Agente e l’onere di provare l’avvenuta conclusione degli affari

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 novembre 2021| n. 33572.

Agente e l’onere di provare l’avvenuta conclusione degli affari.

L’agente che, al fine di ottenere il pagamento delle relative provvigioni, deduca la conclusione di affari diretti da parte del preponente, in violazione del patto di esclusiva, nella zona a lui riservata, ha l’onere di provare l’avvenuta conclusione di tali affari, e non può supplire al mancato assolvimento dello stesso mediante richiesta di esibizione della contabilità aziendale del preponente relativa agli anni nei quali assume essersi verificata la violazione del patto, potendo richiedere solo che siano esibiti atti e documenti specificamente individuati e individuabili.

Ordinanza|11 novembre 2021| n. 33572. Agente e l’onere di provare l’avvenuta conclusione degli affari

Data udienza 24 giugno 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Contratto di agenzia – Provvigioni – Rimborso spese – Interruzione illegittima – Ricorso per cassazione – Censure inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 9059-2019 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso, unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato ROSA MAURO giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 23/2019 della CORTE d’APPELLO di FIRENZE, depositata il 7/1/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;
Lette le memorie depositate dalla controricorrente.

Agente e l’onere di provare l’avvenuta conclusione degli affari

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

(OMISSIS) nella qualita’ di socia accomandataria della (OMISSIS) s.a.s. impugnava la sentenza del Tribunale di Prato che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della (OMISSIS) S.p.A. avente ad oggetto il pagamento di un residuo credito, derivante dall’impegno della convenuta di rimborsare alla societa’, quale agente, le spese in una misura forfettaria annuale.
Il Tribunale aveva disatteso la domanda ritenendo che non sussisteva alcun obbligo giuridico della societa’ convenuta, in quanto gli impegni scaturenti dalla missiva del 26/6/1991 concernevano i rapporti con la (OMISSIS) quale persona fisica; inoltre, con successiva scrittura del 1/7/1991 si era inteso superare tutti gli eventuali accordi orali o scritti intervenuti tra le parti.
La Corte d’Appello di Firenze con la sentenza n. 23 del 7 gennaio 2019 accoglieva l’appello e condannava la (OMISSIS) al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 76.623,01, oltre interessi legali.
Secondo i giudici di appello la reale ricostruzione della volonta’ delle parti deponeva nel senso che, sebbene l’impegno azionato dall’attrice, con il quale la convenuta si obbligava a versare alla (OMISSIS), nella qualita’ di socia accomandataria della (OMISSIS) s.a.s., la somma annuale di Lire 30.000.000 fosse contenuta in una scrittura del 26/6/1991, doveva escludersi che il versamento di tale somma, pacificamente avvenuto nei successivi tre anni fosse da ricondurre ad una liberalita’ posta in essere dall’appellata.

 

