Procedimento civile quando sussiste vizio di “ultra” o “extra” petizione

Corte di Cassazione, civile,
Ordinanza|20 febbraio 2023| n. 5229.

Procedimento civile quando sussiste vizio di “ultra” o “extra” petizione

In materia di procedimento civile, sussiste vizio di “ultra” o “extra” petizione ex articolo 112 cod. proc. civ. quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Tale principio, peraltro, va posto in immediata correlazione con il principio “iura novit curia” di cui all’articolo 113, primo comma, cod. proc. civ., rimanendo pertanto sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Nel caso di specie, in cui la ricorrente aveva agito per ottenere la trasformazione, in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di una serie di contratti di collaborazione nel tempo stipulati con la società controricorrente, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto infondato il motivo di ricorso diretto a denunziare la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360 comma 1, n. 4, cod. proc. civ. per avere la corte territoriale posto a fondamento della propria decisione fatti e circostanze mai allegate, così incorrendo nel vizio di ultra petizione, da controparte: nella circostanza, infatti, alla luce di quanto indicato nella stessa gravata sentenza, i giudici di seconde cure non erano andati oltre il bene giuridico oggetto della controversia, ritenendo la necessità di accertare la natura giuridica della società datrice quale presupposto per vagliare la fondatezza o meno della vantata pretesa). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile L, sentenza 24 luglio 2012, n. 12943; Cassazione, sezione civile L, sentenza 13 dicembre 2010, n. 25140).

Ordinanza|20 febbraio 2023| n. 5229. Procedimento civile quando sussiste vizio di “ultra” o “extra” petizione

Data udienza 11 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Poteri del giudice – Vizio di “ultra” o “extra” petizione – Correlazione con il principio “iura novit curia” di cui all’articolo 113, primo comma, c.p.c. – Possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite – Ricerca delle norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame – Fondamento della decisione – Principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere

Dott. CASO Francesco Giuseppe Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7788/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato ANDREA COSTANZO, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMILIANO MARINELLI;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato PARAGALLO FABRIZIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1192/2017, depositata il 28/12/2017, R.G.N. 1023/2015;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 11/01/2023 dal Consigliere DOTT. GUGLIELMO CINQUE.

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RILEVATO

Che:
1. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 1192/2017, in riforma della pronuncia di primo grado resa dal Tribunale della stessa sede, ha rigettato la domanda proposta da (OMISSIS), nei confronti di (OMISSIS) spa (ora (OMISSIS) spa) di cui era stata lavoratrice con contratto a progetto, diretta ad ottenere la trasformazione, in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, dei contratti di collaborazione tempo per tempo stipulati (dall’Agosto 2004 o in subordine dal 6.10.2005) con la predetta societa’ per l’attivita’ svolta nella segreteria tecnica relativa la progetto “(OMISSIS)” e, per l’effetto, per sentire dichiarare sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con mansioni di categoria D1 del CCL Aziendale, con decorrenza dal 2 agosto 2004, con conseguente condanna della societa’ convenuta al pagamento di una indennita’ risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex articolo 32, comma 5, quantificata in dodici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre alle differenze retributive connesse al conseguito superiore inquadramento.
2. I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, a differenza di quanto opinato dal Tribunale, hanno ritenuto che (OMISSIS) spa non avesse natura privatistica e, pertanto, quale ente strumentale del Ministero del Lavoro i cui compiti, ancorche’ espletati nella forma giuridica della societa’ per azioni, ricadevano o erano complementari a quelli del suddetto Ministero, ad essa era applicabile il disposto di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5, con conseguente impossibilita’ di convertire in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato i contratti di collaborazione a progetto, eventualmente invalidi, stipulati inter-partes; gli stessi giudici hanno, poi, rilevato che fosse preclusa alla originaria ricorrente la possibilita’ di conseguire il risarcimento del cd. danno comunitario non essendo stata formulata una specifica domanda in tali sensi.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso la (OMISSIS) spa.
4. Le parti hanno depositato memorie.

