Rimessa alla Corte di Giustizia Ue la questione se sia compatibile con l’esercizio della libertà di stabilimento garantita dall’art. 49 del TFUE

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Ordinanza 31 agosto 2020, n. 5299.

 

«E’ rimessa alla Corte di Giustizia Ue la questione se sia compatibile con l’esercizio della libertà di stabilimento garantita dall’art. 49 del TFUE e con l’esercizio della libera prestazione di servizi garantita dall’art. 56 TFUE l’introduzione di una normativa quale quella contenuta nell’art 1, comma 649, l. n. 190 del 2014, la quale riduca aggi e compensi solo nei confronti di una limitata e specifica categoria di operatori, ovvero solo nei confronti degli operatori del gioco con apparecchi da intrattenimento, e non nei confronti di tutti gli operatori del settore del gioco; se sia compatibile con il principio di diritto europeo della tutela del legittimo affidamento l’introduzione di una normativa quale quella sopra citata, contenuta all’art 1, comma 649, l. n. 190 del 2014, la quale per sole ragioni economiche ha ridotto nel corso della durata della stessa il compenso pattuito in una convenzione di concessione stipulata tra una società ed un’amministrazione dello Stato Italiano».

Ordinanza 31 agosto 2020, n. 5299

Data udienza 16 luglio 2020

Tag – parola chiave: Gioco lecito – Operatori – Riduzione degli aggi e dei compensi – Normativa contenuta nell’art 1, comma 649, l. n. 190 del 2014 – Esercizio della libertà di stabilimento garantita dall’art. 49 del TFUE – Esercizio della libera prestazione di servizi garantita dall’art. 56 TFUE – Compatibilità – Rimessione alla CGUE

REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2201 del 2020, proposto dalla società Ad. Ga. Network S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Ca.i e Fi. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ca. in Roma, viale (…)7;
contro
dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
nei confronti
della Lottomatica Vi. Rete S.p.a. e della ACADI – Associazione concessionari apparecchi da intrattenimento, non costituite in giudizio;
per la riforma ovvero l’annullamento
della sentenza del T.A.R. Lazio, sede di Roma, sez. II, 1 agosto 2019 n. 10197, che ha respinto il ricorso n. 2629/2015 R.G. proposto per l’annullamento del decreto 15 gennaio 2015 n. 388 e prot. n. 4076/RU, pubblicato sul sito dell’Agenzia il giorno stesso, con il quale il Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ha dato attuazione all’art. 1 comma 649, della legge 23 dicembre 2014 n. 190; ha preso atto della disposta “riduzione” di 500 milioni di euro su base annua, a decorrere dall’anno 2015, “delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773” ed ha quindi definito il numero degli apparecchi stessi riferibili a ciascun concessionario, ripartito il versamento in maniera proporzionale a detto numero di apparecchi e stabilito le modalità del versamento stesso;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni indicate in epigrafe;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l’avvocato Fi. La. e l’avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone che partecipano alla discussione orale ai sensi dell’art. 4 d.l. 28/2020;
1. PREMESSE IN FATTO E NORMATIVA NAZIONALE
1. La ricorrente appellante, impresa attiva nel settore del gioco lecito mediante apparecchi da intrattenimento, comunemente detti “macchinette” da gioco, ha impugnato il decreto 15 gennaio 2015 n. 388 e prot. n. 4076/RU dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli indicato in epigrafe, in quanto lesivo a suo dire in modo apprezzabile dei suoi margini di guadagno, deducendone l’illegittimità derivata per asserita illegittimità europea ovvero costituzionale delle norme di legge di cui esso fa diretta applicazione.
2. Vanno delineate le norme nazionali applicabili alla fattispecie, che nel caso di specie sono inscindibili dal fatto, e in questo modo va precisata la posizione giuridica della ricorrente appellante stessa.
