La responsabilità dell’amministratore del crollo di parti dell’edificio condominiale

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 16 ottobre 2019, n. 42398.

Massima estrapolata:

La giurisprudenza ha stabilito la responsabilità dell’amministratore , in qualità di garante, del crollo di parti dell’edificio condominiale, ma non sempre i condòmini possono avvalersi dello scudo giuridico rappresentato dal professionista. A volte sono i condòmini direttamente responsabili del crollo di parti del condominio.

Sentenza 16 ottobre 2019, n. 42398

Data udienza 30 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente

Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere

Dott. PACILLI G. A. – rel. Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano il 16.5.2018;
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita nell’udienza pubblica del 10.9.2019 la relazione fatta dal Consigliere, Dott.ssa Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale, in persona del Dott. Viola Alfredo, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso;
Udito l’avv. (OMISSIS), difensore della parte civile, che deposita conclusioni scritte e nota spese;
Udito l’avv. (OMISSIS), difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 16 maggio 2018 la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa citta’, emessa il 27 marzo 2017 nei confronti di (OMISSIS), ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti di cui al capo B) anteriori al (OMISSIS), perche’ estinti per intervenuta prescrizione; ha rideterminato la pena e ha confermato nel resto.
In primo grado e’ stata dichiarata l’improcedibilita’ per estinzione del reato di cui all’articolo 494 c.p. per intervenuta prescrizione mentre l’imputata e’ stata assolta dal delitto cui all’articolo 485 c.p. perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato ed e’ stata condannata per il reato di appropriazione indebita.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, deducendo i seguenti motivi:
1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, essendo stata applicata l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 11, nonostante la mancata prova del ruolo rivestito dall’imputata all’interno della societa’ (OMISSIS), tale da integrare l’abuso di relazione d’ufficio. Il reato sarebbe quindi procedibile a querela, che, nel caso in esame, sarebbe irrituale, in quanto la legale rappresentante della societa’ non avrebbe indicato la fonte dei propri poteri di rappresentanza;
2) carenza, mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata, che avrebbe omesso di considerare la documentazione acquisita, da cui emergerebbe che l’autrice dell’intera vicenda non potrebbe essere l’imputata;
3) violazione di legge e manifesta illogicita’ della motivazione nella parte in cui sono state denegate le attenuanti generiche, omettendo di considerare, tuttavia, la personalita’ dell’imputata, incensurata e senza alcun carico pendente;
4) inosservanza o erronea applicazione degli articoli 163, 164 e 165 c.p., essendo stata subordinata la sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale, senza pero’ effettuare una valutazione, sia pure sommaria, sulle condizioni economiche dell’imputata;
5) inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 165 c.p., u.c., non essendo stato stabilito il termine entro il quale l’imputata dovrebbe provvedere al pagamento della provvisionale a favore della parte civile.
All’odierna udienza pubblica e’ stata verificata la regolarita’ degli avvisi di rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
1.1 Quanto al primo motivo del ricorso, con cui la ricorrente ha dedotto che si sarebbe dovuto escludere l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 11, con conseguente procedibilita’ a querela del reato ascrittole, deve rilevarsi che l’articolo 61 c.p., n. 11, non risulta applicato nel caso in disamina, come reso evidente dal calcolo della pena, effettuato nelle sentenze di merito, che non danno conto di un aumento della pena base per effetto di aggravanti.
Ad ogni modo, ove pure l’anzidetta aggravante fosse stata applicata, il reato sarebbe stato comunque procedibile a querela.
Difatti, il Decreto Legislativo 10 aprile 2018, n. 36, articolo 10, dispone che e’ abrogato l’articolo 646 c.p., comma 3, e, poiche’ il suddetto comma 3 prevedeva espressamente delle deroghe al regime generale della procedibilita’ a querela stabilita dal comma 1, sia nei casi previsti dal citato articolo 646 c.p., comma 2, (cose possedute in deposito), sia ove ricorresse l’aggravante comune dell’articolo 61 c.p., n. 11, (fatto commesso con abuso di autorita’, relazioni di ufficio o di prestazione di opera etc..). il delitto di appropriazione indebita e’ divenuto sempre procedibile a querela della persona offesa.
Lo stesso Decreto Legislativo prevede poi, al successivo articolo 11, delle ipotesi residuali di procedibilita’ di ufficio anche per i delitti di truffa ed appropriazione indebita che la stessa riforma ha previsto ora a procedibilita’ a querela; si stabilisce infatti che “per i fatti perseguibili a querela preveduti dall’articolo 640, comma 3, articolo 640-ter, comma 4 e per i fatti di cui all’articolo 646, comma 2, o aggravati dalle circostanze di cui all’articolo 61, comma 1, n. 11, si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.” Solo quindi in presenza di aggravanti ad effetto speciale potra’ ritenersi continuare a sussistere la procedibilita’ di ufficio per il reato di appropriazione indebita aggravata ex articolo 61 c.p., n. 11; in tutti gli altri rimanenti casi la procedibilita’ e’ a querela di parte.