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CONSIDERATO

Che:
1. I motivi possono essere cosi’ sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte territoriale posto a fondamento della propria decisione fatti e circostanze mai allegate, cosi’ incorrendo nel vizio di ultra petizione, da controparte: in particolare, la presenza di una posizione autoritativa nelle scelte gestionali ed organizzative della societa’, rivestite dai Ministeri del Lavoro e dell’Economia; l’assenza di previsioni in ordine alla distribuzione fra soci degli utili di bilancio (in un contesto in cui lo Statuto prodotto era posteriore alla sentenza di primo grado); la possibilita’ di controlli di carattere preventivo e successivo sull’operato della Societa’, che peraltro non avrebbero fatto venire meno la natura di societa’ privata.
3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 1, comma 2 e articolo 36, in relazione della L. n. 448 del 2001, articolo 30, del Decreto Legislativo n. 1 del 1999, articolo 1, comma 3, al Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articoli 61, 62 e 69, alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale ricostruito la natura giuridica della societa’ sulla base di atti posteriori alla costituzione del rapporto di lavoro, avvenuta il 2 agosto 2004, e per avere ritenuto sussistenti gli elementi necessari per attribuire ad una societa’ privata la natura di amministrazione pubblica: in particolare, per il richiamo alle disposizioni di cui al D.P.C.M. 23 novembre 2007, al Decreto Legislativo n. 150 del 2015, e allo Statuto (OMISSIS) spa, posteriore ai fatti di causa e prodotto tardivamente in giudizio.
4. Con il terzo motivo si censura la violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 e della L. n. 183 del 2010, articolo 32, per non avere la Corte territoriale riconosciuto il risarcimento del danno derivante dall’uso abusivo di un contratto di lavoro flessibile nonostante vi fosse stata espressa domanda ad ottenere il riconoscimento della indennita’ di cui della L. n. 183 del 2010, articolo 32, quale conseguenza della violazione della disciplina in materia di contratto di lavoro a progetto.
5. Il primo motivo e’ infondato.
6. Invero, perche’ vi sia violazione tra chiesto e pronunciato ex articolo 112 c.p.c., e’ necessario che sussista un’ultrapetizione da parte della Corte di merito sulle domande postulate dal ricorrente.
7. In particolare, perche’ sia ravvisabile detto vizio e’ necessario che il giudice sostituisca, nella sua analisi, la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realta’ fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass. n. 15925/2007; Cass. n. 13945 /2012; Cass. n. 5153/2019).
8. Nel caso di specie, invece, alla luce di quanto riportato nella gravata sentenza, i giudici di seconde cure non sono andati oltre il bene giuridico oggetto della controversia, ritenendo la necessita’ di accertare la natura giuridica della societa’ datrice quale presupposto della fondatezza della vantata pretesa: cio’ e’ stato effettuato vagliando sulla natura giuridica della societa’ datrice, esaminando in particolar modo la struttura della societa’ nonche’ gli effetti la sentenza n. 363 del 19 dicembre 2003 della Corte Costituzionale sulla datrice di lavoro non superando, quindi, quanto richiesto dalla odierna controricorrente.

