Quando la servitù volontariamente costituita può essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 novembre 2022| n. 33043.

Quando la servitù volontariamente costituita può essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente

La servitù volontariamente costituita, per essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente, dev’essere stata trascritta (o, quanto meno, menzionata espressamente nell’atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo e dallo stesso anche implicitamente accettata), rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti originariamente contraenti, e, in quest’ultimo caso, valendo la relativa scrittura quale atto costitutivo di un mero rapporto obbligatorio tra le stesse, il conseguente debito grava solo sull’erede del contraente che si è obbligato, vincolato dal contratto, anche se non trascritto, concluso dal de cuius e dalle obbligazioni dallo stesso nascenti, non anche sull’avente causa a titolo particolare (mortis causa o per atto fra vivi), che è terzo e, come tale, non è tenuto, senza il suo consenso, a subire il debito assunto dal suo dante causa.

Ordinanza|9 novembre 2022| n. 33043. Quando la servitù volontariamente costituita può essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente

Data udienza 13 ottobre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Proprietà – Condominio – Apertura luci su ballatoio – Alterazione prospetto palazzo – Violazione privacy – Risarcimento danni – Scrittura privata – Inadempimento – Inopponibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 27610/2018 proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), dall’Avvocato (OMISSIS), per procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avvocato (OMISSIS), per procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la SENTENZA n. 575/2018 della CORTE DI APPELLO DI MESSINA, depositata il 15/6/2018;
udita la relazione della causa, svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO, nell’adunanza in Camera di consiglio del 13/10/2022.

Quando la servitù volontariamente costituita può essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente

FATTI DI CAUSA

1.1. (OMISSIS) e (OMISSIS), quali proprietari di un’unita’ immobiliare facente parte del condominio (OMISSIS), hanno convenuto in giudizio, innanzi il tribunale di Messina, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari dell’appartamento antistante.
1.2. Gli attori, in particolare, hanno dedotto che, nell’anno 2004, i convenuti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano arbitrariamente creato delle aperture nel ballatoio prospiciente il loro immobile, alterando il prospetto del palazzo e violando la loro privacy, nonostante che l’originario proprietario e loro dante causa, (OMISSIS), si fosse impegnato, con scrittura privata del 24/2/1958, a non “aprire tali luci”, ed hanno, pertanto, chiesto la condanna dei convenuti al ripristino dello status quo ante ed al risarcimento dei danni.
1.3. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), costituitisi in giudizio, hanno contestato la fondatezza delle domande chiedendone il rigetto.
1.4. I convenuti, in particolare, hanno dedotto l’irrilevanza sostanziale e probatoria della scrittura invocata dagli attori.
2.1 Il tribunale, dopo aver espletato una consulenza tecnica d’ufficio, ha, con sentenza del 27/10/2016, accolto la domanda proposta dagli attori ed ha, quindi, dichiarato l’illegittimita’ dell’apertura, condannando i convenuti al ripristino dei luoghi con la chiusura della finestrella realizzata nel ballatoio di loro proprieta’.
2.2 (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto appello avverso tale sentenza deducendo, tra l’altro, l’inopponibilita’ agli stessi della scrittura privata sottoscritta da (OMISSIS).
3.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di ripristino proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS).
3.2. La corte, in particolare, dopo aver premesso che gli attori avevano fondato la loro domanda sull’apertura delle luci da parte dei convenuti e sul conseguente inadempimento da parte degli stessi dell’obbligazione a suo tempo assunta dal loro dante causa (OMISSIS), e che il tribunale aveva condannato i convenuti al ripristino sull’implicito presupposto che l’obbligazione di non Tacere fosse agli stessi opponibile, ha, in contrario, rilevato che la scrittura sulla quale gli attori hanno fondato la propria pretesa non e’ stata trascritta e che solo l’erede e’ vincolato dal contratto concluso dal de cuius e dalle obbligazioni da esso nascenti, anche se il titolo non risulti trascritto, laddove l’avente causa a titolo particolare mortis causa o per atto tra vivi e’ terzo e, come tale, non e’ tenuto a subire il debito del suo autore senza il proprio consenso, ed ha, quindi, ritenuto, quanto al caso in esame, che “non solo i convenuti, nel contestare l’opponibilita’ dell’atto poiche’ non trascritto hanno contestato la qualita’ di eredi, ma gli attori, sui quali gravava il relativo onere, non hanno fornito alcuna prova di tale qualita’”, e che, pertanto, essendo la scrittura privata in questione inopponibile ai convenuti, la pretesa azionata nei loro confronti dagli attori era, di conseguenza, infondata.
4.1. (OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso notificato il 19/9/2018, illustrato da memoria, hanno chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata il 20/6/2018.
4.2. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso nel quale hanno, tra l’altro, eccepito la tardivita’ del ricorso in quanto notificato a mezzo pec il 19/9/2018 alle ore 21.12, laddove, a fronte della notifica della sentenza impugnata in data 20/6/2018, il ricorso, in virtu’ del combinato disposto dell’articolo 147 c.p.c., e del Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16 septies, convertito in L. n. 221 del 2012, doveva essere proposto, nel termine breve di sessanta giorni, entro le ore 21.00 del 19/9/2018.