2.1 Com’è noto, in Italia, ai sensi del d.lgs. 14 aprile 1948 n. 496, “L’organizzazione e l’esercizio di giuochi di abilità e di concorsi pronostici, per i quali si corrisponda una ricompensa di qualsiasi natura e per la cui partecipazione sia richiesto il pagamento di una posta in denaro, sono riservati allo Stato” (articolo 1); peraltro “L’organizzazione e l’esercizio delle attività di cui al precedente articolo sono affidate al Ministero delle finanze il quale può effettuarne la gestione o direttamente, o per mezzo di persone fisiche o giuridiche, che diano adeguata garanzia di idoneità. In questo secondo caso, la misura dell’aggio spettante ai gestori e le altre modalità della gestione saranno stabilite in speciali convenzioni…” (articolo 2), fermo restando che “i proventi derivanti dall’esercizio delle attività indicate nei precedenti articoli, devono affluire ad un apposito capitolo di entrata del Ministero delle finanze” (art. 3), e in concreto, come è notorio, costituiscono una voce rilevante delle entrate pubbliche.
2.2 Lo Stato ha esercitato la facoltà di affidare ad altro soggetto la gestione del settore, affidandola all’allora Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, oggi Agenzia delle dogane e dei monopoli, intimata appellata, dapprima con la norma di cui al D.P.R. 24 gennaio 2002 n. 33, attuativo dell’art. 12 della l. 18 ottobre 2001 n. 383, poi con l’art. 4 del d.l. 8 luglio 2002 n. 138, che ha unificato le competenze in materia, e infine con l’art. 8 del d.l. 24 dicembre 2002 n. 282, che si riferisce in modo espresso anche agli “apparecchi da divertimento e intrattenimento”.
2.3 Gli apparecchi da divertimento e intrattenimento in questione sono disciplinati dall’art. 110 comma 6 del T.U. 18 giugno 1931 n. 773, come successivamente modificato, e sono di due tipi. Vi sono anzitutto gli apparecchi “dotati di attestato di conformità alle disposizioni vigenti rilasciato dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e obbligatoriamente collegati alla rete telematica” di cui si dirà, i quali “si attivano con l’introduzione di moneta metallica ovvero con appositi strumenti di pagamento elettronico” e presentano “insieme con l’elemento aleatorio… anche elementi di abilità, che consentono al giocatore la possibilità di scegliere, all’avvio o nel corso della partita, la propria strategia, selezionando appositamente le opzioni di gara ritenute più favorevoli tra quelle proposte dal gioco” e sono soggetti a limiti di valore stabiliti dalla legge nella giocata e nella vincita massime; questi apparecchi sono previsti dall’art. 110 comma 6 lettera a) e sono denominati “amusement with prize”, in acronimo “AWP”, con una definizione ufficiale, perché è contenuta nel “nomenclatore unico” predisposto dall’Agenzia come parte degli atti della gara di scelta dei concessionari di cui si dirà. Vi sono poi gli apparecchi “facenti parte della rete telematica” cui prima si è accennato, “che si attivano esclusivamente in presenza di un collegamento ad un sistema di elaborazione della rete stessa” e in linea di principio consentono giocate e vincite di importo maggiore, stabilite con decreto ministeriale; questi apparecchi sono previsti dall’art. 110 comma 6 lettera b) e sono denominati, sempre in base al nomenclatore unico “video lottery terminal”, in acronimo “VLT”. La distinzione fra i due tipi, come si vedrà, rileva non solo per la diversa disciplina delle giocate e delle vincite, ma anche per il modo di gestione degli apparecchi stessi, che è diverso per le due categorie.
2.4 Per la gestione di questi apparecchi, vi è una norma comune, l’art. 14 bis comma 4 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 640, che ne prevede l’obbligatorio collegamento ad una rete telematica dell’amministrazione appositamente creata, con evidente scopo di controllo; lo stesso comma 4 prevede poi che “Entro il 30 giugno 2004 sono individuati, con procedure ad evidenza pubblica nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria, uno o più concessionari” della rete stessa, concessionari i quali gestiscono la rete e gli apparecchi di loro pertinenza ad essa collegati, ricavandone un compenso, determinato come subito si esporrà. La ricorrente appellante è appunto uno di questi concessionari, che all’epoca dei fatti erano tredici in tutto il territorio nazionale, essendo risultata aggiudicataria della relativa gara, indetta con bando di gara dell’8 agosto 2011, pubblicato in data 11 agosto 2011 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea n. ID 2011/S 153-254653 ed in data 12 agosto 2011 sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – V serie speciale “Contratti pubblici” n. 95, disponibile pubblicamente nel sito web dell’Agenzia.
