Reato di furto aggravato commesso all’interno delle abitazioni

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 10 gennaio 2020, n. 646

Massima estrapolata:

Per punire il reato di furto aggravato commesso all’interno delle abitazioni l’articolo 624 bis del Codice penale non solo prevede una pena grave ma anche la sua procedibilità di ufficio, quando il furto semplice è punito solo a seguito della presentazione di una querela da parte della persona offesa. Inoltre la pena è aumentata se il reato è commesso in presenza di una o più aggravanti contenute nell’art. 625 c.p. .Ne consegue che per la difesa degli autori di tale reato spesso è necessario negare non solo la sussistenza di tali aggravanti, ma anche la commissione del fatto all’interno di un’abitazione. Tuttavia per la sussistenza del reato rileva anche la sua commissione nella pertinenza di un’abitazione.

Sentenza 10 gennaio 2020, n. 646

Data udienza 19 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. PISTORELLI Luca – rel. Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/10/2018 della Corte d’appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Birritteri Luigi, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la condanna di (OMISSIS) per il reato di furto in luogo di privata dimora di alcuni beni di proprieta’ di una ditta che stava svolgendo dei lavori alla rete fognaria depositati nell’area privata di pertinenza di un condominio.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato articolando due motivi.
2.1 Con il primo deduce erronea applicazione della legge penale e vizi della motivazione in relazione alla denegata riqualificazione del fatto come furto semplice. Il ricorrente lamenta in primo luogo che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della recente ricostruzione della nozione di luogo di privata dimora effettuata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 31345 del 2017. Ne’ rileverebbe la giurisprudenza citata dai giudici del merito e relativa al furto in pertinenze di tale luogo, posto che la pronunzia riportata in sentenza avrebbe ad oggetto fattispecie non comparabile con quella oggetto del presente giudizio, dove la sottrazione ha riguardato beni appartenenti ad una ditta impegnata in lavori sulla rete fognaria e non ad uno dei condomini. Non di meno il giudice dell’appello avrebbe omesso di confutare le doglianze proposte dalla difesa sul punto.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizi di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 4. In proposito si evidenzia come la sentenza abbia sostanzialmente omesso di rispondere alle doglianze proposte nei motivi d’appello, con i quali si era obiettato come dalla deposizione della persona offesa fosse emerso che tutti i beni sottratti erano stati restituiti e come la sentenza di primo grado risultasse contraddittoria nella misura in cui aveva negato l’invocata attenuante ed invece riconosciuto quelle generiche al fine di adeguamento del trattamento sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. Il primo motivo e’ manifestamente infondato. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte la sottrazione di cosa mobile altrui all’interno di un cortile condominiale, che costituisca pertinenza di una privata dimora, integra il reato di furto in abitazione previsto dall’articolo 624-bis c.p. (ex multis Sez. 7, n. 3959/13 del 02/10/2012, Romano, Rv. 255100). Infatti la nozione di abitazione, evocando quella del luogo finalizzato a soddisfare esigenze della vita domestica e familiare, ha consentito al legislatore di includervi anche locali che – come i cortili e le aree condominiali – costituiscono parte integrante del luogo abitato per essere destinati, con carattere di indispensabile strumentalita’, all’attuazione delle esigenze della vita abitativa. Non rileva, quindi, ne’ la natura del bene oggetto del furto, ne’ la sua appartenenza a soggetto che non sia il proprietario del luogo a cui accede la pertinenza, ma esclusivamente e per tassativa volonta’ della norma incriminatrice quello in cui il reato e’ stato commesso.
2. Inammissibili, in quanto manifestamente infondate, sono anche le censure svolte con il secondo motivo. La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuita’, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoche’ irrilevante. Ai fini dell’accertamento della tenuita’ del danno e’ peraltro necessario considerare, oltre al valore in se’ della cosa sottratta, anche quello complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della res. In altri termini l’entita’ del danno deve essere valutata con riferimento al complessivo pregiudizio economico subito dalla persona offesa e non gia’ al mero valore intrinseco dell’oggetto sottratto, come ipotizzato dal ricorrente (ex multis Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017, Calvio, Rv. 271695). Infine, va ribadito il consolidato insegnamento di questa Corte per cui, in tema di furto, ai fini della configurabilita’ della circostanza attenuante del danno di particolare tenuita’, l’entita’ del danno cagionato alla persona offesa deve essere verificata al momento della consumazione del reato, costituendo la restituzione della refurtiva solo un post factum non valutabile a tale fine (ex multis Sez. 5, n. 19728 del 11/04/2019, Ingenito, Rv. 275922), talche’ correttamente i giudici del merito non hanno preso in considerazione la circostanza.
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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