Responsabilità medico-chirurgica e la regola del più probabile che non

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|27 luglio 2021| n. 21530.

Responsabilità medico-chirurgica e la regola del più probabile che non.

In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva – da compiersi secondo la regola del “più probabile che non” ovvero della “evidenza del probabile”, come pure delineata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 21 giugno 2017 in causa C-621/15 in tema di responsabilità da prodotto difettoso, in coerenza con il principio eurounitario della effettività della tutela giurisdizionale – si sostanzia nella verifica dell’eziologia dell’omissione, per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che l’agente avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire o meno, l’evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità, giudizio da ancorarsi non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma anche all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica). (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da vizi la decisione di merito che, facendo corretta applicazione dell’enunciato principio, aveva fondato la responsabilità di una struttura sanitaria, per colpa dei medici ivi operanti, in relazione al decesso di una paziente derivato dal ritardo di un solo giorno con cui le era stata diagnosticata la cd. “sindrome di Lyell”, non soltanto sul dato statistico delle percentuali di sopravvivenza dei pazienti affetti da detta sindrome, oltre che sul giudizio controfattuale a fronte di una condotta omissiva, ma anche sulla scorta degli elementi concreti risultanti dalle espletate c.t.u. e dalle prove acquisite riguardo alla superficialità dell’anamnesi effettuata sin dal ricovero, da cui era derivata l’errata diagnosi e le conseguenti dimissioni della paziente, nonostante l’elevata temperatura corporea, per di più, previa somministrazione di un farmaco tale da abbatterne del 70% le probabilità di sopravvivenza).

Sentenza|27 luglio 2021| n. 21530. Responsabilità medico-chirurgica e la regola del più probabile che non

Data udienza 16 febbraio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: IGIENE E SANITA’ – RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 8784-2019 proposto da:
AZIENDA PER LA TUTELA DELLA SALUTE (A.T.S.) DELLA SARDEGNA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio del Dott. (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
nonche’ nei confronti di:
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 97/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 07/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 – tenutasi ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020, – dal Consigliere Dott. VINCENTI ENZO.

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FATTI DI CAUSA

1. – (OMISSIS), in proprio e in qualita’ di genitore esercente la responsabilita’ sul minore (OMISSIS), convenne in giudizio le Aziende Sanitarie locali n. (OMISSIS) di Cagliari e n. (OMISSIS) di Oristano, chiedendo la condanna di queste ultime al risarcimento dei danni sofferti per il decesso della congiunta (OMISSIS), occorso il (OMISSIS), per TENS o “sindrome di Lyell”, diagnosticata con ritardo fatale.
1.1. – L’adito Tribunale di Oristano, espletata C.Testo Unico medico-legale, con sentenza n. 369/2013, accolse la domanda, condannando in solido le aziende convenute al pagamento, in favore di (OMISSIS), della somma di Euro 475.255,00 e della somma di Euro 407.361,00 in favore di (OMISSIS), a titolo di risarcimento danni, oltre interessi legali dalla data della sentenza e sino al soddisfo.
Il Tribunale condanno’, altresi’, le compagnie assicuratrici dell’Azienda Sanitaria locale (OMISSIS) di Cagliari, la (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A., chiamate in causa, a tenere indenne l’assicurata dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’accoglimento della domanda attrice, nonche’ alla rifusione delle spese processuali nei confronti della medesima struttura sanitaria.
2. – Con sentenza n. 97 resa pubblica il 7 febbraio 2018, la Corte d’Appello di Cagliari, ritenendo, sulla base di C.Testo Unico medico-legale, ascrivibile l’exitus della (OMISSIS) esclusivamente alla condotta gravemente colposa dei medici operanti nell’Asl (OMISSIS) di Oristano, in accoglimento dell’appello svolto dalle chiamate in causa compagnie assicuratrici dell’Asl (OMISSIS), la (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS) S.p.A.) e l’ (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS) S.p.A.) e di quello incidentale dell’Azienda Sanitaria locale (OMISSIS) di Cagliari, nonche’, parzialmente (ossia, sulla pretesa risarcitoria attorea concernente il danno patrimoniale), di quello dell’Azienda Sanitaria locale (OMISSIS) di Oristano, condannava unicamente quest’ultima Azienda Sanitaria locale ((OMISSIS) di Oristano) al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 375.117,20 in favore di (OMISSIS) e della somma di Euro 407.361,00 in favore di (OMISSIS), oltre relativi accessori.
2.1. – In particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte d’Appello riteneva che “l’evento letale (fosse) ascrivibile esclusivamente all’operato dei medici dell’ospedale San Martino di Oristano”, con esclusione della responsabilita’ imputabile all’Asl (OMISSIS) di Cagliari, per aver la predetta struttura sanitaria correttamente diagnosticato la sindrome di Lyell e per aver, sospesa la somministrazione di paracetamolo, tempestivamente disposto, in data 26 settembre 1999, il trasferimento della paziente dapprima presso l’unita’ operativa di Terapia Intensiva e Rianimazione, e, in data (OMISSIS), in ragione del successivo ulteriore aggravamento, presso il Centro Grandi Ustionati di Sassari, ove la paziente e’ deceduta.