Di tale modifica normativa favorevole per l’imputato deve tenersi conto nei procedimenti ancora pendenti, come ricordato da questa Corte (Sez. 2, n. 225 dell’8/11/2018, Rv. 274734). Invero, vale al proposito il principio secondo cui il problema dell’applicabilita’ dell’articolo 2 c.p., in caso di mutamento nei tempo del regime della procedibilita’ a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilita’ e di punibilita’. Infatti, il principio dell’applicazione della norma piu’ favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale, applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilita’, che inerisce alla fattispecie, dato che e’ inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto (Sez. 3, n. 2733 dell’8/7/1997, Rv. 209188).
Nel caso in esame, quindi, a seguito della modificazione introdotta con il Decreto Legislativo n. 36 del 2018, pur se fosse stato applicato l’articolo 61 c.p., n. 11, non essendo state contestate aggravanti ad effetto speciale, il reato sarebbe stato procedibile a querela della persona offesa.
Ne discende che la deduzione in ordine all’insussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 11, tesa ad escludere la procedibilita’ d’ufficio, perde rilievo a fronte della modifica normativa anzidetta, che, per l’appunto, ha reso procedibile a querela il reato di appropriazione indebita, aggravato dall’articolo 61 c.p.,n. 11.
1.1.1 Tanto premesso, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la querela e’ stata proposta in modo rituale.
Questa Corte (Sez. 2, n. 39839 del 27/6/2012, Rv. 253442) ha gia’ avuto modo di affermare che l’inefficacia della querela consegue solo alla mancanza di un effettivo rapporto fra il quereante e l’ente ma non anche a difetto dell’enunciazione formale della fonte dei poteri di rappresentanza, conferiti al legale rappresentante.
Si e’ precisato, in particolare, che, nel caso di querela sporta dal legale rappresentante di una persona giuridica, l’onere dell’indicazione specifica della fonte dei poteri e’ adempiuto con la mera indicazione dell’esistenza del rapporto di legale rappresentanza, incombendo poi su chi nega tale rapporto provare la propria eccezione (Sez. 5, 14 febbraio 2006, n. 19368).
Nel caso in esame, sarebbe quindi stato onere della ricorrente dimostrare la mancanza di potere di rappresentanza in capo alla persona offesa: onere che, pero’, non e’ stato adempiuto.
1.2 Il secondo motivo non e’ consentito, oltre a difettare di specificita’.
La Corte d’appello ha affermato che le dichiarazioni della parte civile erano attendibili, essendo confortate dalla documentazione bancaria, da cui si evinceva che tutta la corrispondenza, inerente al conto corrente della societa’ (OMISSIS), veniva indirizzata all’imputata, cosi’ da potersi affermare che quest’ultima operava sul conto corrente e si era appropriata di somme non di sua spettanza.
Al cospetto della motivazione della pronuncia impugnata le deduzioni difensive, per un verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Rv. 226074); per altro verso, non si confrontano con le compiute e lineari argomentazioni, svolte dal giudice della cognizione, e, dunque, omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 dell’11/3/2009, Rv. 243838).
1.3 Il terzo motivo e’ privo di specificita’.
La Corte territoriale, nel denegare le attenuanti generiche, “vista la pervicacia nella condotta delittuosa e l’assenza di resipiscenza” dell’imputata, si e’ correttamente conformata al consolidato orientamento di questa Corte, per la quale, al fine di ritenere od escludere la configurabilita’ delle attenuanti generiche, il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio: anche un solo elemento attinente alla personalita’ del colpevole od all’entita’ del reato ed alle modalita’ di esecuzione di esso puo’, pertanto, risultare all’uopo sufficiente (ex multis, Sez. II, n. 3609 del 18.1.2011, Rv 249163).
1.4 Il quarto motivo e’ manifestamente infondato.
Questa Corte (Sez. 5, n. 48913 del primo ottobre 2018, Rv. 274599) ha affermato che, in tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno, il giudice, pur non essendo tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell’imputato, deve tuttavia effettuare un motivato apprezzamento di esse, se dagli atri emergano elementi che consentono di dubitare della capacita’ di soddisfare la condizione imposta ovvero quando tali elementi vengano forniti dalla parte interessata.
Nel caso di specie, la ricorrente neppure ha indicato se vi fossero stati elementi, attestanti le sue asserite modeste condizioni economiche, offerti alla valutazione del giudicante e da questi trascurati.
In tale situazione la decisione di subordinare il beneficio de quo al pagamento della provvisionale in favore della parte civile non si presta ad alcun rilievo censorio.
1.5 Anche il quinto motivo e’ manifestamente infondato.
In mancanza dell’indicazione in sentenza di un termine di adempimento del pagamento della disposta provvisionale, tale termine coincide con il passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 6, n. 54647 del 25/10/2018, Rv. 274646).
2. Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile e tale declaratoria comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ – valutati i profili di colpa nella proposizione del ricorso inammissibile – della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende, a titolo di sanzione pecuniaria.
La ricorrente va altresi’ condannata alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile (OMISSIS), che si liquidano in complessive Euro 2.700,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, CPA e IVA.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende, nonche’ alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile (OMISSIS), che liquida in complessive Euro 2.700,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, CPA e IVA.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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