Corte di Cassazione, penale, Sentenza|8 giugno 2021| n. 22256
In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, ove il giudice accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dalla omissione delle cautele dovute, ai fini del riconoscimento del conseguimento del vantaggio di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001 è necessaria la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quelle della tutela dei lavoratori, quale conseguenza della violazione delle norme antinfortunistiche. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, nella ritenuta carenza di indicazione delle prove da cui era stato desunto il vantaggio dell’ente, in termini di apprezzabile risparmio di spesa e di accelerazione del processo produttivo).
Sentenza|8 giugno 2021| n. 22256. Responsabilità da reato degli enti collettivi
Data udienza 3 marzo 2021
Integrale
Tag – parola: Lesioni colpose – Infortunio sul lavoro – Responsabilità amministrativa – Requisito dell’interesse e del vantaggio – Sussistenza – Accertamento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere
Dott. CENCI Daniele – Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
Dott. PISANI Paola Prot – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) S.R.L.;
avverso la sentenza del 19/11/2019 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAOLA PROTO PISANI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FODARONI Maria Giuseppina, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto per entrambi i ricorsi.
udito il difensore:
E’ presente come sostituto processuale con delega depositata in aula dell’avvocato (OMISSIS), del foro di GROSSETO in difesa di:
(OMISSIS) l’avv (OMISSIS), foro ROMA.
Il difensore presente chiede l’accoglimento del ricorso
Responsabilità da reato degli enti collettivi
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 19 novembre 2019 la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado con la quale (OMISSIS), nella qualita’ di datore di lavoro, e’ stato dichiarato colpevole del reato di lesioni colpose, aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro – commesso in cooperazione colposa con il lavoratore (OMISSIS), per il quale si e’ proceduto separatamente – e condannato alla pena di Euro 500,00 di multa ed (OMISSIS) s.r.l. e’ stata riconosciuta responsabile dell’illecito amministrativo di cui al Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, articolo 5, comma 1, lettera a) e articolo 25-septies, comma 3, e, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 12, comma 2, del medesimo D.Lgs., condannata a pagamento della sanzione amministrativa di Euro 12.900,00.
2. La vicenda, secondo l’accertamento compiuto nel giudizio di merito, attiene a un infortunio sul lavoro subito, in un impianto di selezione di rifiuti della (OMISSIS) s.r.l. (di cui il (OMISSIS) all’epoca dei fatti era amministratore delegato), da (OMISSIS) – autista dipendente della societa’ (OMISSIS) s.r.l. – perche’, sceso dal mezzo, mentre stava rimuovendo il telo del cassone al fine di consentire lo scarico del materiale proveniente dalla raccolta differenziata, veniva urtato dal muletto condotto da (OMISSIS), lavoratore dipendente della (OMISSIS) s.r.l., riportando lesioni gravi, consistite nella frattura della tibia e del piede sinistro.
La responsabilita’ del datore di lavoro e’ stata riconosciuta in quanto le lesioni sono state ritenute conseguenti alla violazione del combinato disposto di cui al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 63 e articolo 64, comma 1, per non avere il (OMISSIS) organizzato i luoghi di lavoro in maniera conforme all’allegato IV, punto 1.4., ed in particolare per non avere organizzato una viabilita’ sicura regolamentando, con cartellonistica e segnaletica orizzontale, la circolazione nel piazzale esterno dell’impianto di selezione rifiuti, separando le corsie di marcia, indicando i luoghi di stoccaggio e le corsie destinate ai carrelli elevatori e ai pedoni, nonche’ le aree di manovra dei mezzi.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, tanto il (OMISSIS), quanto la (OMISSIS) s.r.l.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
3. Il ricorso proposto dal difensore del (OMISSIS) e’ affidato a due motivi.
3.1. Con il primo motivo viene dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il datore di lavoro non abbia valutato il rischio di infortunio derivante dalle possibili interferenze tra i conducenti dei carrelli elevatori e gli addetti allo scarico del materiale e non abbia predisposto misure per contenere tale rischio, deducendosi che – contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, e secondo quanto invece risultante dalla deposizione della teste (OMISSIS) (allegata al ricorso) – la (OMISSIS) s.r.l. non solo aveva adottato il documento di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), ma aveva anche previsto, in tale documento, tanto lo specifico rischio dell’investimento del personale a terra da parte dei carrelli elevatori, quanto le misure di prevenzione di tale rischio, le quali erano state considerate insufficienti dagli ispettori della ASL che avevano impartito le proprie prescrizioni (realizzazione di segnaletica orizzontale).