2.5 In concreto, la gestione degli apparecchi per cui è causa è organizzata così come segue. Gli apparecchi AWP sono installati presso esercizi commerciali, tipicamente bar e tabaccherie, detti “esercenti” in base al nomenclatore unico, e sono generalmente acquistati o noleggiati da operatori terzi, che sempre in base al nomenclatore unico, sono detti “gestori” e si occupano anche dell’installazione e della manutenzione. Gli apparecchi VLT sono invece gestiti direttamente dal concessionario, che li mette a disposizione dell’esercente, di solito una sala giochi apposita, senza in questo caso l’intermediazione del gestore, e quindi con una filiera più corta. I rapporti fra il concessionario e l’Agenzia sono disciplinati dalla convenzione di concessione approvata contestualmente agli atti di gara, che il concessionario deve sottoscrivere; i rapporti tra concessionari, gestori ed esercenti sono regolamentati invece da contratti di diritto privato che però non rispondono a modelli tipo in qualche modo redatti o approvati dall’Agenzia (fatto notorio).
2.6 Posto il sistema di gestione così organizzato, il compenso del concessionario è determinato in base a quanto stabilisce il bando di gara al § II 1.5: “Per effetto delle attività affidate in concessione il concessionario ha l’obbligo di mettere a disposizione dell’erario e di AAMS le somme previste a titolo di PREU, di canone di concessione e di deposito cauzionale in quota percentuale rispetto alla raccolta di gioco. Al concessionario è riconosciuto un compenso quale differenza tra l’importo derivante dalla raccolta di gioco e le predette somme nonché le vincite da erogare, calcolate sulla base dei limiti minimi previsti dalla normativa vigente, e le quote spettanti a soggetti terzi incaricati della raccolta di gioco”.
2.7 In concreto, prima del provvedimento per il quale è processo, il calcolo avveniva così come segue. Dal totale complessivo delle giocate, si andavano a sottrarre: a) le vincite da pagare ai giocatori, non inferiori a una data percentuale delle giocate, stabilita dall’amministrazione; b) gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, ovvero ai gestori e agli esercenti di cui si è detto, sulla base dei contratti di diritto privato con gli stessi stipulati dal concessionario; c) il canone di concessione dovuto all’Agenzia; d) le imposte, rappresentate in questo caso da un’imposta sostitutiva, pari ad una certa percentuale delle vincite, prevista dal citato art. 14 bis del D.P.R. 640/1972 e denominata “prelievo erariale unico” ovvero PREU. Il risultato è il ricavo netto del concessionario, dal quale questi, per determinare il proprio utile, deve ancora sottrarre i costi aziendali (fatto notorio).
2.8 Si ricorda poi per completezza che i contenuti della convenzione sono stati adeguati nel corso della sua durata, in base all’art. 1 commi 77-83 della l. 13 dicembre 2010 n. 220.
3. Sul sistema così delineato, il legislatore è intervenuto successivamente, per quanto interessa nei termini seguenti.
3.1 In primo luogo, con l’art. 14 della l. 11 marzo 2014 n. 23, il Governo ha ricevuto la delega per “attuare, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi, fermo restando il modello organizzativo fondato sul regime concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della fede, dell’ordine e della sicurezza pubblici, per il contemperamento degli interessi erariali con quelli locali e con quelli generali in materia di salute pubblica, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi”. Sta però di fatto (si veda l’apposita scheda disponibile nel sito web del Parlamento) che la delega non ha avuto attuazione, salvo che per il singolo intervento per cui è processo.
3.2 Successivamente infatti il legislatore ha approvato il comma 649 dell’art. 1 della l. 23 dicembre 2014 n. 190, la legge di stabilità per il 2015, secondo il quale: “A fini di concorso al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica e in anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23, è stabilita in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall’anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015: a) ai concessionari è versato dagli operatori di filiera l’intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate. I concessionari comunicano all’Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli operatori di filiera che non effettuano tale versamento, anche ai fini dell’eventuale successiva denuncia all’autorità giudiziaria competente; b) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione, versano altresì annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, adottato entro il 15 gennaio 2015, previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, riferibili a ciascun concessionario, nonché le modalità di effettuazione del versamento. Con analogo provvedimento si provvede, a decorrere dall’anno 2016, previa periodica ricognizione, all’eventuale modificazione del predetto numero di apparecchi; c) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati.”
