’effetto restitutorio deve rispecchiare l’interesse del soggetto adempiente, qualora opti per la restituzione del bene é giusto che domandi al Giudice tale volontà, poiché non potrebbe quest’ultimo d’ufficio intenderla attraverso un proprio ragionamento.

In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, il diritto della parte adempiente al ripristino retroattivo delle proprie posizioni comporta, ove la parte inadempiente non sia in grado di restituire il bene ricevuto, oppure questo sia diminuito di valore dopo l’epoca della stipulazione del contratto stesso, che deve riconoscersi a detta parte adempiente la facoltà di reclamare una somma corrispondente al più alto valore della cosa all’indicata epoca, al fine della ricostituzione della sua situazione patrimoniale nell’originaria consistenza[225].

Gli effetti restitutori che scaturiscono dalla pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento del venditore non comportano che la res vendita debba sempre essere a questi restituita nelle condizioni in cui si trovava al momento della traditio. L’eventuale diminuzione di valore che la cosa abbia subito per il decorso del tempo fino alla pronuncia di risoluzione o per l’uso normale che di essa abbia fatto il compratore adempiente uso cui, nell’equilibrio dell’originario sinallagma, corrisponde il godimento del prezzo da parte del venditore, deve essere sopportato da quest’ultimo come conseguenza del suo inadempimento[226].

Principio già espresso in altra pronuncia[227] secondo la quale nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, facendo venir meno la causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta il sorgere, a carico di ciascun contraente — ed a prescindere dall’imputabilità delle inadempienze — dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta. Pertanto, in ipotesi di pronunciata risoluzione di un contratto di compravendita di immobile per inadempimento del venditore (consistente, nella specie, nell’aver venduto un appartamento privo dell’abitabilità, e perciò di una qualità essenziale), sorge a carico dell’acquirente l’obbligo di corrispondere alla controparte — che ne abbia fatto espressa richiesta — l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene per il relativo periodo; tale prestazione, tuttavia, non può venire in considerazione, con riguardo all’entità del risarcimento dovuto dal venditore inadempiente, ai fini dell’applicabilità della compensatio lucri cum damno, non potendo configurarsi l’uso e il godimento del bene suddetto come un vantaggio derivato all’acquirente danneggiato quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del venditore.

Se la prestazione da restituire ha una natura pecuniaria si applicano i principi stabiliti dall’art. 2033 c.c.

art. 2033 c.c.    indebito oggettivo: chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti (c.c.820 e seguenti) e agli interessi (c.c.1284) dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede (c.c.1147), dal giorno della domanda (C.p.c. 163).

L’obbligo di restituzione di una somma di denaro conseguente alla risoluzione del contratto configura un debito di valuta, sia quando grava sulla parte incolpevole, sia allorché obbligata alla restituzione é la parte che, con la propria inadempienza, ha causato la risoluzione del contratto, attesa la persistente natura non risarcitoria del relativo debito, avente ad oggetto l’originaria prestazione pecuniaria, del tutto distinto dal risarcimento del danno spettante in ogni caso all’adempiente. Pertanto, in quest’ultimo caso poiché con la domanda di risoluzione e di restituzione del corrispettivo versato il debitore é costituito in mora alla parte adempiente, oltre al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., può eventualmente spettare soltanto il maggior danno rispetto agli interessi moratori ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c. sulla somma da restituire, sempre che questo risarcimento ulteriore, del quale il richiedente ha l’onere di provare le condizioni, non rimanga assorbito dal risarcimento accordato per il danno derivante dall’inadempimento, dovendosi evitare una ingiustificata duplicazione del risarcimento dello stesso danno[228].

Per le Sezioni Unite[229] con riguardo alla risoluzione del contratto per inadempimento, l’obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo di anticipo del corrispettivo costituisce debito di valuta e non di valore, insensibile, come tale al fenomeno della svalutazione monetaria, salvo che il creditore non dimostri di avere risentito, per l’indisponibilità della somma anticipata — la cui restituzione, peraltro, deve avvenire con le maggiorazioni imputabili a titolo degli interessi compensativi, i quali, tenuto conto della efficacia retroattiva della pronuncia di risoluzione, hanno la funzione di compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della somma stessa —, eventuali ulteriori danni, e perciò anche di quello sofferto in conseguenza della svalutazione monetaria, e ne chieda il risarcimento.

Se oggetto della prestazione da restituire é un bene determinato si applicano i principi stabiliti dall’art. 2037 c.c.

 

art. 2037 c.c.    restituzione di cosa determinata: chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata é tenuto a restituirla.

Se la cosa é perita, anche per caso fortuito (c.c.1218, 1256), chi l’ha ricevuta in mala fede é tenuto a corrisponderne il valore; se la cosa e soltanto deteriorata, colui che l’ha data può chiedere l’equivalente, oppure la restituzione e un’indennità per la diminuzione di valore.

 

Chi ha ricevuto la cosa in buona fede (c.c. 1147) non risponde del perimento o del deterioramento di essa, ancorché dipenda da fatto proprio, se non nei limiti del suo arricchimento.

Gli stessi principi, naturalmente valgono per la parte adempiente.

In particolare, se questa ha ricevuto una cosa determinata, deve restituirla; si ritiene[230], però, che se la parte adempiente ha definitivamente utilizzato la prestazione ovvero la restituzione é divenuta impossibile, in tal caso essa non potrà chiedere la risoluzione del contratto, poiché non é in condizione di restituire la prestazione.

Obbligo dei rimborsi

Essi conseguono alla restituzione di una cosa specifica, nel senso che la parte che restituisce ha il diritto di essere rimborsata delle spese e dei miglioramenti fatti per la cosa.

art. 2040 c.c.    rimborso di spese e di miglioramenti: colui al quale é restituita la cosa é tenuto a rimborsare il possessore delle spese e dei miglioramenti, a norma degli artt. 1149, 1150, 1151 e 1152.

Interessi

A seguito della risoluzione del contratto le somme spettanti a titolo di restituzione del prezzo pagato dalla parte inadempiente producono soltanto gli interessi compensativi, ma non possono essere rivalutate in caso di sopravvenuta svalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta, né il debitore, inadempiente, essendo egli stesso in colpa, può pretendere alcun risarcimento del danno neppure sotto il profilo previsto dal secondo comma dell’art. 1224 c.c. per le obbligazioni pecuniarie, atteso che detta norma é dettata a tutela del creditore adempiente, allorché il danno da lui sofferto non é risarcito in misura adeguata dalla semplice liquidazione degli interessi moratori[231].

Per altra pronuncia[232], invece, a norma del combinato disposto degli artt. 1453 e 1458 c.c., la parte adempiente che chiede la risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento dell’altra ha diritto sia alla restituzione della somma pagata in conto prezzo, in virtù dell’efficacia retroattiva della risoluzione, sia al risarcimento del danno, comprensivo anche del pregiudizio costituito dal deprezzamento della somma pagata, con la conseguenza che tale somma, pur essendo oggetto di una obbligazione pecuniaria, avendo per oggetto il prezzo corrisposto dalla parte adempiente, deve essere restituita con la rivalutazione monetaria perché solo in tal modo quest’ultima parte é reintegrata nella posizione in cui era al momento della conclusione del contratto.

Frutti

Nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività (art. 1458, comma primo, c.c.) della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta il sorgere, a carico di ciascun contraente, ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili, dell’obbligo a restituire la prestazione ricevuta, e, nel caso in cui la stessa abbia avuto per oggetto una cosa fruttifera, i frutti (naturali o civili) percepiti, ovvero, qualora di essi non sia possibile la restituzione, di corrispondere l’equivalente in danaro[233].

Equivalente pecuniario

Tra gli effetti restitutori conseguenti alla pronunciata risoluzione di un contratto preliminare di vendita per inadempimento del promittente venditore, rientra l’obbligo del promissario, al quale sia stato anticipatamente consegnato l’immobile promesso in vendita, di corrispondere alla controparte (che ne abbia fatto espressa richiesta) l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene nell’intervallo compreso tra la consegna ed il rilascio del medesimo; detta prestazione, traendo origine esclusivamente dal venir meno, a seguito della pronunziata risoluzione, del titolo giustificativo dell’attribuzione patrimoniale, non può venire in considerazione con riguardo all’entità del risarcimento del danno dovuto dal promittente ai fini dell’applicabilità della compensatio lucri cum damno, non trattandosi di vantaggio che l’inadempienza del promittente — per cui fatto e colpa il contratto preliminare sia stato risolto — abbia procurato, come conseguenza diretta ed immediata, al promissario danneggiato[234].

Risarcimento del danno

Anche se, la stessa Cassazione, ha previsto che mentre la somma di denaro, all’atto della conclusione di un contratto preliminare di compravendita, consegnata dal promissario acquirente al promittente venditore a titolo di caparra confirmatoria, assolve la funzione, in caso di successiva risoluzione del contratto per inadempimento, di preventiva liquidazione del danno per il mancato pagamento del prezzo, mentre il danno da illegittima occupazione dell’immobile, frattanto consegnato al promissario, discendendo da un distinto fatto illecito, costituito dal mancato rilascio del bene dopo il recesso dal contratto del promittente, legittima quest’ultimo a richiedere un autonomo risarcimento. Ne consegue che il promittente venditore ha diritto non solo a recedere dal contratto ed ad incamerare la caparra, ma anche ad ottenere dal promissario acquirente inadempiente il pagamento dell’indennità di occupazione dalla data di immissione dello stesso nella detenzione del bene sino al momento della restituzione, attesa l’efficacia retroattiva del recesso tra le parti[235].

 

  • Questioni processuali

     

Come già analizzato in precedenza l’effetto restitutorio scaturente dalla pronuncia di risoluzione, pur verificandosi, sul piano sostanziale, di diritto, é soggetto, sotto il profilo processuale, all’onere della domanda di parte; pertanto non può essere adottato d’ufficio dal giudice[236].

Anche perché la domanda di restituzione della prestazione effettuata conseguente alla risoluzione del contratto per inadempimento configura una domanda nuova rispetto a quella di risarcimento del danno che la parte abbia proposto insieme alla domanda di risoluzione, tanto con riferimento alla causa petendi, integrando essa una richiesta di ripetizione di indebito, cui é tenuta, in ipotesi, anche la parte non inadempiente, che trova la propria causa nella prestazione effettuata e nel venir meno del suo titolo e non già in un comportamento colpevole fonte di responsabilità contrattuale, quanto con riguardo al petitum, necessariamente limitato alla restituzione di quanto corrisposto e dei frutti percepiti[237].

In merito alla competenza territoriale per una massima della S.C.[238] la domanda con la quale una parte chiede la restituzione di un bene, in conseguenza della risoluzione del contratto di compravendita per la mancata prestazione a cui l’acquirente si sia obbligato, non ha natura reale ma personale. Ne consegue la concorrenza con il foro generale delle persone fisiche (art. 18 c.p.c.) di quello del foro facoltativo previsto dall’art. 20 del codice di rito per le cause relative a diritti di obbligazione con l’ulteriore conseguenza relativamente a tale ultimo criterio, che per determinare il giudice territorialmente competente, deve aversi riguardo alla predetta obbligazione, la cui inosservanza costituisce il presupposto della pretesa fatta valere in giudizio, sicché assume rilievo il luogo in cui l’obbligazione é sorta e non quello del locus rei sitae.

La proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, se pure rende privo di effetti l’adempimento tardivo, non impedisce al contratto di continuare a produrre i propri effetti, sino a quando la domanda non sia accolta. Da ciò consegue che ove il trasferimento della proprietà sia stato sottoposto dalle parti ad una condizione sospensiva, l’avverarsi di questa produce i propri effetti quand’anche avvenga successivamente alla domanda di risoluzione, purché prima dell’accoglimento di essa[239].

 

Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto. Ne consegue che, proposta in primo grado una domanda di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare, e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia ultra petita il giudice il quale ritenga che il contratto si sia risolto non già per inadempimento del convenuto, ma per impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti (ex art. 1453, secondo comma, c.c.) – ovvero per inadempimento dello stesso promissario acquirente – e condanni il promittente venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione é divenuta sine titulo) e non del doppio di essa[240].

 

G)       L’IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA

[241]

 

Se la prestazione diviene impossibile per causa non imputabile alla controparte l’obbligazione si estingue.

  • Scioglimento di diritto del contratto

Opera di diritto, cosicché l’eventuale sentenza che accerti l’impossibilità sopravvenuta e la consequenziale non imputabilità avrà l’efficacia di una sentenza di mero accertamento.

1)   Impossibilita totale

art. 1463 c.c.   impossibilità totale: nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata  per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.

  • Presupposti

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione, se consiste in un impedimento, assoluto ed oggettivo, a carattere definitivo, dà luogo alla risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1463 c.c., mentre, se ha natura temporanea, determina soltanto la sospensione (e non la risoluzione) del contratto stesso, ma non oltre i limiti dell’interesse del creditore al conseguimento della prestazione[242].

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha, non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione[243].

Sul punto, ultima Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|18 gennaio 2022| n. 1476.

ha riaffermato che in tema di risoluzione del contratto, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell’obbligazione (Principio riaffermato in fattispecie concernente variazione di piano regolatore incidente su atto di conciliazione giudiziale concluso in sede di giudizio di divisione consensuale dei beni comuni)

La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, analogamente a tutte le ipotesi (risoluzione per inadempimento, annullamento) in cui vengono meno dopo la costituzione del rapporto lo stesso fondamento e causa dell’obbligazione, é pur sempre caratterizzata da un elemento sopravvenuto alla formazione del vincolo obbligatorio, il quale, impedendone l’attuazione ed incidendo sul sinallagma funzionale del rapporto, é riconducibile, negli effetti, alle suindicate ipotesi di sopravvenuta mancanza di causa della obbligazione[244].

Infine, per la liberazione del debitore dalla responsabilità per l’inadempimento, non é sufficiente l’obiettiva impossibilità della prestazione, ma é necessaria anche l’assenza di colpa del debitore medesimo[245].

Va ricordato che in base all’art. 1256 2co c.c., si ha estinzione anche nel caso d’impossibilità temporanea  quando, avuto riguardo della natura del contratto e il suo contenuto concreto, il creditore non può più pretendere la prestazione ovvero non ha più interessi a riceverla (in caso contrario, si avrà semplice sospensione dell’esecuzione della controprestazione).

art. 1256 c.c.     impossibilità definitiva e impossibilità temporaneal`obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile (1218, 1463 e seguenti).

Se l`impossibilità é solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non é responsabile del ritardo nell`adempimento. Tuttavia l`obbligazione si estingue se l`impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell`obbligazione o alla natura dell`oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla (1174).

 

In tale ipotesi di risoluzione del contratto non vi é, tuttavia, l’ulteriore obbligo del risarcimento, in quanto essa presuppone che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione non sia imputabile alla parte (secondo quanto stabilito dall’art. 1256); in caso contrario, infatti, si ricadrà nella risoluzione per inadempimento, con conseguente obbligo del risarcimento del danno.

Per ultima sentenza di merito in tema di contratti, l’impossibilità totale della prestazione si sostanzia in un impedimento assoluto ed oggettivo, a carattere definitivo, della prestazione che determina automaticamente l’estinzione dell’obbligazione e la conseguente risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte, in base a quanto disposto dagli artt. 1463 e 1256 c.c. Ciò perché viene meno la relazione di interdipendenza funzionale in cui la medesima obbligazione si trova con la prestazione della controparte. Si ha, viceversa, l’impossibilità parziale allorquando si verifichi un deterioramento della res dovuta o, più generalmente, una riduzione materiale della prestazione che dà luogo ad una corrispondente riduzione della controprestazione o al diritto di recesso per la parte che non abbia un apprezzabile interesse al mantenimento e conservazione del contratto, laddove la prestazione residua venga a risultare incompatibile con la causa concreta del contratto stesso[246].

Ad esempio, la situazione di grave crisi aziendale dell’affittuario di un contratto di affitto di ramo d’azienda non é idonea a giustificare la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., perché non ha carattere di obiettività ed assolutezza, che deve essere riferito alla possibilità fisica o giuridica di esecuzione della prestazione oggetto del contratto[247].

Nel contratto di viaggio vacanza «tutto compreso» (c.d. «pacchetto turistico» o «package», disciplinato attualmente dagli artt. 82 e segg. del d.lgs. n. 206 del 2005 — c.d. «codice del consumo»), che si caratterizza per la prefissata combinazione di almeno due degli elementi rappresentati dal trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) costituenti parte significativa di tale contratto, con durata superiore alle ventiquattro ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno un soggiorno notturno, la «finalità turistica» (o «scopo di piacere») non é un motivo irrilevante ma si sostanzia nell’interesse che lo stesso é funzionalmente volto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando, perciò, l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero. Ne consegue che l’irrealizzabilità di detta finalità per sopravvenuto evento non imputabile alle parti determina, in virtù della caducazione dell’elemento funzionale dell’obbligazione costituito dall’interesse creditorio (ai sensi dell’art. 1174 c.c.), l’estinzione del contratto per sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, con esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni[248].

Ai fini processuali, poi, nell’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, il diritto alla restituzione della prestazione effettuata, secondo le norme della ripetizione dell’indebito, deve essere fatto valere dal suo titolare con apposita domanda, mancando la quale il giudice non può pronunziare nel merito senza incorrere nel vizio di ultrapetizione. Pertanto, nell’ipotesi in cui il convenuto proponga domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, il giudice che accolga tale domanda non può condannare il convenuto alla restituzione della prestazione ricevuta, se l’attore non abbia proposto tempestiva ed esplicita richiesta in tale senso, nelle forme e nei termini della riconventio riconventionis[249].

2)   Impossibilita parziale

art. 1464 c.c. impossibilità parziale: quando la prestazione di una parte é divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.

 

La sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione é causa di risoluzione del contratto quando la prestazione ancora possibile lo sia in misura tale da compromettere la funzione economico-giuridica del contratto[250].

In tal caso a differenza dell’ipotesi precedentemente esaminata, non trova integrale applicazione la disciplina sull’impossibilità parziale della prestazione non imputabile al debitore dell’art. 1258.

 

art. 1258 c.c. impossibilità parziale: se tale impossibilità e solo parziale il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che é rimasta possibile.

Nel contratto a prestazioni corrispettive, in caso di impossibilità parziale della prestazione dovuta da una delle parti, é solo la parte creditrice della prestazione divenuta parzialmente impossibile che ha il diritto di avvalersi dei rimedi previsti dall’art. 1464 c.c., e che quindi può, in difetto di un interesse apprezzabile all’adempimento parziale, recedere dal contratto invece che usufruire di una riduzione della sua prestazione[251].

Qualora si opti per il recesso, la dottrina dominante afferma, che in tal caso e a differenza dell’impossibilità totale, occorra sempre una pronuncia giudiziale che valuti l’obiettiva mancanza d’interesse ad un adempimento parziale e che, di conseguenza, avrà natura costitutiva e non meramente dichiarativa.

Mentre l’eventuale equiparazione economica dell’impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione contrattuale alla sua impossibilità totale non é rimessa alla valutazione del giudice di merito, bensì a quella del contraente interessato[252].

3)   Contratto plurilaterale

art. 1466 c.c. impossibilità del contratto plurilaterale: nei  contratti indicati dall’art. 1420 c.c. l’impossibilità della prestazione di una delle parti non importa lo scioglimento del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancata debba secondo le circostanze considerarsi essenziale.

 

4)   Contratto traslativo

norma derogante al principio generale.

art. 1465 c.c.  contratto con effetti traslativi o costitutivi: nei contratti che trasferiscono la proprietà di una cosa determinata ovvero costituiscono o trasferiscono diritti reali il perimento della cosa per una causa non imputabile all’alienante non libera l’acquirente all’obbligo di eseguire la controprestazione ancorché la cosa non gli sia stata consegnata.

La stessa disposizione si applica nel caso in cui l’effetto traslativo o costitutivo sia differito fino allo scadere di un  termine (prima della scadenza del termine, in verità, la proprietà non é ancora passata all’acquirente, ma la norma si giustifica in quanto l’alienante ha già adempiuto alla sua prestazione principale di dare il consenso ed ha fatto tutto ciò che é necessario per il trasferimento del bene, che avverrà automaticamente al semplice scadere del termine. Egli, cioé, ha assolto il suo impegno contrattuale e, dunque, é esonerato dal rischio del perimento del bene).

Qualora oggetto del trasferimento sia una cosa determinata solo nel genere, l’acquirente non é liberato dall’obbligo di eseguire la controprestazione, se l’alienante ha fatto la consegna o la cosa é stata individuata.

L’acquirente é in ogni caso liberato dalla sua obbligazione, se il trasferimento  era sottoposto a condizione sospensiva e l’impossibilità e sopravvenuta prima che si verifichi la condizione.

La ragione di tale disciplina, che a prima vista potrebbe sembrare iniqua, si giustifica per la circostanza che nei contratti traslativi la proprietà (o altro diritto reale) si trasferisce con il semplice consenso (art. 1376), mentre la consegna rappresenta semplicemente un atto di esecuzione della prestazione dell’alienante e non un elemento del sinallagma.

Il rischio dell’eventuale perimento del bene, dunque, é sopportato da chi, in tale momento, ne é il proprietario, ossia dall’acquirente (res perit domino).

 

 

H)          L’ECCESSIVA ONEROSITÀ SOPRAVVENUTA

 

art. 1467 c.c. contratto con prestazioni corrispettive : nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti é divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art.1458.

La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto.

La parte contro la quale é domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto (962, 1623, 1664, 1923).

 

 

L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per potere determinare, ai sensi dell’art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto richiede la sussistenza di due necessari requisiti:

1)    da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto,

2)    dall’altro, la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale.

