Le controversie relative a diffide concernenti l’inosservanza di misure di prevenzione o d’igiene

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 10 luglio 2019, n. 4870.

La massima estrapolata:

Mentre sono devolute al giudice ordinario le controversie relative a diffide concernenti l’inosservanza di misure di prevenzione o d’igiene previste direttamente dalla legge e tali da delimitare in modo completo la posizione soggettiva dell’imprenditore; sono invece devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie su diffide relative a norme che, invece di prescrivere specifiche misure, si limitano ad indicare i principi e gli obiettivi da raggiungere ovvero presuppongono un potere discrezionale dell’ispettore in ordine non solo al contenuto delle prescrizioni ma anche in ordine all’esercizio o non del potere stesso: in entrambi i casi da ultimo menzionati, si ritiene che il potere discrezionale incontri posizioni di interesse legittimo dell’imprenditore, quale soggetto inciso nella libera organizzazione degli elementi produttivi dell’azienda.

Sentenza 10 luglio 2019, n. 4870

Data udienza 4 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1097 del 2019, proposto da
Te. It. S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fi. La., Fr. Sa. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fil. La. in Roma, via (…);
contro
Azienda Unità Sanitaria Locale Umbria n. 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria Sezione Prima n. 00493/2018, resa tra le parti, concernente le disposizioni impartite alla parte ricorrente dal Responsabile UOC PSAL dell’ASL Umbria 1, con nota prot. n. 173638, del 13 dicembre 2017, adottata ai sensi dell’art. 10 del DPR 520/55.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Unità Sanitaria Locale Umbria n. 1;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti gli avvocati Gi. Za. su delega di Fi. La. e Gi. Co. su delega di Ma. Ra.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Nel giudizio di primo grado, Te. It. s.p.a. ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del Responsabile UOC PSAL dell’Azienda USL Umbria 1, adottato ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 520 del 1955, con il quale le è stato impartito l’ordine di “rielaborare”, “limitatamente al territorio della Regione Umbria” e secondo le indicazioni di cui all’art. 28, comma 2 del d.lgs. n. 81 del 2008, il documento di valutazione rischi (DVR) datato 12 giugno 2017.
2. La disposizione controversa, datata 13 dicembre 2017, è stata adottata all’esito di una indagine condotta nel settembre 2017 dagli uffici ispettivi dell’Azienda Sanitaria Locale Umbria 1 in merito alla correttezza delle procedure applicate da Te. It. nella gestione dei controlli sanitari e della sicurezza dei luoghi di lavoro.
3. Le lacune contenutistiche ravvisate dalla ASL riguardano:
– la descrizione degli “ambienti di lavoro” e loro localizzazione;
– gli esiti della valutazione di tutti i rischi in ragione degli “ambienti di lavoro”, delle attrezzature, dei preparati/sostanze chimiche utilizzati, ecc. con indicazione per ciascun “gruppo omogeneo di lavoratori” dei fattori di rischio valutati e dell’esito delle valutazione;
– l’elenco nominativo dei lavoratori raggruppati per gruppo omogeneo;
– l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione già adottate e delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere nei tempi previsti.
4. Le contestazioni mosse da Te. si sono appuntate sulla erroneità dei presupposti fondanti la disposizione impartitale dalla ASL in quanto, a suo dire, il DVR contiene la compiuta rappresentazione di tutte le informazioni necessarie per la completa fruizione del documento da parte dei destinatari.
5. Con sentenza n. 493/2018 il Tar per l’Umbria ha dichiarato il ricorso inammissibile, poiché unico soggetto legittimato ad agire sarebbe il “datore di lavoro” dell’Unità Produttiva Wh., ing. St. Ci., e non anche la Te., essendo questa portatrice di un interesse “meramente indiretto” alla controversia e risultando comunque estranea alle conseguenze potenzialmente derivanti “..dall’inadempimento dell’ordine impartito”.
“In via incidentale”, il T.A.R. Umbria ha altresì rilevato “la sopravvenuta carenza di interesse” al ricorso, per essere stato il DVR aggiornato nelle more del giudizio (ed esattamente in data 2 marzo 2018), senza che la ASL abbia eccepito nulla al riguardo.
Sempre “in via incidentale”, il giudice di prime cure ha rilevato la propria carenza di giurisdizione, per essere il Tribunale ordinario competente ad accertare la correttezza delle valutazioni della Asl sulla completezza e sull’adeguatezza del DVR.
6. L’appello qui in discussione si fonda sulla contestazione dei capi decisori con i quali il Tar ha declinato incidentalmente la propria giurisdizione e ha delibato l’insussistenza delle condizioni della legittimazione e dell’interesse ad agire in capo alla parte ricorrente.