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Infatti, il carattere obbligatorio di tale impegno si ricavava dalla previsione secondo cui tale somma sarebbe stata computabile ai fini del calcolo del FIRR, dell’indennita’ di clientela e dell’indennita’ sostitutiva del preavviso, essendo correlata alle vicende del contratto di agenzia, a nulla rilevando che lo stesso impegno non fosse stato poi riprodotto nel contratto di agenzia stipulato a distanza di qualche giorno, il 1 luglio 1991.
Infatti, occorreva ricordare che all’epoca dei fatti il contratto de quo poteva essere stipulato anche oralmente, e la stessa convenuta aveva tenuto fede a tale obbligo per i successivi tre anni, avendo quindi sospeso la sua erogazione in maniera illegittima.
Cio’ trovava conforto anche nelle indagini del CTU il quale aveva riscontrato come la (OMISSIS) avesse inizialmente corrisposto sia le provvigioni che il rimborso spese oggetto di causa, senza ritenere quest’ultimo assorbito dalle prime.
Sempre dalla consulenza d’ufficio emergeva poi che delle erogazioni asseritamente effettuate dall’appellata risultava la prova solo di una nota di credito di Lire 17.137.172, non risultando in atti altre fatture e documenti giustificativi, con la conseguenza che dal credito complessivamente vantato dall’attrice andava detratta solo la detta somma documentata, residuando quindi il credito oggetto della condanna di cui al capo di dispositivo.
Avverso tale sentenza propone ricorso la (OMISSIS) S.p.A. sulla base di quattro motivi.
(OMISSIS) resiste con controricorso ed ha depositato memorie in prossimita’ dell’udienza.
Preliminarmente deve darsi atto dell’inammissibilita’ delle memorie depositate per conto della societa’ ricorrente dagli i avv. (OMISSIS) ed (OMISSIS), qualificatisi nuovi difensori della ricorrente, in quanto nominati in sostituzione del precedente difensore rinunziante all’incarico, attesa la non conformita’ della procura alla previsione di cui all’articolo 83 c.p.c., avuto riguardo al carattere di specialita’ che connota il giudizio di legittimita’.
Infatti, tale procura e’ stata rilasciata su autonomo foglio, che nelle stesse memorie si riferisce essere stato solo depositato telematicamente.

 

