Prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito imputabile a più danneggianti in solido

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 5 settembre 2019, n. 22164.

La massima estrapolata:

In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito imputabile a più danneggianti in solido tra loro ai sensi dell’art. 2055 c.c., la diversità dei titoli della responsabilità ascrivibile ai vari coobbligati non incide sull’interruzione del termine di prescrizione, che resta disciplinata dai principi sulle obbligazioni solidali e, segnatamente, dall’art. 1310, primo comma, c.c., per la cui applicabilità è necessaria e sufficiente l’esistenza del vincolo obbligatorio solidale scaturente dall’unicità del “fatto dannoso” previsto dall’art. 2055 c.c.. (In applicazione del principio, con riferimento ad un giudizio per risarcimento del danno da perdita di somme di denaro affidate da risparmiatori ad una società di intermediazione finanziaria, la S.C. ha ritenuto operante nei confronti della CONSOB, responsabile per omessa vigilanza sull’operatore di mercato, l’effetto estensivo dell’interruzione della prescrizione compiuta mediante la costituzione di parte civile nel procedimento penale a carico dell’autore del fatto illecito).

Sentenza 5 settembre 2019, n. 22164

Data udienza 10 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 21963-2014 proposto da:
CONSOB – COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 888/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata l’11/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/2019 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1.- (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio la CONSOB – Commissione Nazionale per le Societa’ e la Borsa – per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della perdita delle somme di denaro che essi, tra il 1990 e il 1992, in virtu’ di un contratto di negoziazione titoli, avevano versato alla societa’ (OMISSIS) S.p.A. successivamente trasformatasi in (OMISSIS) S.p.a. S.i.m. (di seguito anche (OMISSIS)) e dichiarata fallita nel 1994 con sentenza n. 58843 del Tribunale di Milano – e da questa distratte a causa di spregiudicate operazioni finanziarie, per le quali alcuni dei suoi esponenti erano stati imputati del reato di bancarotta per distrazione dei beni.
1.1.- In particolare, gli attori imputarono alla CONSOB di aver contribuito alla produzione dei danni da essi patiti a causa del suo comportamento omissivo e negligente in relazione agli obblighi di vigilanza e di controllo istituzionalmente ad essa pertinenti, nonche’ per avere, sebbene a conoscenza di numerose informative relative alle irregolarita’ commesse dalla (OMISSIS), autorizzato la stessa societa’ all’esercizio della intermediazione immobiliare con la Delib. n. 5846 del 1991.
1.2.- Nel corso del giudizio di primo grado intervenne volontariamente (OMISSIS) il quale, adducendo di aver consegnato alla (OMISSIS) una somma di denaro a fini di investimento e previo un contratto di raccolta ordini, formulo’ domande risarcitorie analoghe a quelle spiegate dagli originari attori.
1.3. – Nel contraddittorio con la CONSOB convenuta, il Tribunale di Roma, con sentenza del febbraio 2009, dichiaro’ ammissibile l’intervento volontario del (OMISSIS), rigettandone, tuttavia, nel merito la domanda; accolse parzialmente le domande attoree e condanno’ la CONSOB a risarcire alla (OMISSIS) la somma di Euro 1.647.390,52, alla (OMISSIS) la somma di Euro 89.899,56, al (OMISSIS) la somma di Euro 25.898,77, alla (OMISSIS) la somma di Euro 756.053,48, al (OMISSIS) la somma di Euro 1.309.443,25 e al (OMISSIS) la somma di Euro 586.694,19, oltre al pagamento delle spese di lite.
2.- Avverso tale decisione proponeva appello la CONSOB, nel cui giudizio svolgevano appello incidentale (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Con ulteriore atto di citazione proponevano appello avverso la medesima sentenza (OMISSIS), (OMISSIS), nonche’ Veronica (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS) e in questo giudizio si costituiva (OMISSIS), proponendo altresi’ appello incidentale.
2.1.- Riuniti i giudizi ex articolo 335 c.p.c., la Corte d’appello di Roma, con sentenza dell’11 febbraio 2014, rigettava tutte le impugnazioni, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
2.2. – A fondamento della decisione la Corte territoriale, per quanto rileva in questa sede, osservava che: 1) le condotte ascritte alla CONSOB e le condotte tenute dagli amministratori della (OMISSIS) erano da reputarsi cause concorrenti del fatto dannoso – perdita dei risparmi degli investitori-, cosi’ da doversi ritenere sussistente la responsabilita’ solidale ex articolo 2055 c.c.; 2) poteva, quindi, estendersi alla CONSOB, ai sensi dell’articolo 1310 c.c., l’efficacia dell’atto interruttivo della prescrizione, decorrente dalla data (7 luglio 1994) di fallimento della (OMISSIS), in base al termine di cinque anni di cui all’articolo 2947 c.c., comma 1, (non potendo operare il termine prescrizionale piu’ lungo derivante da reato, ex articolo 2947 c.c., comma 3, che presupponeva una identita’ e concomitanza tra gli elementi, oggettivo e soggettivo, dell’illecito civile e dell’illecito penale, nella specie non ravvisabile), consistente nella costituzione di parte civile (avvenuta nel settembre 1997) nel procedimento penale a carico degli amministratori della (OMISSIS); 3) la responsabilita’ della CONSOB sussisteva in quanto: a) aveva omesso di adottare, nei confronti della (OMISSIS), provvedimenti di revoca o sospensione dell’autorizzazione ad operare in qualita’ di commissionaria negli antirecinti alle grida, nonostante le innumerevoli e gravi violazione emerse nel corso dei controlli ispettivi svoltisi tra il 1889 e 1991, i dubbi circa la situazione patrimoniale e finanziaria della societa’, l’uso improprio delle disponibilita’ ricevute dai clienti, nonche’ le ripetute denunce all’Autorita’ giudiziaria nel 1990; b) aveva autorizzato l’iscrizione della societa’ all’Albo delle S.i.m., nonostante ad essa fosse attribuito dalla L. n. 1 del 1991 e dal suo regolamento di esecuzione n. 5386/1991, il previo controllo della sussistenza sia dei requisiti formali che di sostanza, potendo, altresi’, acquisire direttamene ulteriori elementi informativi, oltre i documenti esibiti dal richiedente; 4) nella liquidazione del danno patito dai risparmiatori, il giudice di primo grado aveva correttamente utilizzato, quale sostegno probatorio, i documenti prodotti dagli stessi attori, in quanto, oltre al fatto che la CONSOB non aveva disconosciuto la conformita’ delle fotocopie, ne’ aveva richiesto la produzione degli originali (sollevando “la questione solo con l’appello”, avendo in primo grado effettuato solo generiche contestazioni), aveva sottoposto il contenuto della documentazione anzidetta “ad un severo vaglio critico espungendo da essa i soli elementi certi ed utili ai fini decisori”; 5) in assenza di un principio di “immanenza” della prova documentale e dovendo il giudice decidere della causa juxta alligata et probata, il Tribunale aveva correttamente liquidato il danno patrimoniale, essendo onere della parte stessa verificare l’integrita’ del proprio fascicoli e non avendo, peraltro, gli attori provveduto a segnalarne l’incompletezza involontaria; 6) il giudice di primo grado aveva, nel rispetto dell’articolo 112 c.p.c., correttamente limitato la corresponsione degli interessi fino al 28 dicembre del 2005, come da richiesta espressa con la memoria attorea ex articolo 183 c.p.c. e come da conclusioni di primo grado (che rinviavano “all’atto introduttivo del giudizio e agli atti successivi”), non potendo a tal fine rilevare il diverso contenuto della memoria ex articolo 190 c.p.c., finalizzata soltanto a replicare alle deduzioni avversarie nonche’ ad illustrare ulteriormente le tesi difensive gia’ enunciate nella comparsa conclusionale; 7) non poteva essere riconosciuto il richiesto danno morale, per carenza del presupposto di un illecito penalmente rilevante ravvisabile nel comportamento dei funzionari della CONSOB, essendosi parte attrice limitata alla descrizione dei soli fatti materiali senza tener conto dell’elemento soggettivo del reato e non essendo stato, nella specie, “acquisito alcun elemento certo per potersi ritenere che il comportamento degli stessi fosse intenzionalmente diretto a favorire la (OMISSIS)”.