Vengono quindi reiterate le censure di merito assorbite in primo grado.
7. L’amministrazione intimata si è ritualmente costituita in giudizio, riproponendo anch’essa, ai sensi dell’art. 101 c.p.a., le eccezioni e le argomentazioni di merito dedotte innanzi al Tar.
8. Va precisato che a seguito degli ulteriori fatti intercorsi nella pendenza del giudizio, le ragioni di contrasto tra le parti non sono venute meno, in quanto la ASL, da un lato, ha contestato l’inottemperanza alle richieste contenute nella nota del 13.12.2017 (si veda la p.e.c. prot. n. 27110 del 20.2.2018); e, dall’altro, ha ritenuto nuovamente non esaustive le indicazioni contenute nell’ulteriore DVR adottato in data 2.3.2018 (si vedano i documenti allegati al ricorso in appello da sub C-G).
I rilievi della ASL hanno riguardato anche i contenuti di un ancor più recente DVR del 31.7.2018, in relazione al quale è stato redatto il verbale di contravvenzione n. 8675 del 17.1.2019, impugnato da Te. con separato ricorso innanzi al Tar Umbria (cfr. doc. 2 -4 fasc. parte appellata e doc. H fasc. parte appellante).
9. In assenza di istanze cautelari, la causa è stata discussa e posta in decisione all’udienza del 4 luglio 2019.

DIRITTO

1. E’ utile premettere che – ai sensi del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008) – il documento di valutazione dei rischi (DVR) contiene la mappatura dei rischi presenti in un’azienda, nonché l’indicazione di tutte le procedure per l’attuazione delle necessarie misure di prevenzione e protezione (art. 2, comma 1, lett. q).
La sua redazione – rimessa al datore di lavoro (art. 17) – deve rispettare criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, volti a garantirne l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione delle misure precauzionali e dei dispositivi necessari per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (art. 28 comma 2).
Il documento va custodito presso l’unità produttiva alla quale esso si riferisce, in modo da rimanere a disposizione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e della ASL territorialmente competente alla funzione di vigilanza.
L’eventuale riscontrata violazione delle norme in tema di sicurezza può dare origine all’adozione di misure ai sensi del d.p.r. 19 marzo 1955 n. 520 ovvero ai sensi del d.lgs. n. 758 del 1994.
Le prime consistono in atti di diffida che gli ispettori del lavoro hanno la facoltà di intimare ai responsabili delle imprese e che si concretizzano nel richiamo all’osservanza dell’obbligo giuridico violato e nell’invito alla regolarizzazione dell’infrazione entro il termine fissato (artt. 9 e 10 d.p.r. 19 marzo 1955 n. 520). Laddove fondate su un apprezzamento tecnico-discrezionale, integrativo della disciplina stabilita dal legislatore in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, assumono la natura giuridica di provvedimenti impugnabili innanzi giudice amministrativo.
L’inosservanza delle disposizioni legittimamente impartite dagli ispettori nell’esercizio delle loro funzioni è punita con sanzione amministrativa o penale, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del medesimo d.P.R..
Rientrano invece nell’alveo degli artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 758 del 1994 i verbali con i quali vengono accertate le fattispecie contravvenzionali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e comminate le conseguenti prescrizioni volte ad eliminare la situazione di pericolo. Si tratta di atti tipici di polizia giudiziaria, sottratti alla cognizione del giudice amministrativo in quanto valutabili nell’ambito del procedimento penale avente ad oggetto il reato contestato (Cass. Civ., Sez. Un., 9 marzo 2012, n. 3694 e Cons. Stato, sez. VI, 31 ottobre 2011, n. 5821).
2. Venendo al caso di specie, con i primi due motivi Te. ha contestato il capo della sentenza con il quale il Tar ha declinato la propria giurisdizione in favore del giudice del lavoro.
2.1. Sul piano processuale, l’appellante eccepisce l’inosservanza da parte del Tar dell’ordine di esame delle questioni imposto dagli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c., stando al quale l’accertamento del presupposto processuale della giurisdizione precede la delibazione delle condizioni dell’azione. L’impianto argomentativo della decisione viene censurato anche come contraddittorio e confuso, in quanto il riferimento alla delibazione “… in via incidentale” della questione di giurisdizione non consente di comprendere se le relative affermazioni debbano considerarsi una sorta di obiter dictum oppure come una vera e propria statuizione suscettibile di acquisire valore di giudicato formale.