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Ma anche ove voglia accedersi alla tesi che la stessa sia stata apposta in calce alle memorie, in quanto contenuta in un’unica busta telematica, occorre rilevare che non soddisfa i requisiti di forma imposti dalla legge in ragione della data di introduzione del giudizio di primo grado, trattandosi di procura con autentica della firma della parte ad opera da parte dello stesso difensore, e non di procura speciale con atto pubblico ovvero con autentica notarile.
Infatti, poiche’ la causa e’ stata introdotta dinanzi al Tribunale di (OMISSIS) gia’ nel 2000, nella fattispecie occorre far riferimento alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’articolo 83 c.p.c. secondo il quale la procura speciale puo’ essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 45 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’articolo 83 c.p.c., comma 2 (Cass. n. 18323/2014; Cass. n. 20692/2018).
Sempre in limine litis va disattesa l’eccezione di improcedibilita’ del ricorso sollevata dalla controricorrente, in quanto nel fascicolo del ricorrente si rinviene copia analogica della sentenza impugnata, (predisposta in formato digitale) recante in calce attestazione di conformita’, cosi’ come del pari si rinviene la richiesta di trasmissione del fascicolo di ufficio al giudice che ha pronunciato la sentenza gravata, parimenti richiesta a pena di improcedibilita’ del ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 15 preleggi, nonche’ degli articoli 1326, 1362, 1363, 1369, 1371, 1372 e 2697 c.c., nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si deduce che la Corte d’Appello non ha preso in considerazione che la lettera del 26/6/1991, che contiene l’impegno della ricorrente a versare una somma annuale a titolo di rimborso spese, e’ di data anteriore al contratto di agenzia del 1/7/1991, e quindi destinato a prevalere sulla prima.
Una volta appurata tale circostanza, si sarebbe poi dovuto addivenire alla conclusione che i versamenti effettuati per i primi tre anni, essendo privi del carattere dell’obbligatorieta’, erano da ricondurre al novero delle liberalita’.
Il motivo e’ inammissibile.
In primo luogo, si rileva che non ricorre la omessa disamina di un fatto decisivo ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come dedotta da parte ricorrente, atteso che la sentenza gravata e’ pervenuta alla conclusione della sopravvivenza degli obblighi di cui alla missiva del 26/6/1991, nella chiara consapevolezza della sua anteriorita’ cronologica rispetto al contratto di agenzia, di pochi giorni successivo, non avendo in alcun modo inteso retrodatare gli effetti del contratto o posticipare la sottoscrizione della missiva, ma avendo per converso ritenuto che, pur in presenza del contenuto del contratto di agenzia, con il quale si sarebbe inteso disciplinare in maniera onnicomprensiva tutti gli aspetti del rapporto, gli obblighi di cui alla lettera precedentemente sottoscritta erano destinati a sopravvivere, essendo del tutto compatibili con il contratto posteriore.
Passando alle dedotte violazioni di legge, deve ricordarsi che costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimita’ quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimita’ non puo’ investire il risultato interpretativo in se’, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli articoli 1362 e s.s. c.c., e sulla (in) coerenza e (il)logicita’ della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica, e’, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e puo’ essere censurata in sede di legittimita’ solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che non puo’ trovare ingresso la critica della ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.
Il motivo in esame, pur a fronte della enumerazione di una serie di articoli del codice civile disciplinanti le regole di ermeneutica contrattuale, non individua la specifica violazione di legge, ma sollecita solo un diverso esito interpretativo, per se’ maggiormente appagante, diverso da quello raggiunto dal giudice di merito, ma senza che le critiche mosse denotino l’assoluta implausibilita’ della soluzione invece alla quale e’ pervenuta la Corte distrettuale.
E’ ben presente al giudice di merito il fatto che il contratto di agenzia non richiama la previsione della quale ha chiesto l’esecuzione l’attrice nel presente giudizio, ma ha rilevato che, all’epoca dei fatti il contratto di agenzia non era assoggettato ad un peculiare regime di forma e che la contraria indicazione di cui al contratto del 1 luglio era da reputarsi superata dal comportamento esecutivo della stessa preponente che per ben tre anni aveva corrisposto la somma di cui alla missiva del 26/6/1991, sul chiaro presupposto della permanenza del preesistente obbligo e della sua sopravvivenza alla stipula del contratto di agenzia.
La censura per l’effetto si risolve in una critica all’apprezzamento di fatto del giudice di appello e come tale non puo’ avere seguito in questa sede.
Il secondo motivo denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti nonche’ la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c..
Si rileva che nella comparsa di risposta in primo grado, la societa’ aveva dedotto di aver corrisposto in favore della societa’ della quale la (OMISSIS) era socia accomandataria cospicue somme di denaro, prive di giustificazione negli obblighi contrattuali, delle quali chiedeva tenersene conto nel caso di accoglimento dell’avversa domanda.
La Corte d’Appello non ha tenuto in considerazione tale richiesta, senza assumere alcuna decisione al riguardo.
Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, senza considerare, sempre in relazione alle somme di cui al secondo motivo, che la controparte non ne aveva mai contestato l’incasso, cosi’ che il giudice ne avrebbe dovuto tenere conto, sebbene il CTU avesse riferito di non aver rinvenuto la relativa documentazione giustificativa.