3.3 Con il decreto 15 gennaio 2015 n. 388 e prot. n. 4076/RU, l’Agenzia intimata appellata ha appunto provveduto per l’anno 2015 a stimare il numero di apparecchi riferibili a ciascun concessionario e a liquidare le somme dovute di conseguenza.
3.4 La ricorrente appellante ha impugnato con il ricorso di I grado tale decreto, sostenendo in sintesi estrema l’illegittimità costituzionale ovvero europea della norma di legge suddetta, di cui esso costituiva diretta attuazione.
3.5 Il Giudice di I grado ha ritenuto quindi di sottoporre la relativa questione alla Corte costituzionale.
3.6 Nel corso del giudizio di costituzionalità, il legislatore è nuovamente intervenuto, approvando i commi 920 e 921 dell’art. 1 della l. 28 dicembre 2015 n. 208, la legge di stabilità per il 2016. Il comma 920 abroga il comma 649 di cui si è detto; il comma 921 dispone che lo stesso comma “si interpreta nel senso che la riduzione su base annua delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015”. Riassumendo, il prelievo previsto per ogni anno a partire dal 2015 è stato limitato a quest’anno soltanto, divenendo un intervento una tantum; sono stati poi coinvolti nel pagamento tutti gli operatori della filiera e non più i soli concessionari.
3.7 A seguito dell’intervento legislativo, la Corte costituzionale, con sentenza 13 giugno 2018 n. 125, ha restituito gli atti al Giudice di I grado per un riesame della rilevanza della questione.
3.8 Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo in sintesi estrema che l’intervento del legislatore di cui si è detto avesse fatto venir meno tutti i vizi di illegittimità costituzionale ovvero europea delle norme risultanti.
4. Contro questa sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene quattro censure, riconducibili ad un unico motivo, in cui sostiene, sempre in sintesi, che i vizi di illegittimità costituzionale della normativa in discussione rimarrebbero inalterati, e invita quindi il Giudice a sollevare la relativa questione.
5. All’udienza del 16 luglio 2020, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.
6. All’esito, questo Giudice ritiene per le ragioni che seguono di non accogliere la richiesta della ricorrente appellante, ma di sollevare d’ufficio la questione pregiudiziale di compatibilità con le norme del diritto europeo delle norme nazionali fin qui descritte, nei termini di seguito spiegati.
6.1 In primo luogo e in termini generali, ai sensi dell’art. 267 comma 3 TFUE, questo Giudice è “giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno”, e quindi è in linea di principio obbligato a sollevare la questione stessa nel momento in cui essa venga proposta.
6.2 In secondo luogo, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia il giudice nazionale le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale è tenuto a procedere al rinvio pregiudiziale anche nel caso in cui, nell’ambito del medesimo procedimento nazionale, la Corte costituzionale dello Stato membro di appartenenza abbia valutato la costituzionalità delle norme nazionali alla luce delle norme di riferimento aventi un contenuto analogo a quello delle norme del diritto dell’Unione, perché diversamente i principi della collaborazione fra la Corte e i Giudici nazionali prevista dal citato art. 267 TFUE e del primato del diritto dell’Unione stesso non sarebbero effettivi: così per tutte Corte di Giustizia sez. III 4 giugno 2015 C-5/14 Kernkraftwerke Lippe Ems e sez. I 20 dicembre 2017 C-322/16 Global Starnet. Nel caso di specie è poi importante rilevare che la pronuncia della Corte costituzionale nazionale ha riguardato il testo originario delle norme in discussione, vigente prima che intervenisse la modifica di cui si è detto, per cui a rigore l’oggetto del presente rinvio pregiudiziale non coincide con quello del precedente rinvio alla Corte nazionale.
6.3 In terzo luogo, la Corte costituzionale nazionale, in particolare con le sentenze 21 febbraio 2019 n. 20 e 21 marzo 2019 n. 63, ha stabilito che nei casi di cd doppia pregiudizialità, ovvero in cui siano prospettate contemporaneamente nello stesso procedimento le questioni di legittimità costituzionale e di conformità con il diritto dell’Unione delle medesime norme, spetta al Giudice a quo di decidere quale delle due questioni sollevare per prima.
