Rapporti di vicinato la demolizione ed ordine di riduzione in pristino c’è l’inoperatività quando la trasformazione è irreversibile

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 marzo 2023| n. 7601.

Rapporti di vicinato la demolizione ed ordine di riduzione in pristino c’è l’inoperatività quando la trasformazione è irreversibile

La trasformazione irreversibile della cosa ne preclude la tutela reale e, quindi, la possibilità di chiedere ed ottenere la demolizione e la riduzione in pristino, atteso che essa non può che avere oggetto ed esplicarsi in relazione alla “res” oggetto del diritto di proprietà, ormai modificata in modo tale da non consentire il ripristino della sua condizione originaria. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha negato la tutela in esame in quanto la restituzione della zona rivendicata non era possibile per la sopravvenuta edificazione di travi portanti di un edificio).

Ordinanza|16 marzo 2023| n. 7601. Rapporti di vicinato la demolizione ed ordine di riduzione in pristino c’è l’inoperatività quando la trasformazione è irreversibile

Tag/parola chiave: Proprieta’ – Limitazioni legali della proprieta’ – Rapporti di vicinato – Norme di edilizia – Violazione – In genere sconfinamento sul fondo contiguo – Demolizione ed ordine di riduzione in pristino – Operatività – Limiti – Trasformazione irreversibile – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi G. – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. CAPONI Remo – Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dall’Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo pec del difensore;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso dall’Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso il suo studio in (OMISSIS);
– controricorrente – ricorrente incidentale –
e
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante sig. (OMISSIS), rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso dall’Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo pec del difensore;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1810 della Corte di appello di Palermo, depositata il 13.9.2018;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13.1.2023 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi.

Rapporti di vicinato la demolizione ed ordine di riduzione in pristino c’è l’inoperatività quando la trasformazione è irreversibile