I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.
Rileva il Collegio che la sentenza impugnata alla fine di pagina 6, lungi dall’omettere di decidere sulle richieste di valutare asseriti pagamenti effettuati in favore dell’attrice, ha invece espressamente esaminato la richiesta, rilevando che, in assenza di prova documentale, poteva tenersi conto solo del versamento di cui alla nota di credito del 27/11/1997, il cui importo e’ stato poi conseguenzialmente detratto dall’ammontare complessivo del credito riconosciuto alla (OMISSIS). Risulta evidentemente sconfessata la ricorrenza del vizio di cui al n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, avendo la Corte d’Appello espressamente valutato ed esaminato i fatti indicati dalla ricorrente, cosi’ come la dedotta violazione dell’articolo 112 c.p.c., stante l’adozione di una pronuncia espressa di rigetto.
Quanto, invece alla dedotta violazione dell’articolo 115 c.p.c. e rilevato che alla fattispecie la norma non e’ direttamente applicabile, essendo stato il giudizio introdotto in epoca anteriore alla modifica dell’articolo 115 c.p.c., che ha espressamente previsto, per i giudizi instaurati a far data dal 4 luglio 2009, l’obbligo per la parte costituita di contestare specificamente i fatti addotti dalla controparte, si osserva che il motivo risulta comunque privo di specificita’ nella parte in cui pur assumendo che la controparte non avrebbe contestato tali fatti, omette di riprodurre il contenuto degli atti difensivi della controparte dai quali desumere l’atteggiamento di non contestazione, asserendo apoditticamente che i pagamenti invocati non erano stati disconosciuti dalla (OMISSIS) (cfr. Cass. n. 12840/2017; Cass. n. 20637/2016).
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 e 198 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2711 c.c., oltre che l’omessa disamina circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti.
Si censura la sentenza di appello nella parte in cui ha escluso che fosse stata offerta la prova dei pagamenti asseritamente effettuati dalla ricorrente.
Risulta pero’ trascurato che la stessa Corte d’Appello nel conferire il mandato al CTU, al fine di accertare l’ammontare dei crediti vantati dall’attrice, aveva fatto richiamo alla possibilita’ di disporre l’esibizione delle scritture contabili ai sensi dell’articolo 2711 c.c..
Ne deriva che il giudice non avrebbe potuto pervenire a disattendere la richiesta della ricorrente, facendo semplicemente riferimento alla mancata allegazione della relativa documentazione giustificativa, ma avrebbe dovuto ordinare alla controparte ai sensi dell’articolo 2711 c.c. l’esibizione di tutti gli atti contabili e della documentazione fiscale.
Il motivo e’ inammissibile.
Questa Corte ha costantemente affermato che (Cass. n. 9020/2019) in tema di poteri istruttori d’ufficio del giudice, l’emanazione dell’ordine di esibizione (nella specie, di documenti) e’ discrezionale, e la valutazione di indispensabilita’ neppure deve essere esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio e’ svincolato da ogni onere motivazionale ed il provvedimento di rigetto dell’istanza e’ insindacabile in sede di legittimita’, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di uno strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte instante non abbia finalita’ esplorativa (conf. Cass. n. 4504/2017).
Inoltre (cfr. Cass. n. 9522/2012) perche’ il giudice eserciti legittimamente i suoi poteri istruttori officiosi (tra i quali quello di esibizione previsto dall’articolo 2711 c.c.) occorre che la parte onerata dalla prova abbia tempestivamente e con sufficiente analiticita’ allegato i fatti specifici da provare e che, sempre tempestivamente, abbia almeno fondatamente allegato di non avere altro mezzo (o di avere invano esperito altri mezzi) per dimostrarli.
Con specifico riferimento proprio al contratto di agenzia si e’ affermato che (cfr. Cass. n. 6258/1996) l’agente che, al fine di ottenere il pagamento delle relative provvigioni, deduca la conclusione di affari diretti da parte del preponente, in violazione del patto di esclusiva, nella zona a lui riservata, ha l’onere di provare l’avvenuta conclusione di tali affari, e non puo’ supplire al mancato assolvimento dello stesso mediante richiesta di esibizione della contabilita’ aziendale del preponente relativa agli anni nei quali assume essersi verificata la violazione del patto, potendo richiedere solo che siano esibiti atti e documenti specificamente individuati e individuabili.
Alla luce di tali principi si palesa evidente come la ricorrente denunci il mancato esercizio del potere ufficioso di ordinare l’esibizione (nemmeno poi sollecitato in sede di precisazione delle conclusioni in appello, come si rileva dalla lettura delle stesse come riportate in sentenza), mancato esercizio come detto incensurabile in sede di legittimita’, ma senza nemmeno specificare con precisione quali atti e documenti specifici avrebbe dovuto esibire la controparte, palesando in tal modo come per la sua assoluta genericita’ la doglianza miri a supplire all’evidente inottemperanza all’onere della prova sulla stessa incombente, quanto alla dimostrazione dei pretesi pagamenti effettuati, con la deduzione di un mancato esercizio di un ordine di esibizione che avrebbe pero’ connotati meramente esplorativi.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avv. (OMISSIS), dichiaratasene anticipataria.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge, con attribuzione all’avv. (OMISSIS), dichiaratasene anticipataria;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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