6.4 Nel caso di specie, questo Giudice ritiene appunto di sollevare anzitutto la questione di compatibilità con il diritto dell’Unione, perché in linea di fatto il gioco lecito è un settore economico rilevante per tutto il relativo mercato, e non soltanto per quello nazionale: è quindi opportuno, a fini di chiarezza e certezza del diritto, promuovere per primo il rinvio il cui esito ha conseguenze di più ampia portata, valide appunto per tutta l’Unione.
2. NORMATIVA DELL’UNIONE EUROPEA
1. Ciò posto, si riporta la normativa europea rilevante ad avviso di questo Giudice.
2. Come è noto, l’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE prevede il diritto di stabilimento: “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro (comma 1). La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali(comma 2).
3. Come è pure noto, l’art. 56 TFUE prevede al comma 1 la libertà di prestazione dei servizi: “Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione”.
4. Per quanto qui direttamente rileva, la giurisprudenza di codesta Corte ritiene in generale che costituiscano restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libertà di prestazione dei servizi tutte le misure le quali abbiano l’effetto di vietarne, ostacolarne o anche semplicemente renderne meno attraente l’esercizio, e che ciò in particolare valga per le misure che incidono sull’attività già avviata da un concessionario dell’Amministrazione, le quali gli impediscano di far fruttare il proprio investimento: per tutte, come relative al gioco lecito, le sentenze Corte di Giustizia sez. I 11 giugno 2015 C-98/14 Berlington Hungary e sez. I 20 dicembre 2017 C-322/16 Global Starnet già citata.
5. La giurisprudenza della Corte di giustizia ritiene altresì che gli Stati membri possano introdurre restrizioni alle libertà garantite dagli articoli citati, in particolare nel settore del gioco d’azzardo lecito, che qui rileva. Nello specifico, la Corte ha infatti rilevato da un lato che si tratta di materia non armonizzata, per cui nel disciplinarla gli Stati membri sono titolari di un ampio potere discrezionale per determinare il livello di tutela dei consumatori e dell’ordine sociale ritenuto più appropriato; dall’altro lato che si tratta di una materia nella quale sussistono tra gli Stati membri stessi notevoli divergenze di ordine morale, religioso e culturale, le quali rendono probabile l’esercizio concreto di questo potere: per tutte, la sentenza sez. II 8 settembre 2016, C 225/15 Politanò. Nondimeno, anche nella materia in esame le restrizioni introdotte dagli Stati membri devono rimanere entro i limiti individuati dalla giurisprudenza di codesta Corte, devono cioè essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale ed essere proporzionate allo scopo da raggiungere in tal senso: così, sempre per tutte, le citate sentenze 11 giugno 2015 C-98/14 Berlington Hungary, 8 settembre 2016, C 225/15 Politanò e 20 dicembre 2017 C-322/16 Global Starnet
6. Viene in questione anche il principio di tutela dell’affidamento, che non è esplicitamente previsto dal TFUE o da altri testi normativi dell’Unione, ma come è pure ben noto è stato individuato dalla Corte di giustizia come uno dei “principi generali comuni ai diritti degli Stati membri” di cui all’art. 340 TFUE fin dalla sentenza 3 maggio 1978 C-112/72 Topfer. Il principio in questione va inteso in particolare come interesse del privato alla certezza e prevedibilità del quadro normativo entro il quale si svolgono i rapporti in corso: in tal senso, esso non impedisce le modifiche in senso sfavorevole, ma impone di procedervi con modalità garantistiche; in particolare, la Corte di giustizia ha ritenuto possibili le modifiche ad un rapporto siffatto che siano prevedibili da parte di un operatore economico prudente: per tutte, già la sentenza 8 Giugno 1977 C-97/76 Merkur.
3. ILLUSTRAZIONE DEI MOTIVI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE
1. Vi sono dubbi sulla compatibilità della sopra citata normativa nazionale con il diritto dell’Unione, nei termini di seguito esposti.
2. In primo luogo, la misura disposta da ultimo con i commi 920 e 921 dell’art. 1 della l. 208/2015 comporta che la ricorrente appellante debba subire un prelievo economico dai propri bilanci, nella misura determinata dal decreto 15 gennaio 2015 n. 388 qui impugnato, e con effetto retroattivo, nel senso che il prelievo attuato ed imposto nel 2015 colpisce i ricavi maturati nel 2014 (il punto è assolutamente pacifico). Si tratta quindi di una restrizione alle libertà garantite dagli artt. 49 e 56 TFUE sopra citati, nel senso che il prelievo viene a rendere meno attraente l’attività oggetto di concessione che la ricorrente appellante esercita.
