Divisione giudiziale di un compendio immobiliare ereditario

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 luglio 2021| n. 21612.

In tema di divisione giudiziale di un compendio immobiliare ereditario, l’art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell’art. 720 c.c., non solo nel caso di mera “non divisibilità” dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi – secondo un accertamento riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua, coerente e completa – non siano “comodamente” divisibili e, cioè, allorché sia elevata la misura dei conguagli dovuti tra le quote da attribuire ovvero quando quando, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero ovvero. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in presenza di due immobili aventi una notevole differenza di valore, li ha assegnati ad uno solo dei condividenti sul presupposto che una divisione che avesse previsto due quote formate, ognuna, da uno dei beni avrebbe comportato il versamento di un conguaglio tale da assorbire in modo significativo una delle due quote, vanificando in tal modo l’obiettivo dell’effettiva divisione in natura).

Ordinanza|28 luglio 2021| n. 21612. Divisione giudiziale di un compendio immobiliare ereditario

Data udienza 18 marzo 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Comunione – Bene non comodamente divisibile – Assegna del bene ad un soggetto rispetto ad un altro – Indicazione dei motivi da parte del giudice – Usucapione di bene comune – Presupposti – Estensione del possesso in senso esclusivo – Irirlevanza dei meri atti di gestione – Atti interruttivi dell’usucapione – Nozione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 1119-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 3898/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/03/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie delle parti.

Divisione giudiziale di un compendio immobiliare ereditario

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con citazione del 16 ottobre 2014 (OMISSIS) ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 5433/2014 con la quale era stato disposto, in accoglimento della domanda dell’appellante, di procedere allo scioglimento della comunione su di alcuni immobili siti in (OMISSIS), e costituti da un laboratorio a piano terra ed un deposito posto nel cortile antistante la palazzina, beni dei quali l’appellante era comproprietario in pari misura con il convenuto (OMISSIS).
Il Tribunale, disattesa la domanda riconvenzionale di usucapione del convenuto, reputava i beni non comodamente divisibili e li attribuiva per l’intero al (OMISSIS), con la condanna al versamento dell’eccedenza pari ad Euro 113.497,00.
La Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 389 del 12/10/2015, decidendo anche sull’appello incidentale del (OMISSIS), con il quale si doleva del mancato accoglimento della riconvenzionale, rigettava entrambi i gravami, compensando le spese del grado.
Nell’esaminare in via prioritaria l’appello incidentale, rilevava che correttamente non era stato ritenuto idoneo a determinare l’usucapione il comportamento del convenuto, che assumeva che fin dal 1977 aveva cambiato le serrature del laboratorio a piano terra, trasformando anche le celle frigorifere in magazzino e cio’ in quanto era da escludersi che tale condotta concretasse un possesso esclusivo tale da consentire l’acquisto invocato.
Infatti, il (OMISSIS) aveva preso parte all’atto di scioglimento della societa’, nel cui patrimonio erano inclusi i beni oggetto di causa, atto con il quale i beni vennero assegnati ai soci in proporzione della loro partecipazione alla societa’ e, successivamente, lo stesso appellato si era reso acquirente insieme alla sorella (dante causa dell’appellante principale) delle quote degli altri comproprietari.

 

