Quando è impossibile stabilire il momento di innesco irreversibile del mesotelioma

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 15 aprile 2020, n. 12151

Massima estrapolata:

Quando è impossibile stabilire il momento di innesco irreversibile del mesotelioma – ed essendo irrilevante ogni esposizione successiva all’asbesto – ai fini del riconoscimento della responsabilità dell’imputato è necessaria l’integrale o quasi integrale sovrapposizione temporale tra la durata dell’attività della singola vittima e la durata della posizione di garanzia rivestita dall’imputato nei confronti della stessa.

Sentenza 15 aprile 2020, n. 12151

Data udienza 30 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Mesotelioma – Responsabilità – Sovrapposizione temporale tra la durata dell’attività della singola vittima e la durata della posizione di garanzia rivestita dall’imputato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente

Dott. NARDIN Maura – rel. Consigliere

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere

Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/11/2018 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MAURA NARDIN;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TAMPIERI Luca, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) che deposita i documenti originali di revoca della costituzione delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) gia’ depositati in atti.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 8 novembre 2018 la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Vercelli con cui (OMISSIS) e (OMISSIS), nella loro qualita’ di legali rappresentanti della (OMISSIS) s.p.a., sono stati riconosciuti colpevoli del reato di cui all’articolo 113 c.p., articolo 589 c.p., comma 2, articoli 3 e 5 c.p. e condannati alla pena ritenuta di giustizia, per avere cagionato, cooperando fra loro, con imprudenza, negligenza ed imperizia e violando le norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro (Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 4, 19 e 21 ed articolo 2087 c.c.), a (OMISSIS), operaia addetta allo smontaggio ed al montaggio di arredi e di veicoli ferroviarii, lesioni personali gravissime, consistite in mesotelioma pleurico maligno epitetoide alla pleura sinistra, cui seguiva la morte. Agli imputati e’ stato addebitato di non avere predisposto, sin dal 1981, data di inizio dell’esposizione della lavoratrice, misure precauzionali atte ad impedire la diffusione ambientale e l’inalazione di fibre di amianto.
2. Avverso la sentenza propongono ricorso gli imputati, a mezzo dei loro difensore, formulando cinque motivi comuni.
3. Con il primo, lamentano la violazione della legge processuale penale in relazione al disposto dell’articolo 512 c.p. e l’inosservanza dell’articolo 111 Cost., commi 4 e 5. Ricordano che all’udienza dibattimentale del 6 novembre 2014, su richiesta del Pubblico Ministero – e con l’opposizione degli avvocati – veniva disposta l’acquisizione del verbale di sommarie informazioni testimoniali, rese da (OMISSIS) il (OMISSIS). Osservano che l’inammissibilita’ dell’acquisizione del verbale di S.I.T. emergeva con chiarezza dallo snodarsi temporale della richiesta e della decisione sull’ammissione e della fissazione dell’udienza per l’incidente probatorio, mai celebratosi per la morte della persona offesa. Invero, la diagnosi di mesotelioma pleurico era stata formulata sin dall'(OMISSIS), momento nel quale si era palesata la prevedibilita’ dell’esito infausto della malattia. Ciononostante, escussa a S.I.T. la persona offesa, il pubblico ministero aveva formulato istanza di ammissione dell’incidente probatorio solo il 31 maggio 2010. Il G.I.P., cui la richiesta perveniva il 3 giugno 2010, provvedeva al suo esame solo il 23 agosto 2010, fissando udienza per lo svolgimento dell’incidente probatorio al 14 ottobre 2010, cioe’ dopo un anno dalla formulazione della diagnosi e della prevedibilita’ della prognosi, senza che l’istante sollecitasse, in alcun modo, una piu’ rapida definizione dell’incombente istruttorio. La previsione dell’evento morte entro un breve lasso temporale imponeva un rapido svolgimento dell’interrogatorio di (OMISSIS), nelle forme di cui all’articolo 392 c.p.p., sicche’ la sua posticipazione, dovuta a noncuranza, non integra quei fatti o quelle circostanze imprevedibili che autorizzano la lettura di