3. È però dubbio che la misura in questione si possa qualificare come ispirata dai motivi imperativi di interesse generale che la renderebbero legittima.
3.1 La giurisprudenza della Corte ha più volte affermato che fra i motivi imperativi citati non si ricomprendono le semplici esigenze dello Stato membro di incrementare il proprio gettito fiscale, senza che con ciò si raggiungano obiettivi diversi ed ulteriori: per tutte, la già citata sez. I 11 giugno 2015 C-98/14 Berlington Hungary, relativa proprio ad un’imposizione fiscale sul gioco lecito, nonché le sentenze Grande sezione 7 settembre 2004 C-319/02 Manninen e 16 luglio 1998 C-112/77 ICI, che affermano il principio per gli interventi fiscali in generale.
3.2 Nel caso di specie, la misura in esame ad avviso di questo Giudice appare ispirata esclusivamente ad un’esigenza economica di aumentare gli introiti dello Stato, e quindi di “fare cassa” in base anzitutto all’esplicita dichiarazione contenuta nella norma base, ovvero nel comma 649 dell’art. 1 della l. n. 190/2014, che il comma 920 sopra citato ha abrogato, e quindi reso applicabile solo per il 2015, nel senso che l’intervento ha fini di “concorso al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica”. Non vale poi in senso contrario, sempre ad avviso di questo Giudice, quanto afferma la frase successiva, ovvero che l’intervento sarebbe motivato anche “in anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23” ovvero della legge delega per il riordino del settore, di cui si è detto, in quanto come si è visto essa non ha avuto alcuna altra attuazione.
3.3 Per avere un termine di paragone, si ricorda che la sentenza sez. I 20 dicembre 2017 C-322/16 Global Starnet della Corte di giustizia ha invece giudicato conforme al diritto europeo un precedente intervento del legislatore nazionale sugli stessi rapporti di concessione, ovvero l’intervento operato in base all’art. 1 commi 77-83 della l. 220/2010, cui si è accennato, che aveva modificato, in sintesi estrema, la durata delle concessioni in corso e richiesto maggiori garanzie di solidità e regolarità di condotta ai concessionari. Le misure in questione comportavano sicuramente un aggravio economico per i concessionari stessi, ma sono state giudicate conformi a validi motivi di interesse generale, identificati con l’intento di migliorare la solidità economica e finanziaria dei concessionari e di accrescere la loro onorabilità e la loro affidabilità, e quindi di lottare contro la criminalità che in questo settore intende infiltrarsi. È però evidente che per un prelievo economico puro e semplice nessuno di questi motivi è configurabile.
4. In secondo luogo, la misura in esame appare adottata anche in contrasto con il principio di tutela dell’affidamento.
4.1 Sotto quest’ultimo profilo, è anzitutto evidente che essa va ad incidere sui rapporti di concessione già in corso, in modo da peggiorarne i termini economici, e quindi da alterare in modo a lui sfavorevole i calcoli di convenienza fatti dal concessionario nel momento in cui si è accordato con l’amministrazione concessionaria.
4.2 Fermo quanto si è detto sopra circa le motivazioni di carattere solo economico dell’intervento, si deve poi dire che esso appare non prevedibile per l’imprenditore prudente ed accorto, al quale non si può, a meno di circostanze del tutto particolari che qui non ricorrono, addossare l’onere di prevedere interventi autoritativi della controparte pubblica di un rapporto di concessione, che di per sé è vincolante al pari di un contratto, e quindi postula che le parti non lo possano rimettere in discussione unilateralmente.
5. Va fatta poi una considerazione di carattere comune. Quanto si è fin qui esposto, ad avviso di questo Giudice, non è rimesso in discussione dal carattere di intervento una tantum conferito alla misura dal comma 920 sopra citato, che mantiene la necessità di una pronuncia della Corte di giustizia. Da un lato infatti nulla impedisce che il legislatore, con interventi successivi, possa riproporre una misura identica, che una pronuncia della Corte di giustizia potrebbe, a seconda dell’esito, avallare ovvero impedire. Inoltre, l’entità della misura in esame, anche se la si considerasse straordinaria e destinata a non ripetersi, è comunque considerevole.
