Cassazione 11

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 15 aprile 2016, n. 15854

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente
Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/02/2015 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Viola Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
uditi i difensori, avv. Dambrosio Francesco Saverio e avv. Arcuri Giuseppe, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11 febbraio 2015 la Corte di appello di Salerno ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 30 ottobre 2013 dal Tribunale di Salerno nei confronti di (OMISSIS) e, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 323 bis c.p., ha rideterminato la pena in un anno e sette mesi di reclusione con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva e ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
La vicenda ha ad oggetto quattro episodi di peculato, relativi all’attivita’ istituzionale del (OMISSIS), all’epoca Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vibo Valentia, ed in particolare, ad alcune missioni effettuate a Roma presso il Servizio centrale di Polizia Scientifica ed altri uffici della capitale, aventi ad oggetto il conferimento di incarichi di consulenza tecnica o la consegna o il ritiro di armi o reperti balistici, all’esito delle quali il (OMISSIS) liquidava a se stesso le somme spettanti a titolo di missione e rimborso delle spese di viaggio e soggiorno.
L’addebito attiene alla durata delle trasferte, superiore al tempo necessario allo svolgimento degli atti di ufficio ed al tempo di viaggio, risultando pernottamenti e soggiorni nella capitale, precedenti e successivi al compimento dell’attivita’ d’ufficio, non strettamente necessari, con conseguente appropriazione delle somme liquidate a titolo di spese di vitto e alloggio per la parte eccedente le esigenze di ufficio.
Superate le eccezioni in rito, sollevate dalla difesa dell’imputato, la Corte di appello ha ritenuto che, in ragione della sua qualita’ pubblica, il (OMISSIS) aveva la disponibilita’ giuridica delle somme liquidate, occorrendo distinguere il potere di ordinazione della spesa dal potere di liquidazione della spesa, spettante al funzionario amministrativo competente, unico soggetto, invece, secondo la prospettazione difensiva, titolato a disporre del denaro della pubblica amministrazione.
Precisato che il potere di ordinazione della spesa costituisce il connotato implicito della titolarita’ di un potere pubblico, che si esercita mediante atti onerosi per l’Erario, la Corte di appello ha ritenuto che il potere di disposizione del denaro pubblico e’ connesso all’espletamento di atti, rientranti nell’attivita’ di ufficio del (OMISSIS), essendo insindacabile la scelta del Pm circa le modalita’ di svolgimento fuori sede di atti, relativi ad indagini a lui assegnate, documentati dai relativi verbali. Posta la legittimita’ della spesa, la Corte ha ritenuto che il potere di liquidazione della stessa attiene alla fase meramente esecutiva, spettante al funzionario amministrativo addetto, privo di potere di controllo di merito sulla scelta di spesa, ma solo di un sindacato sugli importi da liquidare, come avvenuto nel caso di specie, in quanto l’indagine ha preso avvio dalla segnalazione del funzionario delegato, che, rilevando anomalie nelle richieste di liquidazione presentate dal (OMISSIS), ne riferi’ al Capo dell’Ufficio.
Ritenuto che l’impiego del danaro pubblico deve ispirarsi al criterio di economicita’, quale espressione del principio costituzionale di buon andamento della Pubblica Amministrazione, e che l’appropriazione comprende anche la condotta di distrazione, e’ stata ravvisata tale distrazione per quelle spese, che, pur collegate ad un atto d’ufficio, non erano necessarie per il suo compimento, in quattro occasioni, puntualmente analizzate in sentenza.
2. Avverso la sentenza ricorrono i difensori dell’imputato, che ne chiedono l’annullamento per motivi di ordine processuale e di merito, che di seguito si illustrano, accorpando le argomentazioni difensive, attinenti agli stessi motivi:
2.1 violazione degli articolo 179 e 429 c.p.p.. per omessa citazione dell’imputato, violazione dell’articolo 190 e 603 c.p.p. per mancata assunzione di una prova decisiva sopravvenuta, travisamento delle prove e manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione risultante dal testo della sentenza: si deduce che il decreto di rinvio a giudizio, emesso dal G.u.p. il 5 luglio 2011, non fu notificato all’imputato, in quanto, diversamente da quanto risulta dal verbale dell’udienza preliminare, l’imputato non era presente al momento della lettura del provvedimento, che, pertanto, doveva essergli notificato. L’eccezione fu disattesa dal giudice di primo grado, che ritenne insuperabile, in mancanza di querela di falso, il risultato del verbale di udienza, atto fidefacente. Appellata con la sentenza l’ordinanza dibattimentale del 28 ottobre 2011, era stato evidenziato che il Tribunale aveva trascurato che era stata denunciata la falsita’ del verbale e che con memoria del 24 ottobre 2011 l’avvocato (OMISSIS) aveva dichiarato al Tribunale che l’imputato non era presente, trovandosi con lui sul treno, partito da Salerno prima della lettura del decreto conclusivo dell’udienza preliminare, per ritornare a Vibo Valentia. Era stata chiesta la rinnovazione parziale del dibattimento per acquisire il biglietto ed assumere la testimonianza dell’avvocato (OMISSIS) e della signora (OMISSIS), che erano in treno insieme al (OMISSIS), per dimostrare la falsita’ del