Predeterminazione del canone in una misura differenziata e crescente

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 novembre 2021| n. 33884.

Predeterminazione del canone in una misura differenziata e crescente.

Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati a uso diverso da quello di abitazione, devono ritenersi legittimi, tanto il patto con il quale le parti, all’atto della conclusione del contratto, predeterminano il canone in una misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; quanto il patto successivo con il quale le parti provvedono consensualmente, nel corso del rapporto, a stabilire una misura del canone diversa da quella originariamente stabilita; la legittimità di tali patti (iniziali o successivi) dev’essere peraltro esclusa là dove risulti (dal testo del patto o da elementi extratestuali) che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall’articolo 32 della legge 392/1978 (nella formulazione originaria e in quella novellata dall’articolo 1, comma 9-sexies, della legge 118/1985), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo articolo 79, primo comma, della stessa legge.

Ordinanza|12 novembre 2021| n. 33884. Predeterminazione del canone in una misura differenziata e crescente

Data udienza 20 ottobre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Locazione – Locazione ad uso diverso dall’abitazione – Risoluzione – Inadempimento del conduttore – Pagamento canoni non corrisposti e restituzione – Scadenza – Novazione – Aumento entità canone – Condizioni legittimità clausola – Causa petendi – Qualificazione giuridica da parte del giudice

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 7553/2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2118/2018 emessa dalla CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA depositata in data 15/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/10/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Predeterminazione del canone in una misura differenziata e crescente

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 15/11/2018, la Corte d’appello di L’Aquila, in accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS) e in riforma della decisione di primo grado, ha pronunciato la risoluzione del contratto di locazione per uso diverso da quello di abitazione concluso tra il (OMISSIS) (quale locatore) e (OMISSIS) (in qualita’ di conduttrice) per inadempimento di quest’ultima, con la conseguente condanna della (OMISSIS) al pagamento di quanto dovuto alla controparte a titolo di canoni non corrisposti e alla restituzione, in favore dello stesso (OMISSIS), di quanto ricevuto ad esito della sentenza di primo grado.
2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come le parti avessero validamente provveduto, in occasione della seconda scadenza contrattuale (prevista per il 2008), alla novazione del contratto di locazione originariamente concluso (in data 26/5/1996), concordando, in tal senso, un significativo aumento dell’entita’ inziale del canone di locazione, senza incorrere in alcuno dei limiti previsti della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79, attesa la piena facolta’ dei contraenti di procedere liberamente alla rideterminazione del canone di locazione, non gia’ in pendenza di rapporto, (bensi’) in concomitanza temporale alla sua scadenza naturale.
Cio’ posto, accertata la validita’ del patto modificativo del canone di locazione, e rilevato l’inadempimento della (OMISSIS) in relazione all’obbligazione di pagamento delle maggiori somme concordate, il giudice a quo ha pronunciato la risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice e la conseguente condanna di quest’ultima alla corresponsione di quanto dovuto;
3. Avverso la sentenza d’appello, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di nove motivi d’impugnazione.
4. (OMISSIS) resiste con controricorso.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, (OMISSIS) si duole della nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 437 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), per essere la corte territoriale incorsa nella violazione del principio che fa divieto al ricorrente originario di modificare la domanda nel corso del processo, avendo il (OMISSIS), dapprima invocato, all’atto dell’instaurazione del giudizio, la risoluzione del contratto di locazione originariamente concluso tra le parti nel 1996, e, successivamente richiesto (per la prima volta in sede di appello) la risoluzione dell’accordo modificativo concluso nel 2008, deducendo a tal fine (anche in tal senso per la prima volta in appello) il valore decisivo della disdetta del primo contratto comunicata alla controparte ai fini della qualificazione del contestuale accordo modificativo del canone alla stregua di un fatto novativo del negozio originario.
2. Il motivo e’ infondato.
3. Osserva il Collegio come la corte territoriale abbia correttamente rilevato l’avvenuta allegazione, da parte del locatore, gia’ nel corso del giudizio di primo grado, di tutte le circostanze di fatto che, in sede d’appello, la stessa corte ha diversamente qualificato ai fini della decisione di riforma della sentenza emessa dal primo giudice.
4. In tal senso, secondo quanto coerentemente emerso nella sentenza impugnata, il (OMISSIS) risulta aver costantemente fondato la propria domanda di risoluzione contrattuale (tanto in primo grado, quanto in sede di gravame) sempre e comunque sui fatti denunciati come espressivi dell’inadempimento, da parte della conduttrice, delle obbligazioni di pagamento riferite agli accordi modificativi conclusi nel 2008 (non essendo risultato alcun inadempimento della (OMISSIS) in relazione ad eventuali precedenti debiti); e risulta altresi’ aver costantemente rivendicato, in relazione all’inadempimento di dette obbligazioni, una pronuncia comunque volta a estinguere ogni vincolo contrattuale assunto tra le parti in ordine alla concessione in godimento del medesimo immobile.

