Reato di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 maggio 2020, n. 15202.

Massima estrapolata:

Integra il reato di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione di cui all’art. 5, comma primo, lett. b), legge 30 aprile 1962, n. 283, la materiale disponibilità di prodotto ittico in fase di decongelamento da parte di un operatore commerciale grossista per conto di altri commercianti, che ne abbiano già concluso l’acquisto per la successiva immissione al consumo attraverso la vendita al dettaglio.

Sentenza 15 maggio 2020, n. 15202

Data udienza 15 novembre 2019

Tag – parola chiave: ALIMENTI E BEVANDE – SICUREZZA ED IGIENE ALIMENTARE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. SOCCI Angelo M. – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/12/2018 del TRIBUNALE di CASTROVILLARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TOCCI STEFANO, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. (OMISSIS) ricorre per l’annullamento della sentenza del 14/12/2018 del Tribunale di Castrovillari che l’ha condannato alla pena di 400,00 Euro di ammenda per il reato di cui alla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b), per aver detenuto, per la vendita, 49 chilogrammi di prodotto ittico di varia specie (calamari, seppiole, totani) in cattivo stato di conservazione. Il fatto e’ contestato come commesso in (OMISSIS).
1.1. Con unico motivo deduce l’omessa motivazione circa la affermata inattendibilita’ delle prove a discarico e la conseguente erronea applicazione della fattispecie incriminatrice. In particolare, non sono state prese in considerazione le dichiarazioni rese dai sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) a sostegno della deduzione difensiva secondo la quale gli alimenti erano gia’ stati venduti ai clienti che ne avevano chiesto lo scongelamento prima del materiale ritiro. I prodotti, pertanto, non erano detenuti per la vendita perche’ erano stati gia’ venduti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso e’ inammissibile.
3. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che, a seguito di accertamento effettuato dai militari della Guardia Costiera (tra i quali il cap. (OMISSIS), escusso all’udienza del 20/10/2017) nell’area portuale di (OMISSIS), era risultato che il ricorrente, esercente attivita’ di vendita di prodotti ittici, deteneva circa 49 chilogrammi di prodotto in fase di decongelamento: “tratta vasi, nella specie, di prodotto gia’ congelato, lasciato al di fuori delle celle frigorifere e, pertanto, non conservato alla temperatura adeguata, ma a temperatura ambiente ed esposto agli agenti atmosferici”. Il Tribunale da’ altresi’ atto di aver escusso i sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) (entrambi addotti dalla difesa), dai quali e’ giunto un “valido contributo per l’accertamento del fatto e per la commissione del reato da parte del giudicabile”, ed afferma che “quanto asserito dalla Difesa non trova riscontro nel quadro comparativo delle risultanze dibattimentali emerse e non approda ad alcun convincimento circa l’innocenza del prevenuto (il cui) tentativo di confutare le prove d’accusa non ha sortito l’effetto assolutorio”.
3.1. Il ricorrente lamenta l’omesso esame delle prove a discarico attraverso le quali sarebbe stata inserita nel processo un’informazione decisiva, in grado di modificare la decisione in senso assolutorio: il pesce era stato decongelato su richiesta degli acquirenti impegnati nel frattempo presso altri box di vendita all’asta dei prodotti ittici situati nella medesima area portuale.
3.2. Non e’ ben chiaro come la testimonianza del (OMISSIS), allegata per intero al verbale, possa essere utile alla ricostruzione dei fatti nei termini dedotti dal ricorrente; lo sono certamente di piu’ le testimonianze rese dal (OMISSIS), dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) i quali hanno riferito (non senza qualche divergenza tra loro) della prassi secondo la quale i clienti (commercianti al dettaglio) prenotavano il pesce (chi la sera prima – (OMISSIS); chi la mattina stessa, gli altri due) e chiedevano all’imputato di decongelarlo in attesa (e prima) del suo materiale ritiro, cio’ per consentirne la definitiva commercializzazione in giornata.
3.3. Di qui la tesi difensiva secondo la quale il pesce, nel momento in cui era gia’ stato decongelato (o si stava comunque decongelando) e posto su una pedana appoggiata per terra, non era detenuto per la vendita in quanto gia’ venduto quando era ancora congelato. Poiche’ la norma sanziona la “detenzione per la vendita”, ne consegue che la condotta tenuta dal ricorrente e’ atipica in quanto estranea al precetto.
3.4. La deduzione difensiva e’ manifestamente infondata.
3.5. Ai sensi della L. n. 283 del 1962, articolo 5, comma 1, lettera b), “e’ vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari: (…) b) in cattivo stato di conservazione”.