verbale; il successivo 27 novembre 2014 erano state depositate presso la cancelleria della Corte di appello le dichiarazioni dell’avv. (OMISSIS) e della (OMISSIS), assunte in sede di indagini difensive, e la copia dei biglietti ferroviari, che provavano la circostanza, ma la Corte di appello, non solo non ha ammesso la prova testimoniale di detti testi per verificare immediatamente la denuncia di falso nel procedimento in corso, ma ha ritenuto che i documenti prodotti fossero “parziali, incompleti e privi di validazione idonea a comprovare l’assunto difensivo”. Si contesta detta valutazione, in quanto i biglietti elettronici non sono soggetti a vidimazione o obliterazione; i vincoli tra i dichiaranti e l’imputato non possono giustificare la valutazione di inidoneita’ probatoria; in ogni caso, stante la ritenuta incompletezza della prova, sarebbe stata doverosa la parziale rinnovazione del dibattimento per provare un fatto decisivo ovvero la falsita’ del verbale dell’udienza preliminare. Si contesta l’apparente motivazione fornita dalla Corte di appello, laddove afferma che dal verbale prodotto non si evince che l’imputato avesse dichiarato di allontanarsi dall’aula di udienza e non sono stati acquisiti significativi elementi di valutazione per ritenere che la lettura del dispositivo sia avvenuta in assenza del dott. (OMISSIS);
2.2. violazione dell’articolo 178 c.p.p., lettera b) e articolo 179 c.p.p. per avere ritenuto un fatto diverso da quello contestato e manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione risultante dal testo della sentenza: si deduce che la Corte ha dato atto che “nel verbale dell’udienza preliminare si legge che il Pubblico Ministero chiede il rinvio a giudizio per il reato di cui agli articoli 48 e 314 c.p.” e che “una simile prospettazione giuridica si traduce in un fatto diverso, poiche’ viene a configurare la condotta dell’imputato in termini di inganno volto a far cadere in errore il funzionario addetto alla liquidazione”. In effetti, il Pm aveva modificato l’imputazione, contestandola all’imputato presente, avendo riconosciuto la fondatezza della tesi difensiva della assoluta mancanza di disponibilita’ del denaro pubblico in capo all’imputato, ma la Corte ha ritenuto, in modo illogico e contraddittorio, che la contestazione originaria non e’ stata in alcun modo modificata perche’ “la mera richiesta di riqualificazione, prospettata dal Pm dell’udienza preliminare (precedentemente ritenuta contestazione di un fatto diverso), non presenta i caratteri della modifica, ma puo’ avere, al piu’, il valore di suggerimento”. La diversita’ del fatto per il quale il ricorrente e’ stato giudicato rispetto a quello contestato nella richiesta di rinvio a giudizio, pedissequamente riprodotta nel decreto che dispone il giudizio, comporta la nullita’ delle sentenze di condanna per un fatto diverso da quello contestato all’udienza preliminare del 5 luglio 2011. Si eccepisce altresi’, la mancata correlazione tra accusa e sentenza in violazione degli articolo 129, 521 e 522 c.p.p., articolo 111 Cost. e articolo 6 CEDU, stante l’incertezza sull’oggetto dell’imputazione e la diversa materialita’ ed alterita’ tra le condotte di peculato mediato e quella di peculato immediato; si deduce che la Corte in presenza di un fatto diverso avrebbe dovuto trasmettere gli atti al Pm in relazione al diverso reato e non giudicare l’imputato per il reato di cui all’articolo 314 c.p.: la violazione del diritto di difesa assume maggiore gravita’ in quanto il fatto e’ stato mutato nel corso del giudizio per iniziativa del Pm, che ha contestato all’imputato un fatto diverso senza alcun rapporto di continenza con il primo e senza che fosse prevedibile una riqualificazione in tal senso;
2.3 nullita’ della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che ha disposto il giudizio per mancata notifica al difensore dell’avviso di conclusione delle indagini per violazione dell’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 416 c.p.p., articolo 111 Cost. e articolo 6 CEDU, mancata assunzione di prove decisive e manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione risultante dal testo della sentenza: si deduce che prima della conclusione delle indagini l’imputato aveva nominato difensore, in aggiunta all’avv. (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS); la nomina, depositata ritualmente presso la segreteria del Pm, non fu inserita nel fascicolo delle indagini preliminari. La circostanza, ritenuta non provata dal primo giudice, e’ ormai incontroversa, in quanto la Corte di appello ne ha dato atto in sentenza: ne consegue che l’avv. (OMISSIS) non ha ricevuto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, previsto dall’articolo 415 bis c.p.p. a pena di nullita’, nullita’ a regime intermedio, secondo Sez. U. n. 5396/2015, che puo’ essere eccepita e rilevata dal giudice, prima che siano compiute le formalita’ di apertura del dibattimento. L’eccezione, sollevata tempestivamente, fu rigetta dal Tribunale: si evidenzia, peraltro, che l’eccezione era stata sollevata anche dinanzi al G.u.p., sebbene non ve ne sia traccia nel verbale dell’udienza preliminare, mal redatto, del quale si era denunciata la falsita’ anche sotto tale profilo, ed era stata tempestivamente reiterata dinanzi al Tribunale, che la respinse con l’ordinanza del 28 ottobre 2011, appellata con la sentenza. Sul punto si deduce che nell’atto di appello l’avv. (OMISSIS) aveva reiterato la denuncia di falsita’ del verbale riassuntivo dell’udienza preliminare, producendo le informazioni rese dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS) in sede di indagini difensive, depositate alla Corte di appello il 27/11/2014; la dichiarazione di rinuncia al mandato dell’Avv. (OMISSIS), nella quale lo stesso dichiarava di voler deporre sulla circostanza che l’eccezione era stata sollevata, ma non verbalizzata; la denuncia al G.u.p. in data 08/10/2011 circa le mancate ed inesatte verbalizzazioni, gia’ prodotta al Tribunale, ma su tali circostanze la Corte ha reso una motivazione illogica ed incompleta e, travisando le emergenze documentali, ha ritenuto contraddittori gli elementi emergenti dagli atti e non ha ammesso la prova testimoniale dell’avv. (OMISSIS), indispensabile ai fini della decisione, ritenendo che le dichiarazioni rese da persona, comunque legata da vincoli di cointeressenza all’imputato, non avrebbero potuto superare la presunta contraddittorieta’. La testimonianza e gli atti depositati rendevano, invece, evidente che era stata immediatamente segnalata la mancata notificazione dell’avviso ex articolo 415 bis c.p.p. al difensore di fiducia e la mancata allegazione agli atti della nomina dell’avv. (OMISSIS), poi rinvenuta. La decisione della Corte di appello, che non ha valutato gli elementi di prova e li ha ignorati senza motivazione, rende nullo il provvedimento. Si segnala inoltre, che la Corte, pur dando atto che il Pm era tenuto a notificare l’avviso ex articolo 415 bis c.p.p. anche all’avv. (OMISSIS), non ha ritenuto sussistente la nullita’ denunciata, affermando erroneamente, che l’eccezione non era stata proposta all’udienza preliminare ne’ era stata univocamente e seriamente richiamata negli atti depositati in vista dell’udienza del 28 ottobre 2011: affermazione smentita dalla memoria difensiva dell’avv. (OMISSIS), depositata il 27 ottobre 2011, dalla trascrizione del verbale della prima udienza dibattimentale e dall’ordinanza del Tribunale, nella quale si da atto che l’eccezione e’ stata proposta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, con la conseguenza che, stante la tempestivita’ dell’eccezione, doveva dichiararsi la nullita’ della richiesta di rinvio a giudizio e di tutti gli atti conseguenti;
2.4. violazione dell’articolo 468 e 191 c.p.p.: si eccepisce che il Pm, dopo aver depositato una prima lista testi in data 6 ottobre 2011 in vista dell’udienza fissata per il dibattimento, iniziato il 28 ottobre 2011, in data 3 novembre 2011 deposito’ una lista integrativa, relativa all’attivita’ integrativa di indagine svolta ed alle persone sentite il 13 ottobre 2011, dunque, in epoca utile per il tempestivo deposito, previsto dall’articolo 468 c.p.p. a pena di inammissibilita’. Cio’ nonostante, il Tribunale aveva ammesso l’esame delle persone indicate nella lista integrativa, utilizzandole, al pari della Corte, per affermare la responsabilita’ del ricorrente. Si sarebbe invece, dovuta dichiarare l’inammissibilita’ della prova testimoniale, con conseguente nullita’ della sentenza fondata su prove illegittimamente ammesse, peraltro, in forza di argomentazioni errate, e viziata da un errore di diritto rilevabile in ogni stato e grado del giudizio;
2.5 nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 33 c.p.p., articolo 178 c.p.p., lettera a) e articolo 179 c.p.p., articoli 25 e 111 Cost. e articolo 6 CEDU: si deduce che, in violazione delle regole tabellari, il Presidente della sezione penale con provvedimento del 3.12.2014 aveva disposto la formazione di un quarto collegio giudicante, stante l’incompatibilita’ di tre consiglieri e l’impossibilita’ di assegnare il procedimento ad uno dei collegi della sezione, poiche’ ognuno dei magistrati astenuti apparteneva ad un collegio diverso, ed in ragione della scopertura dei posti il processo non poteva essere assegnato ad alcuno dei collegi ordinari. Si contesta il provvedimento, in quanto non si e’ provveduto alla sostituzione del componente del collegio incompatibile con altro magistrato assegnato al collegio o con altro collegio ordinario precostituito, ma si e’ formato un quarto collegio, la cui composizione e’ al di fuori di ogni criterio tabellare e violativa del criterio di precostituzione del giudice, che incide sulla capacita’ del giudice ex articolo 178 c.p.p., lettera a);
2.6 nullita’ della sentenza per violazione del diritto di difesa ed in particolare, del diritto all’ammissione di prove a discarico rilevanti e travisamento delle prove: si deduce che nei motivi di appello era stata segnalata la lesione del diritto di difesa derivante dalla mancata acquisizione da parte del Tribunale dei provvedimenti adottati dal funzionario delegato, che lo stesso Tribunale aveva ritenuto necessari ai fini del decidere con ordinanza del 4 luglio 2013, ma il 30 ottobre successivo, pur non essendo stata data compiuta esecuzione all’ordinanza, il Tribunale non aveva provveduto all’integrazione, sebbene la difesa ne avesse sottolineato la rilevanza, ne’ vi ha provveduto la Corte di appello, negando l’ammissione di tali prove indispensabili, pur essendo stata richiesta nei motivi nuovi del 24/11/2014 e reiterata all’udienza del 14 gennaio 2015 la richiesta di acquisire gli ordinativi di pagamento emessi dal funzionario delegato dalla Procura Generale di Catanzaro relativi al rimborso delle missioni per cui e’ intervenuta condanna: ne discende la nullita’ della sentenza;