Evidenziandosi che con l’atto d’appello era stata dedotta la mancanza di una fonte della regola cautelare individuata dagli ispettori della ASL, e la sua incompatibilita’ con le esigenze di produzione della (OMISSIS) s.r.l., con il primo motivo, quindi, si lamenta che la doglianza fatta valere con l’atto d’appello – relativa alla insussistenza della regola cautelare per la cui violazione il (OMISSIS) era stato condannato in primo grado (mancata realizzazione di segnaletica orizzontale) – e’ stata disattesa sulla base dell’erroneo convincimento circa la mancata valutazione del rischio in questione e la mancata predisposizione di misure di prevenzione specifiche.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
3.2. Con il secondo motivo di ricorso la difesa del (OMISSIS) deduce la violazione degli articoli 43 e 590 c.p., Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 63 e 64 in relazione all’allegato IV, punto 1.4., nonche’ il difetto di motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto le misure individuate dagli ispettori della ASL preferibili a quelle individuate dalla societa’ nel DUVRI (che, per il rischio di investimento di personale a terra nel piazzale di stoccaggio di rifiuti, prevedeva – oltre all’individuazione di un preposto – le procedure che i conducenti dei muletti dovevano seguire, cioe’ il mantenimento di una distanza di sicurezza dal personale a terra e di una velocita’ non superiore a 5 km all’ora ed il divieto di avvicinarsi ai cumuli dei rifiuti non direttamente lavorati) senza indicarne la fonte.
Con tale motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata deducendo, in primo luogo, che la regola cautelare indicata dal personale della ASL – quale specificazione del punto 1.4. dell’allegato IV del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 richiamato dal Decreto Legislativo n. 61 del 2008, articoli 63 e 64 – non avrebbe una fonte giuridica (quale ad esempio la consuetudine, ove fosse usuale per le aziende che usano i muletti per le operazioni di carico e scarico), ma sarebbe stata creata o prodotta dagli agenti accertatori, e che, nonostante la relativa specifica doglianza mossa con l’atto d’appello, la sentenza impugnata non ha motivato sul punto.
Con lo stesso motivo il (OMISSIS) deduce, inoltre, che ne’ la sentenza di primo grado ne’ quella d’appello hanno motivato in ordine all’insufficienza delle misure di prevenzione adottate dalla (OMISSIS) s.r.l., con particolare riguardo alla previsione di un preposto alla vigilanza del rispetto delle misure previste, volta proprio a prevenire ed evitare la violazione da parte dei lavoratori delle disposizioni antinfortunistiche.
4. Il ricorso proposto dal difensore di (OMISSIS) s.r.l. e’ affidato ad un unico motivo con cui viene dedotta la violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5, lettera b), e difetto di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la condotta omissiva addebitata al datore di lavoro sia stata posta in essere nell’interesse e/o a vantaggio della societa’.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
Con tale motivo il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, non ha indicato (o non ha colto) in cosa sia consistita la mancata realizzazione di segnaletica orizzontale segnalata dalla Asl (cioe’ nella mancanza di una striscia rossa con funzione di guida per il muletto) e non ha approfondito la generale organizzazione della (OMISSIS) s.r.l. in materia di sicurezza del lavoro, dati, questi, che avrebbero consentito di escludere l’interesse e il vantaggio per l’ente derivante dalla mancata adozione di tale cautela.
L’ente si duole che la Corte d’appello, nel riconoscere il requisito dell’interesse e/o vantaggio per l’ente, abbia mosso il suo ragionamento da un travisamento delle prove – ritenendo che la societa’ non avesse valutato il rischio di infortunio derivante dalle possibili interferenze tra i conducenti dei carrelli elevatori e gli addetti allo scarico del materiale – e che, al pari del giudice di primo grado, non abbia tenuto conto della generale organizzazione della (OMISSIS) s.r.l. in materia di sicurezza del lavoro ne’ del fatto che la societa’ aveva adottato il DUVRI, ivi prevedendo il rischio di investimento nonche’ le misure per prevenirlo; deduce, inoltre, che la mancanza previsione nel DUVRI e la mancata realizzazione di una semplice striscia rossa orizzontale non hanno comportato ne’ un risparmio di spesa – in quanto la sua previsione nel DUVRI non avrebbe aumentato i costi sostenuti per la predisposizione di tale documento, e i costi della sua sarebbero irrisori rispetto a quelli complessivi sostenuti dall’impresa – ne’ un vantaggio in termini di miglioramento della produttivita’ dell’azienda, il quale e’ stato meramente presunto dal giudice di primo grado, sulla base della possibilita’ per i muletti di muoversi piu’ rapidamente.
5. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del (OMISSIS) e’ infondato mentre quello proposto da (OMISSIS) s.r.l. e’ meritevole di accoglimento.
1. Riguardo al primo motivo di ricorso del (OMISSIS) si rileva che la sentenza impugnata ha confermato la sentenza di primo grado, in punto di riconoscimento della responsabilita’ del datore di lavoro, individuando la sua condotta colposa nella previsione, nel documento di valutazione rischi, di misure di prevenzione (obbligo, dei conducenti dei carrelli elevatori, in presenza di personale a terra, di limitare la velocita’ e passare a una distanza di due metri dal pedone stesso) inidonee a prevenire le eventuali disattenzioni dei lavoratori, e non nell’omessa valutazione del rischio di infortunio derivante dalle possibili interferenze tra i conducenti dei carrelli elevatori e gli addetti allo scarico del materiale e nella mancata previsione, nello stesso documento, di qualsivoglia misura per contenere tale rischio.