 

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5. Da questo punto di vista, del tutto legittimamente la corte territoriale ha rivendicato l’appartenenza, al proprio potere di qualificazione giuridica dei fatti (tutti tempestivamente allegati dal (OMISSIS) sin dal primo grado del giudizio), della facolta’ di ricostruirne il significato sul piano della strutturazione giuridica della relazione contrattuale sottoposta al suo esame, senza che, da tale ricostruzione, sia concretamente emerso alcun apprezzabile pregiudizio (peraltro, in questa sede neppure minimamente dedotto dalla ricorrente) a carico delle facolta’ di difesa della (OMISSIS).
6. Al riguardo, varra’ richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale – mentre il giudice d’appello incorre nel vizio di extrapetizione allorche’ pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato – non e’ precluso, invece, allo stesso giudice l’esercizio del potere-dovere di attribuire al rapporto controverso una qualificazione giuridica diversa da quella data in prime cure con riferimento alla individuazione della causa petendi, dovendosi riconoscere a detto giudice il potere-dovere di definire l’esatta natura del rapporto dedotto in giudizio onde precisarne il contenuto e gli effetti, in relazione alle norme applicabili, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell’atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al suo esame (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 21244 del 29/09/2006, Rv. 593976 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7620 del 31/03/2006, Rv. 589275 – 01).
7. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79 (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto legittima la convenzione con la quale le parti ebbero a modificare, in corso di rapporto, l’entita’ del canone di locazione originariamente convenuto, in contrasto con l’espresso divieto delle norme di legge invocate in questa sede a tutela delle ragioni del conduttore.

 

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8. Il motivo e’ infondato.
9. Osserva il Collegio come, con riguardo al punto concernente il potere delle parti del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione di determinare liberamente la misura del canone, questa Corte abbia di recente affermato (in relazione al diverso tema del cosiddetto “calettamento” del canone di locazione) il principio in forza del quale, in tema di locazioni ad uso diverso da quello di abitazione, e’ legittima la pattuizione di un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, sia con pagamento di rate predeterminate per ciascun segmento temporale, sia con il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi piu’ brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, sia correlando l’entita’ del rateo all’incidenza di elementi e fatti predeterminati influenti sull’equilibrio sinallagmatico, ferma l’illegittimita’ della clausola (risultante anche da elementi extratestuali) che invece persegua il solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria in elusione dei limiti imposti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32, cosi’ incorrendo nella nullita’ ex articolo 79 della medesima Legge (v. Sez. 3, Sentenza n. 22908 del 10/11/2016, Rv. 642971 – 01).
10. Nell’affermare tale principio – in quell’occasione specificamente riferito alla predeterminazione iniziale di misure differenti del canone nel corso del rapporto, ma riconducibile ad un’unica coerente linea di pensiero suscettibile di una lettura estensibile al caso in esame (relativo a una modificazione dell’entita’ del canone concordato in corso di rapporto) – la Corte ha rilevato come, secondo un’argomentazione sovente richiamata a proposito del patto di determinazione differenziata nel tempo del canone di una locazione commerciale, la nullita’ di tale patto discenderebbe dal combinato disposto della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79, dovendo ritenersi che, ove le parti non abbiano vincolato detta determinazione differenziata al ricorso di elementi oggettivi e predeterminati, idonei a influire sull’equilibrio economico degli interessi contrattualmente disposti, tale patto non possa che esprimere una sostanziale volonta’ elusiva del divieto stabilito dall’articolo 32 cit., ai sensi del quale l’aggiornamento periodico del canone di una locazione commerciale non puo’ avere luogo in termini quantitativamente superiori al 75% dell’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’Istat per le famiglie di operai e impiegati per ciascuna annualita’ di rapporto.