 

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Quanto alla posizione della Asl (OMISSIS) di Oristano, il giudice di secondo grado riscontrava nell’operato dei medici – e segnatamente, nell’assenza di un’anamnesi del quadro clinico completa e dettagliata, nell’errata diagnosi di morbillo e conseguente mancata sospensione del farmaco Actigrip scatenante la reazione allergica, nonche’ nella prescrizione di altro farmaco contenente il medesimo principio attivo di paracetamolo determinante ancor piu’ l’aggravamento della patologia in scolla mento cutaneo – la condotta generatrice dell’evoluzione severa della malattia, culminata, ridotte drasticamente le possibilita’ di sopravvivenza della (OMISSIS), nell’exitus della medesima.
3. – Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Azienda per la Tutela della Salute della Sardegna (succeduta per legge a tutte le Aziende Sanitarie locali della Sardegna, e, fra queste, All’azienda Sanitaria locale (OMISSIS) di Oristano), affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi.
Resistono con controricorso, illustrato da memoria, (OMISSIS) e (OMISSIS).
Non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede le intimate (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A.
Il pubblico ministero ha rassegnato conclusioni scritte, concludendo per il rigetto del ricorso.
La decisione e’ stata resa in camera di consiglio ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale, con adozione della forma di sentenza in forza dell’articolo 375 c.p.c., u.c..

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1223, 1225, 1226, 1227 e 1228 c.c. e articoli 40 e 41 c.p., per non aver la Corte territoriale applicato, in punto di accertamento del nesso causale tra condotta della struttura sanitaria ed evento lesivo, il principio del “piu’ probabile che non” in conformita’ alle peculiarita’ del caso concreto, attestandosi invero sul mero piano di statistiche generali ed astratte, la’ dove ha sostenuto che, ove la sindrome di Lyell fosse stata tempestivamente diagnostica, la (OMISSIS) avrebbe avuto, nella misura del 70%, significative chances di sopravvivenza.
La Corte di merito, in contrasto con il principio per cui la prova del nesso causale grava sul danneggiato, non avrebbe, altresi’, reso alcun giudizio controfattuale in merito all’incidenza determinante del ritardo – di un solo giorno – della diagnosi di TENS nella causazione dell’exitus della paziente, sulla scorta dei rilievi per cui la diagnosi medesima sarebbe comunque avvenuta, presso l’Asl (OMISSIS) di Cagliari, soli tre giorni successivi all’assunzione del medicinale Actigrip che avrebbe scatenato l’esantema, nonche’ della circostanza per cui la (OMISSIS) sarebbe stata successivamente ricoverata in ben altre strutture ospedaliere, quali il reparto di Terapia Intensiva dell’Asl (OMISSIS) di Cagliari e il Centro Grandi Ustionati di Sassari.
1.1. – Il motivo e’ in parte infondato e in parte inammissibile.
1.1.1. – Giova rammentare, anzitutto, che (alla stregua di orientamento ormai stabile di questa Corte: Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576 e, tra le altre, Cass., 27 settembre 2018, n. 23197), in tema di responsabilita’ civile, la verifica del nesso causale tra condotta (commissiva e/o omissiva) e fatto dannoso – regolato strutturalmente dalle norme di cui agli articoli 40 e 41 c.p. (e, dunque, per via interpretativa, in forza dell’applicazione della teoria condizionalistica, temperata dalla teoria della c.d. regolarita’ o adeguatezza causale) deve compiersi sulla scorta del criterio (o regola di funzione o, altrimenti detta, regola probatoria) del “piu’ probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non puo’ essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilita’ quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilita’ logica o baconiana).
Allorquando, poi, venga in rilievo, segnatamente, una condotta omissiva, quella verifica si sostanzia nell’accertamento della probabilita’ positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto.

