Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 30 ottobre 2018, n. 49691.
La massima estrapolata:
Affinché un manufatto presenti il carattere di pertinenza, tale da non richiedere per la sua realizzazione il permesso di costruire, è necessario che esso sia preordinato a un’oggettiva esigenza funzionale dell’edificio principale, sia sfornito di un autonomo valore di mercato, sia di volume non superiore al 20% di quello dell’edificio cui accede, di guisa da non consentire, rispetto a quest’ultimo e alle sue caratteristiche, una destinazione autonoma e diversa
Sentenza 30 ottobre 2018, n. 49691
Data udienza 13 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 6/7/2016 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Baldi Fulvio, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 giugno 2012 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) alla pena, condizionalmente sospesa, subordinatamente alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi di anni uno di reclusione ed Euro 400,00 di multa, in relazione ai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c), (capo A della rubrica), articoli 64, 65, 71 e 72 (capo B della rubrica), articoli 83 e 95 (capo C della rubrica), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis, (capo D della rubrica), articolo 734 c.p. (capo E della rubrica), articolo 349 c.p., comma 2, (capo F della rubrica).
La Corte d’appello di Napoli, provvedendo con la sentenza del 6 luglio 2016 sulla impugnazione dell’imputato, lo ha assolto dal reato di cui al capo e), perche’ il fatto non sussiste, ha qualificato il fatto di cui al capo d) come contravvenzione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2016, e ha rideterminato la pena in mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione di legge penale e vizio della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e e).
Ha lamentato la mancata considerazione della assenza di prova della commissione da parte dell’imputato dei fatti contestati e anche della stessa sussistenza del reato di cui al capo e), sottolineando, comunque, la natura pertinenziale dell’opera di cui al capo a) della rubrica, asservita in modo durevole alla abitazione principale preesistente, per la cui realizzazione non era quindi necessario il previo ottenimento del permesso di costruire, con la conseguente insussistenza dei reati contestati ai capi a), b), c) et d).
In relazione al reato di violazione di sigilli di cui al capo f) ha ribadito la mancanza di prova della sua commissione da parte dell’imputato.
Ha, inoltre, eccepito la prescrizione delle ipotesi contravvenzionali, accertate il 5 giugno 2012, con il conseguente decorso del termine di quattro anni di cui all’articolo 157 c.p. alla data del 6 luglio 2016, allorquando era stata pronunciata la sentenza di secondo grado.
2.2. Con un secondo motivo ha denunciato vizio della motivazione, per l’insufficienza degli accertamenti dell’autore delle opere e dell’epoca della loro realizzazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, riproduttivo dei motivi d’appello, e’ inammissibile
2. Mediante entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, essendo affidati a censure sovrapponibili, entrambe concernenti l’accertamento compiuto dai giudici di merito, il ricorrente censura, peraltro in modo generico, l’affermazione della propria responsabilita’, in ragione della natura pertinenziale dell’opera realizzata in assenza del permesso di costruire, in quanto asservita alla abitazione principale, e della mancanza di prova della riconducibilita’ all’imputato dell’intervento edilizio e anche della violazione dei sigilli apposti all’opera, oggetto della contestazione di cui al capo f) della rubrica, in tal modo richiedendo una rivalutazione degli elementi di prova esaminati dai giudici di merito, i cui argomenti ha pero’ del tutto omesso di considerare, con la conseguente mancanza della necessaria specificita’ di tali doglianze.
