Il datore di lavoro è responsabile per la caduta dall’alto di una lavoratrice

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 15 aprile 2020, n. 12157

Massima estrapolata:

Il datore di lavoro è responsabile per la caduta dall’alto di una lavoratrice che durante la sua attività di inventario aveva utilizzato una scala a pioli anche se colta da malore, in quanto la sicurezza del dipendente deve comunque essere garantita con l’adozione di idonei strumenti di lavoro.

Sentenza 15 aprile 2020, n. 12157

Data udienza 6 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Sicurezza sul lavoro – Attività di magazzino – Inidoneità della scala a pioli per chi debba stazionare in quota per lavorare – Condanna datori di lavoro – Conferma

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere

Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/03/2019 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. UGO BELLINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PINELLI MARIO MARIA STEFANO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore avv. (OMISSIS) del foro di Roma, giusta delega scritta dell’avv. (OMISSIS) del foro di TORINO, deposita originale dell’atto di revoca di costituzione della parte civile per (OMISSIS) e si allontana dall’aula di udienza.
Sono presenti l’avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS) entrambi del foro di UDINE in difesa di (OMISSIS) che insistono per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Torino con sentenza pronunciata in data 11 Marzo 2019 confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Torino che aveva riconosciuto (OMISSIS), in qualita’ di datore di lavoro, colpevole del reato di lesioni colpose con inosservanza della disciplina sulla prevenzione degli infortuni ai danni della lavoratrice (OMISSIS) la quale, impegnata in attivita’ di inventario della merce posta nel magazzino del punto vendita di Rivoli utilizzando una scala a libro per la visione degli articoli posizionati sugli scaffali, era caduta all’indietro procurandosi la frattura della vertebra D 12, con conseguente periodo di malattia della durata di gg. 184.
Al datore di lavoro era contestata, oltre alla colpa generica, la inosservanza di specifiche disposizioni del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, con particolare riferimento alla messa a disposizione di inadeguato strumento di lavoro, sprovvisto di sistemi di appoggio e di aggancio, in relazione alla mancata previsione del rischio di cadute dall’alto con particolare riferimento all’ambito di lavorazione in cui la lavoratrice era impegnata (inventario della merce) e alla mancata formazione e informazione della dipendente sui rischi connessi alla suddetta lavorazione.
2. Il giudice distrettuale riconosceva la inosservanza delle regole cautelari suddette da parte del datore di lavoro, attenendo le stesse non solo alla fase esecutiva della lavorazione e alla vigilanza della ricorrenza dei presidi antinfortunistici del caso, ma anche alla fase della programmazione della lavorazione e della individuazione dei rischi specifici connessi alla specifica lavorazione che rientravano nell’ambito della sfera di competenze del soggetto investito del piu’ elevato compito di indirizzo e di direzione dell’attivita’ produttiva. Quanto poi alle singole contestazioni, rilevava la insufficienza e la inadeguatezza del presidio fornito alla lavoratrice, chiamata ad operare ad altezze, anche superiori a quelle in cui era stata impegnata nell’occasione dell’infortunio, ove erano riposte e accatastate le merci, in assenza di punti di appoggio o di strumenti di contenimento, pur essendo la lavoratrice tenuta ad eseguire attivita’ di controllo e di annotazione che non le lasciavano libere entrambe le mani, cosi’ da non potere ella reagire in caso di perdita di stabilita’ dello strumento o di una oscillazione, pure indebita, della lavoratrice.
Sotto diverso profilo escludeva che si fosse realizzata una interruzione del rapporto di causalita’ in ragione del malore che pure la lavoratrice aveva dichiarato di esserle occorso laddove, in assenza della dimostrazione di una perdita di conoscenza, l’uso di trabattello o di scala munita di passamani o di piano di appoggio piu’ stabile, sarebbe stato in grado di evitare la caduta all’indietro della lavoratrice e comunque di consentire alla stessa di aggrapparsi ai sistemi di appoggio.
4. Avverso la suddetta pronuncia interponeva ricorso per la cassazione la difesa della (OMISSIS), proponendo un unico motivo di ricorso con il quale si deduce violazione di legge e vizio motivazionale, con specifico riferimento alla ritenuta sussistenza della prova del rapporto di causalita’ tra le omissioni contestate e l’evento lesivo occorso alla lavoratrice.
Assumeva, da un lato, che solo nel corso dell’istruttoria dibattimentale fosse stato introdotto dal testimone, ispettore del lavoro, lo specifico strumento antinfortunistico idoneo a preservare la lavoratrice da cadute dall’alto in relazione alla specifica lavorazione richiesta (trabattello o scala cimiteriale) e, dall’altro che anche un tale strumento, in ipotesi di mancamento dell’operatrice in quota, non sarebbe stato idoneo a preservare la persona offesa dalla caduta e quindi dal trauma che ne era conseguito, in quanto anch’esso era privo di protezione sul lato della schiena.
