Rientra nell’orario di lavoro ed è da retribuire autonomamente il tempo impiegato dagli infermieri per indossare e dismettere gli abiti di servizio

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Ordinanza 7 maggio 2020, n. 8623.

La massima estrapolata:

Rientra nell’orario di lavoro ed è da retribuire autonomamente il tempo impiegato dagli infermieri per indossare e dismettere gli abiti di servizio quando questa attività sia effettuata prima dell’inizio e dopo la fine del turno.

Ordinanza 7 maggio 2020, n. 8623

Data udienza 16 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Infermieri – Tempo impiegato per indossare gli abiti tecnici – Tempo di lavoro – Retribuzione ordinaria

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere

Dott. SPENA Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 8602/2016 proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE ASL/(OMISSIS) LANCIANO VASTO CHIETI, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza n. 893/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 17/09/2015 R.G.N. 85/2015.

RILEVATO

che la Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza contestuale letta all’udienza del 17.9.2015, ha accolto il gravame interposto dai dipendenti indicati in epigrafe, con qualifica di infermieri, nei confronti della Azienda Sanitaria Locale ASL (OMISSIS) di Lanciano-Vasto-Chieti, avverso la pronunzia del Tribunale di Chieti n. 712/2014, resa in data 11.12.2014, che aveva rigettato il ricorso dei medesimi dipendenti, con cui era stato richiesto che fosse considerato come compreso nell’orario di lavoro – e, quindi, che fosse retribuito – il tempo necessario per indossare e dismettere la divisa, all’inizio ed alla fine del turno: attivita’ resa obbligatoria dalla necessita’ di indossare la divisa presso i locali dell’ospedale in un momento antecedente alla marcatura del cartellino orario e, quindi, da considerare come tempo di lavoro, trattandosi di attivita’ accessoria e propedeutica alla prestazione lavorativa in senso stretto;
che, pertanto, la Corte di merito, in riforma della gravata sentenza, ha dichiarato che il tempo impiegato dai lavoratori, oltre l’orario normale del turno, e pari a venti minuti a turno, per indossare e dismettere la divisa, costituisce tempo di lavoro e, per l’effetto, ha condannato l’Azienda appellata al pagamento, in favore dei medesimi, delle correlate differenze retributive, nei limiti della prescrizione quinquennale (e, cioe’, dal 6.8.2008), oltre accessori, come per legge;
che la Corte di merito, per quanto ancora in questa sede rileva, ha ritenuto che “… non e’ in contestazione che il personale infermieristico deve necessariamente indossare e dismettere la divisa di lavoro, per intuibili ragioni di igiene, negli stessi ambienti dell’azienda prima dell’entrata e dopo l’uscita dai relativi reparti, rispettivamente, prima e dopo i relativi turni di lavoro”; che “l’espressione “lavoro effettivo”, ai sensi del R.Decreto Legge n. 692 del 1923, articolo 3 e del Regio Decreto n. 1955 del 1923, articolo 5, n. 3, deve essere inteso come sinonimo di prestazione lavorativa, comprendendovi anche i periodi di mera attesa o quelli nei quali non sia richiesta al lavoratore una attivita’ assorbente, bensi’ soltanto il tenersi costantemente a disposizione del datore di lavoro; restano pertanto esclusi dal “lavoro effettivo” soltanto gli intervalli di tempo dei quali il lavoratore abbia la piena disponibilita’”; e che “Per il Decreto Legislativo n. 66 del 2003 e per la direttiva comunitaria n. 104 del 1993 recepita dall’articolo 1, comma 2, di quel Decreto, deve ritenersi rientrare nell’orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attivita’ o delle sue funzioni”;
che per la cassazione della sentenza ricorre l’Azienda Sanitaria Locale ASL (OMISSIS) di Lanciano-Vasto-Chieti articolando tre motivi, cui resiste con controricorso (OMISSIS);
che (OMISSIS) e gli altri 39 lavoratori di cui in epigrafe sono rimasti intimati;
che sono state comunicate memorie, ai sensi dell’articolo 380-bis del codice di rito, nell’interesse dell’Azienda Sanitaria Locale ASL (OMISSIS) di Lanciano-Vasto-Chieti e di (OMISSIS); che il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. e si censura il fatto che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che non fosse contestato il fatto che “il personale infermieristico debba necessariamente indossare e dismettere la divisa di lavoro (camice e mascherina protettiva), per intuibili ragioni di igiene, negli stessi ambienti dell’Azienda e non ovviamente da casa – prima dell’entrata e dopo l’uscita dai relativi reparti, rispettando, prima e dopo, i relativi turni di lavoro”, e che tale ricostruzione sarebbe, con ogni evidenza, viziata per violazione dell’articolo 115 c.p.c., comma 1, nella parte in cui vengono posti a fondamento della decisione impugnata circostanze fattuali debitamente contestate nella memoria di costituzione dell’Azienda e rimaste del tutto indimostrate; 2) in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del R.Decreto Legge n. 692 del 1923, articoli 3 e 6; Decreto Legislativo n. 1955 del 1923, articolo 10; Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 2, comma 2; articolo 2, n. 1, della direttiva UE 23.11.1993, n. 98/104/CE; Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 1, comma 2, lettera a); del CCNL normativo 1994-1997 economico 1994-1995, Comparto Sanita’, ed in particolare, si lamenta che i giudici di seconda istanza abbiano qualificato il tempo occorrente per la vestizione come strettamente funzionale all’esecuzione della prestazione e, dunque, come corretto adempimento di un obbligo