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9. Questa Corte, infatti, ha delineato i compiti del giudice del merito, tra cui si ravvisa anche quello di definire le domande avanzate dalle parti identificando e qualificando giuridicamente i beni della vita destinati a formare oggetto del petitum, nonche’ il complesso degli elementi della fattispecie da cui derivano le pretese dedotte in giudizio. Il giudice di appello puo’ a sua volta procedere ad una nuova qualificazione giuridica dei suddetti elementi, ma sempre entro i limiti di fatto originariamente prospettati dalla parte e lasciando immutati il petitum e la causa petendi (Cass. n. 11199/2000; Cass. n. 2574/1999; Cass. n. 3782/1997; n. 8924/1995).
10. In tale precipua prospettiva, la richiesta di accertamento in ordine alla natura giuridica della societa’ datrice e’ stata correttamente interpretata di talche’ la Corte di merito non ha operato alcun stravolgimento della domanda, essendo, invece, la sua decisione totalmente in linea con il bene richiesto in giudizio.
11. In materia di procedimento civile, in conclusione, va ribadito il principio secondo cui sussiste vizio di “ultra” o “extra” petizione ex articolo 112 c.p.c., quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. E tale principio va peraltro posto in immediata correlazione con il principio “iura novit curia” di cui all’articolo 113 c.p.c., comma 1, rimanendo pertanto sempre salva la possibilita’ per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonche’ all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. n. 25140/2010; Cass. n. 12943/2012).
12. Non sussiste, pertanto, nel caso in esame l’asserita violazione del divieto di ultrapetizione ex articolo 112 c.p.c..
13. Il secondo motivo e’ parimenti infondato.
14. Punto decisivo ai fini della risoluzione della questione posta in giudizio e’ certamente quello di stabilire da quale momento operi la conversione del contratto a progetto in caso di richiesta di nullita’.
15. Secondo un precedente di questa Corte potrebbe supporsi che la decorrenza della conversione debba essere valutata al momento della decisione della controversia e non a quello di sua iniziale introduzione o di stipula del contratto invalido (Cass. n. 10232 del 2019, non massimata), operando dunque, in sostanza, ex nunc.
16. Il Collegio, pero’, ritiene di precisare che quanto statuito nella richiamata pronuncia rimane un assunto isolato che non presenta altri provvedimenti di legittimita’ conformi, anche successivi, in materia.