2.7 violazione di legge in relazione all’articolo 314 c.p. al Decreto del Presidente della Repubblica 115 del 2002, articoli 165, 168, 169 e 172, Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 7 e articolo 4 del CCNL comparto Ministeri del 12/01/96 e manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione risultante dal testo della sentenza: si contesta che l’imputato abbia mai avuto la disponibilita’ giuridica delle somme liquidategli a titolo di rimborso spese, dovutegli per le spese alberghiere e di vitto effettivamente sostenute. Si deduce che, contrariamente all’assunto della Corte di appello, ai fini della corretta determinazione della durata della missione devono essere considerati il tempo di viaggio, il diritto alle pause e al riposo continuativo nell’orario di lavoro, come previsto dall’articolo 4 del CCNL – comparto Ministeri del 12 gennaio 1996 – per il tempo di andata e ritorno per l’attivita’ lavorativa svolta fuori sede. Si deduce che i giudici di merito non hanno considerato che i magistrati in missione non godono di indennita’ di trasferta e che le ore di viaggio per raggiungere il luogo della missione sono da ricomprendere nell’orario di lavoro; hanno ignorato la previsione contrattuale richiamata e il Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 7, che prevede il diritto di tutti i lavoratori pubblici e privati di godere di almeno di 11 ore di riposo giornaliero continuativo ogni 24 ore (non ogni giorno) e la durata massima dell’orario di lavoro, determinata per tutti i dipendenti in 40 ore settimanali e 48 con straordinario: da tali violazioni discende che erroneamente si e’ ritenuto che il ricorrente si fosse arbitrariamente ed ingiustificatamente trattenuto fuori sede, prolungando la missione ed ottenendo somme non dovute pur parzialmente, mentre invece, il tempo della missione era stato correttamente calcolato in 48 ore ed il ricorrente aveva diritto a due pernottamenti ed ai relativi pasti. Si deduce anche travisamento della prova, laddove la Corte ha commisurato la durata della missione allo svolgimento di una sola attivita’, in contrasto con il provato espletamento di plurime e distinte attivita’ istruttorie, effettuate nelle 48 ore di permanenza fuori sede, ne’ ha considerato che la durata delle attivita’ di indagine e’ stata sempre superiore a quella risultante dai verbali, come risulta dal decreto di archiviazione del 5 ottobre 2009. Si evidenzia che il tempo minimo di viaggio tra la sede di servizio e Roma e’ di circa 5,22 ore ed il tempo di ritorno pari a 7 ore e cosi’ complessivamente superiore alle 12 ore.
Si deduce, in ogni caso, l’insussistenza del peculato, in quanto l’imputato non ha mai avuto la disponibilita’ giuridica, neanche in via di fatto o con il concorso di altri uffici, delle somme, che gli sono state corrisposte. Infatti, a seguito della modifica, introdotta dal D.I. 4 luglio 2006, n. 223, del sistema di pagamento delle spese di giustizia, la liquidazione spetta al funzionario amministrativo addetto all’ufficio ed il pagamento al funzionario delegato, che, eseguiti i necessari riscontri e controlli, ne ordina l’accreditamento: pertanto, la disponibilita’ del denaro e’ del funzionario delegato, il quale nel caso in esame, all’esito dei controlli e di una verifica generale, suggerita dal P.G. presso la Corte di appello di Catanzaro, dispose la sospensione di tutte le procedure di liquidazione delle missioni. Posto che dall’ottobre 2008 al 15 dicembre 2009 il funzionario delegato pro-tempore dispose con autonomo provvedimento, neppure sollecitato dal (OMISSIS), il pagamento delle spese per dette missioni, i giudici avrebbero dovuto trarne la logica conseguenza che l’imputato non aveva il possesso e la disponibilita’ giuridica delle somme, risultando irrilevante ed errato l’argomento della Corte che distingue tra il potere di ordinare la spesa e quello di liquidazione della spesa, mentre e’ certo che la liquidazione ed il pagamento delle presunte maggiori somme furono del funzionario e non del ricorrente.
Nella stessa linea si inseriscono le argomentazioni svolte nel ricorso dell’avv. (OMISSIS), nel quale si sottolinea che il magistrato emette solo il decreto di pagamento delle spettanze degli ausiliari, delle indennita’ dei custodi e delle spese per le demolizioni (articoli 168 e 169 TUSG), mentre la liquidazione delle spese e’ sempre effettuata con ordine di pagamento del funzionario addetto all’ufficio, se non espressamente attribuita al magistrato ex articolo 165 TUSG. Quindi, in base alle norme citate appartiene al funzionario delegato la competenza esclusiva alla liquidazione ed esecuzione dei pagamenti mediante emissione di ordinativi di pagamento, con la conseguenza che il funzionario delegato ha la disponibilita’ delle somme in via esclusiva e ha un potere di controllo preventivo anche di merito, non solo formale e contabile, tant’e’ che nel caso di specie e’ stato esercitato, cosicche’ l’interpretazione data in sentenza integra una palese violazione di legge ed anche un travisamento delle prove, nella parte in cui ha trascurato la deposizione del funzionario Catalano, che ha compiuto un’autonoma istruttoria, chiesto chiarimenti e verificato anche l’an della richiesta di rimborso, ha sospeso la liquidazione e l’emissione del mandato di pagamento per due anni e, per sua stessa ammissione, ha esercitato un controllo di merito. Si deduce ulteriore travisamento della prova per non avere la Corte valutato la Relazione ispettiva prodotta, che aveva riguardato anche una precedente missione del dr. (OMISSIS) a Roma, liquidata in modo identico, senza effettuare alcun rilievo: elemento rilevante e con riflessi sia sul piano dell’elemento materiale che dell’elemento psicologico del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato per le ragioni di seguito illustrate.