 

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11. Tale impostazione era sembrata trovare riscontro nel vigore di principi fatti propri da diversi arresti della giurisprudenza di legittimita’, testualmente tramandatisi attraverso la formula secondo la quale: “In relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo in materia di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola convenzionale, che prevede future maggiorazioni del canone diverse dall’aggiornamento della L. n. 392 del 1978, ex articolo 32, per qualificarsi legittima, deve chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati, desumibili dal contratto e tali da essere idonei ad influire sull’equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta” (Sez. 3, Sentenza n. 19475 del 06/10/2005, Rv. 584778).
12. Una medesima enunciazione del principio di diritto era sembrata caratterizzare pronunce di analogo tenore (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1070 del 01/02/2000, Rv. 533312; Sez. 3, Sentenza n. 9227 del 12/07/2000, Rv. 538386; Sez. 3, Sentenza n. 11320 del 21/07/2003, Rv. 565302), apparendo talora equivalente (o in larga misura assimilabile) ad altre formulazioni desumibili dalle sentenze rese da Sez. 3, Sentenza n. 2770 del 08/03/ 1993, Rv. 481314; Sez. 3, Sentenza n. 4474 del 15/04/1993, Rv. 481851; Sez. 3, Sentenza n. 9878 del 22/11/1994, Rv. 488760; Sez. 3, Sentenza n. 5632 del 24/06/1997, Rv. 505418; Sez. 3, Sentenza n. 6695 del 03/08/1987, Rv. 454914; Sez. 3, Sentenza n. 5349 del 05/03/2009, Rv. 606954; Sez. 3, Sentenza n. 19475 del 06/10/2005, Rv. 584778; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10834 del 17/05/2011, Rv. 618213; Sez. 3, Sentenza n. 17061 del 28/07/2014, Rv. 632144;
13. In termini che erano, viceversa, apparsi alludere a una diversa impostazione, la giustificazione della legittimita’ del patto di determinazione differenziata nel tempo del canone della locazione non abitativa si era venuta richiamando ai principi contenuti in altri arresti della Corte di cassazione, secondo i quali “Il riferimento, contenuto nell’originaria formulazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 32, alla possibilita’ che il canone locativo degli immobili destinati per uso non abitativo sia concordato secondo misure contrattualmente stabilite e, quindi, differenziate nel loro importo, e’ espressione del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo degli immobili destinati ad uso non abitativo, al quale la stessa norma deroga eccezionalmente solo per le clausole di aggiornamento per variazioni del potere di acquisto della moneta, o clausole Istat, con una disposizione che non puo’ essere estesa, per analogia, alle altre clausole contrattuali volte ad incrementare, secondo la comune intenzione delle parti, il valore reale del corrispettivo per diverse e successive frazioni del medesimo rapporto e che debbono, pertanto, ritenersi valide a meno che non sia in concreto accertata la loro funzione elusiva del citato limite posto dall’articolo 32 (Sez. 3, Sentenza n. 8883 del 19/08/1991, Rv. 473538).

