Questione di legittimità costituzionale art. 6, co. 9, del d. lgs. n. 150 del 2011 nei giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 205 del d. lgs. n. 285 del 1992

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 24 ottobre 2018, n. 26990

La massima estrapolata:

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 9, del d. lgs. n. 150 del 2011, nella parte in cui prevede, nei giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 205 del d. lgs. n. 285 del 1992, che il prefetto, quale autorità che ha emesso il provvedimento, possa farsi rappresentare in giudizio dall’amministrazione di appartenenza dell’organo accertatore, la quale vi provvede a mezzo di funzionari delegati, laddove sia destinataria dei proventi della sanzione, realizzando tale previsione il coordinamento con le disposizioni vigenti e presentandosi pertanto coerente con i principi e i criteri di delega contenuti nella l. n. 69 del 2009.

Ordinanza 24 ottobre 2018, n. 26990

Data udienza 14 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25395/2014 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, PREFETTURA DI TORINO, domiciliati in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5482/2015 del TRIBUNALE DI TORINO, depositata il 19/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. LUCIO CAPASSO, che ha chiesto l’accoglimento del quarto motivo di ricorso, l’assorbimento del settimo motivo ed il rigetto dei restanti.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Torino con la sentenza n. 5482 del 19 agosto 2015 ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza del Giudice di Pace di Torino del 20 maggio 2014 con la quale era stata rigettata l’opposizione promossa avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Prefettura di Torino in data 15 ottobre 2013, a seguito del verbale di contestazione del 14 luglio 2013, redatto dalla Polizia Municipale di Collegno, per la violazione dell’articolo 142 CDS, stante il superamento dei limiti orari di velocita’ di oltre 40 KM. Rilevava il giudice di appello che la decisione impugnata era adeguatamente motivata avendo, infatti, ampiamente giustificato le ragioni che avevano portato al rigetto dell’opposizione.
Ed, infatti, una volta escluso che la mancata audizione dell’interessato in sede di procedura prefettizia costituisca causa di nullita’ della procedura stessa, ribadiva che il provvedimento sanzionatorio poteva essere validamente sottoscritto anche da un diverso funzionario prefettizio a tal fine delegato.
Era da reputarsi irrilevante la contestazione circa il limite orario vigente nel tratto di strada, in quanto anche a voler ritenere che corrispondesse a 90 kmh, l’opponente viaggiava a 117 kmh.
La possibilita’ di delega della difesa in giudizio all’amministrazione locale trovava il fondamento normativo nella previsione di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6.
In ordine al rilievo a distanza della velocita’, il Tribunale osservava che l’apparecchio era gestito dal Comune atteso che il dispositivo rilevava in loco i dati fotografici che erano poi visionati dalla centrale operativa, gestita da agenti della Polizia Municipale.
Nemmeno fondata era la dedotta violazione del diritto alla privacy, posto che il ricorso all’esternalizzazione delle procedure di invio dei verbali rispondeva ad esigenze di efficienza amministrativa, e che l’intervento delle societa’ esterne si verifica solo quando la procedura informatica contenente l’atto da notificare si e’ gia’ compiuta essendo estraneo quindi a tale fase l’esercizio di poteri pubblicistici. Infine, il Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articoli 18 e 19, legittimano il trattamento dei dati personali identificativi del responsabile dell’illecito attesa la finalita’ istituzionale del trattamento che prescinde quindi dal consenso dell’interessato.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di sette motivi.
Il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Torino hanno resistito con controricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., stante l’omessa pronuncia su di una domanda (rectius motivo di appello) proposta dal ricorrente, in quanto si era dedotto che in realta’ il Prefetto era rimasto contumace in primo grado, non potendosi quindi tenere conto dei documenti versati in atti dal Comune di Collegno, che, infatti, non poteva invece costituirsi per conto del primo.
L’affermazione del Tribunale secondo cui tale possibilita’ sarebbe prevista dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, costituisce una risposta meramente apparente alle richieste del ricorrente. Infatti, si evidenzia che una previsione di contenuto analogo a quella di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, comma 9, era contemplata dall’articolo 205 C.d.S., comma 3, come modificato dal Decreto Legge n. 151 del 2003, articolo 4, comma 1 octies, conv. in L. n. 214 del 2003, che consentiva al prefetto, legittimato passivo nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione per violazioni al codice della strada, di poter delegare la tutela giudiziaria all’amministrazione cui apparteneva l’organo accertatore, laddove questa fosse stata anche destinataria dei proventi.