La Corte territoriale, infatti, – avuto riguardo al motivo d’appello con cui era stata dedotta la colpa esclusiva del conducente del muletto nella causazione del sinistro e l’insussistenza della regola cautelare per la cui violazione il (OMISSIS) era stato condannato in primo grado (mancata realizzazione di segnaletica orizzontale) – ha respinto l’appello non sulla base dell’erroneo convincimento circa la mancata valutazione del rischio in questione e la mancata predisposizione di misure di prevenzione specifiche, bensi’ in ragione della considerazione che “la protezione delle persone negli ambienti di lavoro non possa essere rimessa esclusivamente alla prudenza e all’attenzione dei lavoratori, essendo onere del datore di lavoro predisporre dei modelli organizzativi idonei a prevenire anche le eventuali disattenzioni” (pag. 5 della sentenza impugnata), posta a fondamento della valutazione di inidoneita’ delle misure di prevenzione approntate dal datore di lavoro.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
La sentenza impugnata, quindi, ha preso in considerazione la misura di prevenzione prevista dal datore di lavoro nel documento di valutazione dei rischi e ha ritenuto che la stessa, unitamente alla corretta formazione dei lavoratori, non fosse sufficiente a neutralizzare il rischio di investimento sul piazzale, ritenendo all’uopo necessarie “misure prevenzionistiche che avrebbero impedito qualsivoglia interferenza fra i conducenti dei muletti e gli addetti allo scarico del materiale, rendendo di fatto impossibile il verificarsi del sinistro”.
In tal modo la sentenza impugnata – nella valutazione dell’idoneita’ della misura prevista dal datore di lavoro per prevenire il concretizzarsi del rischio di investimento dei pedoni da parte dei carrelli elevatori nel piazzale di stoccaggio dei rifiuti – ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui le “norme antinfortunistiche sono dirette a prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore” (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 23925301), – costantemente affermato dalla Corte riguardo al tema degli estremi necessari affinche’ il comportamento colposo del lavoratore possa essere ritenuto abnorme ed idoneo ad escludere il nesso di causalita’ tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo (ex multis, e per tutte, si veda Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 27624201, secondo cui “perche’ possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilita’ del garante, e’ necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente”) – e, quindi, correttamente ha ricondotto all’area del rischio governato dal latore di lavoro anche il possibile investimento dei pedoni derivante da negligenza, imprudenza, imperizia dei conducenti dei muletti.
D’altra parte, poiche’ “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito imprenditoriale” (Sez. 7, n. 11487 del 19/02/2016, Lucchetti, Rv. 26612901; Sez. 4, n. 37840 del 01/07/2009, Vecchi, Rv. 24527401) e stante il principio secondo cui “le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attivita’, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa” (Sez. 4, Sentenza n. 32178 del 16/09/2020, Dentamaro, Rv. 28007001), deve ritenersi che correttamente la Corte d’appello abbia ritenuto che il datore di lavoro, nel predisporre misure di prevenzione relative al rischio specifico di investimento di terzi da parte dei lavoratori dipendenti conducenti dei muletti, dovesse realizzare anche le cautele finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente o negligente di tali conducenti.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
2.. Queste considerazioni giustificano anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso del (OMISSIS), sotto il profilo della dedotta mancanza di motivazione, avendo la sentenza impugnata adeguatamente motivato perche’ le misure individuate dagli ispettori della ASL (predisposizione di percorsi obbligati per i muletti, evidenziati da segnaletica di tipo orizzontale) dovevano ritenersi preferibili a quelle individuate dalla societa’ nel DUVR: le misure previste dal datore di lavoro, infatti, sono state ritenute inidonee a governare il rischio di investimento del pedone non solo perche’ non atte a prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dei conducenti dei muletti, ma anche perche’ incapaci di impedire qualsivoglia interferenza fra i conducenti dei muletti e gli addetti allo scarico del materiale, e, quindi, di neutralizzare del tutto – e non solo a ridurre – il rischio di investimento dei pedoni.
Una tale valutazione comporta, sia pure implicitamente, un giudizio di inidoneita’ anche in ordine alla previsione, nel documento di valutazione rischi, della vigilanza di un preposto in relazione al rispetto delle misure previste dal datore di lavoro, attinenti esclusivamente alle modalita’ della condotta di guida dei conducenti dei muletti, perche’ se e’ la misura di prevenzione ad essere inidonea in quanto anziche’ eliminare si limita a ridurre il rischio di investimento dei pedoni – la previsione di un preposto non puo’ valere a sanare tale inidoneita’, tanto piu’ con riferimento a una situazione in cui il rischio deriva dalla conduzione di un veicolo, nella quale il potere del preposto di incidere sul condotta di guida del conducente non puo’ che essere relativo.