3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre la CONSOB sulla base di cinque motivi.
Resistono con congiunto controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nonche’ Veronica (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), che, a loro volta, hanno proposto ricorso incidentale affidandolo a cinque motivi, cui resiste con controricorso la CONSOB.
La ricorrente ha depositato istanza di rimessione alle Sezioni Unite sulle questioni che attengono al termine prescrizionale ed all’effetto estensivo dell’interruzione della prescrizione; i controricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale CONSOB.
1.- Con il primo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle leggi n. 216 del 1974 e n. 1 del 1991, dei Regolamenti nn. 3627 del 1988 e 5386 del 1991, attuativi delle prime, nonche’ dei principi di legalita’ e gerarchia delle fonti; e’ inoltre denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 33, 103, 114, 278 e 279 c.p.c., per aver erroneamente la Corte capitolina trattato come un’unica controversia, cause distinti e cumulate.
La ricorrente, all’esito di una ampia e ragionata ricognizione della normativa di settore succedutasi nel tempo (dal 1974 al 1991), sostiene potersi, infine, ricavare taluni principi di diritto, atti ad evidenziare l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di appello nel ritenere sussistente la responsabilita’ aquiliana di essa CONSOB per omissione colposa di controlli doverosi, delibando in maniera unitaria il tema delle condotte dalla medesima esigibili e degli effetti dei suoi poteri, senza tener conto della diversita’ delle discipline diacronicamente intervenute e con cio’ erroneamente trattando e decidendo le sei cause, ognuna pertinente specificamente al singolo risparmiatore, come un’unica controversia, senza tener conto dei diversi tempi in cui ciascun attore aveva effettuato i rispettivi versamenti.
In particolare, assume la CONSOB che: 1) “le disposizioni della L. n. 216 del 1974 e del Regolamento CONSOB n. 3267 del 1988 nonche’ quelle transitorie della L. n. 1 del 1991, applicabili alle commissionarie ammesse negli antirecinti alle grida delle Borse Valori si interpretano nel senso che alla CONSOB non erano attribuiti poteri autorizzatori, cautelari o inibitori idonei ad incidere, in senso abilitativo e/o interdittivo, sullo svolgimento dell’attivita’ di intermediazione in titoli da esse esercitate nei confronti del pubblico”; 2) “le disposizioni della L. n. 1 del 1991 e del Regolamento CONSOB n. 5386 del 1991 disciplinanti l’autorizzazione all’esercizio delle attivita’ di intermediazione immobiliare e l’iscrizione nell’Albo delle Sim, avuti anche a mente i principi di legalita’ e di gerarchia delle fonti del diritto, si interpretano nel senso che la CONSOB poteva e doveva, in sede di autorizzazione, esercitare un’attivita’ vincolata di accertamento dei requisiti oggettivi previsti dalla normativa su base documentale e non un’attivita’ discrezionale di valutazione di requisiti non predeterminati dalle norme sulla base di elementi conoscitivi diversamente acquisibili, ne’ valutare eventuali attivita’ precedentemente svolte dalla societa’ istante”; 3) “le disposizioni della L. n. 1 del 1991 concernenti la vigilanza sulle Sim autorizzate, nella fase successiva alla loro piena applicabilita’ (31.12.1991), si interpretano nel senso che gli interventi cautelari di sospensione delle attivita’ di intermediazione o di impulso all’adozione di provvedimenti inibitori di tali attivita’ non potevano essere comunque essere ragionevolmente adottati dalla CONSOB prima del decorso di un congruo lasso di tempo, che il Giudice avrebbe dovuto motivatamente individuare, comunque pari almeno ad un anno e, dunque, prima del gennaio 1993”.
Alla luce di quanto evidenziato, la Corte territoriale avrebbe, dunque, errato nell’affermare la responsabilita’ aquiliana in capo a essa CONSOB: a) per non aver, in ragione delle irregolarita’ emerse a carico della societa’ nel periodo 1989/1991, revocato o sospeso l’ammissione agli antirecinti alle grida della societa’, in quanto fino all’inizio del 1992 era sprovvista di poteri in grado di inibire alla (OMISSIS) l’esercizio della sua attivita’ di commissionaria in titoli e dunque se anche avesse esercitato tale potere, la societa’ avrebbe tranquillamente continuato la propria attivita’, con il venir meno solamente di quella agevolazione conseguente dall’ammissione agli antirencinti alle grida; b) per aver autorizzato la (OMISSIS) ad iscriversi nell’Albo delle S.i.m., sebbene le fosse demandato il compito di autorizzare l’esercizio dell’attivita’ di intermediazione mobiliare previo accertamento, oltre che di taluni requisiti formali, anche di requisiti di sostanza, sulla base non solo della documentazione fornita dai richiedenti, ma anche degli ulteriori elementi direttamente acquisibili dall’autorita’ ex articolo 7 del Regolamento attuativo delle L. n. 1 del 1991.
1.1.- Il motivo e’ infondato in tutta la sua articolazione.
La ratio decidendi della sentenza impugnata si incentra essenzialmente su due profili di addebito nei confronti della CONSOB, che intercettano una condotta omissiva illecita diacronicamente diluita in un certo arco temporale, ossia: a) in riferimento al periodo 19891991, e nonostante le violazioni emerse nel corso dei controlli ispettivi, i dubbi circa la situazione patrimoniale e finanziaria della societa’, l’uso improprio delle disponibilita’ ricevute dai clienti, nonche’ le ripetute denunce all’Autorita’ giudiziaria, non aver assunto incisivi provvedimenti nei confronti della commissionaria (OMISSIS), tali da impedirne di operare comunque negli antirecinti alle grida; b) in riferimento al periodo successivo al 1991, aver autorizzato l’iscrizione della societa’ all’Albo delle S.i.m., mancando di operare un penetrante controllo sui requisiti formali e di sostanza, anche attraverso l’acquisizione di ulteriori elementi informativi.
Tale ratio non si espone alle censure di parte ricorrente, in quanto si palesa armonica rispetto alle coordinate giuridiche di settore gia’ enucleate dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 3 marzo 2001, n. 3132, Cass., 25 febbraio 2009, n. 4587, Cass., 23 marzo 2011, n. 6681, Cass., 12 aprile 2018, n. 9067, Cass., 17 gennaio 2019, n. 1070).
Giova, infatti, rammentare che l’attivita’ di natura discrezionale della CONSOB deve svolgersi non solo nei limiti e con l’esercizio dei poteri di cui alle leggi speciali che ne regolano il funzionamento, ma anche della norma primaria del neminem laedere, alla luce dei principi costituzionali di legalita’, imparzialita’ e buona amministrazione della P.A. (articolo 97 Cost.) e di tutela del risparmio (articolo 47 Cost.).