Si aggiunge che e’ pur vero che la L. n. 69 del 2009, all’articolo 54, aveva conferito delega al Governo per la riduzione e semplificazione dei riti civili, ma la L. n. 120 del 2010, articolo 39, comma 2, aveva soppresso la detta facolta’ di delega, che quindi non poteva essere autonomamente reintrodotta dal Governo nel Decreto Legislativo n. 150 del 2011, emesso in attuazione della delega di cui alla L. n. 69/20069.
Il secondo motivo denuncia quindi la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, commi 9 ed 11, in quanto, richiamandosi l’excursus normativo di cui al primo motivo, il giudice di merito non poteva tenere conto dei documenti irritualmente prodotti dal Comune di Collegno, in quanto privo della legittimazione a costituirsi in giudizio.
Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 87 del 1953, articolo 23, comma 2, e articolo 24, in quanto, sempre in relazione alla questione concernente la delegabilita’ della difesa in giudizio del Prefetto al Comune, il ricorrente aveva sollecitato la verifica della legittimita’ costituzionale della norma applicata, verifica pero’ di cui non vi e’ traccia in sentenza.
I tre motivi possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione; sono pero’ infondati.
Gli stessi, infatti, presuppongono evidentemente l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, comma 9, che prevede che nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione di cui al Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 205, il prefetto possa farsi rappresentare in giudizio dall’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, la quale vi provvede a mezzo di propri funzionari appositamente delegati, laddove sia anche destinataria dei proventi della sanzione, ai sensi dell’articolo 208, del medesimo decreto.
Osserva il Collegio che, quanto alla censura sollevata anche in appello circa la impossibilita’ di poter ritenere validamente costituito il Prefetto, tramite l’ente comunale delegato, va esclusa la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 112 c.p.c., avendo il giudice di appello disatteso la medesima, sul presupposto della applicabilita’ alla fattispecie della menzionata previsione di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011.
Risulta quindi evidente che l’intera ricostruzione del ricorrente presupponga a monte che sia ravvisata la contrarieta’ della norma de qua alla previsione di cui all’articolo 76 Cost., in quanto frutto di un intervento del legislatore delegato in violazione dei principi e dei criteri direttivi di cui alla legge delega.
Le doglianze non possono pero’ trovare accoglimento, essendo esclusa altresi’ la fondatezza dei dubbi di legittimita’ costituzionale palesati dal (OMISSIS).
In primo luogo la censura mossa, per la sua formulazione ed in relazione al pregiudizio che specificamente sarebbe derivato alla parte dalla dedotta illegittimita’ costituzionale dell’articolo 6, comma 9 citato, pecca evidentemente di carenza di specificita’, in quanto si sostiene che, non essendo possibile per il Comune costituirsi tramite l’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, non si sarebbe potuto tenere conto, ai fini della decisione della presente controversia, di tutti i documenti versati in atti da parte del Comune.
Tuttavia, il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, comma 8, dispone che “Con il decreto di cui all’articolo 415, secondo comma, del codice di procedura civile il giudice ordina all’autorita’ che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonche’ alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente e all’autorita’ che ha emesso l’ordinanza”.
Questa Corte ha di recente statuito che nei procedimenti di opposizione a sanzioni amministrative disciplinati dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, il termine per il deposito dei documenti diversi dalla copia del rapporto, con gli atti relativi all’accertamento, alla contestazione o alla notificazione della violazione, e’ perentorio, essendo applicabile l’articolo 416 c.p.c. (cosi’ Cass. n. 9545/2018), cosi’ che la possibilita’ di ritenere subordinata l’utilizzabilita’ dei documenti alla rituale costituzione della parte opposta varrebbe solo per quelli diversi dalla copia del rapporto e degli altri atti di cui all’articolo 6, comma 8, ben potendosi reputare che, anche laddove si opinasse nel senso della illegittimita’ costituzionale della norma denunciata, la produzione di tali atti da parte del Comune sarebbe comunque consentita avuto riguardo alla possibilita’ che la stessa possa avvenire anche ad opera di un mero delegato al compimento di un’attivita’ materiale di mera trasmissione.
In tal senso va, infatti, ricordato che (cfr. Cass. n. 17696/2007) nei procedimenti di opposizione di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, articoli 22 e 23, l’eventuale contumacia della p.a. opposta non puo’ ritenersi di ostacolo all’accertamento, da parte del giudice, della fondatezza della pretesa sanzionatoria, sulla scorta di atti e documenti acquisiti e delle prove integrative comunque espletate, anche d’ufficio (cfr. Cass. n. 12821/2003).