 

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1.1.1.1. – In particolare, quanto specificamente al profilo dell’accertamento del nesso eziologico che investe l’applicazione del criterio del “piu’ probabile che non”, il principio sopra enunciato trova le seguenti puntualizzazioni.
Non puo’ disconoscersi, infatti, che l’attuale assetto della giurisprudenza civile in materia si presenta, in misura significativa, tributario degli approdi, sistematico e di risultato, della sentenza delle Sezioni Unite penali n. 30328 del 10 luglio 2002 (dep. 11 settembre 2002), pronunciata proprio in materia di responsabilita’ sanitaria.
La citata decisione ha avuto ad oggetto la cognizione di fattispecie di reato colposo omissivo improprio e, dunque, di accertamento relativo alla causalita’ della condotta omissiva (ossia, dell’anzidetto giudizio controfattuale che, per l’appunto, si richiede nella verifica dell’eziologia dell’omissione, per cui, in modo speculare a quanto accade per la condotta attiva, occorre stabilire se il comportamento doveroso che l’agente avrebbe dovuto tenere comportamento materiale prima di tutto – sarebbe stato in grado di impedire, o meno, l’evento lesivo, al di la’ di ogni profilo di rimprovero soggettivo), ma ha enunciato principi generalmente applicabili in materia di rapporto causale, tracciando una chiara distinzione tra probabilita’ scientifica e probabilita’ logica.
In essa non si nega affatto la rilevanza della legge scientifica (universale – assai rare – o statistica, che sono la maggior parte), o della regola d’esperienza, di copertura, ma si afferma che non e’ consentito dedurre automaticamente e proporzionalmente dal coefficiente di probabilita’ statistica espresso dalla “legge” la conferma dell’ipotesi sull’esistenza del rapporto di causalita’, poiche’ il giudice ne deve verificare la validita’ nel caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto e dell’evidenza.
Assume, dunque, centralita’ il c.d. “ragionamento probatorio” del giudice, che fa si’ che l’accertamento processuale divenga anch’esso elemento definitorio dello stesso concetto di causa rilevante per il diritto.
In altri termini, la “regola di struttura” e la “regola di funzione” si saldano nel cd. ragionamento probatorio; cio’ sta a significare il rigetto di quel modello – al quale guardava la giurisprudenza piu’ risalente che ancorava l’accertamento del nesso di causa imprescindibilmente in base a determinate soglie probabilistiche fornite dalla legge scientifica.

 

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Quell’accertamento giudiziale e’ stato quindi ancorato dalla sentenza delle Sezioni Unite penali alla “alta o elevata credibilita’ razionale” del verificarsi dell’evento lesivo in base alla condotta dell’agente, cio’ in ragione dello stretto legame con l’esigenza di preservare, in ambito penalistico, oltre ai caratteri di tassativita’ e determinatezza della fattispecie di reato (articolo 25 Cost.), il principio di non colpevolezza dell’accusato (articolo 27 Cost.), per cui la condanna puo’ seguire solo ove l’ipotesi accusatoria sia fondata oltre ogni ragionevole dubbio.
Diversamente, in ambito di responsabilita’ civile, la diversita’ dei valori implicati (come ribadito dalla citata Cass., S.U., (OMISSIS)76/2008 ed essendosi nel medesimo senso espressa ancor prima Cass., 16 ottobre 2007, n. 21619) porta a privilegiare la regola probatoria o di funzione del “piu’ probabile che non”, che, come detto, costituisce ormai “diritto vivente”.
A tal riguardo, si fa riferimento al principio di evidence and inference dei sistemi anglosassoni, per affermare che lo standard di “certezza probabilistica” in materia civile – come detto – non puo’ essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilita’ logica o baconiana).
Il principio e’ stato, quindi, puntualizzato (tra le altre, Cass., 21 luglio 2011, n. 15991; Cass., 20 febbraio 2015, n. 3390) nel senso della necessita’ di una analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo, della singola vicenda di danno, della singola condotta causalmente efficiente alla produzione dell’evento, tutte a loro volta permeate di una non ripetibile unicita’.
L’ineludibile esigenza di ancorare l’accertamento del nesso causale alla concretezza della vicenda storica comporta una traslazione della regola sostanziale in quella processuale, tale che la valorizzazione del caso concreto non risulti svalutazione della legge scientifica, soprattutto nella sua declinazione di legge statistica, per dar corpo ad “ideali aneliti riparatori tout court” (cosi’ la citata Cass. n. 15991/2011), ma impone di calare il giudizio sull’accertamento del nesso causale all’interno del processo, cosi’ da verificare, secondo il prudente apprezzamento rimesso al giudice del merito (articolo 116 c.p.c.), la complessiva evidenza probatoria del caso concreto e addivenire, all’esito di tale giudizio comparativo, alla piu’ corretta delle soluzioni possibili.