Pertanto, la norma dell’articolo 2043 c.c. e’ applicabile anche nei confronti della CONSOB, in quanto si pone come limite esterno alla sua attivita’ discrezionale, la quale, di per se’, non puo’ mai estendersi alla scelta radicale tra l’attivarsi o meno, specie qualora siano emersi gravi indizi di irregolarita’.
Dunque, anche in detto ambito l’illecito civile segue le comuni regole codicistiche per quanto riguarda l’imputabilita’ soggettiva, il nesso di causalita’, l’evento di danno e la sua quantificazione, con la precisazione che, ove, come nella specie, l’addebito si configura come omissione di un certo comportamento, tale omissione trova rilievo, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, allorche’ si tratti di condotta imposta da una norma giuridica specifica, per cui il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non puo’ limitarsi alla mera valutazione della materialita’ fattuale, bensi’ postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto.
A tal riguardo, dunque, vengono in evidenza i poteri-doveri della CONSOB, funzionali all’esercizio delle sue attribuzioni di vigilanza e controllo, siccome individuati ed imposti dalla normativa di settore nel tempo succedutasi e investente l’arco temporale interessato dalla presente controversia:
– controllare il funzionamento delle singole borse e accertare la regolarita’ e i modi di finanziamento delle operazioni di intermediazione e negoziazione su titoli quotati in borsa effettuate dai soggetti che operavano in borsa o esercitavano attivita’ d’intermediazione, avvalendosi a tal fine anche delle facolta’ di richiedere la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, eseguire ispezioni, assumere notizie e chiarimenti, al fine di accertare l’esattezza e completezza dei dati e delle notizie comunicati o pubblicati (L. 7 giugno 1974, n. 216, articolo 3, lettera g);
– ricevere la comunicazione, da parte di coloro che intendono procedere all’acquisto o alla vendita di azioni o di obbligazioni convertibili mediante offerta al pubblico, delle condizioni, modalita’ e termini di svolgimento dell’operazione, potendo stabilire i modi in cui l’offerta deve essere resa pubblica nonche’ i dati e le notizie che deve contenere (della citata L. n. 216 del 1974, articolo 18);
– adottare “i provvedimenti necessari per assicurare il regolare andamento degli affari nelle singole borse”, emanando a tal fine provvedimenti urgenti (Decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 138, articolo 7);
– effettuare accertamenti in ordine alla regolarita’ delle operazioni di borsa, mediante l’esercizio di appositi poteri ispettivi (del citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 138 del 1975, articolo 10);
– convocare i soggetti operanti in borsa o dediti all’esercizio di attivita’ di intermediazione al fine dell’assunzione di notizie e chiarimenti (Decreto del Presidente della Repubblica 11 giugno 1979, n. 252, articolo 24);
– eseguire in qualsiasi momento ispezioni e controlli sulle singole borse al fine di accertare la regolarita’ ed i modi di finanziamento delle operazioni di intermediazione e negoziazione effettuate dai soggetti che operano in borsa o esercitano attivita’ di intermediazione (del citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1979, articolo 25);
– specifici compiti di vigilanza nei riguardi delle societa’ di intermediazione mobiliare (S.i.m.), assumendo gia’ al momento dell’autorizzazione all’attivita’ i poteri di accertamento di taluni requisiti (articolo 3), concernenti: la consistenza del capitale sociale della societa’ per azioni (comma 2, lettera a); l’onorabilita’ degli amministratori, direttori generali e dirigenti muniti di rappresentanza, anche in relazione al possesso delle condizioni di non esclusione dai locali della borsa di cui alla L. n. 272 del 1913, articolo 8 e con estensione dei menzionati requisiti ai coloro, persone fisiche op giuridiche, che esercitino, anche in vi indiretta, il controllo della S.i.m. (L. 2 gennaio 1991, n. 1, articolo 3, comma 2, lettera a, b ed e, richiamato anche dal successivo articolo 18).
Poteri di accertamento corroborati, altresi’, dalle indicazioni provenienti dalla stessa CONSOB, dettati in forza di proprio regolamento, circa le modalita’ di presentazione della domanda di iscrizione all’albo delle S.i.m., gli elementi informativi che la domanda deve contenere, i documenti che devono essere forniti in allegato, nonche’ le modalita’ di svolgimento dell’istruttoria (della citata L. n. 1 del 1991, articolo 3, comma 3).
In definitiva, sin gia’ dalla legge istitutiva della Commissione (L. n. 216 del 1974) e cosi’ anche successivamente, il sistema dei controlli e relative sanzioni spettanti alla stessa CONSOB era diretto funzionalmente alla tutela “dell’interesse alla correttezza del comportamento degli intermediari finanziari, per i riflessi che ne possono derivare sul buon funzionamento dell’intero mercato” (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725), essendo la Commissione non soltanto “organo di vigilanza del mercato dei valori, ma… anche organo di garanzia del risparmio pubblico e privato” (Cass. 23 marzo 2011, n. 6681).
In questo contesto, l’attivazione doverosa dell’esercizio dei poteri riconosciuti alla CONSOB, sia dal legislatore, che, per abilitazione delle fonti di rango primario, dalla stessa Commissione, non puo’ relegarsi contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente nell’angusto ed inefficace (ai sensi dell’articolo 97 Cost.) ambito di meri controlli formali, avendo essi carattere penetrante, sia in riferimento all’operativita’ in borsa dei soggetti ivi ammessi (sia pure agli antirecinti alle grida), che alla veridicita’ e della completezza dei dati forniti dai promotori dell’operazione finanziaria interessata (cfr., segnatamente, Cass. n. 3132 del 2001 e Cass. n. 4587 del 2009, citt., che chiosano affermando che non si poteva, gia’ prima della legge del 1991, “ridurre il ruolo dell’Organo di garanzia a quello di un ufficio di deposito atti”), sia in funzione dell’autorizzazione all’esercizio dell’attivita’ di S.i.m., non riducibile al “mero accertamento”, ma connotata da “discrezionalita’ vincolata alla valutazione di requisiti sostanziali di affidabilita’, onorabilita’, trasparenza”, potendo, quindi, “assumere rilievo impeditivo le eventuali irregolarita’ riscontrate a mezzo di procedura ispettiva ovvero sulla base della incompletezza della documentazione, al punto che ex post potra’ disporsi la cancellazione dallo albo SIM” (Cass. n. 6681 del 2011, cit.).
Nel caso in esame, quindi, appare chiaro l’assoggettamento della CONSOB, nella veste ad essa riconosciuta dal legislatore di “organo di garanzia del risparmio”, a specifici obblighi giuridici di impedire o, comunque, circoscrivere, nei limiti del possibile, il danno – la perdita degli investimenti – poi verificatosi a carico delle originarie parti attrici mediante l’esercizio doveroso dei propri poteri di vigilanza e controllo, innanzi rammentati.
Danno che e’ venuto a determinarsi in un contesto in cui erano emersi nel tempo fatti materiali, specifici e reiterati (che neppure la ricorrente fa oggetto di alcuna censura), che consegnavano alla stessa CONSOB elementi gravi di valutazione sulla effettiva consistenza patrimoniale della (OMISSIS) e sulla correttezza e trasparenza delle condotte ad essa riconducibili, tali, dunque, da imporre – al di la’ della stessa discrezionalita’ riservata alla Commissione – l’attivazione decisa, dapprima (nel periodo sino alla richiesta autorizzazione di iscrizione nell’albo delle S.i.m.), di poteri interdittivi nei confronti della societa’ commissionaria e, quindi (al momento di detta richiesta e successivamente), l’attivazione dei poteri di controllo, a vocazione anche sostanziale (in coerenza con la funzione pubblica rivestita), sul possesso dei necessari requisiti di iscrizione.
