Per la concessione del condono edilizio

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 8 luglio 2019, n. 4769.

La massima estrapolata:

Per la concessione del condono edilizio, ricade in capo al proprietario l’onere di provare i relativi presupposti, in specie in ordine al fondamentale elemento concernente la data di ultimazione delle opere edilizie, ciò in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori, mediante i quali è possibile stabilire con certezza l’epoca di realizzazione di un manufatto, restando integro, in difetto di tali prove, il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso.

Sentenza 8 luglio 2019, n. 4769

Data udienza 4 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8228 del 2015, proposto da
Fr. Ca., rappresentato e difeso dagli avvocati Se. Be., St. Be., con domicilio eletto presso lo studio Se. Be. in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fa. Ra., domiciliato presso la Cons. Di Stato Segreteria in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina Sezione Prima n. 00203/2015, resa tra le parti, concernente diniego condono edilizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati St. Be. e Fa. Ra..;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 203 del 2015 con cui il Tar Latina aveva respinto l’originario gravame; quest’ultimo era stato proposto dalla stessa parte al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di diniego del Comune di (omissis) n. 23, prot. n. 44120 del 29 ottobre 2014, avente ad oggetto il rigetto dell’istanza di condono ex l. n. 47/1985 di opere edilizie abusive consistenti in “tre annessi agricoli” siti sul terreno distinto in catasto al fg. n. 156, part. n. 37, nonché degli atti connessi.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello sull’erroneità della sentenza e comportanti la riproposizione dei vizi di prime cure:
– violazione degli artt. 39 e 112 cod proc amm, difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà della motivazione, per mancata applicazione della disciplina specifica del condono e non dell’art. 6 l. 241\1990;
– analoghi vizi in relazione alla sussistenza degli elementi per il condono;
– analoghi vizi in relazione alle carenze istruttorie imputate all’amministrazione.
L’amministrazione appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 4\7\2019 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è prima facie infondato.
2. In linea di diritto costituisce jus receptum il principio a mente del quale per la concessione del condono edilizio, ricade in capo al proprietario l’onere di provare i relativi presupposti, in specie in ordine al fondamentale elemento concernente la data di ultimazione delle opere edilizie, ciò in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori, mediante i quali è possibile stabilire con certezza l’epoca di realizzazione di un manufatto, restando integro, in difetto di tali prove, il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 20 febbraio 2019, n. 1190).
In ordine alla specifica questione affrontata dalla sentenza appellata e oggetto di contrarie deduzioni in sede di appello, questa sezione ha già avuto modo di evidenziare come il termine assegnato per l’integrazione documentale di una pratica di condono rivesta carattere tassativo (salvi i casi di impossibilità non imputabile), sicché l’inottemperanza a tale richiesta determina la legittima chiusura della pratica e costituisce legittimo motivo di diniego della concessione edilizia in sanatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 5/10/2018, n. 5725).
In proposito, la disciplina specifica procedimentale di cui al secondo condono (art. 39 comma 4 l. 724\1994 come modificato dall’art. 2 comma 37 l. 662\1996) costituisce in ogni caso esplicazione di un principio generale istruttorio, pienamente coerente con la natura eccezionale del condono e di stretta interpretazione della relativa normativa in termini di straordinaria sanabilità di abusi edilizi (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 3 giugno 2013 n. 3034 e sez. VI 12 ottobre 2018 n. 5892).
3. Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, se per un verso anche nella presente sede parte appellante non fornisce la completa indicazione e prova degli elementi addotti a sostegno della sussistenza dei presupposti della eccezionale sanatoria, per un altro e dirimente verso l’amministrazione comunale ha, coerentemente coi principi predetti (anche in disparte dello specifico dato nromativo di cui al secondo condono) reiterato istanze di integrazione istruttoria, mettendo in condizione la parte interessata di produrre quanto necessario all’assolvimento dell’onere della prova.
A quest’ultimo proposito, dall’analisi degli atti risulta che il Comune, dopo l’esame iniziale conseguente alla presentazione dell’istanza, ha formulato ben tre specifiche istanze istruttorie (rispettivamente note prot.n. 25588 del 23/9/1988, prot. n. 17555 del 28/4/1995, prot. n. 27931 del 28/09/2007), seguite dalla nota (prot. n. 50491 del 2/12/2010) contenente comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’art. 10 bis legge 241\1990.
A fronte di tali più che adeguate prove di rispetto delle garanzie procedimentali, parte appellante risulta aver riscontrato con una mera richiesta di proroga, datata 29 dicembre 2010, non seguita da alcun atto nel periodo intercorrente fino all’adozione del diniego conclusivo, in data 29 ottobre 2014.
4. In linea generale, costituisce preminente principio dell’ordinamento vigente quello per cui nel corso dello svolgimento di ogni procedimento amministrativo, i rapporti tra l’Amministrazione e il soggetto istante devono essere informati al principio di correttezza e leale collaborazione, con la conseguenza che, a fronte della reiterata richiesta di integrazione istruttoria, il silenzio dell’interessato debba qualificarsi nei termini fatti propri dall’amministrazione comunale odierna appellata.
Con specifico riferimento all’istanza di condono, poi, in mancanza della necessaria integrazione l’esito negativo qui contestato appare coerente ai principi già espressi dalla giurisprudenza a mente dei quali l’onere della prova in ordine alla sussistenza dei presupposti, compreso il fondamentale elemento dell’ultimazione delle opere abusive in data utile, per fruire del condono edilizio spetta al privato richiedente e non all’Amministrazione, poiché solo l’interessato può fornire inconfutabili documenti che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso. Tale prova deve essere rigorosa; in particolare, non risultano sufficienti dichiarazioni sostitutive di atto notorio, richiedendosi invece una documentazione certa ed univoca, sull’evidente presupposto che nessuno meglio di chi richiede la sanatoria e ha realizzato l’opera può fornire elementi oggettivi sulla data di realizzazione dell’abuso. In difetto di tali prove, l’Amministrazione ha il dovere di negare la sanatoria dell’abuso (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 17/05/2018, n. 2995).
5. A fronte di tali dirimenti emergenze, le quali rendono pienamente legittimo il diniego in contestazione, non residua alcuno spazio per l’esame specifico della documentazione da ultimo citata in giudizio, in quanto posta al di fuori della natura sede procedimentale.
6. Le spese di lite, liquidate come dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore

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