Quando la servitù volontariamente costituita può essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.1. La Corte prende atto che la sentenza impugnata, come risulta dalla relazione di notificazione che i ricorrenti hanno ritualmente depositato a norma dell’articolo 369 c.p.c., n. 2, e’ stata effettivamente notificata agli stessi il 20/6/2018.
5.2. Il ricorso per cassazione, notificato in data 19/9/2019, e’, peraltro, tempestivo. La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 75/2019, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16 septies, convertito, con modificazioni, nella L. n. 221 del 2012, inserito dal Decreto Legge n. 90 del 2014, articolo 45 bis, comma 2, lettera b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 114 del 2014, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalita’ telematiche la cui ricevuta di accettazione e’ generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziche’ al momento di generazione della predetta ricevuta.
6.1. Con l’unico motivo che hanno articolato, i ricorrenti, lamentando il vizio di motivazione e l’illogicita’ della sentenza nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha dichiarato che gli attori di primo grado hanno fondato la propria domanda sull’inadempimento commesso dai convenuti dell’obbligazione assunta dal loro dante causa senza, tuttavia, considerare che, al contrario, gli attori avevano fatto riferimento a tale scrittura solo come un elemento di prova idoneo a dimostrare l’assenza di titolo nell’apertura della finestra.
6.2. La domanda, infatti, hanno osservato i ricorrenti, era finalizzata non ad accertare l’inadempimento dei convenuti agli obblighi assunti da (OMISSIS) ma l’abusivo ripristino/apertura della finestrella.
6.3. La corte d’appello, in effetti, hanno aggiunto i ricorrenti, non ha fornito alcuna motivazione in ordine alle circostanze di fatto e di diritto che l’hanno condotta a qualificare la domanda quale accertamento di inadempimento, laddove, al contrario, avrebbe dovuto limitarsi ad accertare, come aveva fatto il tribunale, l’inesistenza di un titolo che legittimasse i convenuti a mantenere in essere l’apertura ed a stabilire, quindi, che la finestrella era stata parte abusivamente dagli stessi.
6.4. D’altra parte, hanno proseguito i ricorrenti, e’ del tutto illogica la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha affermato che “i convenuti nel contestare l’opponibilita’ dell’atto poiche’ non trascritto, hanno contestato la qualita’ di eredi”, laddove, al contrario, la contestazione della qualita’ di eredi non risulta essere stata formulata da alcuno e non puo’ ritenersi implicitamente connessa alla contestazione dell’opponibilita’ della scrittura.
6.5. La corte d’appello, pertanto, hanno concluso i ricorrenti, sull’erroneo presupposto che la questione sull’opponibilita’ degli obblighi nascenti dalla scrittura privata di (OMISSIS) fosse di per se’ sufficiente a risolvere la controversia, ha del tutto omesso di pronunciarsi sulle questioni, tutte decisive ai fini della risoluzione della controversia, relative a: – le circostanze di fatto controverse (chi ha aperto la finestrella); – l’originaria legittimita’ dell’apertura e sulla legittimita’ del suo mantenimento; – la portata della servitu’ di apertura invocata dai resistenti.
7.1. Il motivo e’ infondato.
7.2. La corte d’appello, infatti, come visto, dopo aver
premesso che gli attori avevano fondato la loro domanda di condanna dei convenuti al ripristino dello status quo ante sul fatto che gli stessi, con l’apertura delle luci contestate, avevano inadempiuto all’obbligazione a suo tempo assunta, quale loro dante causa, da (OMISSIS), ha ritenuto che la scrittura privata del 24/2/1958 con cui quest’ultimo si era impegnato a non “aprire tali luci”, era ad essi inopponibile sul rilievo che gli stessi “nel contestare l’opponibilita’ dell’atto poiche’ non trascritto hanno contestato la qualita’ di eredi”, senza, peraltro, che gli attori, sui quali gravava il relativo onere, avessero a loro volta fornito la prova di tale qualita’, e che, pertanto, essendo la scrittura privata in questione inopponibile ai convenuti, la pretesa azionata nei loro confronti dagli attori era, di conseguenza, priva di fondamento.
7.3. I ricorrenti, pertanto, li’ dove hanno affermato che gli attori avevano in realta’ agito in giudizio con una domanda volta ad accertare l’inesistenza di un titolo che legittimasse i convenuti a mantenere l’apertura e che la sentenza impugnata, qualificando invece tale azione come una domanda volta a far valere l’inadempimento da parte dei convenuti agli obblighi assunti da (OMISSIS) con l’indicata scrittura, avrebbe, in sostanza, violato l’articolo 112 c.p.c., per aver omesso di pronunciarsi sulla domanda dagli stessi effettivamente proposta, si sono, a ben vedere, doluti dell’interpretazione che la corte d’appello ha dato di tale domanda (o meglio, dell’atto di citazione, che la contiene) e, (solo) per l’effetto, della sua conseguente qualificazione come azione di inadempimento degli obblighi assunti con la scrittura predetta.