Sicche’, risulta correttamente postulata dalla Corte territoriale la condotta di omessa vigilanza e controllo della CONSOB, integrante illecito omissivo (in correlazione causale con le condotte illecito tenute dalla societa’ (OMISSIS)).
Dunque, una volta riconosciuta l’esistenza di specifici obblighi giuridici di impedire l’evento in capo alla CONSOB, da essa violati con la propria condotta omissiva, diacronicamente presenti in tutto il periodo (dal 1989 al 1992) in cui sono stati posti in essere i comportamenti illeciti della (OMISSIS) con l’effetto di impoverimento dei risparmiatori ad essa rivoltisi e palesandosi gli anzidetti obblighi in funzione di impedire tali effetti pregiudizievoli – secondo un giudizio controfattuale di tipo causalistico, segnato dal principio della causalita’ adeguata, che la Corte territoriale ha, quindi, correttamente compiuto in diritto e che, rispetto al fatto sussunto nella fattispecie legale, si e’ risolto in un apprezzamento riservato al giudice del merito e non sindacabile in questa sede (se non alla stregua del vizio – ratione temporis deducibile – di omesso esame di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, neppure articolato dalla ricorrente) – evapora anche la censura che deduce, altresi’, un supposto error in procedendo (invero, non gia’ da intendersi come mera violazione del cumulo soggettivo iniziale, come tale palesemente insussistente, tenuto conto, quantomeno, della presenza di identiche questioni da risolvere, ma come) relativo all’unitarieta’ della decisione assunta dalla Corte territoriale malgrado le posizioni distinte dei vari danneggiati e cio’ proprio per la sussistenza e la rilevanza degli obblighi normativamente imposti dalla legislazione succedutasi nel periodo interessato dal comportamento illecito, continuativo, della societa’ (OMISSIS), siccome integranti la condotta alla quale la CONSOB si sarebbe dovuta attenere e che, invece, e’ stata omessa.
2.- Con il secondo mezzo e’ rilevata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 2947, 1294, 1310, 2055 e 2043, per aver erroneamente la Corte capitolina ravvisato una responsabilita’ solidale tra gli esponenti della (OMISSIS) e la CONSOB e comunque, per aver riconosciuto un effetto estensivo dell’atto interruttivo del termine prescrizionale quinquennale operato in riferimento ad uno dei condebitori solidale – costituzione di parte civile nel procedimento penale a carico di un amministratore della (OMISSIS) – anche nei confronti della CONSOB.
Il ricorrente sostiene, anzitutto, che non possa configurarsi in astratto di una responsabilita’ solidale della CONSOB in quanto (fermo restando che la CONSOB ha correttamente applicato le diverse normative di settore succedutesi nel tempo), ove il fatto dannoso sia derivato da una pluralita’ di persone con condotte integranti serie causali autonome, deve essere esclusa una responsabilita’ solidale ove una di tali condotte sia costituita da un reato doloso di natura appropriativa o distrattiva in grado, dunque, per loro stessa natura di escludere qualunque altra corresponsabilita’ di altri soggetti che abbiano realizzato condotte non delittuose e che non abbiano concorso attivamente nella commissione del reato.
Si deduce, poi, che, pur ammettendo una responsabilita’ solidale tra la societa’ (OMISSIS) e la CONSOB, da questa non potrebbe discendere l’applicazione dell’articolo 1310 c.c. e, dunque, l’effetto estensivo dell’interruzione del termine di prescrizione – attuato mediante la costituzione di parte civile nel procedimento penale a carico di esponenti della (OMISSIS) – in quanto trattasi in tal caso di diritti diversi, fondati su titoli giuridici e fatti generatori diversi, e dunque l’atto interruttivo compiuto nei confronti dell’uno non puo’ avere rilevanza e, dunque, efficacia interruttiva, nei confronti dell’altro debitore.
2.1.- Il motivo e’ in parte infondato e in parte inammissibile.
Cio’ in applicazione di orientamenti gia’ presenti nella giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide e ai quali intende dare continuita’, non necessitando, in assenza di effettivi e persistenti contrasti, una rimessione delle questioni implicate (e, segnatamente, di quelle evidenziate dalla parte ricorrente con gli atti difensivi da ultimo depositati) ai sensi dell’articolo 374 c.p.c..
2.1.1. – E’ principio consolidato quello secondo cui “l’articolo 2043 c.c. fa sorgere l’obbligo del risarcimento dalla commissione di un fatto doloso o colposo, mentre il successivo articolo 2055 considera, ai fini della solidarieta’ nel risarcimento, il “fatto dannoso”; atteso che la prima norma si riferisce all’azione del soggetto che cagiona l’evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, e in cui favore e’ stabilita la solidarieta’.
Ne consegue che l’unicita’ del fatto dannoso richiesta dall’articolo 2055 c.c. per la responsabilita’ solidale tra gli autori dell’illecito deve essere intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, sicche’ ricorre tale forma di responsabilita’, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilita’ degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da piu’ azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse.
Deve infatti escludersi, a norma dell’articolo 41 c.p., comma 2, l’imputabilita’ del fatto dannoso a taluno degli autori delle condotte illecite esclusivamente nel caso in cui a uno solo degli antecedenti causali debba essere riconosciuta efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere il legame eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, relegati al rango di mere occasioni, mentre non contrasta con tale principio la disposizione dell’articolo 187 cpv. c.p., la quale, statuendo per i condannati per uno stesso reato l’obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude ipotesi diverse di responsabilita’ solidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o siano colpiti da condanna per reati diversi o siano taluni colpiti da condanna e altri no” (Cass., 4 giugno 2001, n. 7507; Cass., 15 luglio 2005, n. 15030; Cass., 7 giugno 2006, n. 13272; Cass., S.U., 15 luglio 2009, n. 16503; Cass., 12 marzo 2010, n. 6041; Cass., 24 settembre 2015, n. 18899; Cass., 28 luglio 2017, n. 18753; Cass., 29 maggio 2018, n. 13365; Cass., 12 aprile 2018, n. 9067; Cass., 17 gennaio 2019, n. 1070).
La prospettiva in cui si colloca la richiamata giurisprudenza e’, eminentemente, quella della tutela del danneggiato, per cui l’indagine ai fini della applicabilita’ della responsabilita’ solidale ex articolo 2055 c.c. dovra’ incentrarsi sulla unicita’ del “fatto dannoso”, imputabile alla pluralita’ di condotte illecite, anche succedutesi nel tempo e di natura diversa, civilistica – extracontrattuale o contrattuale – o penalistica; “fatto dannoso” da assumersi, nel contesto stesso della responsabilita’ extracontrattuale, come danno-evento, ossia nella sua configurazione giuridica di (fatto-determinativo-di) danno risarcibile siccome “ingiusto” e, dunque, in quanto (fatto-causativo-della-) lesione di un diritto/interesse tutelato dall’ordinamento.
Dunque, come rilevato in particolare dalla citata Cass. n. 1070 del 2019, l’unificazione normativa delle diverse posizioni debitorie, come detto imperniata sul “fatto dannoso imputabile a piu’ persone”, quale il risultato anche di fatti illeciti distinti e costituenti violazioni di norme giuridiche diverse, realizza in ogni caso, indipendentemente dalla diversita’ dei titoli del diritto di credito, il presupposto della solidarieta’.