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Tali atti risalenti rispettivamente al 1985 ed al 1995 erano successivi alla condotta asseritamente idonea a determinare un possesso esclusivo sui beni, il che escludeva che al cambio delle serrature potesse attribuirsi il valore di estrinsecare un’univoca volonta’ di possedere uti dominus, e cio’ alla luce del fatto che il compimento dei detti atti traslativi implicava il riconoscimento della sussistenza della comunione.
Inoltre, con missive del 2009 lo stesso (OMISSIS) aveva proposto al (OMISSIS) di rendersi acquirente della sua quota, con dichiarazioni di carattere confessorio circa l’altrui diritto di comunione.
Ne scaturiva che le istanze istruttorie si palesavano inammissibili in quanto in parte generiche e valutative, e comunque inidonee a comprovare l’usucapione del bene comune, tenuto conto anche dei rapporti di parentela con gli altri comunisti e del compimento dei succitati atti.
Passando alla disamina dell’appello principale, i giudici di appello ritenevano di dover condividere la valutazione di non comoda divisibilita’ dei beni in comunione, in quanto, sebbene la stessa insista su due diverse unita’ immobiliari, la formazione di un progetto che prevede l’inclusione di un singolo bene in ogni quota, implica, per l’evidente disparita’ di valore tra i due cespiti, che il conguaglio dovuto dall’attributario del bene di minor valore sia eccessivo.
La diversa soluzione che invece contempla l’accorpamento al locale deposito di una parte del laboratorio, da distaccare dalla piu’ ampia consistenza, assicurerebbe effettivamente dei conguagli inferiori, ma comporterebbe l’esecuzione dei lavori necessari sia per la separazione delle due porzioni di laboratorio, sia per la creazione di un servizio igienico all’interno della porzione che ne e’ attualmente sprovvista.
Inoltre, il Tribunale aveva condivisibilmente sottolineato che il lotto includente il deposito e la parte separata del laboratorio sarebbe formato da due beni di piccole dimensioni meno agevolmente utilizzabili.
Ad avviso della Corte d’Appello le critiche dell’appellante non risultavano idonee a scardinare la correttezza dell’apprezzamento del giudice di primo grado, trovando tale giudizio conferma anche nelle conclusioni dello stesso appellante che, pur insistendo per la divisione in natura, aveva subordinato la sua adesione all’assegnazione in suo favore necessariamente del lotto comprendente l’intero laboratorio o la parte di maggiori dimensioni.
Quanto alla stima del compendio, la sentenza ricordava come il CTU avesse preso in esame anche il valore delle dotazioni accessorie, tra le quali andava inclusa anche la quota parte del cortile comune, trattandosi peraltro di bene che apparteneva in comunione anche agli altri appartamenti ubicati nello stesso stabile.

 

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In merito alla scelta del condividente cui assegnare i beni, la sentenza di appello rilevava che effettivamente la richiesta dell’appellante principale era successiva a quella avanzata dal convenuto, e che effettivamente risaliva alla rimessione della causa in istruttoria, dopo che inizialmente era stata disposta l’attribuzione in favore del (OMISSIS), con rinvio ad una successiva udienza al fine di verificare l’effettivo versamento del conguaglio.
Ma anche a voler reputare che la richiesta del (OMISSIS) sia ammissibile per effetto del rinvio in istruttoria del processo, doveva ritenersi che fosse intatto il potere discrezionale del giudice di individuare il condividente cui attribuire il bene non comodamente divisibile.
Nella specie, la scelta compiuta appariva condivisibile, oltre che non specificamente censurata.
Rilevava, infatti, la circostanza che il convenuto e’ proprietario dell’intero primo piano e del secondo piano della palazzina oggetto di causa, eccezione fatta degli immobili ancora in comunione, sicche’ l’attribuzione in suo favore permetterebbe di ottenere la piena proprieta’ del fabbricato, costituendo tale elemento un profilo correttamente valorizzato al fine di individuare il condividente da preferire.
Quindi, dopo aver disatteso anche il secondo motivo di appello incidentale, vertente sulla ripartizione delle spese di lite, ritenendosi corretta la compensazione operata dal Tribunale, la sentenza osservava che nella memoria di replica l’appellato aveva addotto una riduzione del valore di mercato dei beni, riduzione che pero’ era solo allegata, facendosi richiamo alla crisi del mercato immobiliare, senza pero’ addurre alcun argomento specifico che consentisse di riferire tale considerazione anche agli immobili oggetto di causa.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi.
(OMISSIS) resiste con controricorso proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a due motivi.
Il ricorrente principale ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimita’ dell’udienza.
2. L’ordine logico delle questioni impone la preventiva disamina dei motivi di ricorso incidentale che mirano a contestare la correttezza del rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione, e quindi sollecitano la valutazione in merito all’effettiva permanenza di una situazione di comunione, sulla quale e’ destinata ad incidere la decisione della Corte d’Appello, che ha attribuito i beni allo stesso appellante principale, sul presupposto della loro non comoda divisibilita’.
Con il primo motivo di ricorso incidentale si denuncia la violazione degli articoli 1158 e 1140 c.c., articolo 115 c.p.c., comma 1 e articolo 116 c.p.c. per avere la Corte d’Appello ritenuto ostativi all’acquisto per usucapione fatti intervenuti successivamente al periodo ventennale necessario per l’acquisto a titolo originario, e valutato il compimento di atti formali prevalenti rispetto al potere di fatto sui beni, senza considerare anche la mancata contestazione dei fatti da parte dell’attore.
Si deduce che nella domanda riconvenzionale si sosteneva l’avvenuto acquisto per usucapione in ragione del fatto che fin dal 1977 il (OMISSIS) aveva cambiato le serrature del laboratorio con una trasformazione delle celle frigorifere in magazzino.
Essendo l’unico ad avere le chiavi ed essendo l’unico a fruire dei locali, aveva in tal modo iniziato a possedere in maniera esclusiva anche nei confronti degli altri comproprietari.
La Corte d’Appello, oltre ad avere erroneamente ritenuto che i fatti in oggetto fossero stati contestati dalla controparte, avrebbe dato rilevanza ad alcune missive del 2009 indirizzate dal (OMISSIS) al (OMISSIS), missive pero’ risalenti ad oltre venti anni dall’inizio del possesso e quindi successive al compimento del periodo utile ad usucapire, avuto riguardo alla data di inizio del possesso (1977).