Il carattere della straordinarietà é di natura oggettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza.

L’accertamento del giudice di merito circa la sussistenza dei caratteri evidenziati é insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi[253].

Il carattere della straordinarietà é di natura obiettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, la intensità, eccetera, suscettibili di misurazione, quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di ordine statistico, mentre il carattere della imprevedibilità ha una radice soggettiva, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza. L’accertamento del giudice di merito circa la sussistenza dei caratteri evidenziati é insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi[254].

Un’ultima sentenza di merito[255] riprende a pieno il principio riportato, ovvero: l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per potere determinare, ai sensi dell’art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto richiede la sussistenza sia di uno squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto, che la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale. Inoltre, mentre il carattere della straordinarietà é di natura oggettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi quali la frequenza, le dimensioni e l’intensità, suscettibili di misurazioni, il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza.

Principio già inserito in altra sentenza di merito[256] secondo la quale la risoluzione del contratto per eccessiva impossibilità sopravvenuta, ex art. 1467 c.c., opera nella sola ipotesi in cui trovino verificazione eventi straordinari ed imprevedibili, tale che la operatività della codificata fattispecie risolutoria deve escludersi ogni qualvolta la sopravvenuta onerosità rientri nell’alea dell’ipotesi contrattuale. Ad esempio, si continua a leggere nella sentenza, una tale circostanza non può, in particolare, identificarsi nell’intervenuto fallimento della società controparte, poiché la procedura concorsuale astrattamente considerata é non già un avvenimento dotato del carattere della straordinarietà, bensì un rischio endemico nello svolgimento dell’attività di impresa. Avuto riguardo al caso specifico, avente ad oggetto la fattispecie contrattuale della vendita, da parte della convenuta all’attore, di quote societarie di un terzo poi fallito, deve rilevarsi che in realtà il fallimento della società le cui quote erano state dall’attore acquistate era tutt’altro che imprevedibile a questo, in quanto le cariche di amministratore dell’acquirente e di amministratore della società terza (poi fallita) erano concentrate nella stessa persona. In ipotesi siffatte deve, ad ogni modo, rilevarsi che la variabilità del valore delle azioni di una società nel tempo potrebbe anche rientrare nella normale alea del contratto, in quanto caratteristica specifica della tipologia del bene in questione onde, nella specie, l’applicabilità del disposto di cui all’art. 1467 c.c. deve escludersi anche sotto tale ultimo profilo.

Mentre l’alea normale di un contratto, che, a norma del secondo comma dell’art. 1467 c.c., non legittima la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, comprende anche, ad esempio[257], le oscillazioni di valore delle prestazioni originate dalle regolari e normali fluttuazioni del mercato, qualora il contratto sia espresso in valuta estera: in tale ipotesi, infatti, le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, hanno assunto un rischio futuro, estraneo al tipo contrattuale prescelto, così rendendo il contratto di mutuo aleatorio in senso giuridico e non solo economico, quanto al profilo della convenienza del medesimo.

In una massima della S.C.[258] é stabilito che l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione nei contratti a titolo gratuito consiste nella sopravvenuta sproporzione tra il valore originario della prestazione ed il valore successivo, mentre nei contratti onerosi (nel caso, permuta[259]) consiste nella sopravvenuta sproporzione tra i valori delle prestazioni, sicché l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, in presenza di squilibrio tra le prestazioni dovuto ad eventi straordinari ed imprevedibili, non rientranti nell’ambito della normale alea contrattuale, ai sensi dell’art. 1467 c.c. determina la risoluzione del contratto.

L’art. 1467 c.c., rivela l’intento di limitare la sua applicazione agli squilibri che importino reali difficoltà di esecuzione e non a quelli virtuali od eventuali, per sopraggiunta diminuzione del valore dell’altra prestazione, poiché tale squilibrio viene a costituire normale alea del contratto[260].

 

  • Ambito e applicabilità

 

Ogni qualvolta la prestazione é differita nel tempo.

Difatti, se le obbligazioni sinallagmatiche del contratto definitivo di compravendita — pagamento del prezzo e consegna del bene — sono state anticipate al momento della stipula del contratto preliminare, non può chiedersi la risoluzione di questo per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), poiché questa norma non é applicabile se l’alterazione dell’equilibrio patrimoniale delle predette prestazioni é successivo al loro adempimento[261].

É  applicabile anche in caso di contratto ad esecuzione immediata quando le parti hanno rinviato l’adempimento della prestazione ovvero quando la prestazione é divenuta temporaneamente impossibile e l’obbligazione non si estingue.

Per una pronuncia della S.C.[262] la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta che riguarda, ai sensi dell’art. 1467 c.c. esclusivamente i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, ove la prestazione non ancora adempiuta da una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa, non può trovare applicazione nell’ipotesi di vendita con efficacia reale immediata, ancorché le parti abbiano differito ad un momento ulteriore la stipula dell’atto notarile di vendita, inteso nella funzione meramente riproduttiva della preesistente scrittura privata, allo scopo di soddisfare le esigenze della pubblicità attraverso la trascrizione.

Con riguardo ad un contratto sottoposto a condizione sospensiva, e che rimanga inefficace per il mancato verificarsi della condizione, la clausola che regoli gli obblighi di restituzione conseguenti a tale inefficacia non può essere soggetta ai rimedi contemplati dall’art. 1467 c.c. per l’eccessiva onerosità sopravvenuta, riferendosi questi rimedi ad un contratto efficace, ancora da eseguire, e comunque al contratto stesso nella sua unità, non al singolo patto negoziale[263].

La sopravvenuta svalutazione monetaria, al pari di ogni altro avvenimento dal quale derivi lo squilibrio tra le prestazioni contrattuali, può giustificare la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, ai sensi e nei limiti di cui all’art. 1467 c.c., qualora, ancorché non provocata da eventi eccezionali, presenti caratteri di straordinarietà ed imprevedibilità[264].

É invece sicuramente esclusa l’applicabilità della norma in tutti quei casi in cui esiste una specifica disciplina normativa (nel caso previsto per l’appalto) o pattizia per porre rimedio alle conseguenze derivanti da variazioni di valore sopravvenute rispetto alla conclusione del contratto.

Difatti, l’istituto della presupposizione (c.d. condizione implicita) – introdotto dall’articolo 1467 del c.c. – ricorre quando una determinata situazione di fatto o di diritto passata, presente o futura, possa ritenersi tenuta presente dai contraenti, nella formazione del loro consenso, come presupposto condizionante il negozio. Ai fini della configurabilità dell’istituto in parola si richiede, pertanto, che l’elemento supposto sia comune a tutti i contraenti; che esso sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti ed, infine, che si tratti di un presupposto obiettivo, ossia consistente in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dall’attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica loro obbligazione. Nella specie in considerazione, poiché il fatto condizionante, se realmente esistente, ha inciso sulla volontà di uno solo dei contraenti, non é possibile ritenere risolto in contratto per il venir meno di una condizione implicita[265].

In realtà la Cassazione[266], aveva già stabilito che in tema di rapporti giuridici sorti da contratto, la cosiddetta «presupposizione» deve intendersi come figura giuridica che si avvicina, da un lato, ad una particolare forma di «condizione», da considerarsi implicita e, comunque, certamente non espressa nel contenuto del contratto e, dall’altro, alla stessa «causa» del contratto, intendendosi per causa la funzione tipica e concreta che il contratto é destinato a realizzare; il suo rilievo resta dunque affidato all’interpretazione della volontà contrattuale delle parti, da compiersi in relazione ai termini effettivi del negozio giuridico dalle medesime stipulato. Deve pertanto ritenersi configurabile la presupposizione tutte le volte in cui, dal contenuto del contratto, si evinca che una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, venga successivamente mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse, in modo tale che l’assetto che costoro hanno dato ai loro rispettivi interessi venga a trovarsi a poggiare su una base diversa da quella in forza della quale era stata convenuta l’operazione negoziale, così da comportare la risoluzione del contratto stesso ai sensi dell’articolo 1467 c.c.

Per la stessa ragione non é invocabile per quei negozi che, per effetto di apposite clausole, contengano in sé i rimedi atti ad ovviare agli squilibri tra le due prestazioni intervenuti dopo la stipulazione e nel corso della esecuzione (clausole di revisione prezzi, clausola oro, etc etc) non può operare, alla stregua di un criterio di ragionevolezza quando insorgano eventi talmente eccezionali, nella loro natura o nella loro entità, da vanificare, in concreto, il rimedio pattizio, nel qual caso deve applicarsi necessariamente la normativa suindicata, ove sia da escludere che le parti abbiano voluto concludere un contratto totalmente o parzialmente aleatorio[267].

Inoltre, non é applicabile a favore del contraente che abbia già ricevuto la controprestazione consistente in una somma di danaro, e che deduca la sopraggiunta svalutazione monetaria, in quanto detto contraente, in tale ipotesi, avrebbe potuto evitare le conseguenze negative del fenomeno inflattivo, mediante l’utile impiego della somma riscossa. La stessa situazione si verifica pure quando la controprestazione sia stata eseguita mediante l’accollo (semplice) del debito verso un terzo, poiché anche in tal caso il contraente ottiene l’immediato incremento patrimoniale consistente nella sua liberazione dall’obbligo di pagamento della somma di danaro che avrebbe dovuto corrispondere al suo creditore (restando soltanto esposto alle eventuali pretese del creditore nel caso di inadempimento dell’accollante), con la possibilità di investirla utilmente, neutralizzando gli effetti dannosi della svalutazione[268].

Ancora, secondo altra sentenza[269], non é ravvisabile nella mera variazione del prezzo della cosa promessa in vendita, rientrante nella normale alea contrattuale, ma solo in quella che comporta una notevole alterazione del rapporto originario fra le prestazioni, determinando nel loro ambito una situazione di squilibrio dei rispettivi valori con aggravio che alteri l’iniziale rapporto di equivalenza, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all’altra.

Infine non può essere fatta valere dalla parte che, con il suo inadempimento, abbia ritardato la esecuzione del contratto, rendendo necessario il ricorso della parte adempiente alla tutela giudiziaria; infatti, essendo posto a carico della parte inadempiente il rischio della sopravvenuta impossibilità della prestazione (art. 1221 c.c.), deve a fortiori ritenersi che sia a carico della stessa parte la sopravvenienza della eccessiva onerosità, la quale, rispetto all’ipotesi dell’impossibilità della prestazione, costituisce una situazione meno grave[270].

Si applica anche all’opzione[271] e al preliminare[272], perché le conseguenze negative che comporta la stipula del definitivo divenuto eccessivamente oneroso sono già insite e s’identificano nelle conseguenze negative del preliminare, che é atto strumentale.