nascente dal rapporto di lavoro, ed altresi’ che la Corte di merito non abbia correttamente applicato i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimita’ in ordine alla eterodirezione della vestizione e vestizione preparatoria all’adempimento della prestazione lavorativa; 3) in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame in ordine all’eccepita violazione e/o erronea applicazione della normativa anche contrattuale in materia di lavoro straordinario nel pubblico impiego, e si assume che le attivita’ aggiuntive, riconosciute tra quelle retribuibili dalla sentenza impugnata, avrebbero dovuto essere qualificate come lavoro straordinario, in quanto eccedenti l’orario ordinario come previsto dal contratto collettivo; e che, comunque, la gestione del lavoro straordinario nel pubblico impiego e’ soggetta alla necessita’ di una specifica autorizzazione;
che il primo motivo e’ inammissibile sotto diversi e concorrenti profili: innanzitutto, perche’, all’evidenza teso ad ottenere un nuovo esame del merito attraverso una nuova valutazione degli elementi delibatori, pacificamente estranea al giudizio di legittimita’ (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014), poiche’ “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di merito”; per la qual cosa, “la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimita’ il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito” (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011);
che, inoltre, si lamenta che siano rimaste indimostrate le circostanze fattuali che sarebbero state debitamente contestate nella memoria di costituzione dell’Azienda, che non e’ stata prodotta (e neppure indicata tra i documenti offerti in comunicazione nel ricorso per cassazione), ne’ trascritta per intero, in violazione del principio, piu’ volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimita’ di controllare ex actis la veridicita’ delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non e’ stata messa in grado di apprezzare la veridicita’ delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza, che si risolvono, quindi, in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);
che il secondo ed il terzo motivo – da trattare congiuntamente per ragioni di connessione – non sono fondati, in quanto la Corte territoriale e’ pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi agli ormai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass. nn. 17635/2019; 3901/2019; 12935/2018; 27799/2017) -, secondo cui l’attivita’ di vestizione attiene a comportamenti integrativi dell’obbligazione principale ed e’ funzionale al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria e costituisce, altresi’, attivita’ svolta non (o non soltanto) nell’interesse dell’Azienda, ma dell’igiene pubblica, imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene. Pertanto, da’ diritto alla retribuzione anche nel silenzio della contrattazione collettiva integrativa, in quanto, proprio per le peculiarita’ che la connotano, deve ritenersi implicitamente autorizzata da parte dell’AUSL; e tali affermazioni non si pongono in contrasto con quanto affermato da questa Suprema Corte con la sentenza n. 9215 del 2012, secondo cui, “nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario ad indossare l’abbigliamento di servizio (c.d. tempo tuta) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attivita’ di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non da’ titolo ad autonomo corrispettivo”; e cio’, in quanto gli arresti piu’ recenti rappresentano uno sviluppo di quello precedente, or ora citato, ponendo l’accento sulla “funzione assegnata all’abbigliamento, nel senso che la eterodirezione puo’ derivare dall’esplicita disciplina di impresa, ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalita’ sociale dell’abbigliamento, o dalla specifica funzione che devono assolvere”, per obbligo imposto, lo si ripete, dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene attinenti alla gestione del servizio pubblico ed alla stessa incolumita’ del personale addetto;
che, pertanto, va sottolineato che l’orientamento giurisprudenziale di legittimita’ “e’ saldamente ancorato al riconoscimento dell’attivita’ di vestizione/svestizione degli infermieri come rientrante nell’orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia stata effettuata prima dell’inizio e dopo la fine del turno. Tale soluzione, del resto, e’ stata ritenuta in linea con la giurisprudenza comunitaria in tema di orario di lavoro di cui alla direttiva 2003/88/CE (Corte di Giustizia UE del 10 settembre 2015 in C-266/14; v. Cass. n. 1352/2016…)” (cosi’, testualmente, Cass. ord. n. 17635/2019, cit., alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti sul punto, ai sensi dell’articolo 118 disp. att. c.p.c.);
che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va respinto;
che le spese del presente giudizio – liquidate come in dispositivo, in favore di (OMISSIS), e da distrarre, ai sensi dell’articolo 93 c.p.c., a beneficio del difensore del medesimo, avv. (OMISSIS), dichiaratosi antistatario -, seguono la soccombenza;
che nulla va disposto per le spese nei confronti degli altri controricorrenti che non hanno svolto attivita’ difensiva;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, in favore di (OMISSIS), liquidate complessivamente in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15/0 ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. (OMISSIS). Nulla per le spese in favore dei controricorrenti rimasti intimati.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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