Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 aprile 2023| n. 9281.
Quando le clausole contrattuali sono da ritenersi di stile
In tema di clausole contrattuali, sono da ritenersi di stile quelle che sono articolate in maniera generica e finalizzate ad un mero completamento formale dell’atto negoziale. Mentre nel caso in cui una clausola sia passibile di plurime interpretazioni, la parte no può dolersi dell’interpretazione che il Giudice di merito ha ritenuto più collimante con la volontà delle parti.
Ordinanza|4 aprile 2023| n. 9281. Quando le clausole contrattuali sono da ritenersi di stile
Data udienza 24 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Separazione e divorzio – Ex moglie – Impresa di famiglia – Diritto di credito – Esclusione – Clausola negoziale omologata con definizione dei rapporti patrimoniali in sede di separazione – Differenza tra clausole di stile e di chiusura
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. NAZZICONA Loredana – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 6613-2021 r.g. proposto da:
(OMISSIS) (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio e’ elettivamente domiciliata in (OMISSIS), (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio e’ elettivamente domiciliato in (OMISSIS).
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona, depositata in data 28.7.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/2/2023 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
Quando le clausole contrattuali sono da ritenersi di stile
RILEVATO CHE
1.Il Tribunale di Ascoli Piceno rigetto’, con sentenza n. 532-2016 datata 29 aprile 2016, le domande formulate da (OMISSIS) nei confronti dell’ex coniuge, (OMISSIS), avente ad oggetto l’accertamento e la dichiarazione, ai sensi degli articoli 177, lettera c, e 178 c.c., del proprio diritto di credito derivante dalla comunione de residuo relativa all’azienda commerciale esercente attivita’ di farmacia, corrente in (OMISSIS) ((OMISSIS)), ivi comprese attrezzature, merci e immobili adibiti al suo esercizio, nonche’ dagli incrementi e utili da essa prodotti a far data dal 9 febbraio 1998 fino al 18 maggio 2006, con conseguente richiesta di condanna del convenuto al pagamento della somma pari ad Euro 566.250 ovvero di quella diversa ritenuta di giustizia; respinse, altresi’, la richiesta di condanna ex articolo 96 c.p.c. avanzata dal convenuto, ritenendo non sufficientemente dimostrata la malafede ovvero la colpa grave dell’attrice nell’agire in giudizio.
2. Proposto gravame avverso la predetta sentenza emessa dal Tribunale di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), la Corte di appello di Ancona con la sentenza qui impugnata con ricorso per cassazione ha rigettato l’appello, confermando pertanto integralmente la sentenza di primo grado.
La corte del merito ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che, decidendo la causa in applicazione del principio processuale della “ragione piu’ liquida”, occorreva valutare, in primo luogo, la natura degli accordi raggiunti tra le parti in sede di separazione coniugale consensuale, come tali omologati dal Tribunale in data 19.1. 2007 – siccome richiamati anche nel successivo procedimento per cessazione degli effetti civili del matrimonio, conclusosi con sentenza n. 347/2013 del Tribunale di Ascoli Piceno -, e piu’ in particolare il contenuto e il significato della clausola negoziale contenuta nell’articolo 12 delle predette condizioni, la cui interpretazione da parte del giudice di primo grado era stata quella di ritenere intervenuta da parte dell’appellante una espressa rinuncia ad ogni futura pretesa, anche patrimoniale, nei confronti dell’ex coniuge; ha dunque osservato che, come anche correttamente motivato nella sentenza appellata, l’accordo di separazione personale consensuale costituisce un atto essenzialmente negoziale e, come tale, espressione della capacita’ dei coniugi di autodeterminare i propri interessi; ha dunque evidenziato che l’accordo tra i coniugi – oltre ad un contenuto essenziale (che non puo’ mai derogare i diritti e doveri insorti per effetto del matrimonio e che deve essere pertanto conforme alle previsioni di cui all’articolo 160 c.c.), rappresentato dal consenso reciproco a vivere separati e dalla disciplina sia dell’affidamento, sia del mantenimento della prole, nonche’, ove ne ricorrano i presupposti, del coniuge economicamente piu’ debole – puo’ anche averne un altro eventuale, riguardante pattuizioni di natura economica e patrimoniale, le quali, differentemente dalle prime (assolutamente indispensabili, affinche’ l’atto che le riporta superi il vaglio della relativa omologa da parte del tribunale), trovano nella separazione non gia’ la rispettiva causa, bensi’ l’occasione per essere regolamentate; ha dunque ricordato che, conformemente agli insegnamenti della giurisprudenza di legittimita’, i coniugi, all’atto della separazione, sono liberi di regolare anche tutti i pregressi rapporti, diversi da quelli strettamente personali conseguenti al matrimonio, tramite accordi aventi effetto conciliativo, transattivo e financo dismissivo di diritti, purche’ disponibili, tra i quali, senza dubbio, sono da ricomprendere i diritti di credito, come quello vantato in causa dalla (OMISSIS), che correttamente, nella gravata sentenza, era stato ritenuto oggetto di espressa rinuncia, stante l’esplicita elocuzione letterale della clausola di cui all’articolo 12 della pattuizione di separazione personale consensuale, ovvero la dichiarazione di avere, essi