 

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14. A tale formulazione appaiono riconducibili, tra le altre, le massime ricavabili da Sez. 3, Sentenza n. 1683 del 26/02/1999, Rv. 523684; Sez. 3, Sentenza n. 6246 del 25/05/1992, Rv. 477371).
15. La sostanza della divergenza tra gli orientamenti ricordati sembro’ emergere in relazione al ruolo rivestito dal richiamo, operato dalle parti, al ricorso di elementi obiettivi e predeterminati, diversi e autonomi dalla svalutazione monetaria, idonei a influire sull’equilibrio economico del piano contrattuale; da un lato assumendo, detto richiamo (ove naturalmente corrispondente a un effettivo dato di realta’), la veste di una condizione preliminare al cui soddisfacimento parrebbe subordinato il libero dispiegamento della liberta’ contrattuale delle parti; dall’altro limitandosi, il significato di detti elementi, a costituire semplici indici strumentali (di per se’ non esclusivi) per la determinazione obiettiva, al momento della conclusione del contratto, dell’entita’ esatta degli oneri economici corrispettivi connessi al godimento dell’immobile locato.
16. Posti cosi’ i termini della questione, nel ricostruire l’evoluzione dinamica della giurisprudenza di legittimita’ sul punto in esame, la pronuncia richiamata in origine (Sez. 3, Sentenza n. 22908 del 10/11/2016, Rv. 642971 – 01) osservo’ come la Corte di legittimita’, gia’ in epoca di poco successiva all’approvazione della legge sulle locazioni di immobili urbani (L. n. 392 del 1978), ebbe a puntualizzare (con la sentenza Sez. 3, n. 6695 del 03/08/1987), sul piano interpretativo, la necessita’ di non disperdere il significato dei diversi termini (selezionati, dal legislatore del tempo, con preciso rigore) destinati a contrassegnare le differenti ragioni potenzialmente suscettibili di influire, nel corso del rapporto, sull’entita’ monetaria del canone di locazione.

 

Predeterminazione del canone in una misura differenziata e crescente

17. Da questo punto di vista – segnalava gia’ al tempo la riflessione del giudice di legittimita’ -, deve ritenersi radicalmente inammissibile una confusione tra i concetti di aumento del canone (di locazione dello stesso immobile secondo contratti succedentesi nel tempo, anche per via di rinnovazione); di determinazione differenziata del canone (correlativamente a periodi compresi nella durata del medesimo rapporto contrattuale) e di aggiornamento del canone (in dipendenza della perdita del potere di acquisto della moneta verificatasi durante la pendenza del medesimo rapporto contrattuale).
18. Sotto il profilo storico, giovera’ ricordare come la larga diffusione assunta, nella pratica del commercio delle locazioni in tempi di crescente inflazione, dalle clausole di adeguamento dei canoni (cosi’ dette clausole Istat), costrinse il legislatore a occuparsene a salvaguardia del regime di blocco dei canoni stessi, allora vigente (cfr. del Decreto Legge 24 luglio 1973, n. 426, articolo 1).
19. Tuttavia, gia’ con riferimento alla legislazione vincolistica, la giurisprudenza di questa Corte non manco’ di segnalare la non confondibilita’ (concettuale e di regolamento normativo) tra clausole di adeguamento Istat e patti di aumento del canone: in quanto l’aumento implica un accrescimento, non solo dell’espressione monetaria, ma anche del valore reale del corrispettivo dovuto dal conduttore, mentre l’adeguamento importa soltanto una variazione della quantita’ monetaria, fermo rimanendo il suo valore effettivo (cfr. tra le altre Cass. n. 6574 e n. 4958 del 1979 e, segnatamente, Cass. n. 2758 del 1976).
20. Successivamente, introdotta con la L. n. 392 del 1978, la predeterminazione legale del livello massimo del canone di locazione per gli immobili adibiti ad uso abitativo secondo parametri oggettivi, rimase viva l’esigenza di salvaguardare l’equilibrio economico effettivo tra prestazione e controprestazione a fronte nella sopravvenienza, in pendenza del rapporto a durata vincolata, di elementi influenti su detto equilibrio, e si ebbe cura di distinguere l’aggiornamento (articolo 24) da l’adeguamento del canone (articolo 25), a seconda che il mutamento avesse inciso sul potere di acquisto della moneta, e cioe’ sul valore reale della prestazione del conduttore, oppure su parametri e coefficienti correttivi ex articoli 13 e 15, e cioe’ sul valore reale della prestazione del locatore.
21. In materia di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, meno pressante era stata considerata l’esigenza di disciplinare l’aggiornamento del canone (vale a dire la validita’ o meno delle c.d. clausole Istat) una volta rimessa all’incontro della libera volonta’ delle parti, secondo le leggi di mercato, la determinazione convenzionale del canone.