2.2. Nel merito della questione, la ricorrente osserva che il riparto di giurisdizione, nella materia de qua, si conforma al carattere rigido o elastico degli obblighi imposti al datore di lavoro. Sicché, se è contestato l’inadempimento di obblighi puntuali imposti da “norme a struttura rigida”, sussiste la giurisdizione ordinaria; mentre a fronte di norme di mero principio che rimettono alla competente autorità amministrativa il potere di stabilire la congruità delle misure di prevenzione già adottate dall’imprenditore e di indicare eventuali rimedi e accorgimenti, sussiste la giurisdizione amministrativa, trattandosi di un sindacato su atti provvedimentali a carattere discrezionale, integrativi del precetto legislativo ed incidenti sulla sfera organizzativa dell’impresa.
2.3. La fattispecie concreta rientrerebbe nella seconda tipologia casistica, in quanto i rilievi sollevati dalla ASL non hanno evidenziato irregolarità o carenze suscettibili di configurare un contrasto frontale con puntuali obblighi legislativi, ma si sono fondati sulla presunta violazione di principi e criteri generali, come in concreto declinati dall’azienda appellata.
2.4. Per effetto delle censure sin qui riepilogate, la parte ricorrente invoca in via principale l’annullamento dei capi della sentenza di cui ai § § 6, 7 e 8, con conseguente rinvio della causa ex art. 105 c.p.a. al giudice di prima istanza.
2.5. In replica, la parte appellata argomenta circa il fatto che il TAR non avrebbe declinato la propria giurisdizione sulla controversia, ma, con l’accenno del tutto incidentale espresso sul punto, si sarebbe limitato a rafforzare le precedenti statuizioni in tema di asserita insussistenza della legittimazione attiva in capo a Te. It.. Pertanto, un eventuale rinvio della causa ai sensi dell’art. 105 c.p.a. determinerebbe una diseconomica duplicazione del giudizio di merito, essendo questo già stato reso dal Tar.
2.6. Il Collegio ritiene che la sentenza di primo grado abbia inteso prospettare cumulativamente una serie di motivazioni, ciascuna delle quali ritenuta autonomamente idonea a giustificare la reiezione in rito del ricorso.
Diversamente, non avrebbe senso logico la cognizione “incidentale” di un presupposto processuale (la giurisdizione) in deroga alla regola che lo vuole oggetto di una delibazione prioritaria.
2.7. Nel merito, i due motivi innanzi riepilogati sono fondati.
2.8. Con riferimento al primo di essi, risultano decisive le indicazioni espresse dal giudice regolatore della giurisdizione secondo le quali, mentre sono devolute al giudice ordinario le controversie relative a diffide concernenti l’inosservanza di misure di prevenzione o d’igiene previste direttamente dalla legge e tali da delimitare in modo completo la posizione soggettiva dell’imprenditore; sono invece devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie su diffide relative a norme che, invece di prescrivere specifiche misure, si limitano ad indicare i principi e gli obiettivi da raggiungere ovvero presuppongono un potere discrezionale dell’ispettore in ordine non solo al contenuto delle prescrizioni ma anche in ordine all’esercizio o non del potere stesso: in entrambi i casi da ultimo menzionati, si ritiene che il potere discrezionale incontri posizioni di interesse legittimo dell’imprenditore, quale soggetto inciso nella libera organizzazione degli elementi produttivi dell’azienda (Cass. Sez. Un., 13 febbraio 1993, n. 1822 e 9 luglio 1991, n. 7547).
2.9. Ciò posto, l’art. 10 del d.P.R. 520/1955 attribuisce alle aziende sanitarie un potere discrezionale che si differenzia da quello sulla cui base si fondano le diffide adottate ai sensi dell’art. 9 del medesimo dPR, volte a contestare obblighi direttamente imposti dalla legge. Nel caso di specie, come enunciato nello stesso “foglio di disposizioni” in questione, gli operatori dell’azienda sanitaria hanno agito proprio nell’esercizio del potere loro riconosciuto dall’art. 10 del D.P.R. n. 520/55, quindi attraverso la formulazione di disposizioni esecutive implicanti un apprezzamento tecnico-discrezionale integrativo della disciplina stabilita dal legislatore. I rilievi critici in esse espressi riguardano, infatti, i profili di chiarezza ed efficacia informativa del DVR oltre che l’adeguatezza e completezza delle misure di prevenzione e di protezione ivi contenute; ed entrambi gli aspetti risultano stigmatizzati dalla ASL in relazione a parametri di giudizio elastici, implicanti un apprezzamento tipicamente discrezionale.