Ne deriva che ai fini della rilevanza della questione di legittimita’ costituzionale, la censura andava corredata della specifica indicazione dei documenti, diversi da quelli per i quali e’ invece prevista obbligatoriamente la richiesta di trasmissione, e la cui acquisizione prescinde dalla valida costituzione in giudizio dell’amministrazione opposta, che invece sarebbero stati posti a fondamento della decisione, laddove i motivi di censura si limitano genericamente a lamentare la illegittima utilizzazione di tutti gli atti di accertamento e contestazione, senza permettere di discernere al loro interno quelli che invece esulavano dal novero di cui all’articolo 6, comma 8.
Va in ogni caso affermata la manifesta infondatezza della dedotta questione di legittimita’ costituzionale.
A tal fine si rileva che il Decreto Legge 27 giugno 2003, n. 151, articolo 4, comma 1 octies, convertito, con modificazioni, dalla Legge 1 agosto 2003, n. 214 aveva introdotto l’articolo 205 C.d.S., comma 3, che prevedeva che “il prefetto, legittimato passivo nel giudizio di opposizione, puo’ delegare la tutela giudiziaria all’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore laddove questa sia anche destinataria dei proventi, secondo quanto stabilito dall’articolo 208”.
Tale comma e’ stato poi abrogato a far data dal 13 ottobre 2010 dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, articolo 39, comma 2, che pero’ ha contestualmente introdotto l’articolo 204 bis C.d.S., comma 4 bis, che prevedeva che “La legittimazione passiva nel giudizio di cui al presente articolo spetta al prefetto, quando le violazioni opposte sono state accertate da funzionari, ufficiali e agenti dello Stato, nonche’ da funzionari e agenti delle Ferrovie dello Stato, delle ferrovie e tranvie in concessione e dell’ANAS; spetta a regioni, province e comuni, quando le violazioni sono state accertate da funzionari, ufficiali e agenti, rispettivamente, delle regioni, delle province e dei comuni o, comunque, quando i relativi proventi sono ad essi devoluti ai sensi dell’articolo 208. Il prefetto puo’ essere rappresentato in giudizio da funzionari della prefettura-ufficio territoriale del Governo”.
Nelle more era pero’ intervenuta la L. n. 69 del 2009, che all’articolo 54, ha delegato il Governo “ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu’ decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale.
Al comma 2, di tale articolo si prevedeva che la riforma dovesse realizzare il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, disponendo poi al comma 4, che “Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) restano fermi i criteri di competenza, nonche’ i criteri di composizione dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente;
b) i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale sono ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile:
1) i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosita’ dell’istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile;
2) i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall’articolo 51 della presente legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilita’ di conversione nel rito ordinario;
3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile;
c) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2) e 3) della lettera b) non comporta l’abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile;
d) restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonche’ quelle contenute nel Regio Decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, nel Regio Decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella L. 20 maggio 1970, n. 300, nel codice della proprieta’ industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206”.
E’ stato poi emanato, in attuazione della delega, il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, che ha sottoposto alle regole del rito del lavoro i procedimenti di opposizione ad ordinanza ingiunzione ed a verbale di accertamento di violazioni del codice della strada (rispettivamente articoli 6 e 7), riformulando conseguentemente anche gli articoli 204 bis e 205 C.d.S..
Atteso il quadro normativo scaturente dall’intervento della L. n. 120 del 2010, deve reputarsi che una partecipazione delle amministrazioni locali nei procedimenti de quibus fosse ancora attuale alla data di adozione del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, essendosi, e’ vero, esclusa la possibilita’ di delega, ma riconosciuta loro una legittimazione autonoma.
La previsione di cui si denuncia l’incostituzionalita’ per eccesso di delega, appare invece rispondere proprio ai principi ed ai criteri di cui alla L. n. 69 del 2009, posto che con la previsione di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, comma 9, nel ripristinare la regola secondo cui la legittimazione passiva compete all’autorita’ emanante il provvedimento opposto (e nel caso di ordinanza – ingiunzione il Prefetto), si e’ assicurato il coordinamento con le disposizioni vigenti, disciplinando, con una norma di carattere evidentemente processuale, l’individuazione del soggetto legittimato, ma al contempo assicurando, e senza che risultino violati i limiti di cui alla legge delega, una possibilita’ di rappresentanza in giudizio da parte degli enti che, in quanto destinatari dei proventi della sanzione, siano nella sostanza titolari di un interesse concreto alla affermazione della legittimita’ del provvedimento opposto.
I motivi devono quindi essere disattesi.
3. Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omessa pronuncia su di una domanda delle parti ex articolo 112 c.p.c., con la conseguente violazione e/o falsa applicazione della L. n. 168 del 2002, articolo 4, e dell’articolo 2 C.d.S., commi 2 e 3, lettera d), della L. n. 2248, articoli 4 e 5, all. E) del 1865.