 

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Inoltre, alcuna rilevanza potrebbe essere attribuita agli atti del 1985 e del 1995, in quanto non hanno mai inciso sul rapporto di fatto avuto dal ricorrente incidentale con i beni, avendo il piu’ limitato fine di permettere alla parte di accrescere la sua quota di proprieta’.
Il motivo e’ infondato.
Per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 e necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c. (Cass. S.U. n. 20867/2020, secondo cui i tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione).
Il motivo proposto non appare idoneo ad individuare una specifica censura come richiesto dai precedenti di questa Corte, ne’ appare correttamente sollevata la violazione dell’articolo 115 c.p.c., quanto al principio di non contestazione.

 

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Ed, infatti, in disparte l’inapplicabilita’ della norma, avuto riguardo alla data di introduzione del giudizio in primo grado, anteriore al 4 luglio 2009, data a partire dalla quale risulta applicabile la novella dell’articolo 115 c.p.c., si osserva che la Corte d’Appello, a pag. 6, ha espressamente evidenziato che l’attore gia’ nella memoria di cui all’articolo 183 c.p.c., comma 6 aveva contestato puntualmente la fondatezza della domanda riconvenzionale sia per quanto concerneva il profilo oggettivo sia per quanto atteneva all’animus possidendi della controparte, sicche’ a fronte di tale affermazione il motivo in esame si limita genericamente a riferire di un’assenza di contestazione da parte del (OMISSIS), riportando solo in minima parte il contenuto della memoria dell’attore cui invece la Corte d’Appello ha annesso l’idoneita’ a porsi come valida contestazione.
In punto di diritto, e quanto al tema sollecitato dal motivo, relativo all’usucapione di un bene comune, occorre ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 5226/2002), a tal fine, sebbene non sia necessaria l’interversione del titolo del possesso (articoli 1102, 1164 e 1411 c.c.) e’ sufficiente l’estensione del possesso medesimo in termini di esclusivita’. Tuttavia, in vista di tale obiettivo non e’ sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo altresi’ che il comproprietario ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilita’ di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volonta’ di possedere “uti dominus” e non piu’ “uti condominus” (Cass. n. 1783/93, Cass. n. 5687/96, Cass. n. 7075/99).
Peraltro tale inequivoca volonta’ non puo’ desumersi dal fatto che il comproprietario abbia utilizzato ed amministrato il bene, provvedendo fra l’altro al pagamento delle imposte e alla manutenzione, sussistendo al riguardo la presunzione “juris tantum” che egli abbia agito nella qualita’ e che abbia anticipato le spese anche relativamente alla quota degli altri comunisti; pertanto colui che invochi l’usucapione ha l’onere di provare che il rapporto materiale con il bene si sia verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri comunisti dalla possibilita’ di instaurare un analogo rapporto con il bene comune.
In tal senso si veda anche Cass. n. 7221/2009, per la quale il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario, puo’, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessita’ di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che gia’ possiede animo proprio ed a titolo di comproprieta’, e’ tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusivita’, il che avviene quando il coerede goda del bene in modo inconciliabile con la possibilita’ di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volonta’ di possedere uti dominus e non piu’ uti condominus, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune (conf. Cass. n. 24133/2009, per la quale puo’ integrare possesso idoneo all’acquisto per usucapione del bene medesimo solo quando presenti connotati di esclusivita’ e incompatibilita’ con il compossesso degli altri partecipanti e si traduca, pertanto, in un’attivita’ durevole, apertamente contrastante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, e non anche – pertanto – per il mero fatto che si risolva in una utilizzazione di detto bene piu’ intensa o diversa da quella praticata dagli altri comunisti o condomini; Cass. n. 5416/2011; Cass. n. 23539/2011; Cass. n. 6775/2012; Cass. n. 17630/2013; Cass. n. 11903/2015).
I giudici di merito, con indagine in fatto, adeguatamente motivata, e come tale insuscettibile di sindacato in questa sede, hanno ritenuto che la condotta del convenuto non potesse avere assunto il carattere di esclusivita’, tale da legittimare la maturazione dell’usucapione (dovendosi ribadire l’impossibilita’ di attribuire tale valenza al godimento accompagnato dalla mera astensione dal godimento del bene da parte degli altri comproprietari).