 

Predeterminazione del canone in una misura differenziata e crescente

22. E tuttavia, sia per amore di simmetria, sia in considerazione dei problemi connaturati alla notevole durata del rapporto locatizio, venne introdotto l’articolo 32 (poi sostituito dalla L. n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9-sexies, di portata assai piu’ liberale).
23. Quale che fosse il grado della sua pratica realizzabilita’, la finalita’ perseguita dalla citata norma, nell’originaria e nella novellata formulazione, sembro’ potersi individuare in quella di dissuadere i contraenti da una spesso arbitraria previsione a lungo termine circa la flessione del potere di acquisto della moneta nell’arco dell’intera durata del rapporto, neutralizzandone in partenza gli effetti futuri attraverso una lievitazione del livello del corrispettivo preteso per concedere il godimento dell’immobile (ma cosi’ anticipando all’attualita’ l’incidenza negativa sul costo medio della vita di un evento temuto quale l’inflazione nel futuro); dissuasione suggerita concedendo alle parti di convenire (contestualmente alla stipulazione del contratto o successivamente) la variazione del canone secondo una percentuale ancorata all’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.
24. Si resta comunque e sempre nel campo del vero e proprio aggiornamento del canone che, con costante precisione terminologica, il legislatore utilizza per individuare il fenomeno del mantenimento (almeno tendenziale) del valore reale della prestazione del conduttore incidente sull’equilibrio del sinallagma – nonostante la variabilita’ della sua espressione monetaria in dipendenza della flessione nel tempo del potere di acquisto della lira (quale divisa corrente al tempo della c.d. legge sull’equo canone).
25. Questa revisione riequilibratrice, e i limiti della sua operativita’, nulla hanno a che vedere (con evidenza) con il diverso campo dell’incondizionata facolta’ per le parti (secondo la loro libera valutazione espressa, tanto al momento della stipulazione del contratto, quanto nel corso del rapporto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo) di assicurare al locatore un corrispettivo maggiore, in termini di valore reale e non nominalistica, rispetto a quello goduto in occasione di un precedente rapporto contrattuale (e cioe’ un aumento del canone in senso proprio); oppure di assicurare al locatore un corrispettivo crescente – sempre in termini di valore reale – durante l’arco di svolgimento dello stesso rapporto, sia prevedendo il pagamento di rate quantitativamente differenziate, sia prevedendo il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali piu’ brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, in difetto dell’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione delle parti, sull’equilibrio economico del sinallagma (ipotesi di canone differenziato).
26. E’ invero di agevole intuizione che il valore locativo dello stesso immobile urbano adibito ad uso commerciale possa – data la non breve e non riducibile durata legale minima del rapporto locatizio – subire variazione in dipendenza dello sviluppo urbano, della dotazione di maggiori servizi nella zona, della concentrazione di immobili destinabili ad uso concorrenziale, o di altri infiniti fattori estrinseci.
27. Di essi non puo’ essere interdetto ai contraenti di tenere il debito conto ai fini dell’accordo sul corrispettivo, nel senso di rendere compartecipe il locatore dell’incremento nel tempo della redditivita’ da posizione dell’immobile locato, attraverso meccanismi o formule di accrescimento del valore reale del canone ancorati a parametri certi e determinati (non escluso quello rappresentato dal volume degli affari del commerciante conduttore), ma anche attraverso una revisione consensuale della misura del canone nel corso del rapporto.