Il secondo motivo di ricorso e’ infondato anche sotto il profilo della dedotta violazione di legge, essendo stata individuata la fonte della regola cautelare violata nel Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 63 e 64 in relazione all’allegato IV, punto 1.4.
La sentenza impugnata, infatti, aderisce alla individuazione della regola cautelare violata (previsione di misure, come i percorsi obbligati evidenziati da segnaletica orizzontale, idonee a evitare qualsivoglia interferenza tra i muletti e il personale a terra) operata dalla sentenza di primo grado, la cui fonte e’ espressamente ravvisata nel punto 1.4. dell’allegato IV del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 richiamato dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 63 e 64.
Tale norma (secondo cui “1.4.1. Le vie di circolazione, comprese scale, scale fisse e banchine e rampe di carico, devono essere situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio. (…) 1.4.3. Qualora sulle vie di circolazione siano utilizzati mezzi di trasporto, dovra’ essere prevista per i pedoni una distanza di sicurezza sufficiente. (…) 1.4.5. Nella misura in cui l’uso e l’attrezzatura dei locali lo esigano per garantire la protezione dei lavoratori, il tracciato delle vie di circolazione deve essere evidenziato.”), prevede una regola cautelare elastica che per sua natura, indicando un comportamento non rigidamente definito ma determinabile in base a circostanze contingenti, richiede una specificazione (e non la sua creazione) ad opera del datore di lavoro prima, in sede di predisposizione delle misure di prevenzione idonee a neutralizzare quello specifico rischio, e da parte del giudice poi, con la conseguenza che non puo’ affermarsi che si tratti di una norma creata ex post dagli ispettori della ASL o dal giudice.
3. Il ricorso proposto dal difensore di (OMISSIS) s.r.l. e’ fondato sotto il profilo del dedotto difetto di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la condotta omissiva addebitata al datore di lavoro sia stata posta in essere nell’interesse e/o a vantaggio della societa’ ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5, lettera b).
Responsabilità da reato degli enti collettivi
3.1. In tema di responsabilita’ da reato degli enti derivante da reati colposi di evento, costituiscono principi pacifici nella giurisprudenza della Corte quelli secondo cui:
– i concetti di interesse e vantaggio, vanno di necessita’ riferiti alla condotta e non all’evento (Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016 -, Gastoldi, Rv. 26806501; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 2611150);
– tali criteri di imputazione oggettiva sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioe’ al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 27432002; Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016 -, Gastoldi, Rv. 26806501; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 26111401);
– ricorre il requisito dell’interesse qualora l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilita’ per l’ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto (Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016 -, Gastoldi, Rv. 26806501) o della produzione, indipendentemente dalla volonta’ di ottenere il vantaggio stesso (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 27432002).
La Corte ha altresi’ precisato – sempre in tema di responsabilita’ degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica
– che “il “risparmio” in favore dell’impresa, nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, puo’ consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione” (Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, Rv. 27557001), tant’e’ vero che il vantaggio e’ stato ravvisato anche nella velocizzazione degli interventi manutentivi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione (Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 27659603).
Responsabilità da reato degli enti collettivi
E’ stato inoltre ripetutamente affermato il principio, la cui applicazione e’ stata invocata dall’ente nel suo ricorso, secondo cui “ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire un’utilita’ per la persona giuridica; cio’ accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio far ottenere alla societa’ un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, e, dunque ha realizzato una politica di impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto”. (Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzotti, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016, Gastoldi, non mass. sul punto).
D’altra parte la Corte ha avuto anche occasione di approfondire la diversita’ dei due criteri di imputazione obiettiva del reato all’ente costituiti dall'”interesse” e dal “vantaggio”, chiarendo che “l’interesse e’ un criterio soggettivo, il quale rappresenta l’intento del reo di arrecare un beneficio all’ente mediante la commissione del reato. Per questo, l’interesse e’ indagabile solamente ex ante ed e’ del tutto irrilevante che si sia o meno realizzato il profitto sperato. Ebbene, e’ evidente che, nei reati colposi d’evento, affinche’ l’interesse per l’ente sussista, sara’ certamente necessaria la consapevolezza della violazione delle norme antinfortunistiche, in quanto e’ proprio da tale violazione che la persona fisica ritiene di poter trarre un beneficio economico per l’ente (vale a dire un risparmio di spesa). (…) Diversamente deve ragionarsi con riferimento al vantaggio. Esso e’ criterio oggettivo, legato all’effettiva realizzazione di un profitto in capo all’ente quale conseguenza della commissione del reato. Per questo deve essere analizzato, a differenza dell’interesse, ex post. Chiaramente, come si e’ detto, nei reati colposi si dovra’ guardare solamente al vantaggio ottenuto tramite la condotta.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
La condotta, nei reati colposi d’evento contro la vita e l’incolumita’ personale commessi sul lavoro, e’ rappresentata dalla violazione delle regole cautelari antinfortunistiche, ed e’ dunque in riferimento ad essa che bisognera’ indagare se, ex post, l’ente abbia ottenuto un vantaggio di carattere economico. Qualora la persona fisica abbia violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto, allora potra’ ravvisarsi il vantaggio per l’ente. In tale schema, marcatamente obiettivo, non e’ necessario che il reo abbia volontariamente violato le regole cautelari al fine di risparmiare, in quanto la mancanza di tale volonta’ rappresenta la sostanziale differenza rispetto all’interesse, ma solamente che risulti integrata la violazione delle regole cautelari contestate. In questo modo, il vantaggio viene rapportato alle specifiche contestazioni mosse alla persona fisica, salvaguardandosi il principio di colpevolezza, ma allo stesso tempo permettendo che venga attinto da sanzione penale anche il soggetto che, in concreto ed obiettivamente, si e’ giovato della violazione cautelare, vale a dire l’ente. Quanto, poi, alla consistenza del vantaggio, deve certamente trattarsi di importo non irrisorio, il cui concreto apprezzamento e’ rimesso alla valutazione del giudice di merito, che resta insindacabile ove congruamente ed adeguatamente motivata” (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 27432002).