Anche se, ad esempio, per una pronuncia di merito[273], in tema di vendita di cose immobili, non sussistono i presupposti per la pronuncia della risoluzione del contratto preliminare di compravendita, ai sensi dell’art. 1467 c.c., per eccessiva onerosità sopravvenuta, per effetto dal notevole rincaro dei prezzi del mercato immobiliare nel periodo intercorrente tra la stipula del preliminare ed il definitivo, non rappresentando quest’ultimo, un evento cui possa riconoscersi il carattere della straordinarietà o quello dell’imprevedibilità. Le oscillazioni del mercato immobiliare, difatti, rappresentano fenomeni connessi al normale andamento del mercato e relativamente al quale non può ritenersi sussistente né il carattere della straordinarietà, essendo tale solamente l’evento che non si ripeta con frequenza e regolarità nel tempo, ovvero quello che si manifesta raramente, né quello dell’imprevedibilità, ovvero l’evento estraneo a qualsivoglia ragionevolezza revisionale e del quale non si possono conoscere gli effetti.

 

  • Offerta di modifica del contratto

     

art. 1467 3  co c.c.: la parte contro la quale é domandata la risoluzione può evitarla offrendo di  modificare equamente le condizioni di contratto.

 

Con il termine «equamente», usato nel terzo comma dell’art. 1467 c.c., si richiede, perché sia evitata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, che la parte contro la quale la domanda é rivolta offra di così modificare le condizioni del contratto in modo che questo sia riportato ad un giusto rapporto di scambio, con la conseguenza che il corrispettivo deve essere uniformato, in quanto possibile, ai valori di mercato, così che venga eliminato lo squilibrio economico e le prestazioni siano ricondotte ad una piena equivalenza obiettiva; l’indagine del giudice deve, pertanto, essere condotta attenendosi a criteri estimativi oggettivi di carattere tecnico, e non soltanto con un mero criterio di equità[274].

Nel contratto unilaterale la riconduzione ad equità é, questa volta per opera del giudice, non potendosi configurare un offerta da parte di un controinteressato.

L’equa modificazione di un preliminare di vendita immobiliare divenuto eccessivamente oneroso ai sensi dell’art. 1467 c.c. va valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della pronuncia, tenendo conto anche della svalutazione monetaria maturatasi dalla data dell’offerta del promissario acquirente di modifica delle condizioni del contratto, giacché questa non sarebbe tale da ricondurre ad equità il contratto stesso se i due valori contrapposti, il bene ed il prezzo, risultassero alla fine ancora squilibrati. — Cass. 11-1-92, n. 247

  • Questioni processuali

La richiesta di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, da parte del contraente convenuto per l’esecuzione del contratto medesimo, integra una domanda riconvenzionale, non una semplice eccezione, in quanto é diretta al conseguimento di una pronuncia esorbitante dal mero rigetto della domanda attrice, e, pertanto, non può essere proposta per la prima volta in grado d’appello[275].

La stessa cassazione[276], però ha affermato che  l’eccessiva onerosità sopravvenuta é dal debitore deducibile anche in via di eccezione, al solo scopo di ottenere il rigetto della domanda di adempimento proposta nei suoi confronti, in quanto nell’ampia facoltà di domandare la risoluzione del contratto — alla quale soltanto si riferisce la previsione letterale della legge — deve ritenersi compresa quella più ristretta di eccepire il venir meno dell’obbligo e della responsabilità in virtù di quello stesso evento che autorizza a chiedere la risoluzione medesima.

In forza del principio secondo cui ciascuna delle parti ha l’onere di provare i fatti che allega e dai quali pretende far derivare conseguenze giuridiche a suo favore, chi deduce — in via di azione o di eccezione — l’eccessiva onerosità sopravvenuta, che abbia alterato il rapporto di proporzionalità tra le reciproche prestazioni, é tenuto a dimostrare i presupposti di cui all’art. 1467 c.c. per tutto l’arco di tempo intercorrente tra il momento in cui doveva avvenire l’esecuzione del contratto e quello in cui viene richiesto l’accertamento dell’eccessiva onerosità, potendo accadere che essa venga meno medio tempore, cioé in epoca successiva alla richiesta giudiziale di adempimento, ma anteriore alla domanda o alla eccezione formulata dalla parte che intende essere esonerata dall’esecuzione della prestazione[277].

Nei contratti a prestazioni corrispettive l’equa rettifica delle condizioni del negozio può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l’azione di risoluzione del negozio medesimo per eccessiva onerosità sopravvenuta, essendo da escludere che una richiesta di reductio ad aequitatem possa essere contrapposta ad una domanda di adempimento[278].

art. 1468 c.c. contratto con obbligazioni di una sola parte : nell’ipotesi prevista dall’art. precedente, se si tratta di un contratto nel quale una sola delle parti ha assunto obbligazioni, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione nelle modalità di esecuzione, sufficienti per ricondurla ad equità.

 

Inesigibilità secondo un autore[279] se sopravvengono eventi bensì prevedibili, ma che modificano l’equilibrio contrattuale, la risoluzione, o meglio lo scioglimento del contratto , potrebbe conseguire, ad una valutazione dell’economia del negozio qualora la pretesa alla prestazione divenuta eccessivamente onerosa apparisse contraria alla buona fede esecutiva e quindi inesigibile.

 

 

art. 1469 c.c.   contratto aleatorio: le norme degli articoli precedenti non si applicano ai contratti aleatori per loro natura [1872, 1919, 1933] o per volontà delle parti [14484, 14672, 14722].

 

Anche per i contratti cosiddetti commutativi le parti, nel loro potere di autonomia negoziale, possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze, che incidono o possono incidere sull’equilibrio delle prestazioni, ed assumere, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, l’applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell’ordinaria disciplina del contratto (art. 1467 e 1664 c.c.).

L’assunzione del detto rischio supplementare può formare oggetto di una espressa pattuizione, ma può anche risultare per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni[280].

NOTE


[1] Santoro – Passarelli – Mirabelli – Trabucchi – Scognamiglio

[2] Corte di Cassazione, sentenza  20-3-89, n. 1391

[3] Corte di Cassazione, sentenza  21230 del 2009; Corte di Cassazione, sentenza  7518 del 1992

[4] Per una maggiore disamina del contratto di mediazione aprire il seguente collegamento on-line Il contratto di mediazione

[5] Corte di Cassazione, sentenza  18515 del 20-8-2009. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che — dopo aver condannato il mediatore al risarcimento del danno nei confronti del cliente per non averlo informato dell’esistenza di una locazione ultranovennale, regolarmente trascritta, sull’immobile che questi aveva poi acquistato — aveva nel contempo stabilito che al mediatore spettasse il pagamento della provvigione, poiché l’avvenuta conclusione del contratto dimostrava la scarsa importanza dell’inadempimento

[6] Corte di Cassazione, sentenza , n. 3012 del 10/02/2010, Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 27 dicembre 2011, n. 28939

[7] Corte di Cassazione, sentenza  I, Corte di Cassazione, sentenza  23273 del 27-10-2006

[8] Corte di Cassazione, sentenza  14-12-2000, n. 15779

[9] Corte di Cassazione, sentenza  17-2-82, n. 1012

[10] Corte di Cassazione, sentenza  17562 del 31-8-2005

[11] Corte di Cassazione, sentenza  23-5-2000, n. 6690 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  19-4-2001, n. 5817

[12] Corte di Cassazione, sentenza  1-3-77, n. 845

[13] Corte di Cassazione, sentenza  7-3-91, n. 2402

[14] Corte di Cassazione, sentenza  9-7-84, n. 4020

[15] Corte di Cassazione, sentenza  28-2-85, n. 1741, conf. Corte di Cassazione, sentenza  22-5-86, n. 3408

[16] Corte di Cassazione, sentenza  12-6-85, n. 3516

[17] Corte di Cassazione, sentenza  2853 del 11-2-2005. Nella specie, relativa a canoni di locazione, la S.C. ha però cassato per difetto di motivazione la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di risoluzione per inadempimento della conduttrice, ritenendo che la mancata accettazione di due canoni di locazione da parte dei locatori comportasse anche il rifiuto dei successivi, peraltro non offerti, e quindi un comportamento colpevole di costoro e la non colpevolezza dell’inadempimento della conduttrice

[18] Corte di Cassazione, sentenza  27/02

[19] Corte di Cassazione, sentenza  16-9-91, n. 9619, rv. 473862 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  8-3-83, n. 1698

[20] Corte di Cassazione, sentenza  8-3-83, n. 1698

[21] Corte di Cassazione, sentenza  30-3-89, n. 1554, rv. 462351 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  20-4-82, n. 2454; Corte di Cassazione, sentenza  8-5-96, n. 4260

[22] Corte di Cassazione, sentenza  17-8-90, n. 8344

[23] Corte di Cassazione, sentenza  Sez. Un. 15-1-83, n. 329

[24] Corte di Cassazione, sentenza  10389 del 18-5-2005. Fattispecie relativa a contratto di locazione; la Corte di Cassazione, sentenza  ha confermato, correggendone la motivazione, la sentenza di merito che aveva escluso tanto la colpa del locatore nel difetto di manutenzione della cosa locata, perché i danni alla cosa provenivano da proprietà di terzi , quanto la colpa del conduttore, che aveva sospeso il pagamento dei canoni a causa dell’«inidoneità sopravvenuta» dell’immobile

[25] Vedi par.fo F) Gli Effetti – pag. 88

[26] Tribunale Foggia, civile, Sentenza 14 febbraio 2012, n. 195.

Già stabilito dalla Cassazione, per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 5 giugno 2012, n.9046 

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire se e quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale.

[27] Mosco – Carnevali – Macioce

[28] Corte di Cassazione sentenza n. 1573 dell’1.6.1974

[29] Per tutte Corte di Cassazione, sentenza  6-7-71, n. 2104

[30] Per una maggiore disamina del contratto preliminare aprire il seguente collegamento on-line  Le trattative ed il contratto preliminare 

[31] Corte di Cassazione, sentenza  18-11-87, n. 8486

[32] Corte di Cassazione, sentenza  29-4-91, n. 4762

[33] Corte di Cassazione, sentenza  24003 del 27-12-2004. Nella specie, relativa a compravendita immobiliare, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva considerato di non scarsa importanza il mancato pagamento di un terzo della caparra corrispondente all’importo di cinque milioni di lire

[34] Corte di Cassazione, sentenza  26-7-2000, n. 9800

[35] Per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di cassazione, sezione III, sentenza del 6 settembre 2012, n. 14929

[36] Corte di Cassazione, sentenza  5-3-87, n. 2345. Principio ripreso da ultima sentenza per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di cassazione, sezione II, sentenza 6 marzo 2012, n. 3477 . La non scarsa importanza dell’inadempimento, che, nel giudizio di risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, deve essere verificata anche di ufficio dal giudice, trattandosi di elemento che attiene al fondamento stesso della domanda, deve essere accertata non solo in relazione alla entità oggettiva dell’inadempimento, ma anche con riguardo all’interesse che l’altra parte intende realizzare e sulla base di un criterio, quindi, che consenta di coordinare il giudizio sull’elemento oggettivo della mancata prestazione, nel quadro dell’economia generale del contratto, con gli elementi soggettivi e che, conseguentemente, investa, specie nei casi di inadempimento parziale, anche le modalità e le circostanze del concreto svolgimento del rapporto, per valutare se l’inadempimento in concreto accertato abbia comportato una notevole alterazione dell’equilibrio e della complessiva economia del contratto, e l’interesse dell’altra parte, quale è desumibile anche dal comportamento di questa, al’esatto adempimento nel termine stabilito. Ne consegue che, nel caso di inadempimento parziale, il giudizio della non scarsa importanza dell’inadempimento non può essere affidato solo alla rilevata entità della prestazione inadempiuta, rispetto al valore complessivo della prestazione, costituendo questa soltanto uno degli elementi di vantazione