 

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Di qui, la vitalita’ del criterio della c.d. evidenza del probabile nell’ambito del singolo processo e della singolare vicenda processuale, che, dunque, non si risolve nella preponderanza dell’evidenza legata al criterio del “50% + 1” (tipico della cultura giuridica anglosassone), ma potra’ giungere all’affermazione di sussistenza del nesso di causalita’ materiale anche in situazioni di probabilita’ minori (senza per cio’ dar luogo ad ipotesi di “perdita di chance”), tenuto conto delle acquisizioni probatorie, sia in positivo, che in negativo, ossia come assenza di fattori alternativi plausibili.
In tale ottica conferma e conforto di una siffatta impostazione ma anche l’emersione di talune precisazioni di rilievo – provengono dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE).
L’orientamento della CGUE era stato fatto oggetto di richiamo gia’ dalla citata Cass., S.U., n. 576/2008 la’ dove, in controversie consumeristiche, il riferimento diretto era al concetto di “sufficiente probabilita’” o di “maggiore probabilita’” della violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore (CGCE, 13/07/2006, n. 295; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12).
Un rilievo ancor piu’ significativo assume, pero’, la piu’ recente sentenza del 21 giugno 2017 (C-621/15), in tema di interpretazione dell’articolo 4 della direttiva 85/374 in materia di responsabilita’ da prodotto difettoso, in controversia riguardante un’azione risarcitoria contro il produttore di un vaccino per il danno derivante da un asserito difetto di quest’ultimo.
La questione interpretativa si e’ posta in ragione della mancanza di una legge di copertura (nella specie, secondo la scienza e la ricerca medica) a fondare l’esistenza, ma anche ad escluderla, del nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui era affetto il danneggiato; la pronuncia, quindi, ha avuto riguardo proprio alla prova della connessione causale tra difetto del prodotto e danno, prova il cui onere grava sul danneggiato.
Nell’ottica del principio di effettivita’ della tutela che segna l’esercizio dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, la CGUE ha ritenuto che la prova del nesso causale possa anche derivare da quella indiziaria, fornita dall’attore, pur in assenza di “certezze” scientifiche (in termini positivi o negativi), ma potendosi fondare “su un complesso di indizi la cui gravita’, precisione e concordanza… consentono” al giudice “di ritenere, con un grado sufficientemente elevato di probabilita’, che una simile conclusione” ossia la sussistenza dell’anzidetta connessione – “corrisponda alla realta’”.

 

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Pur ribadendo l’assetto del riparto dell’onere di prova, a carico del danneggiato – e, dunque, negando che si possa addivenire ad un ribaltamento di detto onere, conferendo al giudizio presuntivo una valenza anche iuris tantum di esistenza del nesso di causalita’ tra il difetto e l’insorgenza del danno – la CGUE evidenzia come cio’ debba essere evitato proprio tramite l’applicazione del principio sopra definito di “evidenza del probabile”, legato alla formazione del thema probandum nel piu’ ampio contraddittorio tra le parti.
Cio’ richiede – afferma la Corte di Lussemburgo – “che il giudice si assicuri di preservare il proprio libero apprezzamento quanto al fatto che una simile prova sia stata o meno fornita in modo giuridicamente sufficiente, fino al momento in cui, avendo egli preso conoscenza degli elementi prodotti dalle due parti e degli argomenti scambiati dalle stesse, si ritenga in grado, alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti del caso al suo esame, di formare il proprio convincimento definitivo al riguardo” (convincimento che – come detto – attiene all’esistenza o meno del nesso di causalita’ materiale tra una condotta e un evento, pur in assenza del conforto pieno della c.d. legge di copertura).
Secondo un’ottica similare si e’, del resto, espressa la giurisprudenza di questa Corte in materia di danni da vaccinazioni obbligatorie, indennizzati ai sensi della L. n. 210 del 1992, giacche’, a fronte di un riscontro sul piano scientifico di segno sostanzialmente negativo (ossia di “implausibilita’ biologica”) circa la sussistenza del nesso causale tra somministrazione vaccinale e patologia insorta (autismo), si e’ dato, poi, rilievo alla carenza di elementi concreti ulteriori a fondare l’esistenza di detto nesso, mettendo in risalto la convergente valutazione tra la determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilita’ quantitativa) e gli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilita’ logica), cosi’ da giungere al convincimento che l’eziologia ipotizzata dal ricorrente era rimasta allo stadio di “mera possibilita’ teorica” (cosi’ Cass., 25 luglio 2018, n. 19699; in precedenza, analogamente, Cass., 25 luglio 2017, n. 18358; Cass., 24 ottobre 2017, n. 25119; Cass., 3 febbraio 2021, n. 2474).
Ne consegue che la “legge di copertura” viene, anzitutto, a delineare il perimetro della c.d. causalita’ generica, fornendo (ove naturalmente cio’ sia predicabile e nei termini, pur limitati, in cui lo sia) una base di copertura scientifica (statistico/probabilistica) del nesso causale, attraverso la quale transita la c.d. causalita’ specifica che attenendo alla concretezza della vicenda processuale e dunque alla pretesa fatta valere dal danneggiato – della prima saggia la definitiva concludenza facendo leva sugli elementi processualmente raccolti e, quindi, in base all’evidenza probatoria.