 

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Orbene, e tornando al caso in esame, la sentenza gravata ha rilevato che la mera chiusura con una nuova serratura del locale deposito ovvero la trasformazione delle celle frigorifere in magazzino non denotassero un possesso connotato da esclusivita’, occorrendo considerare che esisteva uno stretto rapporto di parentela con gli altri condividenti (cfr. sul punto Cass. n. 9100/2018, secondo cui ancorche’ il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo “uti dominus”, non abbia la necessita’ di compiere atti di “interversio possessionis” alla stregua dell’articolo 1164 c.c., – dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed “animo domini” della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui – non possono pero’ essere reputati sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri) e che nel tempo si erano succeduti una serie di atti anche di carattere negoziale, che denotavano in realta’ il riconoscimento da parte del (OMISSIS) della coesistenza del diritto di comproprieta’ in capo agli altri contitolari del bene.
In disparte la genericita’ dei capitoli di prova articolati dalla parte quanto all’individuazione dei soggetti cui sarebbe stato negato l’accesso, a seguito delle modifiche apportate nel 1977, e tenuto conto che anche la chiusura o la piu’ intensa gestione di un bene comune possono risultare consone ad un possesso esercitato anche nell’interesse degli altri comunisti (cfr. da ultimo Cass. n. 10734/2018, secondo cui non e’ univocamente significativo il fatto che un coerede abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attivita’, sussistendo la presunzione “iuris tantum” che abbia agito nella qualita’ e operato anche nell’interesse degli altri), le critiche mosse non appaiono in grado di inficiare la rilevanza correttamente assegnata dai giudici di appello al compimento di alcuni atti negoziali posti in essere dal (OMISSIS), anche in epoca successiva all’inizio del suo preteso possesso esclusivo.
A tal fine rileva l’atto di scioglimento della societa’ (originaria titolare dei beni oggetto di causa) con divisione dei beni tra i soci, in proporzione delle quote sociali, atto che risulta essere stato posto in essere nel 1985, e cioe’ in epoca successiva al preteso inizio del possesso utile ad usucapire, ma prima del maturare del termine utile ad usucapire, che obiettivamente contiene anche un quanto meno implicito riconoscimento della comproprieta’ dei beni tra i condividenti e che correttamente e’ stato ritenuto configurare, oltre che atto interruttivo del termine per usucapire, elemento di valutazione circa l’univocita’ della condotta gia’ tenuta dal (OMISSIS) quale dimostrativa di un possesso esclusivo, volto a contestare la contitolarita’ in capo agli altri comunisti.
Analoghe considerazioni valgono anche in relazione al successivo atto di acquisto di quote del 1995 che, oltre a poter rilevare come atto interruttivo ex articolo 2944 c.c., conferma la non univocita’ del comportamento tenuto dal ricorrente incidentale come finalizzato ad esercitare un possesso esclusivo del concorrente diritto altrui.