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 1810 del 13.9.2018 la Corte di appello di Palermo, respingendo gli appelli delle parti, confermo’ la decisione di primo grado che, decidendo sulle domande proposte da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e della s.r.l. (OMISSIS), aveva dichiarato inammissibile la domanda contro quest’ultima, in quanto coperta da un precedente giudicato; aveva quindi condannato la (OMISSIS) ad arretrare, per la misura di cm. 40, il muro di separazione della terrazza del proprio appartamento da quello dell’attore, con conseguente restituzione della corrispondente superficie abusivamente occupata, e condannato in solido le parti convenute a corrispondere la somma di Euro 9.400,00, pari al valore della parte di superficie occupata non restituibile; aveva infine dichiarato la societa’ (OMISSIS), dante causa dell’unita’ immobiliare acquistata dalla (OMISSIS), tenuta a garantire quest’ultima per l’evizione parziale subita.
A fondamento della propria decisione la Corte territoriale, premesso che il (OMISSIS) aveva acquistato dalla (OMISSIS), previa cessione del terreno edificabile, due appartamenti dell’erigendo fabbricato e quindi lamentato che la societa’ costruttrice aveva costruito altro appartamento, poi ceduto alla (OMISSIS), occupando una porzione di terrazza gia’ assegnata alla propria unita’ immobiliare, rilevo’ che dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata era risultato che l’appartamento acquistato dalla (OMISSIS) era stato effettivamente edificato, per la parte contesa della terrazza, sulla porzione immobiliare gia’ assegnata al (OMISSIS); che la superficie abusivamente occupata poteva essere restituita solo in parte, attraverso l’arretramento del muro, atteso che l’arretramento integrale di quanto edificato avrebbe coinvolto, oltre ad alcune pareti e la scala, anche le travi in conglomerato cementizio e compromesso la struttura statica dell’immobile; che, pertanto, la tutela reale andava disposta per la parte suscettibile di essere rimossa, mentre per la restante parte il danno non poteva essere reintegrato in forma specifica, ma solo per equivalente; che del tutto irrilevante, a tal fine, si presentava sia il carattere abusivo dell’immobile acquistato dalla (OMISSIS), che la consapevolezza della stessa e della (OMISSIS) in ordine alla consumata usurpazione; che il danno per quest’ultima doveva essere liquidato tenendo conto del valore intrinseco della superficie della terrazza occupata, ed era pari, in base alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, all’importo di Euro 9.400,00; che non sussisteva ne’ era stato provato, attesa la esiguita’ della zona occupata, l’ulteriore danno lamentato dall’esponente per l’illegittima detenzione del bene.
Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 21. 9. 2018, con atto notificato il 20.11.2018, ha proposto ricorso (OMISSIS), sulla base di cinque motivi.
Resistono con distinti controricorsi la societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS), la quale ha proposto altresi’ ricorso incidentale, affidandosi a tre motivi, cui ha replicato il (OMISSIS) con controricorso.
La causa e’ stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata. Tutte le parti hanno depositato memoria.
Vanno esaminati per primi il primo e secondo motivo del ricorso incidentale proposto da (OMISSIS), che investono statuizioni della sentenza impugnata aventi priorita’ logica e giuridica rispetto ai capi investiti dal ricorso principale. Il primo motivo del ricorso incidentale denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c., lamentando che la Corte distrettuale abbia ritenuto inammissibili per genericita’ le censure sollevate dalla (OMISSIS) con il primo e secondo motivo del proprio appello incidentale, sulla base dell’errato presupposto che la parte non avesse mosso critiche al rilievo del tribunale secondo cui essa non aveva contestato il diritto di proprieta’ del (OMISSIS) sulle aree contestate, laddove invece la (OMISSIS) aveva espressamente riproposto la propria eccezione circa il mancato assolvimento da parte dell’attore dell’onere di provare il proprio diritto di proprieta’, presupposto della domanda di rivendica avanzata.
Il secondo motivo del ricorso incidentale denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 167 c.p.c. e dell’articolo 2644 c.c., assumendo che, al di la’ della proposizione dell’appello incidentale sul punto, la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare, stante la contestazione svolta dalla convenuta, il difetto di titolarita’ dell’azione di rivendicazione promossa dalla controparte, trattandosi di presupposto rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ai sensi dell’orientamento espresso dalle Sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 2951 del 2016. Si assume, inoltre, che la Corte palermitana non ha considerato che la domanda di rivendica promossa nel giudizio precedente intentato dal (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) non era stata trascritta, mentre la (OMISSIS) aveva regolarmente trascritto il proprio titolo di acquisto dell’appartamento libero da pesi e azioni pregiudizievoli, sicche’, nella controversia successivamente insorta, avrebbe dovuto darsi prevalenza assoluta al titolo della odierna ricorrente in via incidentale.
I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione obiettiva, sono infondati.
