Ricorso per cassazione contro un provvedimento “de libertate”

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 4 gennaio 2019, n. 203.

La massima estrapolata:

E’ inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione contro un provvedimento “de libertate” non rivolto a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari ma solo la configurabilita’ di determinate circostanze aggravanti, quando dall’esistenza o meno di tali circostanze non dipende, per l’assenza di ripercussioni sull'”an” o sul “quomodo” della cautela, la legittimita’ della disposta misura.
Nella specie, il ricorrente, a fronte della applicazione della misura cautelare in relazione alla provvisoria contestazione del reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, non ha evidenziato alcun vantaggio ottenibile nella fase cautelare dalla invoca esclusione dell’aggravante e, in ogni caso, la stessa non inciderebbe sulla possibilita’ di adottare o mantenere la misura

Sentenza 4 gennaio 2019, n. 203

Data udienza 6 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – rel. Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 16/04/2018 del Tribunale di Bari;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DALL’OLIO Marco, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Bari rigettava la richiesta di riesame proposta da (OMISSIS) avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, che gli aveva applicato la misura cautelare carceraria in relazione ai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, L. n. 146 del 2006, articolo 4, (capo 18), articoli 110 e 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (capi 19 e 21).
In particolare, l’indagato era stato raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico internazionale, che si avvaleva del contributo di gruppi organizzati operanti in Albania e in Puglia, nonche’ alla detenzione, trasporto e cessione di sostanze stupefacenti.
Quanto in particolare alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4, il Tribunale evidenziava che dalle indagini era emerso l’esistenza di un gruppo operante in Albania, che aveva svolto un contributo all’attivita’ della stessa (come risultava dall’episodio criminoso di cui al capo 32), e formato dal cittadino albanese (OMISSIS) che si avvaleva di connazionali estranei all’associazione di cui al capo 18).
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, a mezzo del difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4.
Nella specie, il gruppo criminale organizzato operante in Albania sarebbe completamente formato da soggetti che aderiscono all’associazione di cui al capo 18), ovvero concorrono nei reati-fine dell’associazione stessa (come per il capo 32).
In tal modo verrebbe meno il presupposto, indicato dalle Sezioni Unite Adami, per l’applicazione della circostanza aggravante in esame al reato associativo, consistente nella mancata coincidenza del gruppo organizzato transnazionale con quello operante in Italia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile per carenza di interesse.
2. Va rammentato che la nozione di interesse ad impugnare nel sistema processuale penale non puo’ essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalita’ negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilita’, ossia di una decisione piu’ vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693).
In tale prospettiva si e’ affermato che e’ inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione contro un provvedimento “de libertate” non rivolto a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari ma solo la configurabilita’ di determinate circostanze aggravanti, quando dall’esistenza o meno di tali circostanze non dipende, per l’assenza di ripercussioni sull'”an” o sul “quomodo” della cautela, la legittimita’ della disposta misura (tra le tante, Sez. 3, n. 36731 del 17/04/2014, Inzerra, Rv. 260256; Sez. 6, n. 52904 del 18/10/2018, Fucito, non mass.).
Nella specie, il ricorrente, a fronte della applicazione della misura cautelare in relazione alla provvisoria contestazione del reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, non ha evidenziato alcun vantaggio ottenibile nella fase cautelare dalla invoca esclusione dell’aggravante e, in ogni caso, la stessa non inciderebbe sulla possibilita’ di adottare o mantenere la misura (nella stessa ipotesi, cfr. Sez. 6, n. 32539 del 14/07/2015, De Vita, non mass.; Sez. 6, n. 32538 del 14/07/2015, Lambiase non mass.).
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 2.000.
La Cancelleria provvedera’ alle comunicazioni di rito.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Avv. Renato D’Isa

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