atti assunti dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari. Che la certezza di un esito mortale in un periodo limitato fosse prospettabile gia’ nel momento in cui la persona offesa fu sentita a S.I.T. (nel (OMISSIS)) e’ risultato con chiarezza nel corso del giudizio, dall’esame dello stesso consulente tecnico del pubblico ministero, Dott. (OMISSIS), il quale ha spiegato che, pure essendo le condizioni generali della paziente, alla fine del (OMISSIS), buone, con prognosi di sopravvivenza ancora accettabile, nondimeno, nel (OMISSIS) si era presentato un versamento pleurico, segno distintivo di evoluzione della malattia. Opportunamente interrogato sul punto, il consulente ha chiarito che a (OMISSIS) – data dell’escussione a S.I.T. – la prognosi era di qualche mese. Dunque, la fissazione dell’udienza del 14 ottobre 2010, per lo svolgimento dell’incidente probatorio, su una richiesta presentata all’inizio di giugno 2010, si pone come tardiva e non consente di acquisire, tramite lettura, il verbale di S.I.T. del (OMISSIS).
4. Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono del vizio di motivazione in ordine all’affermazione della sussistenza del nesso di causalita’ fra le condotte attribuite a (OMISSIS) e (OMISSIS) e l’evento morte. Assumono che la Corte territoriale dapprima valorizza le dichiarazioni del consulente tecnico e del perito d’ufficio, facenti riferimento alla “modestia dell’esposizione”, per poi, contraddittoriamente, affermare la sussistenza di una “significativa esposizione” della lavoratrice alle fibre di amianto. Su questa base la sentenza introduce un’equazione fra presenza di asbesto nell’ambiente lavorativo ed insorgenza della patologia tumorale, facendo, peraltro, riferimento ad un criterio di causalita’ probabilistica e non di causalita’ individuale, a mezzo di una motivazione apparente, che ignora l’elaborazione della giurisprudenza di legittimita’. Richiamano il percorso attraverso il quale la Suprema Corte, con una serie di pronunce (ricordano la c.d. sentenza Cozzini n. 43786/2010 e la c.d. Montefibre bis n. 12175/2017) e’ giunta ad affermare l’obbligo del giudice di fondare l’accertamento del nesso causale sulla “legge di copertura” riconosciuta maggiormente accreditata dalla comunita’ scientifica in ordine alla cancerogenesi derivata dall’esposizione nociva. Ricordano che la Suprema Corte e’ pervenuta ad escludere la validita’ (riprendono Sez. 4, n. 16715/2018) della c.d. teoria dell’effetto acceleratore, in quanto priva di generalizzata condivisione nella letteratura internazionale. Denunciano il vizio motivazionale in ordine alla certezza della diagnosi di asbestosi polmonare con caratteristiche di intensita’ tale da ricondurne la causa all’esposizione lavorativa. Sottolineano che il consulente del pubblico ministero, Dott.ssa (OMISSIS), medico legale, aveva posto una diagnosi di “asbestosi minima di tipo G1”, compatibile soltanto con patogenesi lavorativa, mentre il consulente di parte, prof. (OMISSIS), aveva escluso che una esposizione professionale potesse dar luogo ad “asbestosi minima”. Rilevano, inoltre, la difformita’ delle descrizioni anatomopatologiche, avendo la consulente del pubblico ministero, Dott.ssa (OMISSIS), rilevato la presenza di placche pleuriche solo nel polmone destro, laddove il Dott. (OMISSIS), anch’egli consulente del pubblico ministero, ne aveva rilevate solo nel polmone sinistro. Affermano che siffatta incertezza – corretta dalla Dott.ssa (OMISSIS) unicamente con relazione integrativa, con la quale indicava la presenza bilaterale di placche – induce dubbi sulla derivazione professionale del tumore. Ancora, osservano l’incompatibilita’ fra la misurazione dei corpuscoli di asbesto effettuata dalla Dott.ssa (OMISSIS), che ha rilevato un valore di poco superiore a 1000/gr. di tessuto polmonare destro, e quella effettuata dal perito, Dott. (OMISSIS), che ne ha rinvenuti ben 26.000, per grammo. Lamentano che, a fronte di una simile disparita’, la Corte territoriale sia ricorsa ad un’argomentazione apparente, al fine di giustificare la disomogeneita’ dei dati, facendo riferimento alla diversa modalita’ utilizzata (microscopia elettronica”, da parte del perito (OMISSIS), ed esame autoptico da parte della consulente (OMISSIS)). Al contrario, la Corte avrebbe dovuto prendere atto dei risultati paradossali cui conducono le conclusioni del perito d’ufficio, il quale riferendo di una clearance polmonare che consente l’eliminazione di una percentuale di fibre di asbesto pari al 6-7% annuo, ha sostenuto che in applicazione della suddetta percentuale si sarebbe protratta sino al 2015, dimenticando che la persona offesa e’ deceduta nel 2010. La motivazione, dunque, si rivela insanabilmente contraddittoria ed illogica e deve condurre all’annullamento della sentenza impugnata.
