Rimozione degli alberi di alto fusto messi a dimora negli spazi esterni al condominio

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 24 aprile 2019, n. 11224.

La massima estrapolata:

Non può essere ordinata la rimozione degli alberi di alto fusto messi a dimora negli spazi esterni al condominio, se la clausola del contratto con cui i condomini avevano acquistato l’appartamento dalla società costruttrice del complesso condominiale prevedeva solo limiti di altezza per l’ulteriore palazzina da edificare nell’area condominiale.

Ordinanza 24 aprile 2019, n. 11224

Data udienza 9 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 23626/2014 proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale Rep. n. (OMISSIS) del (OMISSIS) in Roma per Notaio Dott.ssa (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2751/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Rilevato:
che la corte di appello di Roma, confermando la sentenza emessa dal tribunale della medesima citta’, rigettava la domanda con cui i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di una unita’ immobiliare nel complesso condominiale di via (OMISSIS), avevano chiesto la condanna del Condominio a rimuovere taluni alberi di alto fusto messi a dimora negli spazi esterni condominiali; alberi che ostacolavano il godimento del panorama dall’appartamento degli appellanti, attori in primo grado;
che, a fondamento della pretesa, gli attori deducevano una servitu’ “altius non tollendi” traente titolo da apposita clausola del contratto con cui essi avevano acquistato il loro appartamento dalla societa’ (OMISSIS) s.r.l., costruttrice del complesso condominiale;
che, secondo la corte di appello, la suddetta clausola prevedeva solo limiti di altezza per l’ulteriore palazzina da edificare nell’area condominiale, senza limitare il diritto di piantumazione di alberi di alto fusto; d’altra parte, si argomenta nel’impugnata sentenza, la destinazione a giardino di talune aree condominiali era vincolata dagli atti di obbligo sottoscritti dalla societa’ costruttrice;
che (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado;
che il Condominio ha depositato controricorso;
che la causa e’ stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 9 ottobre 2018, per la quale non sono state depositate memorie;
che in prossimita’ dell’adunanza la sig.ra (OMISSIS) e le sig.re (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato una procura alla lite datata 28.9.18 nei confronti di un nuovo difensore, dando atto del decesso di (OMISSIS), qualificandosi come eredi di quest’ultimo e chiedendo l’interruzione del giudizio;
considerato:
che l’istanza di interruzione del giudizio non puo’ essere accolta, perche’ nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’articolo 299 c.p.c. e ss. (Cass. 24635/15);
che con il primo motivo di ricorso, rubricato “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” i ricorrenti lamentano che la corte territoriale non avrebbe tenuto conto della circostanza che gia’ nel preliminare di compravendita immobiliare concluso tra i coniugi (OMISSIS) e la societa’ costruttrice-venditrice quest’ultima aveva garantito agli acquirenti che “per il fabbricato da costruirsi davanti all’appartamento di cui sopra il piano finito del parapetto della copertura solare e non superera’ come quota massima il livello del corrimano della ringhiera del balcone” (pag. 2, penultimo cpv., del ricorso); secondo i ricorrenti, tale clausola non poteva avere altro significato se non la costituzione di una servitu’ di veduta panoramica in favore dell’appartamento acquistato dei coniugi (OMISSIS);
che il motivo e’ inammissibile, in quanto, dopo la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono piu’ ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullita’ della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorieta’” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione puo’ essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Cass. 23940/17);
puo’ peraltro aggiungersi che il motivo si risolve, in sostanza, in una critica dell’interpretazione operata dalla corte territoriale sulla portata della clausola contrattuale sopra trascritta;
che la suddetta critica e’ inammissibile in sede di legittimita’, giacche’, come piu’ volte chiarito da questa Corte, l’interpretazione del contratto “e’ attivita’ riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimita’ solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione” (cfr. ex multis Cass. 16181/2017); nella specie i ricorrenti si limitano a riproporre un’interpretazione della suddetta clausola che e’ stata gia’ motivatamente disattesa dalla corte di merito (cfr. il terzo e quinto capoverso della motivazione della sentenza: “l’accordo contrattuale costitutivo della servitu’ prevedeva espressamente solo i limiti di altezza per le nuove costruzioni”, e “la servitus altius non tollendi non puo’ essere fatta valere nei confronti del Condominio e degli altri condomini se non nella misura strettamente aderente alla formulazione letterale del contratto, senza indebite interpretazioni analogiche o estensive”);
che i successivi dieci motivi di cui al punto 2 del ricorso (pagine 4 e seguenti) sono tutti proposti per violazione o falsa applicazione di legge;
che il motivo numerato come “1”, sebbene denunci la violazione di norme di diritto (nella specie, articoli 812, 813 e 840 c.c.), si risolve anch’esso in una inammissibile contrapposizione dell’ermeneusi contrattuale preferita dai ricorrenti a quella operata dal giudice di merito; i ricorrenti infatti, lungi dall’indicare una regola di diritto esplicitamente enunciata o implicitamente applicata dalla corte territoriale in contrasto con il disposto delle norme di cui si lamenta la violazione, si limitano a contestare l’interpretazione “secondo cui la Clausola di Salvaguardia nell’atto di compravendita riguarda soltanto la palazzina H e non anche la quinta dei 13 alberi messi a dimora fronte (OMISSIS)” (pagina 4);
