Anche in materia urbanistica la pronuncia assolutoria a norma dell’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. è consentita al giudice

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 28 marzo 2019, n. 13608.

La massima estrapolata:

Anche in materia urbanistica la pronuncia assolutoria a norma dell’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. è consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo assolutamente non contestabile, le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo sia incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento ed appartenga, pertanto, più al concetto di «constatazione», ossia di percezione «ictu oculi», che a quello di «apprezzamento». Inoltre, l’«evidenza» richiesta dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. «presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi così addirittura in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia». Sicché, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva. Nella fattispecie, i reati erano estinti per intervenuto permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del medesimo d.P.R..

Sentenza 28 marzo 2019, n. 13608

Data udienza 8 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/05/2018 della CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. LUCA RAMACCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. MOLINO PIETRO che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore (avv. (OMISSIS));
Il difensore presente chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza del 18 maggio 2018 ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di quella citta’, in data 6 luglio 2016, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine ai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c) e articoli 64, 65, 71, 72, 93 e 95 perche’ estinti per intervenuto permesso di costruire in sanatoria ai sensi del cit. D.P.R., articolo 36, dichiarando altresi’ non doversi procedere per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1, cosi’ qualificata l’originaria imputazione, perche’ estinto per prescrizione.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2. Con il primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge, facendo presente di aver prodotto, nel giudizio di primo grado, una serie di documenti, dettagliatamente indicati, che avrebbero consentito di definire il procedimento penale con formula piu’ favorevole.
Osserva, quanto ai reati urbanistici, che le risultanze della documentazione esibita e le prove testimoniali assunte avrebbero consentito di escludere categoricamente la sua partecipazione ai reati ascrittigli e richiama, a tale proposito, la documentazione menzionata, trascrivendo inoltre le dichiarazioni testimoniali assunte nel corso del giudizio di primo grado.
Deduce, inoltre, la mancanza dell’elemento psicologico del reato edilizio con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 29, comma 2.
3. Con il secondo motivo di ricorso lamenta che la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sugli altri motivi di appello formulati in via subordinata e che avrebbero comunque comportato la assoluzione con la formula piu’ ampia per i reati per i quali e’ stata dichiarata la prescrizione ed evidenzia l’insussistenza del reato paesaggistico, rispetto al quale sarebbe intervenuta sanatoria.
4. Con un terzo motivo di ricorso rileva che la Corte d’Appello avrebbe anche omesso di esaminare le censure concernenti l’errata applicazione della prescrizione per i reati concernenti opere in cemento armato che, nel caso specifico, non sarebbero state mai realizzate, sicche’ avrebbe dovuto essere pronunciata sentenza di assoluzione perche’ il fatto non costituisce reato.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso

CONSIDERATO IN DIRITTO.

 

Il ricorso e’ inammissibile.
2. Il ricorrente, invero, formula motivi di censura attinenti principalmente al vizio di motivazione, lamentando la mancata disamina, da parte della Corte del merito, di specifiche doglianze la cui considerazione avrebbe potuto comportare, sulla base delle risultanze istruttorie, l’assoluzione con formula piu’ ampia.
La sentenza impugnata, effettivamente, e’ caratterizzata da estrema laconicita’ ed argomentata, in parte, in maniera poco chiara.
Nondimeno, il ricorso e’ articolato prevalentemente in fatto, con richiami ad atti e documenti la cui valutazione e’ preclusa in sede di legittimita’.
3. Per quanto e’ dato ricavare dalla sentenza impugnata e dal ricorso, il giudice di primo grado ha ritenuto suscettibili di sanatoria anche i reati diversi da quello di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, verso i quali il permesso di costruire rilasciato ai sensi del medesimo D.P.R., articolo 36 non produce effetti, ma la soluzione erroneamente adottata non puo’ ritenersi maggiormente pregiudizievole per il ricorrente rispetto alla formula assolutoria per non aver commesso il fatto o perche’ il fatto non costituisce reato.
Si tratta, inoltre, di una soluzione definitoria del procedimento penale che presupporrebbe comunque una nuova disamina delle risultanze dell’istruiione dibattimentale, cosi’ come lo richiederebbe la declaratoria di estinzione per sanatoria ipotizzata con riferimento alla contravvenzione paesaggistica per la quale e’ stata dichiarata la prescrizione.
Occorre pertanto ricordare come le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274), dirimendo un precedente contrasto giurisprudenziale, abbiano tra l’altro affermato che la pronuncia assolutoria a norma dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, e’ consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo assolutamente non contestabile, le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo sia incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento ed appartenga, pertanto, piu’ al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento”.
Precisano ulteriormente le Sezioni Unite che l'”evidenza” richiesta dal menzionato articolo 129 c.p.p., comma 2, “presuppone la manifestazione di una verita’ processuale cosi’ chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi cosi’ addirittura in qualcosa di piu’ di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia”.
Affermano, inoltre, che in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita’ vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva.
Tali principi vanno, dunque, applicati anche nel caso in esame.
4. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilita’ consegue l’onere delle spese del procedimento, nonche’ quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.

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