5. Con il terzo motivo, (OMISSIS) e (OMISSIS) fanno valere la violazione e la falsa applicazione degli articoli 228 e 514 c.p.p., in relazione alla valutazione delle risultanze della perizia del Dott. (OMISSIS). Si dolgono del mancato accoglimento della doglianza, formulata con l’atto di appello, con la quale si contestava la violazione processuale compiuta dal perito, che aveva utilizzato, nell’espletamento della perizia, della documentazione contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, ed in particolare le S.I.T. dei testi di accusa. Denunciano la grave distorsione delle regole processuali operata dalla Corte territoriale, che ha omesso di invalidare la perizia, nonostante fosse stata elaborata in difetto di consensuale acquisizione al fascicolo del dibattimento, degli atti di cui all’articolo 514 c.p.p., utilizzati, in violazione dell’articolo 228 c.p.p.. Contestano la decisione impugnata nella parte in cui esclude la previsione di una sanzione codificata e nella parte in cui pretende di poter scindere, nell’ambito dell’elaborato, le conclusioni e le analisi cui ha fatto ricorso il perito nel percorso valutativo dalle sue componenti essenziali e dal metodo valutativo utilizzato. Affermano che, anche in assenza di sanzione processuale specifica, la violazione dell’articolo 228 c.p.p., non puo’ che riverberarsi sull’affidabilita’ delle considerazioni conclusive del perito, come gia’ sostenuto dalla giurisprudenza di legittimita’ (riprende Sez. 3, n. 11096/2013). Sottolineano che il perito ha frainteso alcuni documenti, dei quali fa cenno nell’elaborato, mai visionati direttamente (ad esempio i docc. 26, 27,28 relativi a produzioni del pubblico ministero in altro procedimento penale, nel quale i germani (OMISSIS) sono stati assolti), e che non ha esaminato i documenti presentati, ne’ tenuto in considerazione i testi della difesa, come da lui stesso ammesso in sede di esame dibattimentale. Considerano complessivamente fallace e priva di qualsiasi valore scientifico e probatorio la perizia del Dott. (OMISSIS), cio’ ricadendo sul suo utilizzo a fini decisori.
6. Con il quarto motivo, lamentano l’inosservanza dell’articolo 2 c.p., avuto riguardo all’erronea individuazione della legge penale applicabile, nonche’ la falsa applicazione degli articoli 69 e 133 c.p.. Rilevano che la Corte territoriale, pur limitando il tempo di esposizione al breve lasso temporale maggio 1981 – giugno 1983, data di approntamento del reparto di coibentazione, ha condannato gli imputati senza tenere in considerazione che la condotta contestata e’ intervenuta sotto la vigenza del precedente testo dell’articolo 589 c.p., comma 2, allorquando la pena prevista per il reato aggravato dalla violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni era da uno a cinque anni, essendo la pena stata elevata ad anni sette di reclusione, nel massimo solo dal Decreto Legge n. 92 del 2008. Avendo, tuttavia, le Sezioni unite (n. 40986/2018) chiarito che, nell’ipotesi in cui la condotta sia stata posta in essere interamente sotto il vigore di una legge penale piu’ favorevole a quella in vigore al momento dell’evento, deve applicarsi la legge vigente al momento della condotta, il giudice di appello avrebbe dovuto tenere in considerazione, nel giudizio di bilanciamento, che l’aggravamento di pena di cui all’articolo 589 c.p., comma 2, era piu’ mite (da uno a cinque anni di reclusione, anziche’ da due a sette anni). Cio’ avrebbe dovuto diversamente orientare la valutazione, anche tenuto conto che le “gravi inadempienze”, che la Corte territoriale pone a fondamento del rigetto della prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante, non sono state accertate da parte degli enti di controllo. E che i precedenti penali richiamati dai giudici – sono relativi a violazioni depenalizzate o a reati per i quali e’ intervenuta riabilitazione, mentre per l’unico reato di lesioni commesso in concorso con (OMISSIS), oggetto di patteggiamento, e’ stata applicata una pena pecuniaria, pari ad Euro 570,00 di multa. La scarsa rilevanza dei precedenti, la non gravita’ della colpa, la giovane eta’ degli imputati all’epoca ed i ruoli di tipo commerciale ed amministrativo dai medesimi ricoperti, avrebbero dovuto favorevolmente incidere sul giudizio ex articolo 69 c.p..