Pertanto, la diversita’ dei diritti di credito, immanente al carattere eterodeterminato di ciascuno di essi, non fa venir meno la solidarieta’ passiva, essendo sufficiente per la sua configurabilita’, in virtu’ dei principi che regolano il nesso di causalita’ ed il concorso di piu’ cause efficienti nella produzione dell’evento, che le azioni od omissioni di ciascun soggetto abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (in tal senso anche Cass., 9 novembre 2006, n. 23918 e Cass., 30 marzo 2010, n. 7618).
2.1.2. – La diversita’ dei vari diritti di credito inerenti al debito risarcitorio solidale, non potendosi configurare l’unicita’ del fatto dannoso come identita’ di norme violate, puo’, invece, spiegare effetti sulla modulazione di disciplina dell’obbligazione solidale ex articolo 2055 c.c., sicche’, in questa prospettiva, assume significativo rilievo il piano delle regole giuridiche interferenti.
A tal riguardo, non si dubita anzitutto (e gia’ in questo senso la risalente Cass., 4 giugno 1969, n. 1970) che – diversamente da quanto accade in relazione alla conseguente azione di regresso, che, in ambito di responsabilita’ extracontrattuale, trova una propria e specifica regolamentazione in base all’articolo 2055 c.c., comma 2 (e 3) – “ad un unico ed identico concetto si informa la responsabilita’ solidale dei condebitori nei confronti del creditore”, cio’ comportando che trovano applicazione le norme dettate dagli articoli 1292 c.c. e ss. (se non, per l’appunto, specificamente derogate) e, tra queste (per quanto qui interessa), quella di cui all’articolo 1310 c.c., comma 1, che rende l’atto interruttivo della prescrizione compiuto dal creditore contro uno dei debitori in solido efficace anche nei confronti degli altri debitori solidali.
La citata disposizione, del resto, nello stabilire che su una obbligazione solidale incidono certi eventi giuridici concernenti un’altra obbligazione solidale, esprime un effetto unificante voluto espressamente dal legislatore, che si presta a confermare il principio tendenziale per cui la disciplina normativa di ciascuna obbligazione solidale e’ quella sua propria e “subisce le conseguenze giuridiche dei soli eventi che la riguardano” (Cass., 16 dicembre 2005, n. 27713).
E tanto, quindi, assume peculiare rilievo nel caso in cui quel determinato evento giuridico interferente con il vincolo obbligatorio solidale non rinvenga la regula iuris tra le norme appositamente dettate dal legislatore agli articoli 1292 c.c. e ss..
2.1.3. – Questo e’ il caso del termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, previsto dall’articolo 2947 c.c., che, per l’appunto, non trova apposita disciplina nella Sezione III, del Capo VII, del Titolo I del Libro IV del codice civile.
A tal riguardo, occorre rammentare anzitutto il principio, gia’ enunciato da Cass., 21 marzo 1996, n. 2432 (e ribadito dalla successiva giurisprudenza di questa Corte), secondo cui il piu’ lungo termine di prescrizione stabilito dall’articolo 2947 c.c., u.c. per le azioni di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, se tale fatto e’ previsto dalla legge come reato, presuppone che vi sia identita’ tra il fatto costituente reato e quello dal quale scaturisce la responsabilita’ dedotta in sede civile. Con la conseguenza che l’indicato termine di prescrizione non e’ invocabile nel caso in cui l’imputazione penale si riferisca a fatti connessi, ma non identificabili con quello addotto a fondamento dell’azione risarcitoria in sede civile.
Pertanto, la diversita’ dei titoli di responsabilita’ degli obbligati in solido si riflette anche sulla disciplina in tema di prescrizione, in cio’ assumendo rilievo il carattere eterodeterminato del relativo diritto di credito risarcitorio.
Di qui, il principio di diritto – espresso dalla citata Cass. n. 27713/2005 – per cui: “in tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilita’ d’invocare utilmente il piu’ lungo termine di prescrizione stabilito dall’articolo 2947 c.c., u.c., per le azioni di risarcimento del danno se il fatto e’ previsto dalla legge come reato, e’ limitata alle sola obbligazione del primo dei predetti debitori (quella collegata ad un reato). Infatti l’applicabilita’ di tale ultimo comma presuppone che vi sia identita’ tra il fatto costituente reato e quello dal quale scaturisce la responsabilita’ dedotta in sede civile; ed il fatto che ha fatto sorgere l’obbligazione in questione del primo tra i debitori sopra considerati costituisce anche reato; invece tale particolare termine di prescrizione non e’ invocabile con riferimento alle obbligazioni degli altri debitori derivanti da fatti costituenti solo illecito civile (proprio in quanto i fatti medesimi, non sono identificabili con quello rilevante anche penalmente, pur se connessi con quest’ultimo)”.
Tale principio ha poi trovato continuita’ in quello – enunciato da Cass., 7 novembre 2014, n. 23872, proprio in fattispecie di responsabilita’ civile ascritta alla CONSOB – secondo cui: “in tema di prescrizione nel piu’ lungo termine derivante da reato, l’applicazione dell’articolo 2947 c.c., comma 3, all’autorita’ con compiti di vigilanza sul mercato finanziario (CONSOB) chiamata in corresponsabilita’, con l’autore del fatto, per omessa vigilanza presuppone la sussistenza di un titolo di responsabilita’ indiretta per un fatto costituente reato del suo funzionario o dipendente, non potendo quel termine automaticamente estendersi alla medesima autorita’ quando sussista una mera obbligazione solidale a titolo di responsabilita’ civile extracontrattuale di natura omissiva, a norma dell’articolo 2043 c.c., con l’autore del reato, ferma la solidarieta’ risarcitoria ex articolo 2055 c.c.”.
La portata del delineato orientamento in tema di applicabilita’ delle varie disposizioni dell’articolo 2947 c.c. non puo’ dirsi scalfito dal principio enunciato da Cass., 13 gennaio 2015, n. 286 (e, ancor prima, da Cass., 11 giugno 1999, n. 5762), per cui, in tema di responsabilita’ solidale dei danneggianti ex articolo 2055 c.c., ove, ai sensi dell’articolo 2053 c.c., intervenga un giudicato di condanna, la conversione del termine di prescrizione breve del diritto in quello decennale si estende anche ai coobbligati solidali che siano rimasti estranei al giudizio.
In questo caso, e’ proprio l’esplicito riferimento che la stessa norma positiva opera in via generica al “diritto” come oggetto di prescrizione breve (mettendo cosi’ le varie ipotesi di diritti azionabili sullo stesso indistinto piano) che consente di ipotizzare l’estensione della piu’ lunga prescrizione anche alle connesse facolta’ di agire nei confronti di altri soggetti come i coobbligati solidali e, fra questi, i responsabili civili.
2.1.4. – Sicche’, alla luce di quanto sinora evidenziato, in continuita’ con gli orientamenti seguiti dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, va enunciato il seguente principio di diritto:
“in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito imputabile a piu’ danneggianti e determinativo del vincolo solidale di cui all’articolo 2055 c.c., la natura del titolo di responsabilita’ che sostanzia la pretesa del diritto di credito risarcitorio azionato, da un lato, condiziona l’individuazione del termine di durata della prescrizione in base alle varie disposizioni dell’articolo 2947 c.c. (termine che mutera’, quindi, a seconda della consentita estensione della piu’ lunga durata eventualmente stabilita per il fatto-reato, resa possibile ove sussista coincidenza tra quest’ultimo e il fatto determinativo dell’illecito civile); dall’altro lato, detta diversita’ di titoli, e di diritti (eterodeterminati), non incide di per se’ ai fini dell’interruzione del termine di prescrizione di volta in volta rilevante, essendo comunque applicabile l’articolo 1310 c.c., comma 1, in quanto, a tal fine, risulta necessaria e sufficiente l’esistenza del vincolo obbligatorio solidale scaturente dal presupposto dell’unicita’ del “fatto dannoso” ai sensi dell’articolo 2055 c.c., comma 1, che comporta (se non diversamente derogato) l’applicazione del sistema regolativo delle obbligazioni solidali previsto dal legislatore agli articoli 1292 c.c. e ss.”.