 

Predeterminazione del canone in una misura differenziata e crescente

28. Controindicazioni a quanto ora affermato non possono essere desunte dall’articolo 32; e cio’, non tanto perche’ nel testo originario di quella norma la previsione che il canone fosse dovuto secondo misure (al plurale) contrattualmente stabilite lasciasse sottintendere che le misure stesse fossero anche differenziate nel loro importo; quanto e soprattutto perche’ il principio generale e immanente della libera determinazione convenzionale del canone locatizio (per immobili destinati ad uso non abitativo) soffre, attraverso quella disposizione, di una deroga eccezionale limitatamente alla valenza delle clausole di aggiornamento per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta, o clausole Istat, la quale mai potrebbe essere estesa, per via di interpretazione analogica, al di fuori del predetto settore e con riferimento ad altre clausole contrattuali o a patti successivi volti a incrementare giusta la comune intenzione delle parti – il valore reale del corrispettivo nel corso del rapporto.
29. Tanto precisato, non puo’ peraltro essere elusa la considerazione che, ragionando in termini di realismo economico, un accrescimento del valore effettivo del corrispettivo mai potrebbe essere conseguito dal locatore se non previa depurazione dal suo importo monetario di una quota corrispondente alla compensazione del decremento, nel tempo, del potere di acquisto della moneta.
30. Si pone pertanto, in sede di interpretazione negoziale, il problema di stabilire se, mediante la formula adottata per la determinazione di canoni differenziati e crescenti per frazioni di tempo, o attraverso la stipulazione di patti modificativi del canone in corso di rapporto, i contraenti abbiano in realta’ perseguito lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti negativi della svalutazione monetaria (con eventuale surrettizia elusione, sanzionabile ai sensi dell’articolo 79, dei limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32), oppure abbiano di comune accordo inteso riconoscere al locatore, in misura dinamica, una maggiore fruttuosita’ in termini reali del ceduto godimento dell’immobile.
31. Ma trattasi di problema di accertamento della volonta’ delle parti contraenti e dello scopo comune verso cui esse dirigono, affidato al potere discrezionale del giudice del merito.
32. Sulla base delle considerazioni che precedono, pertanto, dev’essere riaffermato il principio della piena e incondizionata liberta’ delle parti di assicurare al locatore un corrispettivo crescente – sempre in termini di valore reale – durante l’arco di svolgimento dello stesso rapporto (cio’ che costituisce la regola); e cio’, salvo che le stesse parti non abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria (cio’ che costituisce l’eccezione).
33. In mancanza di prova dell’intento elusivo delle parti, il patto di determinazione differenziata del canone per frazioni di tempo successive, cosi’ come il patto successivamente intercorso tra le parti al fine di modificare in aumento (ma anche in diminuzione: cfr., al riguardo, con riferimento al contratto di locazione abitativa, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 29834 del 12/12/2017, Rv. 647187 – 01) l’entita’ del canone, devono ritenersi comunque validi, dovendo pertanto essere affermato (e in parte ribadito) il seguente principio di diritto:
“Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione, devono ritenersi legittimi, tanto il patto con il quale le parti, all’atto della conclusione del contratto, predeterminano il canone in una misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; quanto il patto successivo con il quale le parti provvedono consensualmente, nel corso del rapporto, a stabilire una misura del canone diversa da quella originariamente stabilita;
la legittimita’ di tali patti (iniziali o successivi) dev’essere peraltro esclusa la’ dove risulti (dal testo del patto o da elementi extratestuali) che le parti abbiano in realta’ perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, articolo 32 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dalla L. n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9-sexies), cosi’ incorrendo nella sanzione di nullita’ prevista dal successivo articolo 79, comma 1, della stessa Legge”.