7. Con l’ultimo motivo (OMISSIS) fa valere la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione in ordine al combinato disposto della L. n. 689 del 1981, articolo 53 e dell’articolo 133 c.p., per non avere la Corte territoriale disposto la sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, fondando il diniego sulla gravita’ del fatto, sul grado della colpa e sulla personalita’ dell’imputato. Rileva che la gravita’ del fatto, da intendersi come rilevante esposizione alle polveri di asbesto, e’ esclusa dallo stesso consulente tecnico del Pubblico Ministero, Dott.ssa (OMISSIS), la quale nel proprio elaborato ha ravvisato la presenza di una lieve focale fibrosi sottopleurica, con asbestosi minima, derivante, quindi da una limitata esposizione. Circostanza questa confermata dal perito Dott. (OMISSIS), che utilizzando l’espressione “significativa esposizione” ha inteso sottolinearne l’incidenza sulla genesi della malattia e non certo la dimensione quantitativa (come chiarisce egli stesso nel corso dell’esame). Parimenti non puo’ affermarsi la sussistenza di una colpa connotata da gravita’, laddove si presti attenzione all’evolversi della conoscenza specifica della pericolosita’ delle lavorazioni in capo agli imputati. Solo nel 1983, infatti, e non nel 1979 come ritenuto dalla sentenza, le (OMISSIS) inviano una circolare specifica che interessa direttamente l’impresa (OMISSIS) s.p.a., a seguito della stipulazione del contratto V21, in data 11 luglio 1983, allorquando l’azienda riceve le prime commesse per la decoibentazione di carrozze con amianto. In precedenza, invero, le circolari dell’ente ferroviario erano di contenuto generico, non indirizzate espressamente alla (OMISSIS) s.p.a., che non si occupava di decoibentazione. Prima degli anni ‘80, inoltre, la letteratura riteneva che l’amianto fosse pericoloso solo se le sue polveri fossero state respirate in grandi quantita’. Tanto che il limite di esposizione sino al 1975 era pari a 0,2 fibre per centimetro cubico, ridotto successivamente a 0,1 con il Decreto Legislativo n. 257 del 2006. I limiti legali erano rispettati presso la (OMISSIS) s.p.a., che, come peraltro documentalmente dimostrato in giudizio, dal 9 dicembre 1982 aveva provveduto a fornire ai lavoratori “maschere a doppio filtro”. Assume che la sentenza impugnata, non considerando siffatti dati, afferma che ancora nel 1983, dopo la circolare F.S. del 1 aprile, le mascherine a doppio filtro non fossero utilizzate come quelle “normali”, fossero utilizzate dagli operai a loro discrezione. Ricorda che prima del Decreto Legge n. 277 del 1991, non erano previsti monitoraggi ambientali, e che l’avere monitorato l’aereoaspersione di fibre, in epoca in cui cio’ non era richiesto, appare elemento contrastante con l’affermazione di un alto grado di colpa. Osserva che anche la brevita’ del periodo di esposizione (solo due anni), prima dell’istituzione del reparto di decoibentazione, con l’adozione di tutte le misure di sicurezza possibili, deve essere valutato positivamente ai fini della ponderazione della gravita’ dell’elemento soggettivo. Infine, con riferimento al parametro della “personalita’ dell’imputato” rileva che dei due precedenti per lesioni personali colpose, commessi con violazione della disciplina sulla sicurezza del lavoro, al primo gia’ oggetto di sentenza ex articolo 444 c.p.p., e’ seguita la riabilitazione, mentre il secondo (fatto risalente al 2007) e’ relativo ad infortunio, dovuto alla perdita di equilibrio di un lavoratore impiegato in operazioni di stallaggio. Si tratta, invero, di fatti risalenti nel tempo (rispettivamente 1989 e 2007), di modesta importanza, sanzionati unicamente con la pena pecuniaria, considerati dalla Corte con una valutazione meramente formale, senza approfondire la loro effettiva rilevanza. Dunque, la motivazione della Corte territoriale in relazione alla meritevolezza della conversione della sanzione detentiva in pena pecuniaria, e’ gravemente viziata.

 

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