coniugi, risolto e definito ogni loro rapporto e di non avere nulla a pretendere l’uno dall’altro, in quanto il giudice di prima istanza – le cui condivisibili determinazioni si rivelavano in linea con quelli che sono i principi da adottare nell’interpretazione della volonta’ negoziale delle parti – ne aveva debitamente e criticamente apprezzato il contenuto, in rapporto al complesso degli accordi omologati, secondo quanto previsto dagli articoli 1362 e 1363 c.c., quale patto abdicativo, legittimamente posto in relazione occasionale con il regime di separazione personale e, come tale, ricondotto nel novero delle intese rientranti nell’ampio potere, riconosciuto ai coniugi, di regolamentare i propri diritti disponibili; ha inoltre evidenziato che il giudice di merito, allorquando le espressioni usate dalle parti negoziali facciano emergere, in modo immediato, la comune volonta’ delle stesse, e’ tenuto ad arrestarsi al significato letterale delle parole, non potendo fare ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici, se non fuori dall’ipotesi di ambiguita’ della clausola, previa rigorosa dimostrazione, del mero dato letterale, a evidenziare in modo soddisfacente l’intento contrattuale, che andra’ verificato anche alla luce del contesto complessivo, ovvero considerando le clausole in correlazione tra loro, come correttamente avvenuto nel caso esaminato dal Tribunale, laddove il carattere prioritario dell’elemento letterale, espresso nella clausola di cui all’articolo 12 delle condizioni di separazione personale, risultava essere stato posto in relazione con il criterio logico-sistematico, nel rispetto del quale la comune intenzione dei coniugi era stata desunta dalla valutazione complessiva delle diverse clausole aventi attinenza con l’oggetto trattato nell’atto in cui le stesse sono state inserite; ha, dunque, concluso nel senso che la predetta clausola negoziale, lungi dal poter essere considerata “di mero stile”, siccome sostenuto da parte appellante, costituiva invece una clausola di chiusura, con la quale gli ex coniugi, in ragione della separazione coniugale, avevano inteso definire anche gli aspetti patrimoniali derivanti dal rapporto matrimoniale, tanto piu’ laddove si considerava ulteriormente che, essendo, gia’ da tempo, intervenuta l’omologa della separazione coniugale, il Tribunale non avrebbe potuto, ne’ dovuto procedere alla rivalutazione nel merito degli accordi raggiunti dai coniugi su questioni strettamente correlate ai diritti e ai doveri nascenti dal matrimonio.
2. La sentenza, pubblicata il 28 luglio 2020, e’ stata impugnata da (OMISSIS) con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di ricorso, cui (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Quando le clausole contrattuali sono da ritenersi di stile
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo ed unico motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., sul rilievo che la Corte di appello – nell’analizzare la natura degli accordi conclusi in sede di separazione coniugale consensuale, con riferimento al significato ed agli effetti della clausola contenuta dell’articolo 12 delle condizioni dell’atto di separazione – avrebbe violato ovvero falsamente applicato il disposto normativo di cui all’articolo 1362 (intenzione dei contraenti) e quello di cui all’articolo 1363 (interpretazione complessiva delle clausole), motivando inadeguatamente sul punto e giungendo ad un erroneo risultato interpretativo per effetto della predetta violazione.
1.1 Le censure proposte dalla ricorrente non sono condivisibili.
1.1.1 Osserva la ricorrente che non si sarebbe mai potuto ritenere che la clausola di cui al punto 12 della separazione consensuale, omologata dal Tribunale il 9 gennaio 2007, potesse integrare una specifica rinuncia da parte sua alla pretesa creditoria azionata nell’odierno giudizio civile, il tutto senza giungere, come conseguenza e diversamente ragionando, ad una inadeguata motivazione nonche’ ad un erroneo risultato interpretativo, in violazione delle disposizioni, che regolano l’interpretazione del contratto, e, piu’ in particolare, del disposto normativo di cui agli articoli 1362 e 1363 del codice civile. Erroneamente, dunque, – precisa la ricorrente – il Tribunale, prima, e la Corte dorica, poi, avevano ritenuto che il senso letterale dell’accordo portava a ritenere, senza ombra di dubbio, che ella ricorrente avesse rinunciato a qualsiasi diritto, compresi quelli natura patrimoniale. Diversamente – aggiunge la ricorrente – l’accordo in parola sarebbe stato invece, in modo chiaro e letterale, circostanziato al solo aspetto prettamente “familiare” della cessazione dell’affectio coniugalis. Si evidenzia sempre da parte della ricorrente che i coniugi avevano avuto premura di definire, nell’immediato, le condizioni che riguardavano i figli minori e che pertanto la volonta’ manifestata da ella ricorrente, in sede di separazione consensuale, era tutta rivolta in un’unica direzione, e cioe’ alla risoluzione delle questioni attinenti ai figli. Ne conseguiva che la sopra ricordata postilla contenuta nell’articolo 12 (e secondo la quale espressamente si legge “i coniugi si danno reciprocamente atto di aver risolto e definito tutti i loro rapporti e di non aver null’altro a pretendere l’un dall’altro, fermo restando i patti sopra stabiliti”) non poteva integrare in alcun modo una palese rinuncia a qualsiasi diritto patrimoniale, avendo sempre riguardo all’intenzione dei contraenti e alla complessiva interpretazione delle altre clausole.