[37] Corte di Cassazione, sentenza  24-10-88, n. 5755

[38] Corte di Cassazione, sentenza  15-6-89, n. 2879

[39] Corte di Cassazione, sentenza  13-2-90, n. 1046

[40] In applicazione del suindicato principio la S.C. ha rigettato il ricorso affermando che, con riferimento a contratto di appalto per la realizzazione e messa in opera di serramenti in base al quale la società appaltatrice si era obbligata, oltre che alla realizzazione e fornitura di serramenti, anche ad organizzare il collegamento col lavoro dell’impresa posatrice -da individuarsi a cura di essa appaltatrice-, e a che la messa in opera dei serramenti seguisse alla consegna senza soluzioni di continuità -tale ulteriore prestazione essendo configurabile come servizio di mediazione offerto al cliente-, correttamente il giudice di prime cure, indipendentemente dal valore oggettivo della prestazione non adempiuta dall’appaltatrice, aveva valutato come grave l’inadempimento di quest’ultima obbligazione, in quanto deludeva l’aspettativa della committente al conseguimento di un risultato completo, che la esonerasse dalla ricerca di un’impresa cui affidare il compito di porre in opera i serramenti, rimanendo a tale stregua valorizzata la volontà di entrambi i contraenti in relazione allo stipulato regolamento contrattuale, nonché l’interesse oggettivo della committente all’adempimento del complesso delle obbligazioni assunte dall’appaltatrice ). Corte di Cassazione, sentenza  14034 del 1-7-2005

[41] Corte di Cassazione, sentenza  7083 del 28-3-2006

[42] Corte di Cassazione, sentenza  22-5-98, n. 5114 (v. anche Corte di Cassazione, sentenza  30-3-90, n. 2616).Nella specie, il giudice di merito aveva escluso, con pronuncia confermata in sede di legittimità, che l’inadempimento di un contraente, il quale aveva, peraltro, eseguito la sua prestazione di pagamento di ratei di prezzo prima della presentazione della domanda giudiziale di risoluzione e con ritardo di soli quattro mesi rispetto al termine convenuto, non potesse ritenersi di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto

[43] Corte di Cassazione, sentenza  3964 del 18-3-2003

[44] Corte di Cassazione, sentenza  4-9-91, n. 9358

[45] Corte di Cassazione, sentenza  31-7-87, n. 6643

[46] Corte di Cassazione, sentenza  14-2-94, n. 1460

[47] Corte di Cassazione, sentenza  4-9-91, n. 9358, Corte di Cassazione, sentenza  4-9-91, n. 9358

[48] Corte di Cassazione, sentenza  21-7-80, n. 4772

[49] a partire da S.U. n. 13533 del 30.10.2001, Corte di Cassazione, sentenza  15659 de 15/07/2011; n. 2387 del 09/02/2004; n. 2647 del 21/02/2003; Corte di Cassazione, sentenza  6395 de 01/04/2004; Corte di Cassazione, sentenza  15677 del 03/07/2009

[50] Corte di Cassazione, sentenza  4-4-75, n. 1204

[51] Corte di Cassazione, sentenza  4-3-77, n. 895

[52] Corte di Cassazione, sentenza  27302 del 12-12-2005.

[53] Corte di Cassazione, sentenza  8-11-93, n. 11049 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  28-4-86, n. 2925; Corte di Cassazione, sentenza  27-1-82, n. 536; Corte di Cassazione, sentenza  5-2-83, n. 966).

[54] Corte di Cassazione, sentenza  25-11-82, n. 6376

[55] Tribunale Roma, Sezione X civile, sentenza 10 gennaio 2012, n. 349. Nel caso di specie, in cui l’acquirente aveva acquistato due boxes adibiti ad autorimessa per i quali non era mai stato rilasciato il certificato di prevenzione incendio, si è ritenuto non configurarsi un’ipotesi di vendita di aliud pro alio, in quanto ciò non aveva comportato l’inidoneità dei beni ad assolvere alla loro tipica funzione economico-sociale in maniera assoluta e definitiva, bensì di vendita di bene privo di una qualità essenziale

[56] Sez. L, Corte di Cassazione, sentenza  12555 del 27-8-2003. Nella specie, concernente la domanda per l’accertamento della illegittimità della risoluzione di un contratto di agenzia, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso che la società convenuta avesse proposto domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, in quanto nella memoria di costituzione aveva fatto esclusivo riferimento alla clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto, dimostrando in tal modo di volere far valere soltanto l’asserita sopravvenuta risoluzione di diritto del contratto

[57]  Vedi par.fo G) – L’impossibilità totale –  pag. 100

[58] Corte di Cassazione, sentenza  14-1-92, n. 360

[59] Corte di Cassazione, sentenza  23-6-82, n. 3827

[60] Corte di Cassazione, sentenza  21-12-77, n. 5664

[61] Corte di Cassazione, sentenza  18-2-83, n. 1254

[62] Corte di Cassazione, sentenza  2-9-71, n. 2602

[63] Corte di Cassazione, sentenza  10-4-86, n. 2500 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  20-7-87, n. 6362)

[64] Corte di Cassazione, sentenza  23-7-91, n. 8199

[65] Corte di Cassazione, sentenza  5-6-84, n. 3404

[66] Corte di Cassazione, sentenza  14-6-99, n. 5832

[67] Corte di Cassazione, sentenza  5-2-83, n. 966

[68] Corte di Cassazione, sentenza  9-5-80, n. 3052

[69] Per una maggiore consultazione della tipologia del contratto a favore del  terzo aprire il seguente collegamento on-line Il contratto a favore del terzo

[70] Corte di Cassazione, sentenza  13674 del 13-6-2006

[71] Corte di Cassazione, sentenza  8615 del 12-4-2006

[72] Corte di Cassazione, sentenza  2853 del 11-2-2005. Nella specie, relativa a canoni di locazione, la S.C. ha però cassato per difetto di motivazione la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di risoluzione per inadempimento della conduttrice, ritenendo che la mancata accettazione di due canoni di locazione da parte dei locatori comportasse anche il rifiuto dei successivi, peraltro non offerti, e quindi un comportamento colpevole di costoro e la non colpevolezza dell’inadempimento della conduttrice

[73] Corte di Cassazione, sentenza  19826 del 4-10-2004

[74] Corte di Cassazione, sentenza  23-4-81, n. 2414

[75] Corte di Cassazione, sentenza  15-10-92, n. 11279 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  21-3-87, n. 2827; Corte di Cassazione, sentenza  7-8-82, n. 4445; Corte di Cassazione, Sez. Un. 18-2-89, n. 962; Corte di Cassazione, sentenza  22-7-93, n. 8192

[76] Corte di Cassazione, sentenza  11-5-87, n. 4325  (conf. Corte di Cassazione, sentenza  19-2-93, n. 1698).

[77] Corte di Cassazione, sentenza  23-11-79, n. 6134

[78] Corte di Cassazione, sentenza  7-2-79, n. 837

[79] Il divieto posto dall’art. 1453 cod. civ. di chiedere l’adempimento una volta domandata la risoluzione del contratto, non può essere inteso in senso assoluto, ma è operante soltanto nei limiti in cui esiste l’interesse attuale del contraente, che ha chiesto la risoluzione, alla cessazione del rapporto, per modo che, quando tale interesse viene meno, per essere stata rigettata o dichiarata inammissibile la domanda di risoluzione, la preclusione non opera, essendo cessata la ragione del divieto. Da ciò consegue che le due domande, di risoluzione e di adempimento, possono essere proposte, in via subordinata, anche nello stesso giudizio. Corte di Cassazione, sentenza  9-2-95, n. 1457, conf. Corte di Cassazione, sentenza  9-12-88, n. 6672.

[80] Al fine della proponibilità della domanda di adempimento del contratto a prestazioni corrispettive, l’ostacolo costituito dal precedente esperimento di azione per la risoluzione del contratto medesimo (art. 1453, secondo comma, cod. civ.) viene meno a seguito della declaratoria d’estinzione del giudizio inerente a tale domanda risolutoria. Corte di Cassazione, sentenza  25-11-83, n. 7078

[81] La disposizione dell’art. 1453, comma secondo, cod. civ. la quale in deroga agli artt. 183, 184, 345 cod. proc. civ. consente di sostituire all’originaria domanda di esecuzione del contratto quella di risoluzione per inadempimento, trova applicazione anche nel caso in cui la condanna all’adempimento sia stata pronunciata con sentenza passata in giudicato, sempre che questa non abbia avuto esecuzione per essere proseguito l’inadempimento. Corte di Cassazione, sentenza  18-5-94, n. 4830

[82] Gazzoni

[83] Corte di Cassazione, sentenza  11-5-96, n. 4444  (v. Corte di Cassazione, sentenza  22-11-95, n. 12092).

[84] Corte di Cassazione, sentenza  1077 del 19-1-2005

[85] Corte di Cassazione, sentenza  19-12-2000, n. 15969

[86] Corte di Cassazione, sentenza  23-5-75, n. 2065

[87] Corte di Cassazione, sentenza  1003 del 18-1-2008

[88] Corte di Cassazione, sentenza  15-10-92, n. 11279, (conf. Corte di Cassazione, sentenza  21-3-87, n. 2827; Corte di Cassazione, sentenza  7-8-82, n. 4445; Corte di Cassazione,  Sez. Un. 18-2-89, n. 962; Corte di Cassazione, sentenza  22-7-93, n. 8192).

[89] Sez. L, Corte di Cassazione, sentenza  13953 del 16-6-2009

[90] Corte di Cassazione, sentenza  17144 del 27-7-2006

[91] Corte di Cassazione, sentenza  29-8-90, n. 8955

[92] Corte di Cassazione, sentenza  28-2-87, n. 2145 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  18-6-91, n. 6880).

[93] Corte di Cassazione, sentenza  29-11-84, n. 6254

[94] Corte di Cassazione, sentenza  22-9-81, n. 5172 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  10-1-80, n. 220; Corte di Cassazione, sentenza  18-5-85, n. 3058)

[95] Corte di Cassazione, sentenza  28-10-95, n. 11279 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  21-2-85, n. 1531; Corte di Cassazione, sentenza  20-12-88, n. 6959; Corte di Cassazione, sentenza  9-2-93, n. 1595).