1.1 Preliminare e’ l’esame delle questioni processuali in ordine logico secondo le cadenze processuali, in primo luogo, dell’eccezione di omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari all’unico difensore di fiducia dell’imputato avv. (OMISSIS).
Il ricorrente deduce che la nomina, effettuata sin dal 30 giugno 2010, con atto depositato presso la Procura della Repubblica di Salerno non fu inserita nel fascicolo delle indagini preliminari, bensi’ in altro procedimento, pendente in grado di appello, come risulta dalla sentenza impugnata, che, a pagina 21, da atto che la nomina fu rinvenuta solo il 23 novembre 2012.
Sul punto va evidenziato che la nomina, diretta al Sostituto Procuratore dott. Penna, aveva contenuto generico, in quanto effettuata “in relazione ad ogni procedimento iscritto presso il suo ufficio” e pertanto, non poteva ritenersi valida. E’, infatti, pacifico che l’atto di nomina del difensore deve riferirsi ad un procedimento specifico ai fini dell’articolo 96 c.p.p., risultando altrimenti inefficace, in quanto priva di oggetto e di causa (Sez. 3, n. 48977 del 25/09/2014, Mircea, Rv. 261158, Sez. 5, n.17061 del 27/03/2014, Perito, Rv. 262876, e Sez. 6, n. 34671 del 23/4/2007, Padovani, Rv. 237426). In assenza di ogni indicazione del procedimento o riferimento ad un fatto specifico, mancavano i presupposti per poterlo ritenere atto valido nel presente procedimento.
Pertanto, correttamente l’avviso di conclusione delle indagini fu notificato al (OMISSIS) ed all’avv. (OMISSIS), all’epoca difensore d’ufficio nominato in mancanza di valida nomina fiduciaria, depositata successivamente con atto del 4 dicembre 2010.
La conclusione rende superflua la disamina della questione collegata alla tempestivita’ dell’eccezione di nullita’, che si assume fu sollevata sin dall’udienza preliminare del 5 luglio 2011, ma non verbalizzata.
In realta’, risulta dagli atti che l’eccezione non fu tempestivamente dedotta nella prima occasione utile, atteso che nel corso della prima udienza preliminare, fissata il 23 giugno 2011, l’imputato presente formalizzo’ la nomina dell’avv. (OMISSIS) quale secondo difensore di fiducia e fu depositata memoria difensiva nella quale si affrontavano questioni di merito, ma non veniva affatto eccepita l’omessa notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini all’avv. (OMISSIS), ne’ l’eccezione fu dedotta oralmente: trattandosi di nullita’ a regime intermedio, l’eccezione andava proposta entro il termine decadenziale previsto dall’articolo 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che la nullita’ e’ da ritenersi in ogni caso sanata dalla partecipazione personale dell’imputato e del suo difensore all’udienza preliminare. In tal senso depone l’articolo 184 c.p.p., comma 1, che prevede espressamente che la nullita’ di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni o notificazioni e’ sanata se la parte interessata e’ comparsa o ha rinunciato a comparire. La previsione, contenuta nell’articolo 184 c.p.p., comma 1, costituendo applicazione del principio generale enunciato dall’articolo 183 c.p.p., lettera b) in base al quale la nullita’ e’ sanata se la parte si e’ avvalsa della facolta’ al cui esercizio l’atto omesso o nullo e’ preordinato, deve trovare applicazione in relazione a qualsiasi avviso o notificazione, ivi compreso quello di cui all’articolo 415 bis c.p.p. (Sez. 2 n.41937 del 16/09/2014, Rv. 260693 e Sez. 2 n. 34737 del 15/6/2010, Rv. 248241).
Quanto alla dedotta falsita’ per omissione del verbale dell’udienza preliminare del 5 luglio 2011, la Corte di appello si e’ attenuta all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, qualora venga lamentata la falsita’ di un verbale di dibattimento (nella specie, in ordine all’erronea indicazione della data di rinvio dell’udienza), il giudice non puo’ ne’ disattendere il contenuto della denuncia sul rilievo della valenza documentale dell’atto a norma dell’articolo 2700 c.c. ne’ sospendere il procedimento, stante l’esclusione di una pregiudiziale penale, ma deve verificare la fondatezza della questione e decidere su di essa in via incidentale nell’ambito del procedimento stesso, senza che la sua decisione faccia stato in altro processo e percio’ possa pregiudicare l’accertamento eventuale di responsabilita’ per il delitto di falso (Sez. 5, n.38240 del 02/10/2002 Rv. 222940).