6. Infine, la rilevanza per il giudizio a quo della pronuncia di codesta Corte è evidente, perché se le norme in esame venissero dichiarate non compatibili con il diritto europeo, il ricorso in appello, e con esso il ricorso di I grado, dovrebbero essere senz’altro accolti, con annullamento dell’atto impugnato, che esige le somme il cui pagamento è previsto dalle norme contestate.
4. PUNTO DI VISTA DEL GIUDICE DEL RINVIO
1. Il punto di vista di questo Giudice del rinvio è quello esposto al paragrafo che precede, nel motivare il rinvio pregiudiziale.
2. Si precisa che nella giurisprudenza di questo Giudice non esistono precedenti in termini, all’infuori dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale sez. IV 1 giugno 2016 n. 2334, che ha dato origine alla sentenza di codesta Corte sez. I 20 dicembre 2017 C-322/16 Global Starnet più volte citata.
5. FORMULAZIONE DEI QUESITI E RINVIO ALLA CORTE
1. In conclusione, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale solleva questione di pregiudizialità invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sui seguenti quesiti:
(1) se sia compatibile con l’esercizio della libertà di stabilimento garantita dall’art. 49 del TFUE e con l’esercizio della libera prestazione di servizi garantita dall’art. 56 TFUE l’introduzione di una normativa quale quella contenuta nell’art 1, comma 649, delle legge 190/14, la quale riduca aggi e compensi solo nei confronti di una limitata e specifica categoria di operatori, ovvero solo nei confronti degli operatori del gioco con apparecchi da intrattenimento, e non nei confronti di tutti gli operatori del settore del gioco;
(2) se sia compatibile con il principio di diritto europeo della tutela del legittimo affidamento l’introduzione di una normativa quale quella sopra citata, contenuta all’art 1, comma 649, della legge 190/14, la quale per sole ragioni economiche ha ridotto nel corso della durata della stessa il compenso pattuito in una convenzione di concessione stipulata tra una società ed un’amministrazione dello Stato Italiano.
2. Ai sensi delle “Raccomandazioni all’attenzione dei Giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” 2012/C 338/01 in G.U.C.E. 6 novembre 2012, vanno trasmessi, a cura della segreteria della Sezione, in copia alla cancelleria della Corte mediante plico raccomandato i seguenti atti: 1) il provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado, ovvero il decreto 15 gennaio 2015 n. 388 e prot. n. 4076/RU, del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli; 2) il ricorso di primo grado; 3) la sentenza del TAR appellata; 4) l’atto di appello e la memoria di risposta 15 giugno 2020 dell’amministrazione; 5) la presente ordinanza; 6) la copia delle seguenti norme nazionali: a) d.lgs. 14 aprile 1948 n. 496; b) D.P.R. 24 gennaio 2002 n. 33; c) art. 12 della l. 18 ottobre 2001 n. 383; d) art. 4 del d.l. 8 luglio 2002 n. 138; e) art. 8 del d.l. 24 dicembre 2002 n. 282; f) art. 110 del T.U. 18 giugno 1931 n. 773; g) nomenclatore unico 10 agosto 2011 delle definizioni utilizzate in tutti i documenti relativi alla procedura di selezione per l’affidamento dell’attivazione e della conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento nonché delle attività e delle funzioni connesse; h) art. 14 bis comma 4 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 640; i) art. 1 commi 77-83 della l. 13 dicembre 2010 n. 220; l) art. 14 della l. 11 marzo 2014 n. 23; m) art. 1 comma 649 della l. 23 dicembre 2014 n. 190; n) art. 1 commi 920 e 921 della l. 28 dicembre 2015 n. 208.
3. Il presente giudizio viene sospeso nelle more della definizione dell’incidente comunitario, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto (ricorso n. 2201/2020), così provvede:
1) dispone a cura della Segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia degli atti ivi indicati;
2) dispone la sospensione del presente giudizio;
3) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2020 costituita ai sensi dell’art. 84 d.l. 17 marzo 2020 n. 18 con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente FF
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Giuseppa Carluccio – Consigliere
Michele Conforti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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