[96] Vedi par.fo D) punto 3) Termine essenziale pag. 60

[97] Corte di Cassazione, sentenza  8-5-96, n. 4260

[98] Corte di Cassazione, sentenza  24-11-81, n. 6247

[99] Corte di Cassazione, sentenza  6-6-97, n. 5086

[100] Corte di Cassazione, sentenza  29-5-99, n. 5235

[101] Vedi par.fo D) punto 3) Termine essenziale pag. 60

[102] Corte di Cassazione, sentenza  23315 del 8-11-2007. Principio confermato da ultima sentenza della Cassazione, per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di cassazione, sezione II, sentenza 6 marzo 2012, n. 3477  . La diffida ad adempiere ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che a detta clausola si ricollegano e, cioè, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine essenziale nell’interesse della parte adempiente, cui é rimessa la valutazione di farne valere la decorrenza e che può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi; tale diffida è stabilita nell’interesse della parte adempiente e costituisce non un obbligo ma una facoltà che si esprime a priori nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e a posteriori nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti, il che rientra nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all’art. 1454 cod. civ.

[103] Corte di Cassazione, sentenza  4-5-94, n. 4275

[104] Corte di Cassazione, sentenza  1-9-90, n. 9085. Confermato anche da ultima sentenza della Cassazione

Per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di cassazione, sezione II, sentenza 6 novembre 2012, n. 19105   La regola secondo cui il termine concesso al debitore con la diffida ad adempiere, cui è strumentalmente collegata la risoluzione di diritto del contratto, non può essere inferiore a quindici giorni, non è assoluta, potendosi assegnare, a norma dell’art. 1454 comma secondo c.c., un termine inferiore ritenuto congruo per la natura del contratto e per gli usi. L’accertamento della congruità dei termine costituisce un giudizio di fatto di competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se esente da errori logici e giuridici (Cass. 1-9-1990 n. 9085).

[105] Corte di Cassazione, sentenza  18-5-87, n. 4535

[106] Corte di Cassazione, sentenza  8250 del 6-4-2009. Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che – essendo passata in giudicato una sentenza di cui all’art. 2932 cod. civ. che subordinava l’effetto traslativo della compravendita al pagamento del residuo prezzo – aveva ritenuto incongruo il termine di quindici giorni concesso al debitore, non considerando che la diffida ad adempiere era stata notificata dal creditore oltre quattro mesi dopo il passaggio in giudicato della sentenza, e che nel frattempo il debitore aveva il dovere di attivarsi nella preparazione dell’adempimento

[107] Corte di Cassazione, sentenza  30-1-82, n. 590

[108] Corte di Cassazione, sentenza  27-7-73, n. 2210

[109] Gazzoni – Mirabelli

[110] Corte di Cassazione, sentenza  3-4-79, n. 1890

[111] Bianca

[112] Corte di Cassazione, sentenza  27-6-85, n. 3867

[113] Corte di Cassazione, sentenza  29-6-79, n. 3679. (Nella specie, si è ritenuta la validità dell’atto di diffida sottoscritto dal difensore, in quanto questi aveva dichiarato di agire come da incarico della cliente, e, quindi, in nome e per conto della stessa).

[114] Corte di Cassazione, sentenza  11-5-90, n. 4066

[115] Corte di Cassazione, sentenza  5-4-82, n. 2089

[116] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 23 novembre 2012, n. 20742

[117] Corte di Cassazione, sentenza  25-11-83, n. 7079. Conforme Corte di Cassazione, Sezione 6 civile
Ordinanza 6 luglio 2011, n. 14877. In caso di reiterazione di atti di diffida ad adempiere, il termine previsto dall’art. 1454 cod. civ. decorre dall’ultimo di essi, con la conseguenza che lo spatium agendi di quindici giorni, che necessariamente deve intercorrere tra il ricevimento della diffida e l’insorgenza della fattispecie risolutoria, deve essere rispettato a far data dall’ultima diffida.

[118] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 30 gennaio 2013, n. 2217

[119] Corte di Cassazione, sentenza  5407 del 13-3-2006, conforme, Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 29 novembre 2012, n. 21237. Anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, intimata dalla parte adempiente e rimasta senza esito, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento, verificando, in particolare, sotto il profilo oggettivo, che l’inadempimento non sia di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 cod. civ.

[120] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 17 agosto 2011, n. 17337

[121] Vedi par.fo E) punto 1) Eccezione di inadempimento – pag. 74

[122] Tribunale Milano, Sezione 11 civile, sentenza 5 dicembre 2012, n. 13625. Nella specie, in ogni caso, la clausola risolutiva espressa deve ritenersi senz’altro efficace, sussistendo la specifica sottoscrizione ex art. 1341, comma secondo, c.c., con conseguente legittimità della intimata risoluzione contrattuale alla luce del constatato inadempimento

[123] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 20 dicembre 2012, n. 23624

[124] Corte di Cassazione, sentenza  12-11-81, n. 5990

[125] Corte di Cassazione, sentenza  423 del 12-1-2007

[126] Vedi par.fo D) punto 3) Termine essenziale pag. 67

[127] Corte di Cassazione, sentenza  3-7-2000, n. 8881, (conf. Corte di Cassazione, sentenza  26-11-94, n. 10102).

[128] Gazzoni

[129] Corte di Cassazione, sentenza  8-7-87, n. 5956

[130] Corte di Cassazione, sentenza  167 del 5-1-2005

[131] Corte di Cassazione, sentenza  5-5-95, n. 4911. Corte di Cassazione, sentenza  9275 del 4-5-2005. Conforme In tema di clausola risolutiva espressa, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di volersi avvalere dell’effetto risolutivo di diritto di cui all’art. 1456 cod. civ. non deve essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, potendo essa per converso manifestarsi, del tutto legittimamente, con lo stesso atto di citazione o con altro atto processuale ad esso equiparato.

[132] Per tutti Capozzi

[133] Corte di Cassazione, Sez. Un. 20-1-89, n. 294

[134] Corte di Cassazione, sentenza  17-5-95, n. 5436.

[135] Corte di Cassazione, sentenza  10935 del 11-7-200

[136] Corte di Cassazione, sentenza  20595 del 22-10-2004

[137] Corte di Cassazione, sentenza 15026 del 15-7-2005

[138] Corte di Cassazione, sentenza  6-12-80, n. 6344

[139] Corte di Cassazione, sentenza  11-10-89, n. 4058. Corte di Cassazione, sentenza  18-6-97, n. 5455. L’operatività della clausola risolutiva espressa viene meno in conseguenza della rinunzia della parte interessata ad avvalersene, ma, qualora si deduca la rinunzia tacita — che è pur sempre un atto di volontà abdicativa, ancorché non manifestato espressamente, bensì mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto — l’indagine del giudice volta ad accertarne l’esistenza, implicando la risoluzione di una quaestio voluntatis, deve essere condotta in modo che non risulti alcun ragionevole dubbio sull’effettiva intenzione del preteso rinunziante. La tolleranza dell’avente diritto — che può estrinsecarsi sia in un comportamento negativo (mancata comunicazione della dichiarazione di avvalersi della clausola subito dopo l’inadempimento), che in un comportamento positivo (accettazione di un adempimento parziale) — non costituisce di per sé prova di rinunzia tacita, ove non risulti determinata dalla volontà di non più avvalersi della clausola, ma da altri motivi, e il giudice, qualora accerti che non è configurabile una rinunzia tacita ma solo un comportamento tollerante, non può attribuire ad esso alcuna rilevanza giuridica ai fini della inoperatività della clausola risolutiva.

[140] Corte di Cassazione, sentenza  28-1-93, n. 1029

[141] Corte di Cassazione, sentenza  14-7-2000, n. 9356

[142] Corte di Cassazione, sentenza  4-12-91, n. 13044

[143] Corte di Cassazione, sentenza  17-12-90, n. 11960

[144] Corte di Cassazione, sentenza  27-1-96, n. 635

[145] Vedi par.fo C) – L’adempimento successivo alla domanda di risoluzione (adempimento tardivo) pag. 42

[146] Vedi par.fo D) punto 1) Diffida ad adempiere pag. 44

[147] Corte di Cassazione, sentenza  8-5-80, n. 3047

[148] Tribunale Milano, Sezione 4 civile, sentenza 12 dicembre 2012, n. 13807

[149] Corte di Cassazione, sentenza  31-5-71, n. 1637

[150] Corte di Cassazione, sentenza  5-8-77, n. 3542. Nella specie un provvedimento amministrativo, poi rimosso, aveva temporaneamente impedito l’edificabilità di un terreno, oggetto di un preliminare di vendita, ed il compratore aveva perciò sospeso i pagamenti nei termini stabiliti

[151] Corte di Cassazione, sentenza  30-1-92, n. 1020

[152] Tribunale Monza, Sezione 2 civile, sentenza 25 gennaio 2011, n. 188

[153] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 24 novembre 2010, n. 23824

[154] Vedi par.fo F) Gli Effetti – pag. 88

[155] Bianca

[156] Mirabelli – Mosco

[157] Corte di Cassazione, sentenza  12-12-75, n. 4089

[158] Corte di Cassazione, sentenza  18-6-80, n. 3874. Corte di Cassazione, sentenza  2-12-96, n. 10751. Il termine per l’adempimento deve ritenersi essenziale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1457 cod. civ., quando ciò risulti da univoca ed espressa volontà delle parti, sia pure con formule non sacramentali, ovvero implicitamente dalla natura e dall’oggetto del negozio; ne consegue che, ove le parti abbiano fatto uso di espressioni specifiche e inequivoche, non è necessario un accertamento ulteriore teso ad escludere (anche sulla base di altri elementi) un interesse all’adempimento oltre il termine previsto. (Nella specie, l’essenzialità del termine era stata espressamente convenuta dalle parti che avevano altresì esplicitamente previsto la risoluzione del contratto in caso di inosservanza del termine).

[159] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 25 novembre 2011, n. 24990. In termini, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 7 giugno 2011, n. 12296, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 6 dicembre 2007, n. 25549, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 17 marzo 2005, n. 5797. Ad esempio secondo la Corte Capitolina, Corte d’Appello Roma, Sezione 2 civile, sentenza 8 novembre 2012, n. 5538, il termine indicato nel preliminare per la stipula del definitivo deve ritenersi essenziale solo qualora le parti lo abbiano espressamente considerato tale e questo suo carattere risulti comunque dal contratto, in considerazione della sua natura o del suo oggetto, quando l’utilità economica avuta presente dalle parti possa essere perduta per effetto dell’inutile decorso di quel termine. Tribunale Roma, Sezione 3 civile, sentenza 26 marzo 2012, n. 6202. Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1457 c.c., soltanto ove, all’esito dell’indagine, istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere compromessa l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del medesimo termine. (Nella fattispecie in esame, acquisto di un’autovettura, il tribunale ha ritenuto che un ritardo di 25 giorni nella consegna, rispetto ad un termine orientativamente previsto di 90, non facesse venir meno l’utilità economica che l’acquirente si era ripromesso di conseguire e, di conseguenza, autorizzato il venditore a trattenere la caparra versata).