 

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A tal fine va richiamato quanto affermato da Cass. n. 9633/2013, secondo cui il coerede che, dopo la morte del “de cuius”, sia rimasto nel possesso del bene ereditario, puo’ usucapire la quota degli altri eredi, purche’ il tempo necessario al verificarsi di detto acquisto risulti gia’ decorso prima del momento in cui sia intervenuta la divisione negoziale dell’asse con gli altri comunisti, comportando tale atto un riconoscimento inequivocabile e formale della comproprieta’, incompatibile, pertanto, con la pretesa di essere divenuto proprietario esclusivo del compendio assegnato (in termini analoghi, si veda anche Cass. n. 8815/1998, a mente della quale il soggetto che vanti l’acquisto della proprieta’ di un bene immobile per usucapione non puo’, allo stesso tempo, introdurre un giudizio per la divisione del bene stesso, poiche’ la relativa domanda, ponendosi in termini di assoluta incompatibilita’ con l’originaria pretesa di usucapione, comporta, inevitabilmente, la rinuncia implicita alla tutela giurisdizionale della vantata condizione di usucapiente).
Ne deriva che essendo l’assegnazione dei beni della societa’ e la successiva cessione delle quote intervenuti ben prima della maturazione del termine per l’usucapione ventennale, agli stessi deve annettersi efficacia interruttiva, sicche’ alla data di introduzione del giudizio (12/6/2009) non risultava decorso, rispetto all’ultimo atto interruttivo il tempo utile per usucapire, e cio’ anche a voler soprassedere circa la valenza da assegnare alle missive inoltrate nel 2009 dal (OMISSIS) al (OMISSIS) e volte ad acquistare la quota del destinatario.
Oltre a doversi ribadire l’incensurabilita’ dell’apprezzamento in fatto operato dal giudice di merito circa la possibilita’ di attribuire agli atti traslativi posti in essere nel 1985 e nel 1995 efficacia interruttiva della prescrizione, emergendo l’attribuzione della comproprieta’ dei beni agli altri soggetti coinvolti nelle vicende negoziali (cfr. al riguardo Cass. n. 27170/2018, a mente della quale ai fini della configurabilita’ del riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore, idoneo a interrompere il termine utile per il verificarsi dell’usucapione, ai sensi degli articoli 1165 e 2944 c.c., sebbene non sia sufficiente un mero atto o fatto che evidenzi la consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, e’ pero’ richiesto che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza e’ rivelata o per fatti in cui essa e’ implicita, esprima la volonta’ non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, tale volonta’ attributiva puo’ normalmente desumersi dall’essere state intavolate trattative con i titolari del diritto di proprieta’ ai fini dell’acquisto in via derivativa; conf. Cass. n. 14654/2006), non risulta adeguatamente censurata la diversa considerazione del giudice di appello che ha ricavato sempre da tali atti negoziali un indice interpretativo circa la reale volonta’ del (OMISSIS) che, pur godendo dei beni, non intendeva sol per questo disconoscere la contitolarita’ degli altri comunisti.
Quanto, infine, alla rilevanza assegnata alle missive del 2009, ed escluso che, proprio in ragione dell’esistenza di atti interruttivi del termine utile ad usucapire, alla loro epoca fosse maturato un ventennio rispetto alla data dell’ultimo atto interruttivo, anche a voler diversamente opinare, va ricordato che e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che (Cass. n. 3122/1999) la rinuncia tacita a far valere l’acquisto per usucapione di un diritto reale su un bene immobile puo’ risultare da un comportamento della parte contrario all’acquisto e non richiede la necessita’ della forma scritta “ad substantiam”.
Infatti, (cfr. Cass. n. 1363/2018) la parte che rinunci a far valere l’acquisto per usucapione maturatosi per effetto del possesso ininterrotto del fondo protrattosi per un certo periodo di tempo non rinuncia ad un diritto di proprieta’ gia’ acquisito, bensi’ solo ad avvalersi della tutela giuridica apprestata dall’ordinamento per garantire la stabilita’ dei rapporti giuridici, sicche’ a tale rinunzia – indipendentemente dalla forma, esplicita o tacita, di essa – e’ inapplicabile l’articolo 1350 c.c., n. 5, che impone l’osservanza della forma scritta, a pena di nullita’, per gli atti di rinuncia a diritti reali, assoluti o limitati, su beni immobili (conf. Cass. n. 4945/1996).