2.10. Per parte sua, Te. ha inteso dimostrare come l’azienda sanitaria, attraverso il provvedimento impugnato, abbia in realtà esercitato la sua potestà autoritativo-discrezionale al fine di imporre illegittimamente una modalità alternativa di redazione e predisposizione del DVR, al di fuori di qualsivoglia riscontrata violazione dei parametri di semplicità, brevità e comprensibilità individuati nell’art. 28 del d.lgs. 81/2008.
2.11. Ne discende che l’atto impugnato incide, per sua natura, su posizioni di interesse legittimo, la cui cognizione, alla stregua dei richiamati criteri di riparto, appartiene al giudice amministrativo.
3. Con un terzo motivo di appello, svolto in via subordinata ai precedenti, viene censurata la statuizione con la quale è stata ravvisata la carenza di legittimazione ad agire in capo a Te.. La ricorrente assume che tale conclusione si fonda su una malintesi interpretazione della nozione di “datore di lavoro” (art. 2, co. 1, lett. b), del d.lvo 81/2008).
3.1. A seguire, viene censurata come del tutta erronea l’affermazione del Tar secondo la quale Te. non sarebbe esposta ad alcuna conseguenza giuridica a seguito dell’inadempimento dell’ordine impartito, essendo vero, al contrario, che l’ottemperanza alla misura adottata dalla ASL impatta in maniera decisiva sull’organizzazione interna della società appellante e sulla sua libertà d’impresa.
3.2. Quanto alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso per (asserita) sopravvenuta carenza di interesse – sul presupposto che il DVR dell’azienda sarebbe stato aggiornato il 2 marzo 2018 e la USL Umbria 1 ne avrebbe preso atto senza nulla eccepire – essa viene contestata, oltre che nel merito, innanzitutto perché assunta in violazione della regola del contraddittorio ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., il che giustificherebbe la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a..
3.3. In via subordinata, la parte appellante ripropone le censure di merito dedotte in primo grado e non esaminate dal Tar.
3.4. Anche i rilievi sin qui ricapitolati paiono fondati e tali da determinare l’accoglimento dell’istanza formulata ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a..
3.5. Nel motivare il difetto di legittimazione ad agire di Te., il giudice di primo grado ha osservato: a) che l’elaborazione del DVR previsto dall’art. 28 dello stesso d.lgs. n. 81 del 2008, rientra, ai sensi dell’art. 17 del medesimo d.lgs., tra gli obblighi non delegabili del datore di lavoro; b) che l’art. 2, comma 1, alla lett. b), definisce “datore di lavoro”, ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui allo stesso decreto legislativo, “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Sulla base di queste premesse, il Tar ha ulteriormente argomentato che, poiché il provvedimento gravato è stato adottato nell’ambito delle attività di vigilanza riguardanti l’unità funzionale Access Operation Line Umbria (AOL Umbria), costituente una delle diverse articolazioni della Wh. – quale Unità produttiva di Te. It. s.p.a.; e, poiché per l’Unità produttiva Wh. è stato individuato quale datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008, il dott. St. Ci., solo a questi competesse l’impugnazione dell’atto della USL Umbria 1 adottato ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 520 del 1955, in quanto a lui esclusivamente rivolto.
3.6. Le argomentazioni qui riassunte si appalesano non condivisibili sotto plurimi profili.
3.7. Come già esposto, l’art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. 81/2008 individua il “datore di lavoro” nel ” soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore” ovvero, in via alternativa, nel “.. soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
3.8. L’accezione in argomento non esclude, dunque, che ad essa possa agevolmente ricondursi sia il soggetto/impresa con il quale intercorre il rapporto di lavoro; sia il soggetto/persona fisica preposto all’Unità produttiva/funzionale presso la quale il lavoratore presta la propria attività .
3.9. Secondo le più recenti indicazioni giurisprudenziali (elaborate prevalentemente in ambito penalistico) nella nozione in esame si cumulano, in altri termini, un dato formale, ovvero la titolarità del rapporto di lavoro con il lavoratore che, peraltro, nelle società, è comunque in capo all’ente collettivo e non alla persona fisica; ed un dato di natura sostanziale, afferente alla responsabilità dell’impresa o dell’unità produttiva.
3.10. Quest’ultimo requisito, a sua volta, per assumere rilevanza deve accompagnarsi – questo è il punto – ad effettivi poteri decisionali e di spesa che diano sostanza alla funzione gestionale del complesso aziendale. In questo specifico ordine di considerazioni, per potersi dare la qualità di datore di lavoro e per potersi ad essa associare una posizione di garanzia, occorre avere riguardo alla situazione di fatto, poiché solo alla titolarità di effettivi poteri decisionali e gestionali si fa corrispondere simmetricamente il dovere, giuridicamente rilevante, di predisporre le necessarie misure di tutela della sicurezza dei lavoratori (Cass. pen., sez. IV, 1° aprile 2010, n. 17581; Id, sez. IV, 15 marzo 2011, n. 16311; Id., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343).