Ed infatti, la Corte di appello in ordine all’eccepita falsita’ del verbale dell’udienza preliminare ha fornito adeguata risposta alle obiezioni difensive e ne ha incidentalmente valutato e verificato l’infondatezza, rilevando che all’udienza preliminare erano presenti l’imputato ed entrambi i difensori, che l’imputato rese l’interrogatorio e che ne’ dal verbale sintetico ne’ dalla trascrizione dell’interrogatorio del (OMISSIS) (che avrebbe in quella sede proposto l’eccezione) risulta che l’imputato o i difensori presenti sollevarono l’eccezione, ma soprattutto, ha dato atto che non risultava proposta una denuncia o una querela di falso, atteso che solo in data 24 ottobre 2011 l’avv. (OMISSIS) aveva depositato una richiesta all’ufficio GIP-GUP nella quale sollecitava la correzione del verbale dell’udienza preliminare “nella parte in cui non risulta che il codifensore avv. (OMISSIS) ha evidenziato di non aver ricevuto comunicazione dell’avviso ex 415 bis c.p.p., notificato al solo difensore d’ufficio, benche’ la nomina fosse data depositata alla segreteria del PM in data 30 giugno 2010”; che in pari data i difensori avevano denunciato lo smarrimento dell’atto di nomina e sollecitato ricerche e che da detti documenti emergevano dati talmente contraddittori in ordine a colui che aveva sollevato l’eccezione, da rendere superflua l’audizione dell’avv. (OMISSIS).
Sulla base di tali elementi la Corte di appello ha condivisibilmente ritenuto tardivamente sollevata l’eccezione.
2. Parimenti infondata e’ l’eccezione di nullita’ della sentenza di primo grado per omessa citazione dell’imputato, integrante una nullita’ assoluta ai sensi dell’articolo 179 c.p.p., stante l’omessa notificazione del decreto che dispone il giudizio, emesso dal G.u.p. all’esito dell’udienza preliminare del 5.7.2011 in sua assenza.
Dal verbale dell’udienza preliminare risulta che all’esito della discussione il G.u.p. riservo’ la decisione, fissando per la lettura del provvedimento le ore 13.00, e che alle ore 13.15 diede lettura del decreto che dispone il giudizio. Anche in questo caso dal verbale non risulta l’assenza dell’imputato e del difensore, che sostengono di aver preannunciato che si sarebbero allontanati, e per tale ragione hanno sporto denuncia di falso per omissione, documentando e chiedendo di provare per testi la circostanza.
L’eccezione trascura che per udienza deve intendersi l’unita’ di lavoro quotidianamente svolto alla presenza delle parti nel singolo procedimento, che puo’ esaurirsi in una sola udienza o protrarsi per piu’ udienze; che nel caso di specie il rinvio dell’udienza alle ore 13.00 per la lettura della decisione costituiva prosecuzione della stessa udienza e che espressamente l’articolo 420 bis c.p., comma 3, corrispondente al testo dell’articolo 420 quinquies c.p.p., comma 2 all’epoca vigente, prevede che l’imputato che si allontani e’ considerato presente.
La norma e’ in linea con il principio generale, fissato dall’articolo 488 c.p.p., comma 2, per il dibattimento, che considera presente l’imputato precedentemente comparso e poi allontanatosi nell’ambito dello stesso dibattimento, senza distinguere tra i casi in cui il dibattimento si svolga in unica udienza o in piu’ udienze e tra i casi in cui il rinvio sia disposto in udienza o fuori udienza: il presupposto logico e’ l’identita’ del dibattimento nel corso del quale l’imputato prima compare e poi si assenta (Sez. 3, n. 15042 del 25/02/2009, Rv. 243269 e Sez. 6, n. 48525 del 05/11/2003, Rv.228543).
Nel caso di specie il differimento dell’udienza alle ore 13.00 era stato disposto per la lettura della decisione e la lettura del provvedimento equivale a notificazione per le parti presenti ai sensi dell’articolo 424 c.p.p., comma 2, e, per quanto gia’ detto, anche per l’imputato, che doveva considerarsi presente.
Pertanto, il decreto che dispone il giudizio non doveva essere notificato all’imputato ne’ al difensore allontanatosi, risultando peraltro, l’imputato assistito da un secondo difensore di fiducia.
Tale valutazione e’ assorbente rispetto alla eccepita falsita’ del verbale per omissione, risultando le circostanze, destinate a provare l’assenza dell’imputato, ininfluenti ed irrilevanti, non sussistendo la nullita’ eccepita.
3. Infondata e’ anche l’eccezione sulla diversita’ del fatto e sulla mancanza di corrispondenza tra accusa e sentenza, in quanto dal verbale risulta che solo in sede di replica il PM, che aveva gia’ concluso, chiese il rinvio a giudizio e la riqualificazione dei reati ai sensi degli articoli 48 e 314 c.p.: ne discende che non vi fu una modifica dell’imputazione, compiutamente formulata e contestata ritualmente ai sensi dell’articolo 423 c.p. all’imputato presente ne’ in tal senso risulta verbalizzata, ma una mera prospettazione alternativa, non accolta dal giudice, tant’e’ che l’imputazione, conforme alla richiesta di rinvio a giudizio, e’ rimasta inalterata nel decreto che dispone il giudizio e tale accusa ha costituito l’oggetto dei giudizi di merito.
4. Altresi’ infondata e’ l’eccezione circa la tardivita’ della lista testimoniale integrativa, depositata dal Pm dopo l’apertura del dibattimento, relativa ad attivita’ integrativa di indagine, che non e’ sottoposta a termine ed e’ espletabile anche dopo il decreto che dispone il giudizio.