Quando le clausole contrattuali sono da ritenersi di stile
1.1.2 La ricorrente pretende, in realta’, una interpretazione diversa (ed alternativa a quella accolta dai giudici del merito) della predetta clausola negoziale (articolo 12 dell’accordo di separazione consensuale), interrogando, dunque, questa Corte di legittimita’ sulla esegesi di una clausola contrattuale che richiederebbe, in realta’, una rivalutazione della questio facti, invece inibita, come noto, alla Corte di cassazione.
1.1.3 Sul punto giova ricordare, in termini generali e ricostruttivi, che secondo i consolidati principi affermati da questa Corte di legittimita’, la separazione consensuale e’ un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16909 del 19/08/2015). Ne consegue che risulta affermazione ormai condivisa quella secondo cui l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale (v. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24621 del 03/12/2015).
1.1.4 Cio’ posto e chiarito, occorre ulteriormente ricordare che, sempre secondo la consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimita’ non puo’ investire il risultato interpretativo in se’, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicita’ della motivazione addotta, con conseguente inammissibilita’ di ogni critica alla ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (sez. 3, sentenza n. 2465 del 10/02/2015; n. 2074 del 2002; vedi: n. 4178 del 2007, n. 22801 del 2009, n. 25866 del 2010). A cio’ va aggiunto che – ai fini della censura di violazione dei predetti canoni ermeneutici – non e’ peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma e’ necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne e’ discostato, nonche’, in ossequio al principio di specificita’ ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorche’ la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora cio’ non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016). In ogni caso, quando di una clausola siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 2007).
1.1.5 Ebbene, la ricorrente – lungi dallo specificare in quale modo la interpretazione fornita dai giudici del merito (peraltro con motivazione adeguata e scevra da criticita’ argomentative) si sia discostata dalla corretta applicazione dei canoni ermeneutici invocati (articoli 1362 e 1363) e senza, inoltre, riportare per esteso il complessivo articolato negoziale in cui si era svolto l’intero accordo consensuale di separazione (per il quale si invocava, del pari, genericamente la non corretta interpretazione sistematica delle diverse clausole) – si e’ invece limitata a fornire, con il motivo di ricorso qui in esame, solo una lettura esegetica diversa ed alternativa della clausola di cui al predetto articolo 12, affermandone la natura di clausola di stile di chiusura (senza, cioe’, un effettivo contenuto volitivo delle parti) e contestandone, dunque, la natura di atto abdicativo di rinuncia agli ulteriori diritti patrimoniali, anche discendenti dallo scioglimento della comunione e, dunque, ai diritti creditori invocati sulla cd. comunione de residuo, ai sensi dei richiamati articoli 177, lettera c, e 178, c.c..
1.1.6 Ancora una volta deve ribadirsi che in tal caso le censure proposte non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione della ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiche’ quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicche’, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr. Sez. 3-, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).
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1.1.6 Del resto, l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale e dai giudici di primo grado e’ anche conforme agli insegnamenti espressi da questa Corte di legittimita’ (v. Sez. 3, Sentenza n. 19876 del 29/09/2011), secondo cui, in tema di interpretazione dell’accordo negoziale, le clausole di stile sono costituite soltanto da quelle espressioni generiche, frequentemente contenute nei contratti o negli atti notarili, che per la loro eccessiva ampiezza e indeterminatezza rivelano la funzione di semplice completamento formale, mentre non puo’ considerarsi tale la clausola che abbia un concreto contenuto volitivo ben determinato, riferibile al negozio posto in essere dalle parti (nella specie, questa Corte ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, aveva ritenuto che non potesse integrare una clausola di stile la rinuncia, circostanziata e determinata, del locatore di non aver nulla a pretendere dai conduttori a qualunque titolo spesa passati e futuri relativamente al rapporto di locazione, rispetto al quale era intervenuta una transazione tra le stesse parti) (v. anche: Cass. n. 5203-1983; cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7713 del 16/04/2015).
Ne consegue il complessivo rigetto dell’unico motivo di ricorso proposto dalla ricorrente.
La peculiarita’ della vicenda processuale consiglia la compensazione delle spese di lite tra le parti.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita’ tra le parti.
Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52, sia le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla l. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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