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17. Invero, il costante orientamento di questa Corte ha sempre affermato la tesi opposta secondo cui la conversione di un contratto nullo opera ex tunc, ovverosia al momento della stipula del contratto.
18. Piu’ precisamente, la nullita’ del contratto, ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1, deve essere valutata al momento genetico della fattispecie negoziale in ragione del fatto che e’ proprio l’esistenza della fattispecie invalida a porsi in contrasto con la norma imperativa; in tal senso l’assunto secondo cui si sarebbe dovuto tenere conto della data di decisione della sentenza di appello ai fini della nullita’ contrattuale non deve ritenersi condivisibile (Cass. n. 6818/2018, Cass. n. 3621/2018, Cass. n. 3815/2021, Cass. n. 446/2021; Cass. n. 30054/2022).
19. Atteso quanto fin qui esposto, dunque, e’ necessario esaminare la natura giuridica dell’ (OMISSIS) s.p.a. (all’epoca (OMISSIS) spa) al momento della conclusione dei contratti, avvenuta – per quello che ci interessa – nel 2004/2005, perche’ si possa affermare se sia possibile la conversione del contratto in ragione della natura pubblicistica della societa’.
20. La sentenza oggetto di gravame, sebbene ai fini dell’accertamento in ordine alla natura giuridica della datrice di lavoro abbia fatto menzione di disposizioni successive alla stipulazione del contratto, quali il D.P.C.M. 23 novembre 2007 e lo Statuto della (OMISSIS) s.p.a., d’altro canto ha, pero’, come snodo centrale dell’iter decisionale la sentenza della Corte Costituzionale del 19.12.2003 n. 363, la quale costituisce lo strumento mediante il quale la Corte d’appello ha correttamente verificato la natura giuridica della odierna controricorrente.
21. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 363/2003 ha compiuto una dettagliata analisi di (OMISSIS) spa rilevando che la societa’ deve essere considerata come soggetto avente natura pubblicistica in ragione non solo della particolare struttura di siffatta societa’ per azioni, essendo a capitale esclusivamente pubblico, ma anche in virtu’ delle funzioni svolte e degli obiettivi prefissati, i quali contemplano dei servizi finalizzati alla promozione dell’occupazione ed in particolare dei lavori socialmente utili, non avendo dunque di converso finalita’ economiche e di profitto tipiche delle societa’ per azioni.
22. La Corte d’appello alla stregua dell’analisi compiuta dalla Corte Costituzionale ha aderito a tali superiori ed autorevoli argomentazioni riconoscendo dunque i caratteri tipici di un ente pubblico, o piu’ precisamente di un “Ente strumentale”, il quale e’ completamente sottoposto all’indirizzo ed al controllo degli organi governativi.
23. Per le ragioni sin qui esposte, la sentenza oggetto di gravame ha, dunque, correttamente statuito circa l’invalidita’ della conversione del contratto a progetto sia da un punto di vista sostanziale, in ragione della natura pubblicistica della datrice di lavoro, che da un punto di vista cronologico, in quanto la stipulazione dei contratti impugnati e’ avvenuta nel 2004/2005 e dunque successivamente alla sentenza n. 363/2003 della Corte Costituzionale ove si accertava la natura pubblicistica dell’odierna controricorrente.
24. Il terzo motivo e’, infine, anche esso infondato.
25. In primo luogo, con la censura oggetto d’esame viene dedotto, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, un vizio di interpretazione della domanda, il quale pero’, nei termini in cui e’ stato prospettato, avrebbe dovuto essere censurato, nei limiti in cui e’ consentito in sede di legittimita’, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
26. Invero, secondo il risalente ed ormai consolidato orientamento di questa Corte, la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda e’ attivita’ riservata al giudice di merito ed e’ sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullita’ processuale, nel qual caso e’ la difformita’ dell’attivita’ del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimita’ ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualita’ in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potra’ aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovra’ essere prospettato come vizio di nullita’ processuale ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 248/1976; Cass. n. 31546/2019; Cass. n. 11103/2020).
27. Pertanto, nel caso di specie l’assunta erronea interpretazione della domanda e’ infondata, in quanto non censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), giacche’ con tale motivo di impugnazione si pone in discussione il significato della norma e non la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito.
28. Peraltro, la sentenza impugnata ha dato corretta interpretazione della domanda della lavoratrice, avendo quest’ultima chiesto esclusivamente il risarcimento L. n. 183 del 2010, ex articolo 32, comma 5, “quale conseguenza della declaratoria di illegittimita’ dell’impugnato licenziamento, “di un’indennita’ pari alla retribuzione globale di fatto non percepita dal 31 dicembre 2011 alla data di effettiva reintegrazione…” ovvero “delle indennita’ previste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, nel testo modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 192, articolo 1” o ancora della “retribuzione globale di fatto non percepita dal mese di novembre 2007 alla data di effettiva reintegrazione”, quale effetto della conversione (e non della mancata conversione) degli impugnati contratti a progetto in un unitario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, “dell’indennita’ di cui della L. n. 183 del 2010, articolo 30, comma 5”.
29. La ricorrente, infatti, non ha mai formulato alcuna richiesta in ordine al risarcimento comunitario ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5, proprio in ragione del fatto che le pretese dell’odierna ricorrente si fondavano sull’assunto secondo cui tra le parti sussistesse un rapporto di lavoro subordinato rientrante nella sfera della contrattazione privata.
30. Di converso, quanto disposto alla L. n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5, che ha ad oggetto il c.d. risarcimento comunitario, configura una sorta di misura atta a dissuadere e disincentivare l’illegittimo ricorso ai contratti a tempo determinato o l’abusivo utilizzo di siffatti contratti nell’ambito del pubblico impiego, non chiesto nella fattispecie.
31. A cio’ si aggiunga che la censura e’ anche priva del carattere di specificita’, cosi’ violando, pertanto, i dettami dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
32. Le censure, infatti, che si fondano su atti e documenti del giudizio di merito, limitatamente richiamati dal ricorrente, senza che detti documenti siano riprodotti nel ricorso, ovvero, laddove riprodotti, senza che nel ricorso si forniscano puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza che si precisi la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimita’, non sono meritevoli di accoglimento (Cass. SS.UU. n. 34469/2019).
33. Nel caso in specie, invece, la lavoratrice non ha fatto alcuna menzione in maniera puntuale e precisa del testo effettivamente riportato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado onde consentire un adeguato controllo da parte di questa Corte.
34. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
35. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’ che si liquidano come da dispositivo.
36. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

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