 

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1.1.2. – Degli anzidetti principi ha fatto buon governo la Corte territoriale, calando la propria valutazione nel contesto delle complessive (e ritualmente acquisite) risultanze probatorie, alla luce degli accertamenti tecnici medico-legali effettuati nel corso dell’intero giudizio e non arrestando il proprio giudizio al solo rilievo statistico (legato, dunque, alla legge di copertura in ambito di scienza medica e, quindi, alla sola c.d. causalita’ generica) delle percentuali di sopravvivenza dei pazienti affetti dalla sindrome di Leyll, ne’ mancando di evidenziare il giudizio controfattuale a sostegno del positivo accertamento della causalita’ materiale a fronte di condotta omissiva, nella quale, peraltro, non si e’ esaurito il complessivo comportamento tenuto dai medici dell’Ospedale di Oristano quale ritenuto in correlazione eziologica con l’evento lesivo del decesso della (OMISSIS), alla stregua del criterio (o regola di funzione) del “piu’ probabile che non”.
In particolare, il giudice di appello (cfr. sentenza pp. 19/25) ha concretamente accertato – sulla scorta delle espletate c.t.u. (e dei relativi rilievi dei consulenti di parte), delle deposizioni testimoniale raccolte e della documentazione (ritualmente) acquisita agli atti (e, segnatamente, delle cartelle cliniche) – la carenza, sin dal ricovero della (OMISSIS) del 24 settembre 1999, di “elementari indagini anamnestiche” in uno con l’imperita interpretazione dell’esame obiettivo, da cui l’errata diagnosi di morbillo (perpetuatasi anche il giorno successivo in occasione delle dimissioni), con erronea prescrizione di farmaco (tachipirina) aggravante il quadro clinico, tale da abbattere la percentuale di sopravvivenza del 70%, rilevando a tal fine anche la superficialita’ (e, dunque, l’imprudenza) delle dimissioni di paziente con temperatura corporea di circa 40 gradi e dalla sintomatologia che, quantomeno, avrebbe dovuto indurre i medici ad una diagnosi differenziale da quella del morbillo.

 