 

Predeterminazione del canone in una misura differenziata e crescente

34. Nella specie, non essendo emersa alcuna evidenza probatoria in ordine alla volonta’ delle parti di perseguire, attraverso la stipulazione dell’accordo definito in epoca successiva all’originaria conclusione del contratto, il solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, dev’essere esclusa la nullita’ del patto per violazione della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79, con il conseguente riconoscimento del radicale infondatezza della censura in esame.
35. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79 e degli articoli 1230 e 1231 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la modificazione dell’entita’ del canone di locazione convenuta tra le parti nel 2008 avesse determinato la “novazione” dell’originario contratto di locazione, attesa l’inidoneita’ dell’accordo intervenuto sulla misura del canone a integrare gli estremi della novazione, costituendo una modificazione contrattuale meramente accessoria.
36. Con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79 e degli articoli 1362 e 1230 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente interpretato la corrispondenza intercorsa tra le parti in occasione della seconda scadenza contrattuale nel senso della volonta’ delle stesse di procedere al novazione dell’originario contratto, dovendo ritenersi, viceversa, che la volonta’ dei contraenti fosse piuttosto intesa alla prosecuzione del medesimo rapporto, e non gia’ alla sua novazione.
37. Il terzo motivo e’ fondato e suscettibile di assorbire la rilevanza del quarto.
38. Osserva il Collegio come, al caso di specie, debba trovare applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in tema di locazione, non e’ sufficiente ad integrare novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, che ricorrano gli elementi dell’animus e della causa novandi (v., da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 22126 del 13/10/2020, Rv. 659241 – 01).
39. Nella specie, non essendo emersa alcuna dimostrazione della volonta’ delle parti di determinare, attraverso il patto successivo di revisione del canone di locazione, la novazione del precedente rapporto (ossia l’estinzione del precedente contratto di locazione e la sua sostituzione con una nuova e diversa pattuizione), l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, circa l’avvenuta novazione del contratto di locazione originariamente concluso dalle parti, deve ritenersi del tutto errata.
40. Con il quinto motivo, la ricorrente si duole della nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 10 del contratto di locazione del 26/5/96 e agli articoli 1352, 1325 e 1418 c.c. (con riguardo all’articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale illegittimamente omesso di pronunciarsi sull’eccezione tempestivamente sollevata dall’odierna istante in ordine alla nullita’ del patto con le quali le parti avevano (asseritamente) provveduto, nel 2008, alla novazione del contratto di locazione originario, non avendo le stesse rispettato (oltre alle norme di legge che fanno divieto di procedere all’aumento del canone di locazione in corso di rapporto) il disposto contrattuale concordato tra le parti in ordine alla necessita’ che eventuali modificazioni del negozio originario fossero concluse in forma scritta.
41. Con il sesto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di considerare come, sulla base degli elementi di prova complessivamente acquisiti agli atti del giudizio, non fosse stato concluso tra le parti alcun valido accordo (nelle forme vincolanti previste dagli stessi contraenti) in ordine alla modificazione dell’importo del canone di locazione.
42. Con il settimo motivo, la ricorrente si duole della nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 10 del contratto di locazione concluso tra le parti in data 26/5/96 e agli articoli 1352, 1325 e il 1418 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale illegittimamente omesso di pronunciarsi sull’eccezione, tempestivamente sollevata dall’odierna ricorrente sin dal primo atto di costituzione nel giudizio di primo grado, vo’lta a far rilevare la nullita’ dell’accordo con il quale le parti avevano provveduto a modificare l’entita’ del canone di locazione, in contrasto con l’espressa previsione dell’articolo 10 del contratto di locazione originariamente concluso in data 26/5/1996, con il quale i contraenti avevano previsto che l’eventuale modificazione dei patti contrattuali sarebbe necessariamente dovuta avvenire in forma scritta; vincolo formale nella specie non rispettato, in occasione della consensuale modificazione della misura del canone di locazione concordata nel 2008.