Avuto riguardo all’esatta individuazione del parametro di imputazione oggettiva costituito dall’interesse dell’ente, la Corte ha approfondito il tema della rilevanza o meno del connotato di sistematicita’ delle violazioni, ritenendo ravvisabile tale criterio di imputazione “anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un’iniziativa estemporanea, senza la necessita’ di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorche’ altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente” (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv. 28077701; Sez. 4, n. 29584 del 22/09/2020, F.lli Cambria s.p.a., Rv. 27966001).
In tali pronunce e’ stato evidenziato che la necessita’ di rinvenire un collegamento tra l’azione umana e la responsabilita’ dell’ente che renda questa compatibile con il principio di colpevolezza (evitando che l’affermazione della responsabilita’ dell’ente consegua automaticamente, una volta dimostrati il reato presupposto e il rapporto di immedesimazione organica dell’agente, e assicurando che la persona fisica abbia agito nel suo interesse e non solo approfittando della posizione in esso ricoperta), e’ soddisfatta dall’esclusione dal novero delle condotte a tal fine rilevanti quelle sostenute da coscienza e volonta’, ma non anche dall’elemento della “intenzionalita’”, come sopra definita, cioe’ dallo scopo di conseguire un’utilita’ per la persona giuridica.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
Cio’ posto e’ stato rilevato che il connotato della sistematicita’ della violazioni “attiene al piano prettamente probatorio (…L quale possibile indizio della esistenza dell’elemento finalistico della condotta dell’agente, idoneo al tempo stesso a scongiurare il rischio di far coincidere un modo di essere dell’impresa con l’atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica” (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv. 28077701), in quanto il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25-septies non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilita’ della responsabilita’ dell’ente derivante dai reati colposi ivi contemplati, ne’ tale connotato e’ imposto dalla necessita’ di rinvenire un collegamento tra l’azione umana e la responsabilita’ dell’ente che renda questa compatibile con il principio di colpevolezza.
E si e’ altresi’ osservato che e’ eccentrico rispetto allo spirito della legge ritenere irrilevanti tutte quelle condotte, pur sorrette dalla intenzionalita’, ma, in quanto episodiche e occasionali, non siano espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari, considerato peraltro l’innegabile quoziente di genericita’ del concetto di sistematicita’ (Sez. 4, n. 29584 del 22/09/2020, F.lli Cambria s.p.a., Rv. 27966001).
Analogamente puo’ ritenersi che il connotato della sistematicita’ della violazioni sia estraneo anche al requisito del vantaggio e, anche con riferimento a tale criterio di imputazione, attenga ad un piano prettamente probatorio, quale possibile indice della sussistenza e consistenza, sul piano economico, del vantaggio, derivante dalla mancata previsione e/o adozione delle dovute misure di prevenzione.
Ritenuti pienamente condivisibili i suddetti principi si ritiene che – onde impedire un’applicazione automatica della norma che ne dilati a dismisura l’ambito di operativita’ ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione (che implica quasi sempre un risparmio di spesa il quale puo’, pero’, non essere rilevante) – ove il giudice di merito accerti l’esiguita’ del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele dovute, in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro (ed in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare tali cautele, abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilita’ per la persona giuridica, e – quindi – in una situazione in cui l’omessa adozione delle cautele dovute sia plausibilmente riconducibile anche a una semplice sottovalutazione del rischio o ad un’errata valutazione delle misure di sicurezza necessarie alla salvaguardia della salute dei lavoratori), ai fini del riconoscimento del requisito del vantaggio occorre la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela della salute dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse: la prova, cioe’, dell’effettivo, apprezzabile (cioe’ non irrisorio) vantaggio (consistente nel risparmio di spesa o nella massimizzazione della produzione, che puo’ derivare, anche, dall’omissione di una singola cautela e anche dalla conseguente mera riduzione dei tempi di lavorazione) non desumibile, sic et simpliciter, dall’omessa adozione della misura di prevenzione dovuta.