La Corte d’appello e’, infatti, pervenuta alla conferma della affermazione di responsabilita’ dell’imputato in ordine a tutti i reati contestati (eccettuato quello di cui all’articolo 734 c.p., ritenuto non sussistente), sulla base di quanto accertato dalla polizia giudiziaria in occasione del sopralluogo eseguito il 18 luglio 2011, allorquando era stata accertata la realizzazione di una copertura in putrelle di ferro e lamiere zincate, delle dimensioni di metri 7 x 5,20 e altezza variabile da metri 3 a metri 2,80, in sostituzione e sopraelevazione di una preesistente struttura in lamiere, sottoposta a sequestro con apposizione dei sigilli e nomina dell’imputato a custode; della realizzazione di tali opere era poi stata accertata la prosecuzione il successivo 31 agosto 2011 (mediante il completamento della copertura e la chiusura delle pareti, con intonacatura interna e realizzazione di una controsoffittatura in calcestruzzo, e il completamento della copertura del piano superiore, sostituita con travi in ferro e lamiere coibentate). La responsabilita’ dell’imputato in relazione alla realizzazione di tali opere (e anche in ordine alle altre contravvenzioni alle stesse connesse di cui ai capi B, C et D della rubrica) e’ stata, quindi, affermata in considerazione della mancanza di contestazioni in ordine alla titolarita’ e alla disponibilita’ dell’area e dell’opera da parte dell’imputato medesimo, della sua presenza in occasione di entrambi i sopralluoghi e del fatto di avere, in tali circostanze, manifestato chiaro interesse alla realizzazione delle opere. Sulla base dei medesimi elementi e’ stata, poi, affermata anche la responsabilita’ in relazione alla violazione dei sigilli apposti a tali opere, di cui l’imputato era stato nominato custode.
Si tratta di considerazioni logiche, conformi a consolidate massime di esperienza (tra cui quella della correlazione, in mancanza di elementi di segno contrario, nella specie non dedotti ne’ rilevati, tra la ripetuta presenza nell’area e l’interesse alla realizzazione dell’opera abusiva) e alle regole razionali (per quello che riguarda la attribuzione della violazione di sigilli riscontrata in occasione del secondo sopralluogo, allorquando i lavori erano ancora in corso e l’imputato era presente), idonee a sorreggere l’affermazione della riconducibilita’ all’imputato della realizzazione delle opere e della violazione dei sigilli, affermazione che l’imputato censura in modo generico e sul piano della ricostruzione storica della vicenda, richiedendo una non consentita rivalutazione di elementi considerati correttamente dai giudici di merito, con la conseguente inammissibilita’ di tali doglianze.
2.1. La censura in ordine alla prospettata natura pertinenziale dell’opera, che escluderebbe la necessita’ del permesso di costruire, oltre che formulata in modo generico e assertivo, consistendo nella mera affermazione della destinazione di tale opera a servizio esclusivo di un non meglio precisato fabbricato principale, disgiunta da qualsiasi analisi delle caratteristiche di tali fabbricati e dei loro rapporti, e’ manifestamente infondata, avendo la Corte territoriale escluso tale natura evidenziando come l’intervento edilizio realizzato dall’imputato abbia modificato il volume, la sagoma, i prospetti e le superfici di quello preesistente.
Affinche’ un manufatto presenti il carattere di pertinenza, tale da non richiedere per la sua realizzazione il permesso di costruire, e’ necessario che esso sia preordinato a un’oggettiva esigenza funzionale dell’edificio principale, sia sfornito di un autonomo valore di mercato, sia di volume non superiore al 20% di quello dell’edificio cui accede, di guisa da non consentire, rispetto a quest’ultimo e alle sue caratteristiche, una destinazione autonoma e diversa (cosi’, da ultimo, Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Fahrni, Rv. 268552; conf. Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064; Sez. 3, n. 6593 del 24/11/2011, Chiri, Rv. 252442; Sez. 3, n. 39067 del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903; Sez. 3, n. 37257 del 11/06/2008, Alexander, Rv. 241278).
Una tale analisi e’ stata del tutto omessa dal ricorrente, che pure ne sarebbe stato onerato alla luce della sua allegazione difensiva, non avendo indicato alcunche’ circa il rapporto tra il fabbricato oggetto della contestazione e quello al quello esso accederebbe, con la conseguente manifesta infondatezza della censura.
2.2. Infine anche la doglianza relativa alla intervenuta estinzione per prescrizione delle ipotesi contravvenzionali anteriormente alla pronuncia della sentenza di secondo grado e’ manifestamente infondata, in quanto, essendo stata accertata la prosecuzione della attivita’ edificatoria il 31 agosto 2011 e dovendo, di conseguenza, far decorrere il termine massimo di prescrizione di cinque anni da tale data, lo stesso non era ancora decorso quando e’ stata pronunziata la sentenza impugnata, e cioe’ il 6 luglio 2016, venendo a scadere il successivo 31 agosto 2016.
3. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericita’, manifesta infondatezza e contenuto non consentito delle doglianze cui e’ stato affidato.
L’inammissibilita’ originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacche’ detta inammissibilita’ impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimita’, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Leave a Reply