Al riguardo, va ribadito che in tema di attivita’ integrativa di indagine, consentita ex articolo 430 c.p.p. al pubblico ministero anche dopo la emissione del decreto che dispone il giudizio (Sez. 2, n. 31512 del 24/04/2012, Barbaro, Rv. 254028), l’esercizio del diritto di difesa e’ garantito dal deposito della documentazione e dall’avviso alle parti della facolta’ di prenderne visione e di estrarne copia: in tal caso le parti possono chiedere al giudice del dibattimento l’assunzione delle fonti di prova cosi’ acquisite, nel rispetto dell’articolo 526 c.p.p., ed utilizzare gli atti ai fini delle contestazioni ex articolo 500 e 503 c.p.p. (Sez. 3, n. 21379 del 11/04/2001, Tulli A, Rv. 219699).
Un problema di garanzie difensive si potrebbe porre in caso di violazione dell’obbligo di immediato deposito della documentazione relativa all’attivita’ integrativa di indagine, ma, in tali ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che, in assenza di specifica sanzione processuale, resta demandato al giudice del merito il compito di impartire le opportune disposizioni affinche’ la difesa sia reintegrata nelle sue prerogative, previa adozione degli opportuni provvedimenti (Sez. 2, n. 31512 del 24/04/2012 cit.).
E cio’ e’ esattamente quanto accaduto nel caso di specie: risulta, infatti, che il Pm deposito’ direttamente in udienza gli atti di indagine e chiese l’ammissione dei testi con conseguente facolta’ per la difesa di chiederne il controesame. Dalla sentenza di primo grado risulta che fu disposto il rinvio all’udienza del 21.12.2012 per consentire al difensore dell’imputato di controdedurre sulle richieste istruttorie connesse all’attivita’ di indagine suppletiva, di cui il Pm aveva dato avviso in udienza, indicando nominativamente i testi da escutere in aggiunta a quelli indicati nella lista depositata, cosicche’ il deposito successivo della lista era solo riassuntivo e non vi era stata lesione del diritto di difesa. In ogni caso, in sentenza si precisa che restava fermo il potere del Tribunale, azionabile anche su sollecitazione di parte, di disporre le integrazioni istruttorie, ritenute indispensabili, e che, dopo l’ammissione delle prove documentali e testimoniali richieste dalle parti, la difesa dell’imputato fu invitata a proporre mezzi contrari alle integrazioni di prova richieste dal Pm, ammesse dal Tribunale.
Non risulta, pertanto, ravvisabile la dedotta lesione del diritto di difesa.
5. Infondata e’ anche l’eccezione relativa alla formazione del collegio giudicante in violazione delle regole tabellari, essendo pacifico sia per il tenore dell’articolo 33 c.p.p., comma 2, (non attengono alla capacita’ del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni e quelle sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici), sia per orientamento giurisprudenziale che tale elemento non incida sulla capacita’ del giudice (v. Corte Cost. 98/419, che ha dichiarato infondata con riferimento alla precostituzione del giudice la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 33, comma 2 cit. nella parte in cui non contempla tra le condizioni di capacita’ del giudice le norme dell’ordinamento giudiziario, che regolano l’assegnazione dei procedimenti ai singoli giudici).
6. Del pari infondata e’ l’eccezione in ordine alla mancata ammissione di prove decisive, avendo la Corte dato atto della presenza in atti dei provvedimenti del funzionario addetto alla Procura della Repubblica di Vibo Valentia e di quelli del funzionario delegato, relativi alle missioni oggetto di contestazione, e ha ritenuto irrilevante ai fini del decidere l’acquisizione di tutti i mandati di pagamento emessi dal funzionario delegato, relativi a tutte le missioni dei magistrati della Procura della Repubblica di Vibo Valentia dall’1 luglio 2002 al 31 dicembre 2006, in quanto relativi a magistrati diversi dal ricorrente.
La decisione, congruamente e logicamente motivata, risulta incensurabile, specie ove si rilevi che dalla sentenza di primo grado risultano, invece, acquisiti ed esaminati detti mandati di pagamento – v. pag. 49 della sentenza-.
7. Quanto alla sussistenza del delitto di peculato deve rilevarsi che la sentenza impugnata, che si salda ed integra quella di primo grado, ha fornito puntuali ed argomentate risposte alle deduzioni ed ai rilievi del ricorrente, di talche’ l’esito del giudizio non puo’ essere invalidato da prospettazioni, che si risolvono una riproposizione delle obiezioni, gia’ esaustivamente disattese dai giudici di merito con motivazione lineare e corretta.
Invero, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati in tema di disponibilita’ del danaro da parte del pubblico ufficiale. Secondo l’orientamento consolidato in tema di peculato, la nozione di possesso di danaro deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione materiale, ma anche della disponibilita’ giuridica, con la conseguenza che l’appropriazione di esso puo’ avvenire anche attraverso il compimento di un atto di carattere dispositivo di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio, che gli consenta di inserirsi nel maneggio o nella disponibilita’ del danaro e di conseguire quanto poi oggetto di appropriazione. Ne consegue che l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale che si comporti uti dominus nei confronti di danaro, del quale ha il possesso in ragione del suo ufficio, e la sua conseguente appropriazione possono realizzarsi anche nelle forme della disposizione giuridica, del tutto autonoma e libera da vincoli, del danaro stesso, indisponibile in ragione di norme giuridiche o di atti amministrativi (Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013 Rv. 257385, Sez. 6, n.7492 del 18/10/2012, Rv. 255529, Sez. 6, n. 11633 del 22/01/2007, Rv. 236146, Sez. 6, n. 6753 del 04/06/1997, dep. 08/06/1998, Rv. 211008).