Quanto alla dedotta violazione dell’articolo 342 c.p.c., la censura e’ infondata sulla base del mero confronto tra il motivo, per come formulato, e la sentenza impugnata, dovendosi rilevare che la Corte di appello, a sostegno della statuizione sul punto, ha richiamato il principio espresso dal tribunale secondo cui, al di la’ della contestazione della proprieta’, l’onere dell’attore di provare il proprio diritto dominicale sul bene rivendicato doveva ritenersi assolto con la sola prova del suo atto di acquisto, atteso che le parti avevano acquistato da un comune dante causa. Il ricorso non deduce di avere proposto in appello alcuna specifica censura a tale motivazione, e cio’ e’ sufficiente a ritenere il motivo infondato. Si aggiunga che, risultando pacifico dagli atti di causa che il (OMISSIS) aveva acquistato il bene, per effetto di permuta del suo terreno, direttamente dalla (OMISSIS), che aveva costruito l’intero edificio, il suo acquisto proveniva direttamente dal proprietario originario, sicche’ l’onere probatorio proprio dell’azione di rivendica risultava pienamente assolto, coincidendo con il suo titolo di acquisto.
Va infine sottolineato che, richiamando le suddette circostanze, la Corte territoriale si e’ comunque pronunciata sulla censura sollevata con l’appello incidentale della (OMISSIS), dichiarandola infondata alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che aveva accertato che le porzioni immobiliari contese erano state edificate sulle parti a livello della proprieta’ acquistata dal (OMISSIS).
La censura svolta con il secondo motivo, che richiama il principio espresso da questa Corte con la sentenza n. 2951 del 2016 sulla rilevabilita’ d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, del difetto di legittimazione delle parti va per l’effetto dichiarato assorbito, avendo la Corte di appello, nel caso di specie, accertato la titolarita’ in capo all’attore del diritto azionato in giudizio.
Il richiamo al principio della priorita’ della trascrizione appare, infine, destituito di fondamento, in quanto riferito alla omessa trascrizione della domanda di rivendica, laddove invece la questione, per come posta, potrebbe assumere rilevanza, nel conflitto tra diversi acquirenti del medesimo bene, solo in ordine al momento in cui sono trascritti i titoli di proprieta’.
Passando ora all’esame del ricorso principale proposto da (OMISSIS), il primo motivo denuncia, ai sensi dell’articolo 365 c.p.c., n. 5 omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e violazione dell’articolo 115 c.p.c. e dell’articolo 2909 c.c., censurando la statuizione impugnata laddove ha affermato che la porzione di terrazza occupata abusivamente dall’appartamento della (OMISSIS) non poteva essere integralmente restituita, senza compromettere le parti strutturali dell’edificio. Assume il ricorrente che tale conclusione e’ contraria alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio ed alla relazione tecnica svolta nel precedente giudizio, intentato dal (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), conclusosi con sentenza passata in giudicato. In particolare si sostiene che la Corte di appello, nel compiere il relativo accertamento, ha omesso di considerare il giudizio del consulente tecnico e l’allegato computo metrico, da cui risultava che la restituzione dell’intera area occupata avrebbe comportato la demolizione della scala e di una parete, ma senza intervenire sulle travi strutturali del fabbricato, che la stessa sentenza di primo grado aveva posto in rilievo che la relazione del consulente tecnico del precedente giudizio non era stata contestata dalla convenuta (OMISSIS) e che esso si era concluso con la condanna della (OMISSIS) alla demolizione delle opere esistenti sulla porzione di terrazza contesa.
Il mezzo e’ in parte inammissibile ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., u.c., che esclude la proponibilita’ in sede di legittimita’ del vizio di omesso esame di fatti decisivi nel caso in cui il giudice di appello abbia deciso sulla base delle medesime circostanze di fatto poste a base della decisione di primo grado (c.d. doppia conforme), applicabile nel caso di specie essendo il procedimento di appello iniziato nel 2014. Si rileva inoltre che le censure solevate involgono apprezzamenti di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito, i cui risultati non sono sindacabili in sede di giudizio di legittimita’.
La doglianza che denunzia la violazione dell’articolo 2909 c.c. e’ invece infondata, tenuto conto che essa lamenta non gia’ il contrasto con una precedente pronunzia passata in giudicato, bensi’ la mancata adesione alle risultanze della consulenza tecnica svolta in quel giudizio. In ogni caso la censura e’ destituita di fondamento per assenza del presupposto della identita’ soggettiva delle parti, atteso che nel giudizio precedente, di cui si invoca il giudicato, la (OMISSIS) non aveva partecipato.
Il secondo motivo del ricorso principale denunzia violazione degli articoli 1337, 2644 e 1154 c.c. in combinato disposto con gli articoli 2058 e 2041 cit. codice, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto irrilevanti, ai fini dell’adozione dell’ordine di integrale demolizione, la incontestata abusivita’ urbanistica ed edilizia delle opere da demolire, il fatto che il (OMISSIS) avesse trascritto il proprio atto di acquisto prima di quello della (OMISSIS) e che sia la (OMISSIS) che la (OMISSIS) fossero in mala fede, essendo perfettamente consapevoli della usurpazione al momento dell’acquisto.
Il terzo motivo del ricorso principale denunzia violazione degli articoli 934, 936 e 938 c.c. e degli articoli 42-44 Cost., articolo 1 Protocollo CEDU e articolo 832 c.c. in combinato disposto con gli articoli 1337 e 2041 c.c., assumendo l’erroneita’ della decisione per avere la Corte d’appello, nonostante che l’area in questione fosse stata occupata ed acquistata in mala fede, escluso l’applicabilita’ della disciplina posta dagli articoli 936 e 938 c.c., che nella ipotesi di suolo occupato illegittimamente in mala fede, esclude l’applicabilita’ dell’istituto della accessione invertita e riconosce sempre al proprietario la possibilita’ di pretenderne la restituzione.
Il secondo e terzo motivo, che per connessione logica vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