Alla udienza di discussione veniva acquisita dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile proveniente dalla persona offesa (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente evidenziato, in ossequio a principi ripetutamente affermati da questa Corte, che, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimita’, allo stato della normativa vigente, e’ quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non gia’ quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimita’ e’ tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicita’ giuridica della fattispecie nell’ambito di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento; cio’ in quanto l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e); non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimita’ il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, sez. IV, 2.12.03 Elia n. 4842, Rv. 229369); pertanto non puo’ integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali. E’ stato affermato, in particolare, che la illogicita’ della motivazione, censurabile a norma del citato articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e’ quella evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volonta’ del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU n. 47289/03 Rv. 226074). Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad “altri atti del processo”, ed ha quindi, ampliato il perimetro d’intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto “al testo del provvedimento impugnato”. La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimita’, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica, la coerenza strutturale della decisione. Cosi’ come sembra opportuno precisare che il travisamento, per assumere rilievo nella sede di legittimita’, deve, da un lato, immediatamente emergere dall’obiettivo e semplice esame dell’atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall’altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l’atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui e’ pervenuto il giudice di merito.
2. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dai ricorrenti, atteso che l’articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilita’ della ricorrente, mentre le censure da questa proposte finiscono sostanzialmente per riproporre argomenti gia’ esposti in sede di appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale, ovvero per sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, fondata su una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal modo richiedendo uno scrutinio improponibile in questa sede.
3. In particolare la Corte territoriale ha indicato una serie di elementi a sostegno del proprio convincimento in punto di sussistenza tanto del rapporto di causalita’ omissiva quanto dell’elemento soggettivo del reato, argomenti con i quali la difesa della ricorrente non mostra di confrontarsi, finendo per riproporre il contenuto dei motivi di gravame gia’ articolati dinanzi al giudice di appello.
4. Sotto il profilo soggettivo e’ indubbio che la lavoratrice era intenta a svolgere un’attivita’ di lavoro (in particolare di inventario di merce stipata su scaffali) con mezzo, scala a pioli, del tutto inadeguato in relazione alla specifica lavorazione che le veniva richiesta, con particolare riferimento alla esigenza di operare in sicurezza pur mantenendo impegnate una o entrambe le mani in attivita’ di computo e di inventario, in presenza di strumento di lavoro privo di punti di appoggio, di balaustra o di mancorrenti e in assenza di una specifica previsione di tale lavorazione nel Documento di Valutazione dei Rischi. A tale proposito, se e’ vero che il lavoratore era impegnato a lavorare ad altezza che giustificava l’impiego di scala a pioli, nondimeno dall’esame della sentenza e dei motivi di ricorso si evince che egli si trovava ad operare a quota non minimale, in presenza di scaffali posti anche a m. 2,50 da terra, stipati di numerosissimi articoli da inventariare, con modalita’ operative che giustificavano l’impegno delle mani di chi operava.
4.1 In tale prospettiva non puo’ ritenersi certamente imprevedibile la perdita di equilibrio dell’operatore, dovuta alla oscillazione della scala ovvero al fatto del lavoratore nelle operazioni di inventario; conseguentemente il giudice di appello ha riconosciuto del tutto correttamente la inidoneita’ di una scala a pioli per attivita’ che imponevano al lavoratore di stazionare a lungo in quota per lo svolgimento di operazioni che imponevano l’impiego delle mani, richiedendo l’adozione di strumento di lavoro piu’ consono che gli consentisse di stazionare su una superficie piu’ ampia, ovvero di sorreggersi con punti laterali e frontali e ancora prima la esplicitazione nel DVR di una chiara procedura di lavoro, in presenza di palesi problemi di sicurezza, stabilita’ ed equilibrio del lavoratore impegnato.
5. Quanto al rapporto di causalita’, a fronte di caduta all’indietro, il motivo di ricorso della (OMISSIS) non si confronta con i logici e non contraddittori argomenti indicati dalla Corte distrettuale, la quale ha correttamente rappresentato come, anche in presenza di una perdita di equilibrio determinata da un malessere o da un mancamento non accompagnato da una perdita di conoscenza, non risulterebbe interrotta la serie causale innescata dalla mancata adozione di idoneo strumento di lavoro. Invero qualora fosse stata adottata una procedura di lavoro piu’ accorta (mediante l’impegno di due persone), ovvero in presenza di strumento di lavoro piu’ stabile o sicuro (scala cimiteriale), la caduta sarebbe stata evitata, in quanto la (OMISSIS) avrebbe potuto assicurarsi ai sistemi di appoggio della scala (balaustra, appoggi laterali) anche in ipotesi di improvviso mancamento, ovvero mediante la stabilita’ e la fermezza della scala garantita da altro lavoratore ai piedi di essa.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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