In altri termini laddove non vi sia la prova – desumibile anche dalla sistematica sottovalutazione dei rischi – che l’omessa adozione delle cautele sia il frutto di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa, (cioe’ di una specifica politica aziendale volta alla massimazione del profitto con un contenimento dei costi in materia di sicurezza, a scapito della tutela della vita e della salute dei lavoratori), e risulti, invece, l’occasionalita’ della violazione delle norme antinfortunistiche, dovendosi escludere il requisito dell’interesse, deve essere rigorosamente provato quello del vantaggio, che puo’ alternativamente consistere in un apprezzabile risparmio di spesa o in un, sempre apprezzabile, aumento della produttivita’, e la motivazione della sentenza che riconosca tale vantaggio deve dare adeguatamente conto delle prove, anche per presunzioni, dalle quali lo ha desunto.
3.2. La motivazione della sentenza impugnata, letta alla luce dei motivi d’appello dell’ente, risulta carente proprio sotto questo profilo, non dando conto delle prove dalle quali ha desunto il vantaggio conseguito dall’ente, in termini di apprezzabile risparmio di spesa e di apprezzabile accelerazione del processo produttivo, nonostante le specifiche censure mosse sul punto con l’atto d’appello, avverso la sentenza di primo grado.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
La sentenza di primo grado aveva, infatti, riconosciuto la sussistenza del requisito della commissione del reato “nell’interesse o comunque a vantaggio dell’ente” ritenendo che l’omessa predisposizione delle misure di prevenzione abbia consentito sia un risparmio di spesa – ravvisato non nel solo costo della vernice necessaria per l’apposizione della segnaletica orizzontale, ma “anche, e non solo, (nella) spesa per la consulenza necessaria a colmare la carenza del modello organizzativo, in modo tale che questo sia funzionale rispetto allo specifico processo produttivo” – sia l’accelerazione dei “tempi e ritmi del ciclo produttivo, evitando, ad esempio, i disagi inerenti la predisposizione di un percorso obbligato per i carrelli elevatori anziche’ consentire di optare per il tragitto nell’immediato piu’ breve, ma meno sicuro per l’incolumita’ delle persone”.
Tale motivazione era stata censurata con l’atto di appello, invocandosi l’applicazione dei principi affermati dalla Corte secondo cui il requisito dell’interesse non ricorre quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie e non di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa, e quello del vantaggio richiede la sistematica violazione delle norme prevenzionistiche, e, dunque una politica di impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, che consenta una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
In particolare con l’atto d’appello era stata censurata la sentenza di primo grado: nella parte in cui aveva ritenuto ravvisabile un risparmio della spesa con riferimento alla consulenza necessaria a colmare la carenza del modello organizzativo, lamentandosi l’omessa considerazione del fatto che la (OMISSIS) s.r.l. si era avvalsa di una consulenza per redigere il documento di valutazione dei rischi, nel quale erano stati contemplati il rischio di investimento dei pedoni nel piazzale e le misure per prevenirlo, da cui era desumibile che la mancata previsione delle diverse misure indicate dagli ispettori della ASL non aveva determinato alcun risparmio di spesa ed era riconducibile a una sottovalutazione del rischio, oppure ad un erronea considerazione delle misure di prevenzione, che secondo la giurisprudenza della Corte non possono portare a riconoscere il requisito dell’interesse ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5; e nella parte in cui aveva ritenuto che la mancata predisposizione delle cautele avesse velocizzato i tempi e i ritmi del processo produttivo, in modo apodittico, senza alcun approfondimento sul punto.
Con il medesimo atto di appello la sussistenza del requisito del vantaggio era stata inoltre contestata sotto il profilo dell’omessa considerazione che la politica della (OMISSIS) s.r.l. era stata sempre improntata ad estremo rigore nel settore della sicurezza e del rispetto della normativa antinfortunistica, dato, questo desumibile anche dal fatto che all’autista del muletto era stata impartita una formazione specifica per la guida di tali mezzi, anche prima dell’entrata in vigore della normativa che ha imposto l’adozione del patentino.
In riferimento a tale motivo d’appello la sentenza impugnata si e’ limitata a rilevare “come risultino fragili e non seriamente sostenibili, tanto da doversi disattendere, le obiezioni della difesa in merito alla corretta individuazione, da parte del tribunale, del vantaggio conseguito dall’azienda a seguito della mancata predisposizione di un adeguato sistema di sicurezza; risulta, infatti, indubitabile che la contestata omissione prevenzionistica abbia, per un verso, comportato un risparmio di spesa per l’azienda, nella misura in cui non sono stati predisposti e prima ancora adeguatamente valutati i necessari correttivi, e, per l’altro, abbia semplificato, e quindi accelerato i processi produttivi, a discapito della tutela dei lavoratori e delle persone gravitanti nell’ambiente di lavoro”.