Assume il ricorrente che il Tribunale aveva reputato infondato il motivo di appello concernente la possibilita’ di rilievo a distanza della velocita’, richiamando quanto affermato dal giudice di pace circa la gestione delle apparecchiature da parte di agenti della Polizia Municipale che rilevavano in centrale i dati fotografici raccolti dalle stesse.
In realta’ l’appellante aveva eccepito sin dal primo grado di giudizio l’illegittima applicazione della L. n. 168 del 2002, articolo 4, assumendo che il rilevamento a distanza era stato operato su di una strada che non rientrava nell’ambito delle categorie per le quali e’ possibile, atteso che la strada, posta all’interno del centro abitato, non era sussumibile nella categoria delle strade urbane di scorrimento.
A tal fine aveva anche articolato mezzi istruttori, volti a dimostrare l’assenza di semafori nelle varie intersezioni a raso, affermazione questa che non era stata nemmeno specificamente contestata.
La risposta dei giudici di merito e’ stata del tutto elusiva, e cio’ anche a fronte di una doglianza ripresa nel terzo motivo di appello, nel quale si era contestata la possibilita’ per il Prefetto di includere indiscriminatamente determinate strade o tratti di esse nell’elenco di cui al menzionato articolo 4.
Il motivo e’ fondato.
Ed, invero, costituisce principio piu’ volte ribadito da questa Corte quello secondo cui (cfr. Cass. n. 7872/2011) il provvedimento prefettizio di individuazione delle strade lungo le quali e’ possibile installare apparecchiature automatiche per il rilevamento della velocita’, senza obbligo di fermo immediato del conducente, previsto dal Decreto Legge 20 giugno 2002, n. 121, articolo 4, puo’ includere soltanto le strade del tipo imposto dalla legge mediante rinvio alla classificazione di cui all’articolo 2 C.d.S., commi 2 e 3, e non altre, con la conseguenza che e’, pertanto, illegittimo e puo’ essere disapplicato nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa il provvedimento prefettizio che abbia autorizzato l’installazione delle suddette apparecchiature in una strada urbana che non abbia le caratteristiche “minime” della “strada urbana di scorrimento”, in base alla definizione recata dal citato articolo 2 C.d.S., comma 2, lettera D), (conf. Cass. n. 5532/2017).
Nella fattispecie, stante il richiamo del Tribunale a quanto argomentato sul punto dal giudice di pace, il quale si era limitato a riferire della circostanza che la strada teatro dei fatti di causa rientrava tra quelle individuate dal Prefetto ai sensi delle norme in esame, la decisione di appello ha omesso di decidere sul motivo di impugnazione che reiterava la richiesta di procedere alla disapplicazione del detto provvedimento.
Il motivo deve essere accolto e la sentenza deve essere quindi cassata nei sensi di cui in motivazione, dovendo il giudice del rinvio riscontrare se effettivamente ricorressero le condizioni per l’adozione del decreto di cui alla L. n. 168 del 2002, articolo 4.
4. Il quinto motivo lamenta la violazione dell’articolo 115 c.p.c., o l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, in quanto la sentenza gravata ha affermato che l’apparecchiatura che verifica la velocita’ e’ gestita dal Comune che rileva in loco i dati fotografici che sono poi visionati da agenti della polizia municipale presso la centrale operativa, contrastando in tal modo quanto affermato dal ricorrente e cioe’ che i dati de quibus fossero in prima battuta gestiti da personale della societa’ proprietaria dell’apparecchiatura e del server al quale affluivano le immagini digitalizzate delle infrazioni.
Tale circostanza avrebbe comprovato che in realta’ l’apparecchiatura non era oggetto di gestione diretta, dovendosi quindi reputare illegittima la mancata assunzione delle prove articolate sul punto.
Rileva la Corte che per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115, e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
Nel caso di specie i giudici sia in primo grado che in appello hanno ritenuto che vi fosse la prova che i fotogrammi scattati dalle apparecchiature di rilevazione della velocita’ fossero gestiti direttamente dal personale della Polizia Municipale, e che quindi, con un evidente accertamento in fatto, fosse esclusa la partecipazione all’attivita’ di rilievo delle infrazioni di personale della ditta privata proprietaria delle apparecchiature. Va altresi’ ricordato che, come di recente ribadito da questa Corte, la mancata ammissione di prove puo’ essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, se la prova non ammessa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cosi’ da ultimo Cass. n. 9985/2018).