 

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Ne deriva che tali missive, ove anche ritenute inidonee a determinare una nuova interruzione dell’usucapione, in quanto intervenute a ventennio gia’ maturato (il che non e’ per quanto sopra esposto), ben potrebbero in ogni caso equivalere ad una rinuncia, nemmeno tanto implicita, ad avvalersi della tutela giuridica correlata al maturare del fenomeno dell’usucapione.
3. Il secondo motivo del ricorso incidentale che denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame delle istanze e deduzioni istruttorie del (OMISSIS), in quanto ritenute generiche e valutative, e’ inammissibile ex articolo 348 ter c.p.c., u.c. trattandosi di sentenza pronunciata su appello proposto in data successiva al 12 settembre 2012, e che e’ fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado.
4. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’articolo 342 c.p.c. nonche’ del combinato disposto degli articoli 718, 720 e 1114 c.c., non potendo trovare applicazione la disciplina relativa agli immobili non comodamente divisibili nel caso in cui, come nella specie, vi sia una pluralita’ di immobili che consente l’assegnazione in natura di ciascuno di essi ad ogni condividente.
Deduce il (OMISSIS) che la comunione aveva ad oggetto due diverse unita’ immobiliari e che pertanto si poteva tranquillamente addivenire ad un progetto di divisione in natura che preveda l’inclusione di ogni singolo immobile in una quota.
La conclusione circa la non comoda divisibilita’ dei beni contravviene al principio secondo cui deve tendenzialmente essere preferita la divisione in natura, e cio’ anche se non sia possibile addivenire a quote perfettamente omogenee.
Il motivo va rigettato.
Costituisce principio tradizionalmente affermato da questa Corte quello per cui (Cass. n. 3635/2007) l’articolo 718 c.c., il quale riconosce a ciascun coerede il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalita’ stabilite nei successivi articoli 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell’articolo 720 c.c., non solo nel caso di mera “non divisibilita’” dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano “comodamente” divisibili, situazione, questa, che ricorre nei casi in cui, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitu’, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero (conf. Cass. n. 14577/2012; Cass. n. 25888/2016).

 

Divisione giudiziale di un compendio immobiliare ereditario

 