[160] Corte di Cassazione, sentenza  26-10-79, n. 5621

[161] Corte di Cassazione, sentenza  14-2-75, n. 566

[162] Corte di Cassazione, sentenza  6-6-83, n. 3823

[163] Corte di Cassazione, sentenza  21-10-85, n. 5167

[164] Tribunale Roma, Sezione 11 civile, sentenza 12 luglio 2011, n. 15004

[165] Corte di Cassazione, sentenza  I, Corte di Cassazione, sentenza  10127 del 2-5-2006

[166] Vedi par.fo D) punto 2) Clausola risolutiva espressa pag. 53

[167] Corte di Cassazione, sentenza  26-11-94, n. 10102

[168] Corte di Cassazione, sentenza  22-11-85, n. 5766

[169] Per una maggiore consultazione della clausola penale e della caparra aprire il seguente collegamento on-line Il rafforzamento degli effetti del contratto; 1) la clausola penale; 2) la caparra confirmatoria; 3) La caparra penitenziale

[170] Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, sentenza 22 settembre 2011, n. 19358

[171] art. 1385 c.c.  caparra confirmatoria: se al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.

Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.

Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’ esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.

[172] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 6 settembre 2011, n. 18266

[173] Corte di Cassazione, sentenza  16-1-97, n. 387. Corte di Cassazione, sentenza  Sez. L., Corte di Cassazione, sentenza  5938 del 17-3-2006. L’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 cod. civ., attenendo al momento funzionale di ogni contratto a prestazioni corrispettive, trae fondamento dal nesso di interdipendenza che lega tra loro le opposte prestazioni, cioè dall’esigenza di simultaneità nell’adempimento delle reciproche obbligazioni scadute legate dal rapporto sinallagmatico. Pertanto, affinché il principio «inadimplenti non est adimplendum» operi anche con riguardo ad inadempienze inerenti a rapporti sostanzialmente diversi, è necessario che le parti, nell’esercizio del loro potere di autonomia, abbiano voluto tali rapporti come funzionalmente e teleologicamente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, onde tale principio non risulta applicabile a rapporti che siano indipendenti l’uno dall’altro. (Nella specie, la S.C. ha escluso che, proposta da un dirigente industriale azione per ottenere l’adempimento delle obbligazioni assunte dalla società datrice di lavoro con un contratto di transazione, potesse essere sollevata da quest’ultima l’eccezione di cui all’art. 1460 cod. civ., fondata sul mancato risarcimento del danno derivante da un reato asseritamente commesso dal dipendente in suo danno).

[174] Corte di Cassazione, sentenza  4-4-79, n. 1950

[175] Corte di Cassazione, sentenza  14-5-77, n. 1944

[176] Corte di Cassazione, sentenza  21973 del 19-10-2007

[177] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 15 maggio 2012, n. 7550

[178] Corte di Cassazione, sentenza  10816 del 11-5-2009

[179] Corte di Cassazione, sentenza  9-6-93, n. 6441

[180] Corte di Cassazione, sentenza  10-8-98, n. 7823

[181] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 28 gennaio 2013, n. 1882. Corte di Cassazione, sentenza  14-1-98, n. 271. Il diritto di ritenzione, trovando il suo fondamento nel generale principio di autotutela sancito dall’art. 1460 cod. civ. (per effetto del quale, nei contratti a prestazione corrispettive, ciascun contraente può rifiutare la propria prestazione in costanza di inadempimento della controparte), deve ritenersi legittimamente esercitato, da parte del contraente adempiente, anche nell’ipotesi di inadempimento, da parte dell’altro contraente, di un diverso negozio, purché quest’ultimo risulti collegato con l’altro contratto da un nesso di interdipendenza — fatto palese dalla comune volontà delle parti — che renda sostanzialmente unico il rapporto obbligatorio, e la cui valutazione è rimesso al prudente ed insindacabile apprezzamento del giudice di merito. In particolare, avuto riguardo alla fattispecie contrattuale disciplinata dall’art. 2222 e ss. cod. civ., il prestatore d’opera (nella specie, un carrozziere) non è legittimato a trattenere presso di sé il bene oggetto dell’eseguita prestazione per garantirsi il pagamento di altri lavori, eseguiti per incarico del medesimo committente, senza provare che l’esecuzione delle due prestazione è l’effetto di un (sostanzialmente) unico rapporto obbligatorio.

[182] Per una maggiore disamina del possesso aprire il seguente collegamento on-line   Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso – par.fo 7) punto D)

[183] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 21 maggio 2012, n. 8002. Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 15 maggio 2012, n. 7550. Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, il sinallagma, alla cui tutela è predisposto il rimedio offerto dall’art. 1460 c.c., va considerato separatamente per la consegna di ogni singola partita, e l’equilibrio sinallagmatico è costantemente attuato tra prestazione e controprestazione. Sono contratti ad esecuzione continuata o periodica quelli che fanno sorgere obbligazioni di durata per entrambe le parti e cioè quelli in cui l’intera esecuzione del contratto avviene attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi in corrispondenza reciproca nel tempo. In questo tipo di contratto, ciascuna prestazione già eseguita costituisce un adempimento “integrale e completo”, cui deve conseguire una controprestazione corrispondente, senza possibilità di sollevare un’eccezione di inadempimento, che non esiste in relazione a quella coppia specifica prestazione-controprestazione, sino al punto di escludere addirittura un “interesse alla risoluzione” per le prestazioni già eseguite, rispetto alla domanda originaria. Tale principio è stato esteso, dopo un’iniziale diverso orientamento, anche ai contratti con consegne ripartite, in cui l’oggetto del contratto, diversamente dai contratti ad esecuzione continuata o periodica, è essenzialmente unitario. Ciò è stato sostenuto sul rilievo che, ove la prestazione sia economicamente scindibile, la eccezione “inadimplenti non est adimplendum“, di cui all’art. 1460 c.c., può paralizzare la richiesta della controprestazione relativa alla parte della prestazione non eseguita, ma non già quella relativa alla parte della prestazione eseguita, che non sia stata restituita né offerta in restituzione e che anzi sia stata utilizzata. Indipendentemente dalla soluzione in tema di contratto a consegne ripartite, nell’ipotesi del contratto ad esecuzione continuata o periodica, stante l’equilibrio tra ogni singola prestazione e controprestazione, è in quest’ambito che va esaminato lo squilibrio sinallagmatico ai fini della somministrazione dei relativi strumenti di tutela. Nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l’inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto. L’adattamento di tale principio alla peculiarità dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, comporta che, per tali tipi di contratto, l’eccezione di inadempimento può essere utilmente fatta valere solo allorché attenga alla prestazione di riferimento rispetto alla controprestazione richiesta all’eccipiente.

[184] Corte di Cassazione, sentenza  1690 del 26-1-2006

[185] Vedi par.fo D) punto 2) Clausola risolutiva espressa – pag. 51

[186] Corte di Cassazione, sentenza  13-7-82, n. 4122

[187] Corte di Cassazione, sentenza  17-4-70, n. 1107

[188] Corte di Cassazione, sentenza  10764/1999

[189] Corte di Cassazione, sentenza  30-3-89, n. 1554

[190] Corte di Cassazione, sentenza  10764/1999. Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 17 luglio 2012, n. 12301. Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 21 dicembre 2012, n. 23811. L’“exceptio inadimpleti contractus” di cui all’art. 1460 cod. civ., al pari di ogni altra eccezione, non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla sia desumibile, in modo non equivoco, dall’insieme delle sue difese, secondo un’interpretazione del giudice di merito che, se ancorata a correnti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di legittimità. Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 20 marzo 2012, n. 4446. L’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) non richiede, per la sua rilevabilità, l’espresso richiamo a tale articolo o l’impiego di formule sacramentali, ben potendo la relativa proposizione essere ravvisata – in base al principio “iuranovit curia” attribuente al giudice la qualificazione delle domande ed eccezioni proposte dalle parti – dal giudice di merito sulla base del complesso delle difese svolte dalla parte interessata, volte a contrastare in tutto o in parte le pretese di adempimento del contratto di cui sia portatrice la controparte, con accertamento che, ove adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.

[191] Corte di Cassazione, sentenza  S.U. 13533/2001

[192] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 4 gennaio 2013, n. 98.  Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, sentenza 15 luglio 2011, n. 15659. In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, perché l’eccezione si fonda sull’allegazione dell’inadempimento di un’obbligazione, al quale il debitore di quest’ultima dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall’esatto adempimento.

[193] Tribunale Taranto, Sezione 1 civile, sentenza 14 gennaio 2013, n. 64

[194] Tribunale Genova, Sezione 1 civile, sentenza 12 luglio 2012, n. 2627

[195] Tribunale Campobasso, civile, sentenza 21 giugno 2012, n. 440

[196] Tribunale Potenza, civile, sentenza 3 febbraio 2012, n. 177

[197] Tribunale Roma, Sezione 3 civile, sentenza 4 luglio 2011, n. 14311. Tribunale Roma, Sezione 5 civile, sentenza 1 luglio 2011, n. 14257. In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte. Sarà infatti il debitore convenuto ad essere gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Stesso criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.. Parimenti, nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.

[198] Tribunale Ivrea, civile, sentenza 3 giugno 2011, n. 341

[199] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 14 aprile 2011, n. 8511

[200] Tribunale Foggia, civile, sentenza 14 febbraio 2012, n. 195. Nella specie, rilevato che nessun inadempimento può essere contestato a carico dell’odierna opposta, e che, dunque, il mancato pagamento di quanto dovuto dall’opponente deve ritenersi non giustificato, consegue la reiezione dell’opposizione e la conferma dell’opposto provvedimento monitorio.

[201] Tribunale Trento, civile, sentenza 14 luglio 2011, n. 611

[202] Corte di Cassazione, sentenza  2059/1980

[203] Corte di Cassazione, sentenza 3548/1984

[204] Corte di Cassazione, sentenza  19-6-72, n. 1935

[205] Capozzi

[206] Gazzoni – Mirabelli – Bianca

[207] Corte di Cassazione, sentenza  17632 del 10-8-2007

[208] Corte di Cassazione, sentenza  4-8-88, n. 4835

[209] Corte di Cassazione, sentenza  3-12-93, n. 12011

[210] Tribunale Genova, Sezione 2 civile, sentenza 21 febbraio 2011, n. 813

[211] Corte di Cassazione, sentenza  19-4-96, n. 3713

[212] Corte di Cassazione, sentenza  27-2-95, n. 2227

[213]  Corte di Cassazione, sentenza  5-10-76, n. 3272

[214] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 21 febbraio 2008, n. 4446

[215] Vedi par.fo B) – imputabilità – pag. 13

[216] Vedi par.fo D) punto 3) Termine essenziale pag. 63

[217] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 31 gennaio 2012, n. 1388

[218] Corte di Cassazione, sentenza  2-4-96, n. 3019. Nella specie, la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha affermato che la locazione ha natura di contratto ad esecuzione continuata, che si concreta nella corresponsione del canone integrata dal godimento del bene protrattosi nel tempo

[219] Corte d’Appello Roma, Sezione 3 civile, sentenza 15 febbraio 2011, n. 624

[220] Corte di Cassazione, sentenza  3-6-91, n. 6244

[221] Corte di Cassazione, sentenza  5434 del 15-4-2002. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano rigettato la domanda di risoluzione parziale di un contratto di vendita relativo ad una cucina componibile con riferimento alla sola fornitura del marmo di copertura dei piani d’appoggio, ritenendo che questa singolarmente considerata, non fosse suscettibile di utilizzazione separata

[222] Corte di Cassazione, sentenza  18-2-80, n. 1192

[223] Corte di Cassazione, sentenza  341 del 14-1-2002

[224] Corte di Cassazione, sentenza  16-10-76, n. 3539

[225] Corte di Cassazione, sentenza  14-8-92, n. 9579

[226] Corte di Cassazione, sentenza  22-11-74, n. 3782

[227] Corte di Cassazione, sentenza  12-3-97, n. 2209

[228] Corte di Cassazione, sentenza  17-5-95, n. 5391 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  30-1-90, n. 587).