43. Tutti e tre i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono fondati nei termini di seguito indicati.
44. Dev’essere preliminarmente disattesa l’affermazione, contenuta nelle censure in esame, in ordine alla pretesa nullita’, per violazione della L. n. 392 del 1978, articoli 32 e 79, del patto con il quale le parti ebbero a provvedere alla modificazione dell’entita’ del canone di locazione in corso di rapporto, attenendo tale questione alle (opposte) considerazioni sul punto piu’ sopra illustrate.
45. Parimenti, varra’ ribadire, in conformita’ a quanto piu’ sopra esposto, come l’accordo intercorso tra le parti, ai fini della modificazione dell’entita’ del canone di locazione originariamente concordato, non ebbe alcuna efficacia (propriamente) novativa del contratto di locazione originariamente concluso.
46. Cio’ posto, osserva il Collegio come, effettivamente, il giudice a quo abbia trascurato la considerazione dell’eccezione tempestivamente sollevata dalla (OMISSIS) (peraltro, pure agevolmente rilevabile dagli atti del giudizio, trattandosi di nullita’ negoziale rilevabile d’ufficio: cfr. Sez. U., Sentenza n. 26242 del 12/12/201, Rv. 633509-01) in ordine al valore dirimente della previsione contrattuale di cui all’articolo 10 del contratto di locazione originariamente concluso tra le parti; previsione attraverso la quale queste ultime ebbero a concordare la forma scritta per l’eventuale conclusione di patti modificativi dell’accordo locativo originario.
47. Cio’ posto, in forza di tale premessa negoziale, deve ritenersi applicabile, al caso di specie, il disposto di cui all’articolo 1352 c.c., ai sensi del quale “se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validita’ di questo”: principio pacificamente applicabile, tanto in relazione alla futura conclusione di nuovi accordi contrattuali, quanto in riferimento alla definizione di accordi meramente modificativi di un contratto gia’ concluso (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 4861 del 14/04/2000, Rv. 535722 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 909 del 09/02/1980, Rv. 404334 – 01).
48. In accoglimento delle censure in esame, occorre pertanto procedere alla cassazione sul punto della sentenza impugnata, con il rinvio della causa al giudice d’appello affinche’ provveda alla completa verifica della documentazione acquisita agli atti del giudizio ai fini del riscontro dell’effettiva avvenuta conclusione, tra le parti, dell’accordo modificativo del canone, nel rispetto del vincolo della forma convenzionale concordata ai sensi dell’articolo 1952 c.c.: forma da ritenere convenuta, in difetto di prova contraria, ai fini della stessa validita’ del patto.
49. Con l’ottavo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale illegittimamente trascurato l’esame delle circostanze dalle quali era emersa l’oggettiva scarsa rilevanza degli eventuali inadempimenti della conduttrice (analiticamente richiamati in ricorso) ai fini della risoluzione dell’accordo contrattuale oggetto di giudizio.
50. Con il nono motivo, in via meramente subordinata rispetto all’eventuale rigetto del precedente motivo, la ricorrente si duole della nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sull’eccezione sollevata dall’odierna istante circa la scarsa rilevanza degli eventuali inadempimenti della conduttrice ai fini della risoluzione del contratto di locazione in esame.
51. Entrambi i motivi (in quanto riferiti all’adempimento di obbligazioni in relazione alle quali occorre procedere al preliminare riscontro della relativa valida costituzione) devono ritenersi assorbiti dall’avvenuto accoglimento del quinto, sesto e settimo motivo dell’odierno ricorso.
52. Sulla base del complesso delle argomentazioni sin qui illustrate, rilevata la fondatezza del terzo, quinto, sesto e settimo motivo; l’infondatezza del primo e del secondo – assorbiti il quarto, l’ottavo e il nono -, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui e’ altresi’ rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

Accoglie il terzo, il quinto, il sesto e il settimo motivo; rigetta il primo e il secondo; dichiara assorbiti il quarto, l’ottavo e il nono; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui e’ altresi’ rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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