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Di qui, il coerente giudizio controfattuale “di ragionevole probabilita’ che la (OMISSIS) avrebbe potuto sopravvivere se i medici di Oristano avessero tempestivamente effettuato la diagnosi corretta interrotto la somministrazione di paracetamolo – al contrario, incrementata, aggravandosi la patologia – cosi’ consegnando la paziente a una unita’ operativa di Terapia Intensiva e Rianimazione o un Centro Grandi Ustionati in condizioni cliniche generali meno disastrate e compromesse di quelle in cui pervenne a Cagliari”.
Sicche’, il giudizio della Corte territoriale sulla sussistenza, nel caso in esame, del nesso di causalita’ materiale tra condotta (dei sanitari) ed evento (letale a carico della paziente), esitato in un positivo accertamento eziologico in base al criterio del “piu’ probabile che non”, non evidenzia alcuna incertezza al riguardo – risultando cosi’ coerente anche con la regola, residuale, di riparto dell’onere probatorio, che trova rilievo solo in caso di fatto la cui causa determinativa sia rimasta ignota, facendone gravare sull’attore/danneggiato la mancata dimostrazione (tra le altre, Cass., 7 dicembre 2017, n. 29315; Cass., 20 agosto 2018, n. 20812; Cass., 3 novembre 2020, n. 24462) – e tale, quindi, da porsi idoneamente a fondamento della piena attribuzione dell’evento lesivo a carico dei medici dell’Ospedale di Oristano e, dunque, della struttura sanitaria nella quale essi hanno operato, ossia la (ex) A.S.L. (OMISSIS) di Oristano.
Sono, quindi, destituite di fondamento le censure di error in iudicando avanzate dalla parte ricorrente.
1.1.3. – Gli ulteriori profili di doglianza investono direttamente la quaestio facti riservata all’apprezzamento del giudice di merito, del quale l’A.T.S. ricorrente critica, essenzialmente (e in modo inammissibile), gli esiti in ragione di una lettura alternativa delle risultanze probatorie (prospettazione che, come tale, non sarebbe neppure riconducibile al paradigma del vizio c.d. motivazionale di cui alla previgente – e inapplicabile ratione temporis – formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ovvero lamentando una insufficiente e/o contraddittoria motivazione, senza dedurre, in modo idoneo e congruente (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053), un vizio di omesso esame di fatto storico materiale (cfr. sulla valenza meramente istruttoria della c.t.u. quale atto processuale, da cui eventualmente trarre il fatto storico, Cass., 24 giugno 2020, n. 12387) in forza della vigente norma di cui al citato dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Peraltro – e sebbene siano gia’ di per se’ assorbenti le considerazioni che precedono – tali censure sono, altresi’, inammissibili la’ dove (cfr. pp. 17/18 del ricorso) fanno leva sulla documentazione relativa al processo penale contro ignoti instaurato dopo il decesso della (OMISSIS), che la Corte territoriale ha dichiarato in toto inammissibile in quanto prodotta tardivamente, in violazione dell’articolo 345 c.p.c., comma 3, (p. 24 della sentenza).
L’A.T.S. non ha, infatti, dato contezza in questa sede, gia’ con l’atto introduttivo del giudizio di cassazione (palesandosi, comunque, affatto generica l’affermazione, resa con la memoria ex articolo 378 c.p.c., per cui la Corte d’appello non avrebbe dichiarato l’inammissibilita’ degli atti allegati al ricorso) e nel rispetto dei principi di specificita’ e localizzazione processuale, di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e n. 6, della estraneita’ all’anzidetto processo penale degli atti che sono stati posti a sostegno del ricorso e che si palesano come inerenti all’indagine penale (verbali si S.I.T., indagine NAS, esposto-denunzia).

 

Responsabilità medico-chirurgica e la regola del più probabile che non

2. – Con il secondo mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1223, 1225, 1226, 1227 e 1228 c.c. e articoli 40 e 41 c.p., nonche’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denunciato “vizio di omesso esame di fatto decisivo”, per non aver la Corte territoriale tenuto in adeguato conto, nella produzione dell’evento lesivo in un caso, come quello in esame, in cui non era “possibile.. stabilire se la condotta commissiva od omissiva dei medici sia stata o meno rilevante nella effettiva causazione dell’evento morte”, dell’efficienza causale del “fortuito”, ossia dell’indice di mortalita’ della patologia cosi’ elevato da dover provocare, di per se’, nonche’ a prescindere dalle cure poste in essere, un esito infausto del trattamento medico. Donde – soggiunge la ricorrente -, il giudice di merito avrebbe erroneamente posto a carico di essa Azienda Sanitaria un obbligo risarcitorio integrale, la’ dove, solo a considerare l’incidenza del fortuito nel caso concreto, la liquidazione dei danni sarebbe dovuta essere, in via equitativa, non superiore alla misura del 50-70%.
3. – Con il terzo mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218 e 2236 c.c., nonche’ dedotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti, per non aver la Corte territoriale pronunciato sull’eccezione, sollevata con l’appello incidentale, di esimente della responsabilita’ prevista dall’articolo 2236 c.c., per il caso in cui – come nella specie si presentava la diagnosi della sindrome di Lyell – la prestazione medica implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’.
4. – E’ prioritario l’esame del terzo motivo, che attiene ancora all’an della responsabilita’ civile della struttura sanitaria, la’ dove il secondo mezzo investe la portata dell’obbligazione risarcitoria.
4.1. – Il motivo e’ inammissibile, prima ancora che infondato.