Inoltre, e’ stato precisato che (Cass. n. 7961/2003) in tema di scioglimento di una comunione ereditaria avente ad oggetto un compendio immobiliare, l’accertamento del requisito della comoda divisibilita’ del bene, ai sensi dell’articolo 720 c.c., e’ riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimita’, se sorretto da motivazione congrua, coerente e completa.
In tal senso risulta idonea ad orientare la scelta del giudice, anche in favore della non comoda divisibilita’. l’elevata misura dei conguagli altrimenti dovuti fra le quote da attribuire (cfr. Cass. n. 15685/2020; Cass. n. 12965/2020; Cass. n. 726/2018 secondo cui in tema di divisione ereditaria, il giudice, nello scegliere, fra piu’ progetti di divisione, quale approvare, ben puo’ privilegiare quello che limita al massimo la misura dei conguagli, cosi’ assicurando che la quota sia prevalentemente formata in natura).
Posti tali principi, si rileva che nella fattispecie, la valutazione di non comoda divisibilita’ deve necessariamente investire l’intero compendio comune, rappresentato, come visto, da due unita’ immobiliari e tale valutazione e’ stata, ad avviso della Corte, condotta in maniera non censurabile dal giudice di merito.
Infatti, non rileva la sola circostanza che gli immobili comuni siano in numero corrispondente a quello delle quote da formare per assicurare la divisibilita’, come invece sembra suggerire il motivo in esame, occorrendo viceversa assicurare la formazione di quote in natura di valore tendenzialmente corrispondente a quello delle quote ideali, non potendosi assegnare dei conguagli di importo eccessivo, come sopra ricordato.
In tale direzione, la sentenza ha correttamente rimarcato come vi fosse una notevole differenza di valore tra il locale adibito a laboratorio e quello adibito a deposito, sicche’ una divisione in natura che avesse previsto due quote formate ognuna da uno dei due beni avrebbe comportato il versamento di un conguaglio tale da assorbire in maniera significativa una delle due quote, vanificando in tal modo l’obiettivo dell’effettiva divisione in natura.
La diversa soluzione divisionale, che contemplava invece lo scorporo di una parte del laboratorio e l’accorpamento al locale deposito, sebbene possibile tecnicamente, avrebbe pero’ portato alla formazione di quote disomogenee dal punto di vista qualitativo, in quanto uno dei condividenti avrebbe ricevuto due beni di piccole dimensioni meno facilmente fruibili, in ragione della loro destinazione (con la parte del laboratorio accorpata al magazzino priva di un portone carraio e con un affaccio infelice sul cortile), occorrendo altresi’ porre in essere delle opere il cui importo non appariva facilmente quantificabile, al fine sia della separazione materiale delle due parti del laboratorio, sia della creazione di un nuovo servizio igienico a servizio della porzione da accorpare al deposito.
Trattasi di considerazioni connotate da logicita’ e coerenza e che rientrano nel potere di apprezzamento del fatto riservato al giudice di merito, che rendono la corrispondente valutazione incensurabile, di guisa che la denuncia di violazione di norme di diritto e’ solo apparente, risolvendosi piuttosto nella sollecitazione ad una diversa rivalutazione delle emergenze probatorie.

 

Divisione giudiziale di un compendio immobiliare ereditario

 

5. Il rigetto del motivo che precede rende altresi’ evidente come resti assorbito il terzo motivo del ricorso principale, con il quale si denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame della disponibilita’ del (OMISSIS) a vedersi attribuito un qualsiasi lotto.
Infatti, trattasi di doglianza che conserva una sua utilita’ solo nel caso in sui si ritenga che il compendio comune sia suscettibile di una divisione in natura, e che quindi risulta superata una volta reputata incensurabile la conclusione circa la non comoda divisibilita’.
La censura sarebbe in ogni caso inammissibile, e cio’ sia perche’ la sentenza impugnata ha dato espressamente conto delle indicazioni preferenziali espresse dal (OMISSIS) quanto all’assegnazione dei lotti scaturenti dalla divisione, sia perche’ anche in tal caso osterebbe alla denuncia del vizio di cui al n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, l’applicabilita’ alla fattispecie della previsione di cui all’articolo 348 ter c.p.c., u.c..
6. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’articolo 1111 c.c. e dell’articolo 784 c.p.c., nonche’ degli articoli 732 e 720 c.c., quanto alla preferenza attribuita dal giudice di merito alla richiesta di attribuzione della controparte. Il Tribunale aveva in realta’ attribuito il compendio non divisibile al (OMISSIS) ritenendo che la concorrente richiesta di attribuzione del ricorrente principale fosse stata tardivamente avanzata.
Con l’appello era stata censurata tale affermazione ed era stata evidenziata l’inapplicabilita’ dell’articolo 732 c.c., non vertendosi in materia di comunione ereditaria.
Deve pero’ considerarsi che secondo la giurisprudenza di legittimita’ la richiesta di attribuzione del bene non comodamente divisibile puo’ essere avanzata anche in grado di appello, sicche’ deve essere cassata la decisione di appello che prescindendo dal tema specificamente investito dal motivo di appello, ha ritenuto che fosse stata comunque espressa una valutazione preferenziale di merito a favore della richiesta della controparte.
Il motivo e’ infondato.
Il giudice di primo grado, dopo avere con ordinanza attribuito i beni in comunione al (OMISSIS), sul presupposto che, una volta riscontratasi la non comoda divisibilita’, fosse stato l’unico a farne richiesta di attribuzione, e rimessa la causa in istruttoria, al fine di verificare il versamento del conguaglio da parte dell’attributario, ha effettivamente ritenuto che la richiesta di attribuzione avanzata dal ricorrente principale dopo la detta rimessione fosse tardiva, facendo nella sostanza applicazione del principio affermato da questa Corte secondo cui (Cass. n. 10856/2016) ancorche’ la richiesta di attribuzione di beni determinati non costituisca domanda nuova e possa essere proposta per la prima volta in appello, salvo che non sia stata gia’ formulata, nel corso del giudizio di primo grado, da uno dei condividenti, resta in tal caso preclusa la possibilita’, per gli altri, atteso che, diversamente, il diritto a conseguire l’attribuzione verrebbe a dipendere dalla mera impugnazione della sentenza con cui si sia disposto al riguardo e non dalla proposizione della domanda, ritenuto estensibile non solo al caso di richiesta avanzata in appello, ma anche di richiesta formulata a seguito di provvedimento di attribuzione con ordinanza, tendenzialmente equipollente quanto agli effetti alla sentenza, ove risulti l’assenza inziale di contestazioni.
Tuttavia, i giudici di appello hanno ritenuto di dover prescindere dalla risoluzione della questione concernente la tempestivita’ della richiesta dell’attore ex articolo 720 c.c., ritenendo che accanto alla ratio di carattere processuale, la scelta in favore del convenuto risiedesse anche su ragioni di carattere sostanziale, legate all’individuazione del medesimo come soggetto da preferire.