2.1.5. – La Corte territoriale ha fatto, dunque, corretto governo di tale principio, ravvisando – in funzione dell’effetto estensivo, ai sensi dell’articolo 1310 c.c., comma 1, dell’interruzione della prescrizione di durata quinquennale ex articolo 2947 c.c., comma 1, dell’illecito civile ascritto alla CONSOB – come cause concorrenti del “fatto dannoso” ex articolo 2055 c.c., patito dagli attori, le diverse (anche sotto il profilo della giuridica configurazione in base a distinte norme violate) condotte illecite a tal fine eziologicamente rilevanti, le une (quelle omissive ascritte alla CONSOB) quale antecedente causale delle seconde (quelle appropriative e distrattive degli amministratori della (OMISSIS)).
“Fatto dannoso” che la Corte di merito ha individuato nella perdita dei risparmi da parte degli investitori, cosi’ da alludere ad una lesione del diritto all’integrita’ del loro patrimonio (ma che, del resto, si e’ risolta in una vera e propria perdita di specifiche somme di denaro e, dunque, di un danno effettivamente correlato ad una ben individuata diminutio patrimonii), che, tuttavia, trova piu’ adeguata qualificazione giuridica come lesione inferta alla posizione soggettiva dei risparmiatori tutelata dall’ordinamento sulla base di specifici indici normativi, precipitato della garanzia costituzionale del risparmio in tutte le sue forme, ai sensi dell’articolo 47 Cost. (in tal senso cfr. Cass. n. 9067 del 2018, cit.).
Qualificazione, questa, che e’, comunque, consentita a questa Corte di legittimita’ proprio perche’ rimangono fermi i fatti accertati nella fase di merito e la domanda di parte (tra le altre, Cass., 17 aprile 2007, n. 9143), giacche’, posto l’accertamento sulla violazione della CONSOB degli obblighi ad essa normativamente imposti, la perdita patrimoniale costituita dagli investimenti dei risparmiatori si viene collocare giuridicamente sul piano delle conseguenze risarcibili (il danno-conseguenze, di cui all’articolo 1223 c.c.), non essendo in contestazione che il perimetro della domanda attorea e l’accertamento giudiziale abbia ricompreso l’ambito del pregiudizio patrimoniale rappresentato dall’anzidetta perdita.
2.1.6. – Cio’ posto, risulta infine inammissibile il profilo di censura volto a criticare l’accertamento della Corte territoriale in punto di sussistenza della fattispecie materiale sussumibile nell’articolo 2055 c.c. e, quindi, sulla concorrenza eziologica delle cause determinative del “fatto dannoso” (ossia delle distinte condotte illecite nella specie implicate) -, investendo essa una quaestio facti il cui apprezzamento e’ riservato al giudice del merito e rimane insindacabile in sede di legittimita’, salvo che per il vizio (non dedotto) di omesso esame di cui al vigente articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3.- Con il terzo motivo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di contraddittorio tra le parti, nonche’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 115 c.p.c., per aver la Corte territoriale, nel liquidare il danno patito dai risparmiatori, posto a fondamento della sua decisione dei documenti gli estratti-conto emessi dal (OMISSIS), amministratore della (OMISSIS) dichiarati falsi, in quanto rappresentativi di realta’ operative e patrimoniali inesistenti, dagli stessi attori, nonche’ ritualmente contestati dalla CONSOB.
3.1.- Il motivo e’ inammissibile, prima ancora che infondato.
Con esso, infatti, non si coglie appieno, e quindi non viene impugnata in modo pertinente e specifico, la ratio decidendi della sentenza impugnata che, lungi dall’omettere l’esame del fatto storico dell’esistenza di estratti-conto rappresentativi di realta’ operative e patrimoniali inesistenti, siccome contestati dalla CONSOB (sebbene in modo generico come evidenziato dal primo giudice e riportato dalla Corte territoriale, cui le deduzioni in ricorso non sono in grado di superare del tutto), ha evidenziato l’inconsistenza della doglianza la’ dove ha posto in luce come il primo giudice avesse sottoposto il contenuto della documentazione prodotta dagli attori (e, peraltro, distinguendo tra documenti ed estratti conto, cosi’ da palesare l’esistenza di un compendio probatorio articolato e non limitato ai soli estratti conto) ad un severo vaglio critico e, quindi (cio’ che piu’ rileva), avesse espunto dalla stessa i soli elementi certi ed utili ai fini decisori, ritenendo, per l’appunto, non provati alcuni importi asseritamente investiti dagli attori.
Le censure, quindi, non si palesano riconducibili al paradigma del vigente articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ne’, peraltro, veicolano una violazione dell’articolo 115 c.p.c. deducibile come vizio di legittimita’, da ravvisarsi solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., 10 giugno 2016, n. 11892).
Cio’ soprattutto in considerazione del fatto che, alla stregua di quanto esposto nello stesso motivo in esame – e tenuto conto che la doglianza non si misura a fondo neppure con il rilievo di genericita’ mosso dal primo giudice e confermato dalla Corte territoriale, rispetto al quale le indicazioni riportate in ricorso, siccome riferibili alle deduzioni nel corso del primo grado, non sono in grado di superarne appieno la portata -, non si evidenzia, rispetto ai documenti contestati, una “falsita’” giuridicamente connotata, oggetto di accertamento giudiziale, bensi’ il diverso profilo di una rappresentazione “di realta’ operative e patrimoniali inesistenti” e, dunque, suscettibile di una valutazione di merito e “caso per caso”, volta ad enucleare – cosi’ come hanno ritenuto i giudici del merito – gli elementi probatoriamente utili, inerenti ai versamenti in denaro effettuati dagli investitori.
4.- Con il quarto motivo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, violazione e falsa applicazione degli articoli 2730 e ss., per non aver la Corte territoriale tenuto conto del valore di prova legale della confessione giudiziale degli attori, i quali hanno sempre attestato la falsita’ degli estratti-conto rappresentativi delle loro posizioni patrimoniali, con conseguente nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 116 c.p.c., comma 1.
In subordine, e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza per non aver considerato quantomeno come argomenti di prova ex articolo 116 c.p.c. le ammissioni contenute negli scritti difensivi e le risultanze di documenti prodotti in giudizio da controparte relativi al procedimento penale culminato con la condanna degli esponenti della (OMISSIS) ad opera della sentenza penale n. 9611/2005 del Tribunale di Milano, che, nel concorso tra loro, potevano offrire la prova piena circa la falsita’ degli estratti-conto consegnati dal (OMISSIS) agli attori.
4.1. – Il motivo e’ inammissibile.
Le dichiarazioni contenute negli atti processuali possono assumere il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dall’articolo 229 c.p.c., purche’ sottoscritte dalla parte personalmente, con modalita’ tali da rivelare inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche ammissioni dei fatti sfavorevoli cosi’ espresse.
Ne consegue che non ha efficacia confessoria la mera sottoscrizione della procura apposta a margine o in calce all’atto recante la dichiarazione, in quanto la procura e’ elemento giuridicamente distinto dal contenuto espositivo dell’atto cui accede, pur potendo tale dichiarazione contra se fornire elementi indiziari di giudizio (Cass., 18 marzo 2014, n. 6192; Cass., 1 dicembre 2016, n. 24539).