3.6. Il ricorrente applica concetti civilistici alla vicenda in esame senza considerare che il fatto tipico ne prescinde in quanto la fattispecie utilizza termini che privilegiano il rapporto di fatto tra l’autore della condotta ed il bene destinato al consumo. La condotta di “detenzione”, infatti, evoca un rapporto di fatto tra l’autore della condotta e la cosa che ne e’ oggetto a prescindere dal titolo in quanto la detenzione costituisce solo una delle modalita’ alternativamente previste dalla norma attraverso le quali il prodotto viene immesso (o e’ destinato ad essere immesso) al consumo (cfr., al riguardo, Sez. 3, n. 2970 del 06/02/1970, Rv. 138328, che ha affermato il principio, che qui si intende ribadire, secondo il quale il fatto tipico preso in considerazione dalle norme relative alle frodi alimentari e’ la immissione nel commercio del prodotto adulterato o comunque irregolare; tale immissione si verifica quando il prodotto entra nella materiale disponibilita’ dell’operatore commerciale (grossista o dettagliante) che lo fornira’ ai consumatori. Il concetto “distribuito per il consumo”, enunciato nella L. 30 aprile 1962, n. 283 (come le analoghe espressioni “vendere” porre in vendita, ecc.) prescinde dall’iter relativo all’esecuzione del contratto secondo le norme del codice civile, e non prende in considerazione il momento in cui il venditore, nella vendita da piazza a piazza, si libera dell’obbligo della consegna rimettendo la merce al vettore; nello stesso senso, Sez. 3, n. 7054 del 20/04/1999, Rv. 213997; cfr., piu’ recentemente, Sez. 3, n. 17548 del 25/03/2010, Rv. 247488, secondo cui integra i reato di detenzione per la vendita di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione la condotta consistente nella materiale disponibilita’ di quel prodotto da parte dell’operatore commerciale, sia esso grossista o dettagliante, in vista della fornitura ai consumatori).
3.7. Non v’e’ dubbio che il ricorrente detenesse di fatto i prodotti decongelati al momento dell’accertamento, cosi’ come non v’e’ alcun dubbio che tali prodotti fossero destinati alla vendita/immissione al consumo, ancorche’ per il tramite dei commercianti al dettaglio, come da lui stesso ammesso. Anche a voler seguire fino in fondo l’impostazione difensiva, l’imputato comunque deteneva per conto di altri commercianti alimenti in cattivo stato di conservazione che questi ultimi avevano acquistato per venderli a loro volta al dettaglio. Sicche’ l’oggettiva finalizzazione della vendita al dettaglio/immissione al consumo del prodotto materialmente detenuto dal grossista nella consapevolezza del cattivo stato di conservazione non manda esente quest’ultimo da responsabilita’ penale anche se, in tesi, abbia gia’ concluso il contratto di vendita con il dettagliante. La condotta del grossista (detenzione per vendere) integra la fattispecie penale anche se la vendita al consumo viene materialmente posta in essere da terzi; cio’ che conta, ai fini penalisitici, e’ spezzare la catena di distribuzione che conduce l’alimento al consumatore finale punendo ogni condotta intermedia. La persistente detenzione dell’alimento in vista della sua materiale consegna ai commercianti al dettaglio prova, piuttosto, l’attuale signoria del detentore sul prodotto e, quindi, sulle condotte altrui che, in assenza del suo materiale contributo, non potrebbero immettere al consumo alimenti in cattivo stato di conservazione.
3.8. Costituisce declinazione di questo principio l’insegnamento della Corte secondo il quale il grossista ha il dovere di porre in vendita il prodotto conforme alle prescrizioni di legge e in ipotesi di accertata difformita’ egli risponde penalmente, a titolo di colpa, per non aver fatto eseguire i controlli e preso le precauzioni idonee ad evitare l’immissione in commercio di un prodotto non regolamentare. La responsabilita’ puo’ essere esclusa esclusivamente dalla assoluta buona fede riferibile solo a ipotesi di forza maggiore o di caso fortuito (Sez. 3, n. 10571 del 22/05/1995, Rv. 202703).
3.9. La messa in vendita di prodotti ittici non sottoposti ad adeguato trattamento di refrigerazione (a causa dell’interruzione della cosiddetta “catena del freddo”) integra il reato di cui alla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera b), (Sez. 3, n. 3711 del 08/01/2014, Rv. 25831); il grossista che provveda egli stesso al materiale decongelamento del prodotto ittico e lo detenga poi persino per terra in attesa della sua definitiva immissione al consumo risponde, pertango, a pieno titolo del reato a lui ascritto.
3.10. Di qui la non decisivita’ del vizio di motivazione dedotto.
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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