che il motivo numerato come “2” e’ anch’esso inammissibile in quanto rivolto avverso la sentenza di primo grado e non avverso la sentenza della corte d’appello oggetto del presente ricorso (cfr. Cass. 6733/14, 15952/07, 5637/06);
che il motivo numerato come “3” denuncia la violazione dell’articolo 1079 c.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa trascurando il principio che la cosiddetta servitu’ di panorama, consistente nella particolare amenita’ del fondo dominante per la visuale di cui gode, e’ una servitus altius non tollendi, la cui lesione determina un danno ingiusto e risarcibile;
che il predetto motivo deve essere disatteso poiche’ non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata; la corte territoriale, infatti, non ha escluso che la presenza di alberi ad alto fusto nel giardino condominiale possa integrare in astratto gli estremi di una turbativa di una servitu’ di panorama, bensi’ ha ritenuto che, nel caso di specie, il presupposto per l’inquadramento della servitu’ dedotta in giudizio “tra quelle a tutela delle vedute panoramiche” non fosse stato “compiutamente allegato, ne’ provato in giudizio” (primo capoverso dell’ultima pagina della sentenza impugnata);
che i motivi numerati come “4”, “5”, “6” e “7” e “9”, possono essere trattati congiuntamente e vanno tutti disattesi giacche’ nella sentenza gravata non ricorrono le violazioni dei canoni di interpretazione contrattuale denunciate dai ricorrenti con riferimento al disposto degli articoli 1362, 1365, e 1366 c.c.; la corte d’appello ha correttamente valorizzato la lettera della clausola di cui si discute, argomentando come un divieto testualmente riferito alle costruzioni non potesse intendersi esteso anche alle piantumazioni; in tal modo la corte distrettuale si e’ uniformata all’insegnamento di questa Corte alla cui stregua “il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’articolo 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volonta’ dei contraenti” (Cass. 16181/17); nella specie il ricorrente non ha dedotto alcun indice esterno rivelatore di una volonta’ dei contraenti diversa da quella emergente dal prioritario elemento letterale che faceva riferimento al “fabbricato da costruirsi davanti all’appartamento di cui sopra”, limitandosi a sostenere una interpretazione della clausola in questione difforme da quella motivatamente adottata dal giudice di merito;
che il motivo, numerato come “8” attinge l’affermazione della sentenza secondo la quale non potevano “deduttivamente essere posti all’altrui proprieta’ privata limitazioni non espressamente previste in contratto”; secondo i ricorrenti, per contro, la portata precettiva della clausola sopra riportata avrebbe implicato l’impedimento alla piantumazione di alberi di alto fusto e sarebbe stato onere della costruttrice venditrice informare dell’esistenza di tale servitu’ i successivi acquirenti delle altre unita’ immobiliari facenti parte del condominio;
che il motivo e’ inammissibile perche’ non coglie la ratio decidendi, giacche’ la corte territoriale ha, appunto, escluso che la portata precettiva della clausola sopra riportata implicasse l’impedimento alla piantumazione di alberi di alto fusto;
che il motivo numerato come “10” (rubricato “Spese di lite a favore di convenuto contumace”) denuncia l’errore in cui la corte territoriale sarebbe incorsa condannando gli odierni ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di secondo grado in favore del Condominio appellato, ancorche’ quest’ultimo dovesse ritenersi contumace per nullita’ dell’atto di costituzione dell’amministratore, gia’ in primo grado, in difetto di autorizzazione alla lite deliberata dall’assemblea condominiale;
che, al riguardo, nel mezzo di ricorso si riferisce che la corte territoriale aveva invitato il Condominio a produrre la ratifica assembleare della costituzione in giudizio dell’amministratore; l’amministratore aveva conseguentemente indetto un’assemblea straordinaria per il giorno 12.11.2013; anche in tale assemblea la ratifica della costituzione in giudizio dell’amministratore non era stata deliberata per difetto della maggioranza richiesta; il condominio ha abbandonato la causa “senza presentare altri scritti o presenziare all’ultima udienza” gli odierni ricorrenti avevano impugnato la delibera del 12.11.2013 davanti al tribunale di Roma;
che il motivo va giudicato inammissibile per difetto di specificita’, in quanto la doglianza non viene ricondotta ad alcuna delle ipotesi tassativamente previste nei numeri da 1 a 5, dell’articolo 360 c.p.c.; infatti, ne’ dalla rubrica, ne’ dallo sviluppo argomentativo del mezzo di gravame risulta possibile comprendere se quest’ultimo sia volto a denunciare un vizio di violazione di legge (nell’esposizione della censura non si fa riferimento ad alcuna disposizione normativa di cui si addebiti alla corte territoriale la violazione o la falsa applicazione) o un vizio relativo all’accertamento di fatto in ordine alla adozione – in esito dell’assemblea condominiale del 12.11.2013 – di una delibera di ratifica della costituzione in giudizio dell’amministratore (cfr. Cass. 11603/18: “Il giudizio di cassazione e’ un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassativita’ e della specificita’ ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’articolo 360 c.p.c.”);
che quindi in definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola;
che le spese seguono la soccombenza;
che la domanda del condominio controricorrente di condanna dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., commi 1 o del comma 3, non puo’ trovare accoglimento, non ricorrendo i presupposti della temerarieta’ dell’impugnazione;
che deve altresi’ darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti del raddoppio del contributo unificato Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Ni sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 1 bis, dello stesso articolo 13.

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