3.11. Di contro, l’individuazione, nell’ambito di enti societari, di soggetti responsabili di singole unità produttive ed il conferimento in loro favore dei poteri in materia di sicurezza e redazione del DVR, non costituiscono indizi in sé decisivi di una totale abdicazione da parte della persona giuridica alla titolarità della funzione di prevenzione e vigilanza, ovvero, più in generale, al potere decisionale, di spesa e di organizzazione dell’impresa.
Dunque, la permanenza del potere gestionale in capo all’ente delegante trattiene a sé anche i profili connessi alla materia della sicurezza, a prescindere da formali atti di delega che ne rendano depositari singoli soggetti muniti di investitura ad personam, laddove a tale delega non si associ un effettivo trasferimento dei poteri di conduzione del complesso aziendale.
3.12. Nel caso di specie e proprio alla luce delle deleghe versate in atti, non è ravvisabile in capo al soggetto responsabile della singola unità produttiva quella pienezza di poteri che consente di limitare alla sua persona l’individuazione del “datore di lavoro”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. 81/2008 (cfr. doc. 8 prodotto da TI in primo grado e delega notarile prodotta da TI – doc. D).
3.13. D’altra parte, l’ipotesi che Te. abbia dismesso l’effettivo potere di indirizzo e gestione dell’unità produttiva in questione non è stata neppure prospettata dalla parte resistente, sicché, al di là del dato formale insito nella delega di funzioni, non sussistono i minimi margini per poter avallare – alla stregua delle coordinate ermeneutiche innanzi richiamate, fondate sulla ricostruzione di un assetto sostanziale dei poteri di conduzione dell’impresa – l’impostazione accolta dal giudice di primo grado.
3.14. Infine, la questione qui controversa, sebbene direttamente pertinente alle modalità redazionali del DVR, è destinata ad interferire con le strategie di organizzazione dei luoghi di lavoro adottate da Te. a livello nazionale e, quindi, ad incidere sulle scelte operative della società interessata, così da interpellare necessariamente la responsabilità dei vertici direzionali garanti del buon andamento della gestione aziendale.
3.15. Di riflesso, la portata delle misure contestate rende ragione dell’interesse ad agire di Te., la quale vede incisa la propria libertà d’impresa, poiché compressa da determinazioni eccessivamente pervasive e confliggenti con le scelte operate nell’ambito della propria autonoma organizzazione interna.
3.16. Le illustrate considerazioni inducono a deflettere da una considerazione eccessivamente restrittiva della nozione di “datore di lavoro” la quale, oltre che contraddetta dal dato normativo e dalla corrente ermeneutica giurisprudenziale, appare anche eccessivamente e inutilmente formalistica se rapportata ad un’area di interesse – quella delle responsabilità connesse alla mappatura dei rischi sui luoghi di lavoro – indirettamente estesa anche al più ampio assetto organizzativo-aziendale presso il quale il delegato alla materia della sicurezza opera ed è incardinato.
4. Sgombrato il campo dai rilievi preliminari sin qui vagliati, risulta fondata, da ultimo, la dedotta violazione dell’art. 73 c.p.a..
4.1. Dalla lettura degli atti di causa si evince che la sopravvenuta carenza di interesse conseguente all’aggiornamento del DVR in data 2 marzo 2018 (cui è poi seguito un ulteriore DVR in data 31.7.2018 oggetto del verbale di contravvenzione n. 8675 del 17.1.2019), è stata valutata d’ufficio dal Tar senza essere prima sottoposta al contraddittorio delle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a..
4.2. La questione esaminata dal Tar, d’altra parte, non coincideva con quella eccepita dalla parte resistente – come del resto si evince nel § 7 della sentenza appellata, laddove si afferma che il profilo accertato è “diverso da quello eccepito dalla difesa della USL Umbria 1”.
4.3. Ciò posto, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., l’essere stata posta a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d’ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l’assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da tale violazione consegue l’obbligo per il giudice di appello di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 105, comma 1, cod. proc. amm. (in termini, tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2974; sez. V, 4 maggio 2016, n. 1755).
Per le ragioni innanzi esposte, esattamente in questi stessi termini merita di essere accolto l’appello qui in esame.
5. La peculiarità della controversia integra il presupposto di legge per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata e rimette la causa al primo giudice.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere, Estensore
Umberto Maiello – Consigliere

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