Tuttavia, nel caso in esame, trattandosi di impugnazione di una sentenza emessa all’esito di un giudizio di appello introdotto in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, attesa l’adesione del giudice di appello alle ragioni che sostengono la decisione di prime cure, trova applicazione la previsione di cui all’ultimo comma dell’articolo 348 ter c.p.c., che preclude la deducibilita’ in sede di legittimita’ del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendosi pertanto pervenire alla declaratoria di inammissibilita’ del motivo in esame.
5. Il sesto motivo denuncia la violazione dell’articolo 115 c.p.c., ovvero l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio, con la conseguente violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 167 del 2000, articoli 112 e 133, e del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articoli 11, 18 e 19.
Rileva il ricorrente che il giudice di appello a fronte del motivo di appello con il quale si contestava la violazione della legge sulla privacy stante l’affidamento della potesta’ pubblica di certificazione e di notificazione dell’atto impugnato ad una societa’ privata e che costituiva un’evidente violazione del divieto di affidamento a terzi privati di pubbliche funzioni, con conseguente illegittimo trattamento dei dati personali, la sentenza d’appello ha rilevato che l’utilizzo di procedure esternalizzate risponde a criteri di efficienza amministrativa, non potendosi invocare la tutela della privacy in quanto le attivita’ affidate alla societa’ privata intervenivano quando la procedura informatica contenente l’atto da notificare si e’ gia’ compiuta, ed il completamento nella fase attuativa non implica l’esercizio di poteri pubblicistici.
Le considerazioni sviluppate in occasione della disamina del motivo che precede, appaiono suscettibili di richiamo anche per quanto attiene alla censura in esame, atteso che anche in tal caso il rigetto del motivo di opposizione, fondato sulla pretesa violazione della legge sulla privacy, si fonda su quello che e’ un vero e proprio accertamento in fatto operato dai giudici di merito, e peraltro in maniera conforme nei due gradi di giudizio, operando quindi la preclusione di cui all’articolo 348 ter c.p.c., menzionato u.c..
Va pero’ evidenziato che questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che (cfr. Cass. n. 8415/2016) la disciplina sul trattamento dei dati personali e quella sulla circolazione dei veicoli operano su piani differenti, di talche’ la violazione degli obblighi di informativa rileva in base allo specifico apparato sanzionatorio a tutela dei dati personali, non puo’ impattare sulla regolarita’ e contestabilita’ dei verbali di infrazione elevati ai sensi del Codice della strada.
La violazione delle prescrizioni di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, e’ prevista da un sistema di tutela approntato per la tutela dei dati personali, il cui rispetto e’ presidiato da un autonomo apparato sanzionatorio, che non puo’ interferire sul diverso piano delle sanzioni per le violazioni al codice della strada, soprattutto laddove, come nel caso in esame, la pretesa violazione non investa direttamente l’attivita’ di accertamento, ma, a detta di quanto dedotto dal ricorrente, la sola successiva fase di compilazione del verbale e di inoltro al contravventore.
Inoltre, e proprio con specifico riferimento ad una analoga vicenda, valga richiamare quanto affermato da Cass. n. 5532/2017, gia’ sopra citata, la quale nell’esaminare la doglianza della parte privata concernente la violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali effettuato dai dipendenti della ditta privata, a suo dire sostituitisi agli agenti della polizia municipale nella creazione e nella notificazione del documento adoperato per la contestazione dell’illecito, ha rilevato l’inammissibilita’ della censura, in quanto, come nel caso di specie, oltre a non indicare, l’autore della violazione, non illustrava come tale asserita violazione potesse incidere sulla legittimita’ dell’ordinanza ingiunzione.
6. Il settimo motivo, infine, lamenta la violazione e/o falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, in quanto a fronte di un valore dichiarato della controversia di Euro 546,60 sono stati liquidati Euro 2800,00 di spese legali nonostante l’attivita’ difensiva della controparte si fosse limitata alla sola fase di studio ed a quella introduttiva del giudizio.
La liquidazione risulterebbe evidentemente esorbitante rispetto alle somme che a tale titolo possono essere mediamente riconosciute.
Il motivo, stante la cassazione della sentenza per effetto dell’accoglimento del quarto motivo, e’ assorbito, dovendo il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese delle precedenti fasi.
7. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione al motivo accolto, ed il giudice del rinvio che si designa nel Tribunale di Torino in composizione monocratica ed in persona di diverso magistrato, provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo nei limiti di cui in motivazione, rigetta i restanti motivi ed assorbito il settimo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Torino, in composizione monocratica ed in persona di diverso magistrato che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

Avv. Renato D’Isa

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