7.4. Ora, non v’e’ dubbio che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice di merito, nell’esercizio del potere d’interpretazione e qualificazione della domanda, ha il potere-dovere di accertare e valutare, senza essere condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonche’ dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella esercitata (Cass. n. 13602 del 2019). L’interpretazione del contenuto della domanda costituisce, peraltro, un tipico accertamento in fatto, riservato come tale al giudice di merito e sindacabile in cassazione solo per violazione delle norme che regolano l’ermeneutica contrattuale previsti dagli articoli 1362 c.c. e segg., la cui portata e’ generale, ovvero per vizio di omesso esame di un fatto a tal fine decisivo. Il ricorrente che intenda utilmente censurare in sede di legittimita’ il significato attribuito dal giudice di merito ad un atto processuale, come l’atto di citazione, ha, dunque, l’onere (rimasto, nel caso di specie, inadempiuto) di invocare il vizio consistito o nell’omesso esame di fatti decisivi, indicandone la loro specifica risultanza in giudizio, ovvero nella violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale previsti dagli articoli 1362 c.c. e segg., indicando altresi’, a pena d’inammissibilita’, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici, nonche’, e prima ancora, il testo dell’atto oggetto dell’interpretazione asseritamente erronea (cfr. Cass. n. 16057 del 2016; Cass. n. 6226 del 2014; Cass. n. 11343 del 2003; piu’ di recente, Cass. n. 12574 del 2019).
7.5. Nel caso di specie, come detto, tale onere non e’ stato adempiuto. I ricorrenti, infatti, pur dolendosi dell’interpretazione che la corte d’appello ha fornito dell’atto di citazione, non hanno indicato ne’ quali criteri ermeneutici sarebbero stati violati, nell’espletamento di tale accertamento, dalla corte territoriale e in che modo la stessa se ne sarebbe discostata, ne’ i fatti sul punto decisivi che la stessa avrebbe del tutto omesso di esaminare, ma, prima ancora, non hanno provveduto a riprodurre in ricorso, neppure nei suoi dati essenziali, il testo dell’atto che la corte d’appello avrebbe malamente interpretato.
7.6. Per il resto, una volta che la domanda proposta dagli attori risulta (oramai definitivamente) quella di (mera) azione di inadempimento degli obblighi assunti da (OMISSIS) nell’indicata scrittura, si sottrae, evidentemente, alle censure svolte dai ricorrenti la decisione che la corte d’appello ne ha conseguente tratto in ordine all’inopponibilita’ della scrittura agli aventi causa (a titolo particolare) del sottoscrittore della stessa in difetto, per un verso, di trascrizione del relativo titolo (in ipotesi) costitutivo di un corrispondente diritto di servitu’ (avente ad oggetto, nella forma del “pati” e del “non facere”, l’invocata limitazione a carico della proprieta’ dei convenuti: cfr. Cass. n. 7614 del 1997) in favore degli attori e, per altro verso, di (prova dello) status di eredi del predetto sottoscrittore in capo ai convenuti.
7.7. Questa Corte, in effetti, ha ripetutamente affermato, da un lato, che la servitu’ volontariamente costituita, per essere opponibile all’avente causa dell’originario proprietario del fondo servente, dev’essere stata trascritta (o, quanto meno, menzionata espressamente nell’atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo e dallo stesso anche implicitamente accettata), rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti originariamente contraenti (cfr. Cass. n. 9457 del 2011; conf., Cass. n. 21501 del 2018; Cass. n. 5158 del 2003), e che, in quest’ultimo caso, valendo la relativa scrittura quale atto costitutivo di un mero rapporto obbligatorio tra le stesse, il conseguente debito grava solo sull’erede del contraente che si e’ obbligato, vincolato dal contratto, anche se non trascritto, concluso dal de cuius e dalle obbligazioni dallo stesso nascenti, non anche sull’avente causa a titolo particolare (mortis causa o per atto fra vivi), che e’ terzo e, come tale, non e’ tenuto, senza il suo consenso, a subire il debito assunto dal suo dante causa (Cass. n. 24133 del 2009; Cass. n. 13968 del 2009; Cass. n. 1920 del 2001).
8. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
10. La Corte da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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