[229] Corte di Cassazione, Sez. Un. 4-12-92, n. 12942 (v. anche Corte di Cassazione, sentenza  20-5-97, n. 4465).

[230] Mirabelli – Bianca

[231] Corte di Cassazione, sentenza  5-7-90, n. 7052

[232] Corte di Cassazione, sentenza  26-2-93, n. 2456 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  27-1-96, n. 639).

[233] Corte di Cassazione, sentenza  5-4-90, n. 2802

[234] Corte di Cassazione, sentenza  5-4-90, n. 2802

[235] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 8 giugno 2012, n. 9367. Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 21 novembre 2011, n. 24510.  Il promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l’obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, è tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimità originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l’occupazione dell’immobile si configuri come “sine titulo”. Ne consegue che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell’immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all’intera durata dell’occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale. In termini, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 29 gennaio 2003, n. 1307

[236] Corte di Cassazione, sentenza  20257 del 20-10-2005

[237] Corte di Cassazione, sentenza  7083 del 28-3-2006

[238] Corte di Cassazione, sentenza  14-11-87, n. 8364

[239] Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, sentenza 24 luglio 2012, n. 12895

[240] Tribunale Roma, Sezione 10 civile, sentenza 14 marzo 2012, n. 5352

[241] Vedi par.fo C, punto 1) La domanda di risoluzione, pag. 28

[242] Corte di Cassazione, sentenza  22-10-82, n. 5496

[243] Corte d’Appello Firenze, Sezione 2 civile, sentenza 16 agosto 2011, n. 1104

[244] Corte di Cassazione, sentenza  24-4-82, n. 2548

[245] Corte di Cassazione, sentenza  5-6-76, n. 2046

[246] Tribunale Napoli, Sezione 10 civile, sentenza 3 dicembre 2012, n. 13068. Ciò detto, in merito ad un contratto di albergo, qualora si verifichi un evento dannoso nell’area in cui sorge la struttura alberghiera (nella specie un incendio) che pregiudichi la possibilità di godere delle bellezze naturali, caratteristica questa posta in risalto nella stessa descrizione del resort contenuta nel catalogo pubblicitario e che, pertanto, rappresenta una parte significativa della prestazione dell’albergatore, con l’ulteriore venir meno della possibilità di consumare i pasti nel ristorante, si determina un’impossibilità parziale dell’obbligazione dell’albergatore, nonché il venir meno dell’interesse di colui che aveva stipulato il predetto contratto e la caducazione, per evento non imputabile alle parti, della causa concreta del contratto concluso con la struttura ricettiva, intesa come lo scopo pratico del negozio, ovvero la sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare. In siffatta situazione, dunque, il contratto deve ritenersi estinto, non tanto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, quanto per la sua inidoneità a soddisfare l’interesse del creditore, interesse rientrante nel contenuto dell’obbligazione e non costituente un mero motivo irrilevante. Applicando quanto detto al caso di specie, si è ritenuta legittima la disdetta della prenotazione da parte degli attori che, a seguito dell’incendio che aveva colpito l’area circostante la struttura alberghiera convenuta, non avevano potuto godere del soggiorno turistico secondo le loro aspettative, essendo venuta meno la possibilità di fruire di uno scenario naturalistico di particolare suggestione caratterizzante la struttura alberghiera e che, di certo, doveva concorrere in maniera rilevante a realizzare lo scopo turistico cui era finalizzato il contratto oggetto di controversia.

[247] Tribunale Roma, civile, sentenza 13 dicembre 2011

[248] Corte di Cassazione, sentenza  16315 del 24-7-2007

[249] Corte di Cassazione, sentenza  6-5-80, n. 297

[250] Corte di Cassazione, sentenza  15-12-75, n. 4140

[251] Corte di Cassazione, sentenza  14-3-97, n. 2274. Nella specie, in relazione ad un contatto preliminare di vendita di un immobile da costruirsi a cura del promittente venditore, questi aveva chiesto la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta inerente a ostacoli urbanistici, ma il giudice di merito aveva rigettato tale domanda ed accolto invece la domanda di risoluzione per colpa del promittente venditore; la S.C. nel confermare tale sentenza ha enunciato il riportato principio, con riferimento al rilievo del ricorrente che la costruzione sarebbe stata possibile solo con riduzione delle superfici e dei volumi

[252] Corte di Cassazione, sentenza  19-9-75 n. 3066

[253] Corte di Cassazione, sentenza  22396 del 19-10-2006

[254] Corte di Cassazione, sentenza  23-2-2001, n. 2661

[255] Tribunale Roma, Sezione 10 civile, sentenza 10 gennaio 2012, n. 366

[256] Tribunale Bologna, Sezione 2 civile, sentenza 12 gennaio 2011, n. 80

[257] Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, ordinanza 21 aprile 2011, n. 9263

[258] Corte di Cassazione, sentenza  12235 del 25-5-2007. Nell’affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la configurabilità dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, quale conseguenza del venir meno della presupposizione, ritenendo non ricorrere nel caso nemmeno un’ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione legittimante la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1467 c.c., atteso il difetto dei necessari requisiti della straordinarietà e dell’imprevedibilità dell’evento

[259] Per una maggiore disamina del contratto di permuta  aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto di permuta

[260] Corte di Cassazione, sentenza  6-2-79, n. 794

[261] Corte di Cassazione, sentenza  13-6-97, n. 5349

[262] Corte di Cassazione, sentenza  16-5-91, n. 5480

[263] Corte di Cassazione, sentenza  10-1-86, n. 74

[264] Corte di Cassazione, sentenza  8-6-82, n. 3464. La svalutazione monetaria, al pari di ogni altro accadimento dal quale derivi squilibrio tra le prestazioni contrattuali può giustificare la risoluzione del negozio giuridico per eccessiva onerosità ai sensi e nei limiti dell’art. 1467 cod. civ. qualora, ancorché non provocata da avvenimenti eccezionali, presenti caratteri di imprevedibilità e straordinarietà. Corte di Cassazione, sentenza  23-6-95, n. 7145 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  13-1-95, n. 369)

[265] Tribunale Milano, Sezione 7 civile, sentenza 9 ottobre 2012, n. 10875

[266] Corte di Cassazione, sentenza  6631 del 24-3-2006. Nella specie, era stata esperita, dai proprietari del canale di carico di un mulino, domanda di pagamento dei relativi canoni nei confronti dell’affittuario consorzio di bonifica e avevano rigettato la domanda sia il primo che il secondo giudice, quest’ultimo, in particolare, avendo applicato l’articolo 1463 c.c. sul presupposto che il consorzio doveva ritenersi liberato dalla propria prestazione perché, a causa dell’erosione del letto del fiume, si era creato un dislivello tale, rispetto alla originaria imboccatura del canale, da rendere questo non più adatto a captare l’acqua dal fiume; la S.C. ha confermato la sentenza correggendone la motivazione sulla base dell’enunciato principio di diritto, in quanto la situazione di fatto «presupposta» dai contraenti nella formazione del loro consenso, pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali, doveva identificarsi nella possibilità materiale di immissione dell’acqua derivata dal consorzio nel canale di carico del mulino, possibilità venuta meno già da tempo per effetto dell’erosione del letto del fiume

[267] Corte di Cassazione, sentenza  29-6-81, n. 4249

[268] Corte di Cassazione, sentenza  13-5-82, n. 3005

[269] Corte di Cassazione, sentenza  13-7-84, n. 4114

[270] Corte di Cassazione, sentenza  31-10-89, n. 4554

[271] Per una maggiore disamina dell’opzione aprire il seguente collegamento on-line   L’opzione 

[272] Per una maggiore disamina del contratto di preliminare aprire il seguente collegamento on-line Le trattative ed il contratto preliminare   Ad esempio nel caso di un contratto preliminare di compravendita di un terreno edificabile -, il ritrovamento nel fondo di alcuni reperti archeologici non è stato ritenuto idoneo ad integrare il requisito della straordinarietà anche perché l’attore non aveva fornito la prova che nell’area geografica ove era sito il bene tale ritrovamento costituisse un fenomeno statisticamente non ricorrente. Tribunale Roma, Sezione 10 civile, sentenza 10 gennaio 2012, n. 366

[273] Tribunale Bologna, Sezione 2 civile, sentenza 13 ottobre 2010, n. 2816

[274] Corte di Cassazione, sentenza  9-10-89, n. 4023

[275] Corte di Cassazione, sentenza  26-2-82, n. 1233. Nel contratto a prestazioni corrispettive l’eccessiva onerosità sopravvenuta può essere invocata solo a fondamento di una domanda di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1467 cod. civ., e non quale mera eccezione per contrastare l’altrui richiesta di adempimento, essendo diretta al conseguimento di una pronuncia esorbitante dal mero rigetto della domanda di adempimento. Qualora, pertanto, la risoluzione per eccessiva onerosità sia dedotta in via riconvenzionale da parte del contraente convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto, il rilievo della inammissibilità di tale domanda riconvenzionale, perché proposta per la prima volta con l’atto d’appello, preclude ogni esame sulla relativa questione, non potendo l’onerosità sopravvenuta essere valutata nei limiti dell’eccezione avverso la domanda principale di adempimento. Corte di Cassazione, sentenza  10-2-90, n. 955

[276] Corte di Cassazione, sentenza  13-12-80, n. 6470

[277] Corte di Cassazione, sentenza  27-1-81, n. 608

[278] Corte di Cassazione, sentenza  5-1-2000, n. 46

[279] Bessone

[280] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 12 ottobre 2012, n. 17485. Nella specie, la S.C., affermando l’enunciato principio, ha assunto che la peculiare pattuizione, connotante di parziale aleatorietà il contratto di vendita inter partes, portava ad escludere l’applicabilità dell’art. 1497 c.c., non potendo dirsi promesse tra le parti, ma solo prefigurate come possibile rischio futuro, determinate qualità della cosa venduta, e cioé, segnatamente, la resa ottimale dell’impianto

Avv. Renato D’Isa

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