In tale prospettiva, la censura – che deduce la violazione dell’articolo 2730 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c., per non aver il giudice di merito ascritto valore di prova legale alla confessione giudiziale – e’ affatto generica, mancando di dare contezza, congruente e specifica, dell’orientamento inequivoco delle ammissioni delle parti attrici, tenuto conto, soprattutto, di quanto gia’ posto in evidenza, in sede di scrutinio del motivo che precede, circa il carattere valutativo delle circostanze inerenti alla “falsita’” degli estratti-conto.
Quanto, poi, alle restanti doglianze, esse, lungi dal dar luogo ad una violazione dell’articolo 116 c.p.c. deducibile con il ricorso per cassazione (cfr. Cass. n. 11892 del 2016, cit.), si risolvono in una critica della valutazione delle prove riservata al giudice del merito, non solo insindacabile in sede di legittimita’ (salvo il vizio, non dedotto, di cui al vigente n. 5 dell’articolo 360 c.p.c.), ma che, peraltro, si infrange anche con quanto gia’ rilevato in sede di esame del motivo che precede circa l’esistenza di un piu’ ampio corredo probatorio e valutazione di merito sulla “falsita’” degli estratti-conto.
5.- Con il quinto mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 112, 342, 345 e 352 c.p.c., per non essersi il Giudice di gravame pronunciato sul motivo d’appello relativo alla falsita’ degli estratti-conto sollevato da CONSOB, nonche’ per mancanza grafica di motivazione circa l’ammissibilita’ e l’utilizzabilita’, quale prova esclusiva del danno patito dai risparmiatori, degli estratti-conti falsi.
5.1.- Il motivo e’ infondato, poiche’ – come gia’ messo in luce con lo scrutinio dei motivi che precedono – la Corte d’appello non ha omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame inerente alla falsita’ di alcuni documenti, ma ha argomentato su come il Tribunale abbia sottoposto il contenuto della documentazione prodotta dagli attori ad un severo vaglio critico, espungendo dalla stessa i soli elementi certi ed utili ai fini decisori, ritenendo, per l’appunto, non provati alcuni importi asseritamente investiti dagli attori.
Ricorso incidentale di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Veronica (OMISSIS) e (OMISSIS).
6. – Preliminarmente, e’ destituita di fondamento l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso incidentale per invalidita’ della procura alle liti, dovendo ribadirsi – in continuita’ con orientamento gia’ consolidato (Cass., 19 dicembre 2008, n. 29785; Cass., 5 novembre 2012, n. 18915) – che la procura per il ricorso per cassazione e’ validamente conferita, soddisfacendo il requisito di specialita’ di cui all’articolo 365 c.p.c., anche se apposta su di un foglio separato, purche’ materialmente unito al ricorso e benche’ non contenente alcun riferimento alla sentenza impugnata o al giudizio da promuovere, in quanto, ai sensi dell’articolo 83 c.p.c. (come novellato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141), si puo’ ritenere che l’apposizione topografica della procura sia idonea salvo diverso tenore del suo testo (che, nella specie, non e’ dato desumere dalla mera indicazione del luogo di rilascio “Milano-Roma”) a fornire certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a far presumere la riferibilita’ della procura medesima al giudizio cui l’atto accede. Ne’ la mancanza di data produce nullita’ della predetta procura, dovendo essere apprezzata con riguardo al foglio che la contiene alla stregua di qualsiasi procura apposta in calce al ricorso, per cui la posteriorita’ del rilascio della procura rispetto alla sentenza impugnata si desume dall’intima connessione con il ricorso cui accede e nel quale la sentenza e’ menzionata, mentre l’anteriorita’ rispetto alla notifica risulta dal contenuto della copia notificata del ricorso.
7.- Con il primo mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, per non aver la Corte territoriale statuito sull’eccezione di inammissibilita’ delle nuove domande formulate dalla CONSOB in sede di gravame e relative alla richiesta di graduazione di responsabilita’ e/o di limitazione della condanna, nonche’ per non aver statuito in merito all’inammissibilita’ del doc. 2 della comparsa di costituzione di CONSOB in quanto nuovo e mai prodotto nel precedente grado di giudizio.
7.1.- Il motivo e’ inammissibile in tutta la sua articolazione.
E’ assorbente rilevare, a prescindere da ulteriori profili di inammissibilita’, che, essendo i ricorrenti incidentali totalmente vittoriosi in appello in punto di affermazione della responsabilita’ della CONSOB e avendo assunto tale statuizione carattere di definitivita’ con il rigetto del ricorso principale, la loro impugnazione (che investe una questione preliminari di rito, ossia l’omessa pronuncia su motivi di gravame, cosi’ da intendersi correttamente la complessiva censura, seppur prospettata erroneamente: cfr. Cass., S.U., 24 luglio 2013, n. 17931), da qualificarsi come condizionata, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte (Cass., S.U., 6 marzo 2009, n. 5456; Cass., S.U., 25 marzo 2013, n. 7381; Cass., 6 marzo 2015, n. 4619), e’ inammissibile, poiche’ priva di attuale interesse e diretta solo ad incidere sulla motivazione della sentenza impugnata (tra le molte, Cass., 19 marzo 2007, n. 6519; Cass., 24 marzo 2010, n. 7057; Cass., 16 gennaio 2015, n. 658).
8.- Con il secondo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 115 c.p.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, per aver erroneamente la Corte territoriale confermato, in favore degli attori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la liquidazione del danno nella minor misura determinata dal primo Giudice, nonostante sussistesse, a sostegno del maggior pregiudizio patito, una specifica, completa ed esaustiva documentazione probatoria.
La Corte di appello avrebbe errato, infatti, nel ritenere, ai fini della liquidazione del danno, che nel corso del primo giudizio non vi sia stata alcuna espressa segnalazione circa l’involontaria incompletezza del fascicolo di parte idonea ad imporre al Tribunale di ordinare la ricerca o di disporne la ricostruzione, in quanto tali documenti non erano mancanti, ma erano presenti all’interno del fascicolo di parte, sebbene disposti in maniera disordinata.
Il giudice di secondo grado avrebbe, inoltre, omesso di pronunciarsi sui documenti, depositati in sede di gravame dai presenti ricorrenti, volti a dimostrare l’errore materiale in cui il Giudice di primo grado era caduto.
E’ poi dedotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per non aver il giudice di gravame statuito in ordine al difetto di rappresentanza dell’avv. (OMISSIS), lamentando, in aggiunta, anche per il presente giudizio di cassazione, un difetto di rappresentanza in capo agli avvocati (OMISSIS), in quanto privi, alla data del ricorso, della qualita’ di patrocinanti in Cassazione.
8.1.- Il motivo e’ inammissibile in tutta la sua articolazione.
Lo e’, anzitutto, in riferimento, alla dedotta violazione dell’articolo 2697 c.c., in quanto prospettata in modo inconferente rispetto alla statuizione impugnata, la quale non pone affatto in discussione il principio secondo cui il vulnus alla predetta norma si configura solo se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598).
La Corte territoriale si e’, invece, attenuta al diverso e pertinente principio – non confliggente con quello appena ricordato – per cui e’ onere dell’appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se gia’ prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame, o comunque attivarsi (anche ex articolo 76 disp. att. c.p.c. e articolo 210 c.p.c.) perche’ questi documenti possano essere sottoposti all’esame del giudice di appello (tra le molte, Cass., 22 gennaio 2013, n. 1462). Con la precisazione che, ove sussistano i presupposti per la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti (ossia mancanza non imputabile alla parte, smarrimento o sottrazione) e il giudice non disponga in tal senso, tale omissione puo’ tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare un siffatto vizio in sede di legittimita’ ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa (Cass., 28 giugno 2017, n. 16212).