 

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Rileva pero’ la Corte che, ove pure una valutazione di carattere sostanziale fosse mancata da parte del Tribunale, alla stessa ha comunque provveduto il giudice di appello, valutazione che avrebbe in ogni caso dovuto compiere, nel caso in cui le contestazioni di carattere processuale mosse con i motivi di appello si fossero rilevate fondate.
Ne deriva che e’ a tale valutazione che andavano indirizzate le censure che il ricorrente intende muovere in sede di legittimita’, censure che invece appaiono anche in questa sede rivolte avverso la soluzione di carattere processuale.
Ricorda il Collegio che secondo la propria giurisprudenza (cfr. Cass. n. 3646/2007) nell’esercizio del potere di attribuzione dell’immobile ritenuto non comodamente divisibile, il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall’articolo 720 c.c., da cui gli deriva, al contrario, un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nell’obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all’uno piuttosto che all’altro degli aspiranti all’assegnazione, e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimita’, potendo essere oggetto di controllo in questa sede soltanto la logicita’ intrinseca e la sufficienza del ragionamento operato dal giudice di merito (conf. Cass. n. 11641/2010; Cass. n. 16376/2014; Cass. n. 24832/2018).
Tale potere va poi esercitato anche nel caso che ricorre nella fattispecie, in cui le quote siano eguali (cosi’ Cass. n. 4013/2003).
La sentenza impugnata, senza fare alcun riferimento alla previsione di cui all’articolo 732 c.c. (effettivamente inapplicabile nel caso di divisione di natura non ereditaria e per il caso in cui non si tratti della vendita della quota ad un extraneus, ma dell’individuazione del coerede cui attribuire il bene non comodamente divisibile) ha puntualmente evidenziato le ragioni per le quali andava data preferenza alla richiesta del (OMISSIS), sottolineando il maggiore interesse mostrato per il compendio immobiliare rispetto al concorrente (come peraltro testimoniato dall’utilizzo dei locali sin dal 1977) ed il fatto che lo stesso fosse gia’ proprietario degli altri cespiti ubicati nella stessa palazzina, cosi’ che l’attribuzione anche dei locali oggetto di causa avrebbe consolidato in capo ad un unico soggetto la proprieta’ dell’intero complesso immobiliare (prevenendo in tal modo gli inevitabili disagi generati da una situazione di coesistenza di divere proprieta’ all’interno dello stabile).
Trattasi di considerazioni connotate da logicita’ e coerenza e che consentono di ribadire l’incensurabilita’ della valutazione discrezionale resa al riguardo dal giudice di merito, palesandosi pertanto l’infondatezza del mezzo in esame.
7. Il rigetto del ricorso principale ed incidentale legittima la compensazione delle spese del presente giudizio.
8. Poiche’ il ricorso principale ed incidentale sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale, e compensa le spese del presente giudizio;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale del contributo unificato a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

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