La premessa da cui muove il ricorrente e’ senz’altro corretta, atteso che la costruzione eseguita in tutto o in parte sul suolo altrui consente al proprietario di questo la tutela reale del proprio diritto, mediante l’abbattimento e l’arretramento della costruzione usurpativa o di parte di essa. Questa Corte ha invero ribadito il principio che la tutela riservata ai diritti reali non consente l’applicabilita’ dell’articolo 2058 c.c. nel caso di azioni volte a far valere uno di tali diritti, atteso il carattere assoluto degli stessi, salvo che sia la stessa parte danneggiata a chiedere la condanna per equivalente (Cass. Sez. Un., 20 maggio 2016, n. 10499).
Va tuttavia rimarcato che il giudice a quo ha respinto, in parte, la domanda di demolizione e di arretramento non in ragione della buona fede della convenuta, a mente dell’articolo 938 c.c., ma sulla base della considerazione di fatto che la restituzione della zona rivendicata non era in concreto possibile, per la sopravvenuta edificazione di travi portanti dell’edificio, il cui abbattimento e rimozione avrebbero posto in pericolo la struttura stessa e con essa la stabilita’ del fabbricato. La Corte di appello ha quindi motivato nella sostanza la sua conclusione sul presupposto che la costruzione su parte dell’area di proprieta’ dell’attore aveva dato luogo ad una trasformazione del fondo ormai irreversibile, situazione che rendeva impossibile la materiale restituzione.
Le argomentazioni svolte dalla Corte di appello sono corrette e rispondenti ai principi in materia di restituzione della cosa rivendicata, che trovano il loro limite nella avvenuta alienazione, perimento o trasformazione in via irreversibile della res e che consentono, in tali ipotesi, la tutela del danneggiato solo in forma risarcitoria (Cass. n. 1607 del 2017). Invero, la trasformazione irreversibile della cosa preclude la tutela reale atteso che essa non puo’ che avere oggetto ed esplicarsi in relazione alla res che formava oggetto del diritto di proprieta’, ormai modificata in modo tale da non consentire il ripristino della sua condizione originaria (nella specie, di terrazza). La conclusione accolta dalla Corte di appello si sottrae pertanto alle censure sollevate, mettendo conto solo di aggiungere che la ritenuta impossibilita’ in concreto della restituzione si fonda su accertamenti di fatto i cui risultati, come precisato in sede di esame del primo motivo, non sono soggetti a sindacato nel giudizio di legittimita’.
Il quarto motivo del ricorso principale denunzia violazione degli articoli 1337, 2058 e 936 c.c. in combinato disposto con l’articolo 2041 e violazione degli articoli 42 e 44 Cost., articolo 1 Protocollo CEDU e articolo 832 c.c., censurando la decisione impugnata per non avere comunque condannato le parti convenute al pagamento del doppio della superficie occupata, oltre al risarcimento del danno, come previsto dall’articolo 938 citato. Si assume inoltre che il valore dell’area non oggetto di restituzione avrebbe dovuto essere calcolato non in ragione delle suo valore intrinseco originario, ma con riguardo al vantaggio indebito ottenuto dalle controparti, cioe’ al valore del beni ivi edificati e della loro utilita’, finendo invece il criterio adottato per arrecare un sostanzioso vantaggio a favore degli autori dell’illecito.
Il mezzo e’ infondato.
La prima censura in quanto l’applicazione dell’articolo 938 c.c. presuppone l’attribuzione dell’area occupata dalla costruzione a colui che ha edificato, mentre nel caso di specie tale statuizione non e’ mai stata adottata.
La seconda perche’, in caso di impossibilita’ di restituzione del bene, il convenuto, come precisa l’articolo 948 c.c., comma 2, in caso di alienazione, e’ tenuto a corrispondere il valore del bene, non anche una somma commisurata all’eventuale arricchimento che si sia procurato, a seguito di modifiche o trasformazioni della cosa.
Il quinto motivo del ricorso principale denunzia violazione delle norme a tutela della proprieta’ ed esattamente degli articoli 42-44 Cost., articolo 1 Protocollo CEDU e articolo 832 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere negato il danno da indebita occupazione in ragione della esiguita’ della porzione di superficie occupata.
Il motivo e’ inammissibile, in quanto la valutazione della Corte di appello in ordine alla assenza di danno in ragione dell’esiguita’ della superficie occupata non risulta investita da censure puntuali ed integra, in ogni caso, un apprezzamento di merito, non sindacabile, come tale, dinanzi a questa Corte.
Va esaminato, infine, il terzo motivo del ricorso incidentale che, denunciando violazione dell’articolo 112 c.p.c., lamenta che la Corte di appello abbia confermato l’ordine di demolizione del muro e della sovrastante veranda senza esaminare e dar conto della richiesta della (OMISSIS) di non dar corso alla tutela reale ma a quella risarcitoria, stante l’eccessivo sacrificio posto a carico della convenuta, tenuta alla demolizione, a fronte del modesto vantaggio dell’attore di ottenere la restituzione di una esigua porzione della terrazza e della sua richiesta, sia pure in via subordinata, al risarcimento del danno.
Il motivo e’ infondato, atteso che la sentenza impugnata si e’ pronunciata sul motivo di appello, laddove ha confermato la pronuncia di demolizione parziale sulla base del rilievo che essa era eseguibile senza pregiudizio alla statica ed alle strutture dell’edificio, con conseguente assorbimento delle altre deduzioni della appellante.
In conclusione il ricorso principale e quello incidentale sono rigettati.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono compensate, in ragione del la reciproca soccombenza, tra (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre vanno poste a carico di (OMISSIS) quelle del controricorrente (OMISSIS).
Si da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese di giudizio tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna (OMISSIS) al pagamento delle spese di giudizio in favore della s.r.l. (OMISSIS), che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso

 

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