Per contro, i ricorrenti deducono l’esistenza di una situazione di fatto in contrasto palese con l’accertamento del giudice del merito, della quale situazione, inoltre, mancano di dare contezza puntuale e specifica tramite gli atti del processo che in ipotesi possano corroborare l’assunto, la’ dove, peraltro, si palesa intimamente contraddittoria con la premessa – completezza del fascicolo di parte sotto il profilo della produzione documentale – l’ulteriore e connessa doglianza che lamenta l’omessa pronuncia sui documenti depositati in sede di gravame al fine dimostrare l’errore commesso dal primo giudice.
E’ inammissibile, altresi’, la deduzione, sotto piu’ profili, del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, integrando essa – alla luce di una corretta qualificazione delle censure -, piuttosto la prospettazione di errores in procedendo, da ricondursi al n. 4 del citato articolo 360 c.p.c., in quanto attinenti ad omessa pronuncia su motivi di gravame (salvo che per la doglianza che investe il presente giudizio di legittimita’).
Anche cosi’ diversamente qualificate (cfr. Cass., S.U., n. 17931 del 2013, cit.), le censure non superano il vaglio di ammissibilita’, in quanto affatto generiche in punto di indicazione, anche per sintesi, degli atti processuali su cui si fondano e sulla loro localizzazione processuale, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (quali oneri che i ricorrenti avrebbero dovuto assolvere puntualmente: tra le molte, Cass., S.U., 22 maggio 2012, n. 8077).
Quanto, poi, alla doglianza che contesta la validita’ del ricorso per cassazione della CONSOB, essa, oltre ad essere inammissibile per le ragioni appena esposte, si infrange (anche ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c., n. 1) contro il principio per cui la certificazione dell’autografia della sottoscrizione della parte, apposta sulla procura speciale ad litem rilasciata in calce o a margine del ricorso (o del controricorso) per cassazione da parte di avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi alla Suprema Corte, costituisce una mera irregolarita’, che non comporta la nullita’ della procura, allorche’ l’atto (come nella specie non contestato) sia stato firmato anche da altro avvocato iscritto nell’albo speciale e indicato come codifensore (tra le tante, Cass., 12 ottobre 2018, n. 25385).
9.- Con il terzo mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. e dell’articolo 112 c.p.c., per aver erroneamente la Corte d’appello confermato la statuizione di primo grado in punto di limitazione degli interessi sulla sorte capitale alla data del 28 dicembre 2005, in quanto l’obbligazione del risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale configura un debito di valore e non di valuta, sia per quanto riguarda il danno emergente che il lucro cessante.
9.1. – Il motivo e’ infondato.
Non e’, infatti, ravvisabile alcuna omessa pronuncia nella statuizione della Corte di appello di conferma della decisione di primo grado circa la limitazione degli interessi sulla sorte capitale fino al 28 dicembre del 2005, in quanto cosi’ dalle stesse parti richiesto espressamente con la memoria ex articolo 183 c.p.c. e ribadito in sede di precisazione delle conclusioni, riportandosi all’originario atto di citazione e ai successivi atti, la’ dove – come correttamente ritenuto dal giudice di appello – non poteva avere rilievo modificativo della domanda il tenore della comparsa conclusionale ai sensi dell’articolo 190 c.p.c., su cui, peraltro, tutta la censura si impernia al fine di depotenziare l’assetto del thema decidendum cristallizzatosi sino alla precisazione delle conclusioni e, come tale, in alcun modo contestato.
Difatti, nell’interpretazione della domanda giudiziale il giudice del merito incontra un duplice ordine di limiti, consistente nel rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e nel divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella espressamente e formalmente proposta.
Egli, pertanto, deve tenere conto dei limiti oggettivi della domanda, quali risultano non soltanto dal contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, ma anche dalle conclusioni definitive precisate dopo la chiusura dell’istruzione, poste in relazione con la citazione e con le eventuali modifiche e trasformazioni delle conclusioni originarie, mentre non puo’ desumere il concreto contenuto della domanda giudiziale dalla comparsa conclusionale la quale, ai sensi dell’articolo 190 c.p.c., ha un carattere meramente illustrativo delle conclusioni gia’ fissate davanti all’istruttore (tra le altre, Cass., 25 febbraio 2019, n. 5402).
In tal senso, non e’ dato apprezzare alcuna violazione dell’articolo 2043 c.c., giacche’ la decisione non ha messo in discussione (ne’ ha provveduto in contrasto con) il principio consolidato della natura di debito di valore del credito risarcitorio per illecito extracontrattuale, costituendo tale obbligazione di risarcimento del danno sottratta al principio nominalistico, per cui la rivalutazione monetaria e’ dovuta a prescindere dalla prova della svalutazione monetaria da parte dell’investitore danneggiato ed e’ quantificabile dal giudice, anche d’ufficio, tenendo conto della svalutazione sopravvenuta fino alla data della liquidazione (tra le altre, Cass. n. 4587 del 2009, cit.).
Posto, in ogni caso, che il diritto al risarcimento del danno ex articolo 2043 c.c. e’ un diritto disponibile, la Corte territoriale ha, quindi, confermato la decisione di primo grado in quanto rispettosa del principio della domanda di parte (articolo 112 c.p.c.), siccome precisata nella portata puntuale fatta valere con la memoria ex articolo 183 c.p.c. e confermata in sede di precisazione di conclusioni, cio’ che, dunque, impediva al Tribunale di attivare i propri poteri officiosi, se non provvedendo, illegittimamente, ultra petita.
10.- Con il quarto mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2947 c.c., nonche’ omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver erroneamente il giudice di appello ritenuto applicabile al caso concreto il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, anziche’ il piu’ lungo termine corrispondente al reato d’abuso d’ufficio.
10.1.- Il motivo – che investe una questione preliminare di merito in punto di an debeatur delle pretese azionate – e’ inammissibile per le stesse ragioni esposte in sede di scrutinio del primo motivo del ricorso incidentale (sub § 7.1.), cui si rinvia integralmente.
11.- Con il quinto mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 323 c.p., per aver la Corte territoriale erroneamente escluso, in favore degli attori, il risarcimento del danno morale da reato, assumendo che essi si erano limitati a descrivere le sole condotte materiali, omettendo di considerare l’elemento soggettivo del reato.
11.1. – Il motivo e’ inammissibile.
Con esso, infatti, non e’ censurata specificamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, non avendo i ricorrenti incidentali dato contezza di aver dedotto, tempestivamente in primo grado, allegazioni in fatto, puntuali e congruenti, circa tutti gli elementi della fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 323 c.p.c. a carico dei funzionari della CONSOB e, segnatamente, del dolo specifico (ossia che il comportamento degli stessi fosse intenzionalmente diretto a favorire la (OMISSIS)) all’uopo richiesto dalla norma penale e che la Corte territoriale, con decisione corretta in iure, ha ritenuto necessario affinche’ potesse semmai reputarsi concretato un reato e, quindi, sussistente il risarcimento del danno morale ai sensi dell’articolo 185 c.p..
Conclusioni.
12. – Vanno, dunque, rigettati sia il ricorso principale, che quello incidentale, con compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimita’ in ragione della reciproca soccombenza.
Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede.

P.Q.M.

rigetta entrambi i ricorsi, principale e incidentale, e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia dei ricorrenti principali, che dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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