Ebbene, la sentenza di primo grado efficacemente dimostra, riproducendone il contenuto a pagina 48, che con proprio decreto il (OMISSIS), richiamata l’autorizzazione rilasciata a se stesso per l’espletamento dell’atto istruttorio da compiere fuori sede, allegati i documenti giustificativi delle spese sostenute, si autoliquidava gli importi dovuti per le missioni. A tale decreto seguiva la redazione da parte del cancelliere di un modello di pagamento, non piu’ previsto dal cd Decreto Bersani n. 223 del 2006, per consentire al funzionario delegato, che si limitava ad apporre un timbro (“Visto, si liquidi”, ugualmente riprodotto in sentenza), di ordinare il pagamento, cosicche’, nonostante il modificato sistema, introdotto dal suddetto decreto, l’imputato continuava a provvedere mediante proprio decreto alla liquidazione delle spettanze per le missioni proprie e dei sostituti, instaurando una prassi illegittima in forza della quale acquisiva la disponibilita’ giuridica e la relativa responsabilita’ contabile in relazione alle somme poi materialmente erogate dal funzionario delegato presso la Procura Generale della Repubblica di Catanzaro, che non aveva alcun potere di verifica di merito delle spese sostenute.
L’articolo 41 del TUSG prevede espressamente che per il compimento di atti del processo penale e civile, fuori dalla sede in cui si svolge, i magistrati professionali e onorari hanno diritto alle spese di viaggio e alle indennita’ di trasferta secondo le norme che disciplinano la missione dei dipendenti statali, ma quanto alla liquidazione delle spese l’articolo 165 stabilisce che essa e’ sempre effettuata con ordine di pagamento del funzionario addetto all’ufficio, salvo che sia attribuita al magistrato. Precisato che le uniche ipotesi di liquidazione ad opera del magistrato con decreto di pagamento motivato sono quelle previste dagli articoli 168 e 169 TUSG, riguardanti, rispettivamente, le spettanze degli ausiliari del magistrato e l’indennita’ ai custodi, e le spese di demolizione e di riduzione in pristino dei luoghi, oltre alle spese straordinarie, quali quelle per le intercettazioni telefoniche, il decreto di liquidazione emesso dall’imputato in favore di se stesso esulava dalla cornice legale descritta, ma costituiva titolo giuridico di liquidazione, sulla cui base il funzionario delegato, eseguiti i necessari riscontri di mera natura contabile, avrebbe provveduto all’emissione dell’ordinativo di pagamento, non potendone censurare il merito.
L’obiezione difensiva sul punto e’ infondata, atteso che la sospensione dei pagamenti delle missioni non fu certo riconducibile all’iniziativa autonoma del funzionario, ma alla disposizione del capo dell’ufficio ed alla necessita’ di un’indagine penale per verificare la sussistenza di profili di illegittimita’ nei decreti di liquidazione, ritenuti anomali per l’entita’ degli importi richiesti.
Ne discende che, indiscusso ed insindacabile da parte di qualsiasi funzionario il potere dell’imputato di ordinare la spesa correlata alle missioni ed agli atti d’ufficio da compiere fuori sede, a tale potere corrisponde il potere di impegnare economicamente l’erario e determinare l’esborso, senza possibilita’ per il funzionario di invalidare l’ordine di spesa. E’ quindi, attribuibile all’imputato la disponibilita’ giuridica dei fondi pubblici, che quell’onere dovevano sostenere, risultando l’ordine di pagamento, di competenza del funzionario addetto, adempimento esecutivo dell’atto dispositivo del magistrato.
Non e’, pertanto, condivisibile la tesi difensiva che, invece, attribuisce al funzionario delegato il potere dispositivo della spesa ne’ le argomentazioni dei giudici di merito possono risultare inficiate dall’assenza di rilievi in sede ispettiva sull’operato dell’imputato, esulando dai compiti degli ispettori una verifica sul merito delle missioni, sulle modalita’ e tempi di espletamento di attivita’ investigative.
Tale impostazione consente di ritenere corretta la valutazione dei giudici di merito in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del peculato ed all’appropriazione delle sole somme eccedenti le esigenze d’ufficio, in quanto ingiustificate e non strettamente indispensabili per il compimento dell’attivita’ istituzionale programmata, che deve ispirarsi al principio di economicita’, quale corollario del piu’ generale principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
Quanto alle questioni attinenti alla durata della missione, al riposo giornaliero ed all’orario di lavoro, previsti dalle norme contrattuali per i dipendenti pubblici, va evidenziato che dette disposizioni, oltre a non essere automaticamente applicabili al lavoro dei magistrati, che per definizione non e’ vincolato al rigoroso rispetto di limiti orari giornalieri e settimanali, in ragione della peculiarita’ dell’attivita’ giurisdizionale e degli atti urgenti da compiere, specie per un Pm, si risolvono nel proporre questioni di merito, inammissibili in questa sede, a fronte della disamina puntuale ed esaustiva contenuta nella sentenza impugnata, che ha esaminato in dettaglio i quattro episodi contestati, individuando per ciascuno di essi le spese eccedenti le reali necessita’ legate all’atto d’ufficio da compiere.
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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