 

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4.1.1. – La ricorrente si duole di una omessa pronuncia sull’eccezione, da essa sollevata in appello, concernente l’applicazione, nella specie, dell’esimente di responsabilita’ configurata dall’articolo 2236 c.c., adducendo, al tempo stesso, una violazione di legge (degli articoli 1176, 1218 e 2236 c.c.) e un vizio di omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la’ dove, invero, avrebbe dovuto dedurre un vizio di omessa pronuncia su motivo di appello (e non gia’ su eccezione riservata alla parte, poiche’ il rilievo della questione concernente la necessita’ della soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta’ puo’ essere compiuto d’ufficio dal giudice, sulla base di risultanze ritualmente acquisite, non costituendo oggetto di un’eccezione in senso stretto: tra le molte, Cass., 11 gennaio 2021, n. 200), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e, quindi, invocare, in modo univoco, la nullita’ della sentenza e non gia’ limitarsi a evidenziare una violazione di legge o un vizio motivazionale (Cass., S.U., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass., 7 maggio 2018, n. 10862).
4.1.2. – Tuttavia, ove in ipotesi si possa giungere ad emendare la erronea prospettazione della censura, il vizio denunciato non e’ affatto ravvisabile, giacche’ la questione introdotta dalla A.T.S. (all’epoca A.S.L. (OMISSIS) di Oristano) in sede di appello e’ stata esaminata e decisa – sia pure se non espressamente menzionata la norma dell’articolo 2236 c.c., evocata dalla ricorrente – con una pronuncia implicita di irrilevanza e di infondatezza, in quanto superata e travolta dalla soluzione che il giudice di merito ha dato in punto di imputazione soggettiva della responsabilita’ dei sanitari dell’Ospedale di Oristano, che si presta a configurarsi come incompatibile con l’applicazione dello stesso articolo 2236 c.c..
4.1.2.1. – Come da questa Corte affermato in piu’ di un’occasione (tra le altre, Cass., 10 maggio 2000, n. 5945; Cass., 28 maggio 2004, n. 10297; Cass., 19 aprile 2006, n. 9085Cass., 31 luglio 2015, n. 16275), la limitazione della responsabilita’ professionale del medico ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell’articolo 2236 c.c. si applica nelle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficolta’ nozione che ricomprende non solo la necessita’ di risolvere problemi insolubili o assolutamente aleatori, ma anche l’esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessita’, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media, o che non siano ancora adeguatamente studiati dalla scienza.
In ogni caso, tale limitazione di responsabilita’ attiene esclusivamente all’imperizia, non all’imprudenza e alla negligenza (da valutarsi ai sensi dell’articolo 1176 c.c., comma 2), con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell’esecuzione di un intervento o di una terapia medica, provochi un danno per omissione di diligenza. L’accertamento relativo alla sussistenza di tali presupposti compete, quindi, al giudice di merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ se adeguatamente motivato.
4.1.2.2. – La Corte territoriale (come gia’ in precedenza evidenziato) ha accertato a carico dei sanitari dell’Ospedale di Oristano “molteplici profili di colpa” (cosi’ a p. 20 della sentenza), ravvisandone: a) l’imperizia nell’errata diagnosi di morbillo invece di quella di sindrome di Leyll in base alle evidenze dell’esame obiettivo (e, a maggior ragione, al momento del trasferimento in altro nosocomio), nonche’ nella somministrazione di farmaco contenente paracetamolo (determinante l’ingravescenza della patologia); b) la negligenza nella carente effettuazione “di elementari indagine anamnestica”; c) l’imprudenza (in termini di condotta “superficial(e)”) “nel dimettere, nella stessa giornata del 24 settembre, una paziente con una temperatura corporea di 40 gradi e la suddetta sintomatologia”.
Trattasi, dunque, di accertamento che, in primo luogo, mette in risalto, alla luce dei parametri valutativi anzidetti (enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte), l’irriducibilita’ dei puntuali addebiti, di imperizia, mossi ai sanitari (errata diagnosi della specifica patologia e consequenziale erroneo intervento immediato a livello di terapia: mancata sospensione della somministrazione di tachipirina) al concetto (seppur mobile) di “problemi tecnici di speciale difficolta’”.

 