Sebbene, per le ragioni gia’ esposte nell’esame del ricorso del (OMISSIS), non sia ravvisabile il dedotto travisamento della prova, tuttavia, il ricorso di (OMISSIS) s.r.l. coglie nel segno sotto il profilo del dedotto difetto di motivazione.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
La sentenza impugnata, infatti – a fronte delle articolate deduzioni svolte, sia in fatto che in diritto, a sostegno del motivo d’appello con cui era stata censurato il riconoscimento del criterio di imputazione di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5 non ha adeguatamente motivato la ritenuta sussistenza del vantaggio derivato all’ente dall’omessa previsione e adozione delle cautele ritenute dovute, sia sotto il profilo dell’asserito risparmio di spesa – non avendo dato conto ne’ delle ragioni per le quali, nonostante il ricorso da parte della societa’ a un consulente per la predisposizione del DVRI, la previsione della misura omessa avrebbe comportato una spesa ulteriore, ne’ dei costi per l’esecuzione delle misure omesse, ne’ della generale organizzazione della (OMISSIS) s.r.l. in materia di sicurezza del lavoro – sia sotto il profilo, anch’esso specificamente contestato nell’atto d’appello, dell’asserita accelerazione dei processi produttivi, conseguente all’omessa adozione della cautela.
Tale difetto di motivazione non puo’, peraltro, ritenersi escluso neppure alla luce del principio secondo cui, in caso di cd. “doppia conforme” “la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni” (Cosi’, tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – dep.2012 Valerio, Rv. 25261501; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 25759501; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145).
Responsabilità da reato degli enti collettivi
Ed invero, la sentenza di primo grado, quanto al ritenuto risparmio di spesa derivante dall’omessa previsione e adozione della cautela, si limita a richiamare le spese “per la consulenza necessaria a colmare la carenza del modello
organizzativo, in modo tale che questo sia funzionale rispetto allo specifico processo produttivo”, mentre la sentenza impugnata – a fronte della specifica deduzione svolta con l’atto d’appello secondo cui, per la predisposizione del documento di valutazione dei rischi, la societa’ si era avvalsa dell’opera di un consulente, il cui compenso non sarebbe cambiato in conseguenza della previsione della cautela omessa – non ha fornito alcun chiarimento in ordine alla natura, al titolo e alla consistenza delle spese che la societa’ avrebbe dovuto sostenere ove avesse previsto e adottato le cautele omesse.
Quanto all’accelerazione dei tempi e ritmi del ciclo produttivo derivanti dalla mancata adozione della cautela dovuta, il giudice di primo grado si limita a rilevare che tale misura avrebbe comportato un percorso obbligato per i carrelli elevatori, tale da non consentire loro “di optare per il tragitto nell’immediato piu’ breve, ma meno sicuro per l’incolumita’ delle persone”, facendo implicitamente ricorso all’applicazione di una massima di esperienza secondo cui un percorso obbligato e’ comunemente piu’ lungo di un percorso “libero”, ma senza fornire alcuna indicazione in ordine all’entita’ della riduzione dei tempi di lavorazione connessa all’omessa adozione della cautela.
La sentenza impugnata risulta pertanto affetta dal dedotto vizio di motivazione sia per non avere argomentato, quanto alla ritenuta sussistenza del criterio obiettivo di imputazione – ravvisato dalla Corte territoriale nel “vantaggio” derivante dalla commissione del reato – in ordine alle specifiche censure mosse con l’atto d’appello avverso il relativo punto della sentenza di primo grado, sia per non avere in alcun modo valutato la consistenza del vantaggio, nel caso di specie derivante dall’omissione di una singola misura di prevenzione e non dalla sistematica violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, che deve essere “di importo non irrisorio, il cui concreto apprezzamento e’ rimesso alla valutazione del giudice di merito, che resta insindacabile ove congruamente ed adeguatamente motivata” (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., non mass. sul punto).
Tanto impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata affinche’ si proceda, alla luce delle censure mosse sul punto con l’atto d’appello avverso la sentenza di primo grado, a nuovo esame in ordine alla sussistenza del criterio di imputazione di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5.
3.3. Il giudice del rinvio, in particolare dovra’ procedere a nuovo esame circa la sussistenza del requisito dell'”interesse” e/o del “vantaggio” necessario per l’affermazione della responsabilita’ dell’ente per il reato commesso dal (OMISSIS), riconosciuto dalla sentenza di primo grado, alla luce delle specifiche censure mosse sul punto con l’atto d’appello e dei principi affermati dalla Corte.
II profilo relativo alla sussistenza o meno dell’interesse dell’ente – seppure assorbito, nella sentenza impugnata, dal riconoscimento del requisito alternativo del vantaggio – potra’ costituire oggetto di nuovo esame ad opera del giudice del rinvio, ai sensi dell’articolo 627 c.p.p., comma 2, secondo cui “il giudice del rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza e’ stata annullata”, perche’ la sentenza di primo grado ne aveva riconosciuto la sussistenza e con l’appello dell’ente il relativo punto era stato devoluto al giudice dell’impugnazione.