Responsabilità medico-chirurgica e la regola del più probabile che non

In ogni caso, e in via dirimente, detto accertamento evidenzia profili di negligenza ed imprudenza che elidono, di per se’, la possibilita’ di applicare, nel caso di specie, la norma dell’articolo 2236 c.c., che, come detto, limita il proprio ambito di operativita’ alla condotta professionale imperita, ossia quella difforme dalle regole che possono considerarsi acquisite alla scienza ed alla pratica medica e che indirizzano metodi e/o tecniche di intervento, cosi’ da costituire il necessario corredo, culturale e sperimentale del professionista che si dedichi ad un particolare settore della medicina.
Cio’ che, in sintesi, trova rilievo – alla stregua di quanto previsto dalla L. n. 24 del 2017, articolo 5, pur inapplicabile ratione temporis alla presente controversia – nelle raccomandazioni indicate dalle linee guida o nelle buone pratiche clinico-assistenziali, da calarsi pur sempre nella specificita’ del caso concreto.
4.1.2.3. – Ne’, del resto, un tale accertamento in fatto e’ stato comunque attinto da censure concludenti, essendosi la A.T.S. limitata a dolersi di una (presunta) omessa pronuncia sul motivo di gravame (nei termini anzidetti), senza dedurre, in modo idoneo e congruente, quanto alla quaestio facti un vizio di omesso esame ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (alla stregua di quanto enunciato da Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053, per cui il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie).
Ne’ (pur essendo gia’ di per se’ assorbenti le considerazioni al § 4.1.2.2.) e’ stata sottoposta a critica specifica, nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, la sentenza della Corte territoriale nella sua articolata valutazione della colpa professionale (come visto, comunque escludente la possibilita’ di fare applicazione dell’articolo 2236 c.c.), giacche’, pur avendo richiamato la giurisprudenza sulla citata norma (ed accennato in estrema sintesi all’esito della decisione di gravame), la ricorrente non ha poi svolto doglianze puntuali su quella valutazione, concentrando piuttosto lo sviluppo argomentativo del motivo nel dare contezza delle ragioni dell’appello.
5. – Venendo allo scrutinio del secondo motivo, esso e’ inammissibile.
Lo e’ anzitutto la’ dove con esso si postula un omesso esame sul “rischio di mortalita’ di base”, che non puo’ ritenersi un fatto storico materiale da potersi ricondurre nell’alveo del vizio denunciabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostanziandosi in una valutazione astratta di carattere tecnico-scientifico nell’ambito della medicina, che la Corte territoriale ha, peraltro, tenuto in considerazione nella delibazione, in concreto, delle probabilita’ di sopravvivenza della paziente.
Inoltre, lo e’ (inammissibile), e in via assorbente, in quanto la doglianza dell’A.T.S. muove dall’erroneo presupposto che, nella specie, vi sia una concomitanza del “fortuito” (per l’appunto, il rischio di mortalita’ di base) con la condotta dei sanitari tale che il fattore naturale abbia concorso eziologicamente con quello umano nella verificazione dell’evento lesivo (la morte della paziente), cosi’ da poter poi ridondare (non sul piano della causalita’ materiale, bensi’) sul piano della causalita’ giuridica in termini di riduzione, in via equitativa, dell’obbligo risarcitorio, rilevando proprio in tal guisa la accertata concorrenza eziologica del “fortuito” stesso.
Tuttavia, come detto in precedenza, la Corte territoriale ha accertato, in base alla regola probatoria del “piu’ probabile che non” e facendo corretta applicazione del “ragionamento probatorio”, l’esistenza del nesso causale tra condotta dei sanitari e morte della paziente in termini di ascrizione completa dell’evento lesivo in capo ai medici, escludendo intermediazioni di fattori naturali concomitanti e con valenza eziologica incidente sulla causazione dell’evento stesso. Per contro, parte ricorrente intende (inammissibilmente) assegnare valenza di fattore naturale eziologicamente concorrente con la condotta dei sanitari ad una (come detto) astratta valutazione della scienza medica, avulsa, dunque, dalla verifica effettuata, correttamente, dal giudice di merito in concreto e secondo le coordinate giuridiche innanzi rammentate (§ 1.1.1.1., che precede).
Infine, la censura si viene a comunque scontrare con la circostanza (che sarebbe, di per se’, dirimente) secondo cui, per poter avvalersi della riduzione equitativa dell’obbligo risarcitorio in ragione del fattore naturale (nella specie, quel “fortuito” evocato dalla ricorrente A.T.S.), occorre “che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario” (cosi’ Cass., 21 luglio 2011, n. 15991; in termini anche Cass., 17 giugno 2016, n. 12516). Cio’ che, invece, e’, nel caso in esame, da escludere in base all’accertamento della Corte territoriale (ormai non piu’ superabile all’esito dello scrutinio che precede) in ordine alla condotta colposa dei sanitari dell’Ospedale di Oristano determinativa della ingravescenza della patologia in guisa tale da “abbatte(re) la percentuale statistica di sopravvivenza del 70% in misura tale… (che) le condizioni della inferma non si sarebbero aggravate e la stessa avrebbe potuto sopravvivere con le cure appropriate in un centro attrezzato” (cosi’ p. 22 della sentenza di appello).
6. – Il ricorso va, pertanto, rigettato e la parte ricorrente condannata al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo.
Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti delle parti intimate che non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 10.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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