In particolare il giudice del rinvio, nell’esaminare se il reato puo’ ritenersi commesso nell’interesse e/o a vantaggio dell’ente, dovra’ valutare l’omessa adozione della cautela nell’ambito della complessiva condotta tenuta dalla societa’ in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, e alla luce della censura di apoditticita’ dell’affermazione secondo cui la mancata predisposizione di percorsi obbligati avrebbe velocizzato i tempi e i ritmi del ciclo produttivo, nonche’ delle altre deduzioni svolte nell’atto di appello relative: all’avvenuta nomina, da parte dell’ente, di un consulente al fine della predisposizione del documento di valutazione dei rischi, con sopportazione dei relativi i costi; alla contemplazione, da parte di tale documento, del rischio di investimento dei pedoni da parte dei carrelli elevatori e di specifiche misure per prevenirlo; all’insussistenza di un risparmio di spesa connesso all’omessa previsione ed esecuzione della cautela omessa, stante il compenso comunque corrisposto al consulente e il costo limitato dell’esecuzione delle misure di prevenzione omesse; alla conseguente riconducibilita’ dell’omissione della cautela a una sottovalutazione del rischio, oppure ad un erronea considerazione dell’adeguatezza delle misure di prevenzione previste nel documento di valutazione dei rischi.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
Il giudice del rinvio, nella valutazione della sussistenza del requisito dell'”interesse”, dovra’ inoltre fare applicazione dei principi secondo cui:
“ricorre il requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente (…violato la normativa cautelare) allo scopo di conseguire un’utilita’ per la persona giuridica (… e) la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche (… e’) l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie ma) di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa (…)in materia di prevenzione” (in tal senso: Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzotti, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016, Gastoldi, non mass. sul punto);
“l’interesse e’ un criterio soggettivo, il quale rappresenta l’intento del reo di arrecare un beneficio all’ente mediante la commissione del reato. (…che deve essere accertato mediante una valutazione) ex ante (… essendo) del tutto irrilevante che si sia o meno realizzato il profitto sperato” (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 27432002);
il requisito della commissione del reato nell’interesse dell’ente non richiede, ai fini della sua integrazione, la sistematicita’ delle violazioni antinfortunistiche, essendo ravvisabile “anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un’iniziativa estemporanea, allorche’ altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente”, in quanto la sistematicita’ della violazioni “attiene al piano prettamente probatorio (…), quale possibile indizio della esistenza dell’elemento finalistico della condotta dell’agente” (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv. 28077701; Sez. 4, n. 29584 del 22/09/2020, F.lli Cambria s.p.a., Rv. 27966001).
Il giudice del rinvio, nella valutazione della sussistenza del requisito del “vantaggio”, dovra’ fare applicazione dei principi secondo cui:
– “ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, e, dunque ha realizzato una politica di impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto” (Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzotti, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015 – dep. 2016, Gastoldi, non mass. sul punto) ovvero “massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volonta’ di ottenere il vantaggio stesso” (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv.27432001), oppure consentendo una “riduzione dei tempi di lavorazione”. (Sez. 4, n. 16598 del 24/01/2019, Tecchio, Rv. 27557001; Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 27659603);
– “(il)vantaggio (…) e’ criterio oggettivo, legato all’effettiva realizzazione di un profitto, di importo non irrisorio, in capo all’ente quale conseguenza della (…violazione delle regole cautelar’ antinfortunistiche, il quale) deve essere analizzato, a differenza dell’interesse, ex post (… senza che sia) necessario che il reo abbia volontariamente violato le regole cautelari al fine di risparmiare, in quanto la mancanza di tale volonta’ rappresenta la sostanziale differenza rispetto all’interesse” (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., non mass. sul punto);
“il concreto apprezzamento della consistenza del vantaggio, cioe’ del suo importo non irrisorio, e’ rimesso alla valutazione del giudice di merito, che resta insindacabile ove congruamente ed adeguatamente motivata” (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., non mass. sul punto);
– ai fini dell’integrazione del requisito del vantaggio non e’ necessaria la sistematicita’ delle violazioni antinfortunistiche, essendo ravvisabile tale criterio di imputazione anche in relazione a una trasgressione isolata, allorche’ altre evidenze fattuali dimostrino la consistenza del vantaggio derivato all’ente dalla commissione del reato, in quanto la sistematicita’ della violazioni attiene al piano prettamente probatorio, quale possibile indizio della consistenza del vantaggio.
3. Al rigetto del ricorso proposto dal (OMISSIS) consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la responsabilita’ amministrativa dell’ente e rinvia alla Corte di appello di Firenze, altra sezione.
Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Responsabilità da reato degli enti collettivi
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply