Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 25 agosto 2020, n. 17696.

La massima estrapolata:

Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.

Ordinanza 25 agosto 2020, n. 17696

Data udienza 26 giugno 2020

Tag/parola chiave: Responsabilità sanitaria – Intervento chirurgico – Infezione ospedaliera – Stafilococco aureo – Shock settico – Risarcimento danni – Nesso di causalità – Onere della prova – Ripartizione onere probatorio – Fatto non eccezionale ne difficilmente prevedibile – Perfetta igiene ospedaliera – Approntamento del necessario – Onere della prova a carico della struttura

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco M. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 22664-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato a (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in persona del Direttore generale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 191/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 25/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/06/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio l'(OMISSIS), davanti al Tribunale di Torino, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni conseguenti alla morte di (OMISSIS), rispettivamente moglie e madre degli attori, asseritamente dovuta a responsabilita’ sanitaria dell’ente ospedaliero.
Esposero, a sostegno della domanda, che la congiunta, sottoposta ad intervento chirurgico di riduzione e sintesi di una frattura della rotula in data (OMISSIS) presso l’Azienda convenuta, era stata dimessa il successivo (OMISSIS) per esservi nuovamente ricoverata il successivo (OMISSIS), quando era emerso che la paziente aveva contratto un’infezione batterica da stafilococco aureo. Il successivo (OMISSIS) la (OMISSIS) aveva manifestato i segni evidenti di un’allergia cutanea a causa della quale la terapia antibiotica intrapresa con il secondo ricovero era stata sospesa; e nel frattempo la paziente era stata sottoposta a prelievi emocolturali per seguire l’evoluzione dell’infezione, i cui esiti, pero’, non risultavano dalla cartella clinica. Il successivo (OMISSIS) la paziente era stata dimessa senza terapia antibiotica, per essere nuovamente ricoverata il (OMISSIS) a causa della persistenza dell’infezione da stafilococco aureo. Protrattasi la degenza, la (OMISSIS) aveva subito un secondo intervento il (OMISSIS) per revisione del focolaio di frattura; cio’ nonostante, peggiorate rapidamente le sue condizioni, la donna era venuta a mancare il (OMISSIS).
Tanto premesso, gli attori chiesero la condanna dell’Azienda convenuta, invocando la sua responsabilita’ per aver cagionato l’infezione batterica in occasione del primo intervento chirurgico e per non avere trattato in modo adeguato tale infezione nel periodo successivo, causando in tal modo la morte della paziente.
Si costitui’ in giudizio l’Azienda Ospedaliera convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.
All’esito dell’istruttoria, nella quale fu svolta una c.t.u. medico legale, il Tribunale rigetto’ la domanda e compenso’ le spese di lite.
2. La pronuncia e’ stata impugnata dal solo (OMISSIS) e la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 25 gennaio 2018, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello.
Ha osservato la Corte territoriale che era infondata la prima censura con la quale si lamentava inadempimento conseguente ad un’errata tempistica di somministrazione della terapia antibiotica in relazione al primo intervento chirurgico. A questo riguardo la Corte, richiamate le conclusioni della c.t.u. e la motivazione gia’ resa sul punto dal Tribunale, ha considerato irrilevante il contrasto circa il momento preciso di svolgimento dell’intervento chirurgico risultante dal verbale operatorio, dal diario infermieristico e dalla cartella anestesiologica. Richiamate le linee guida sull’argomento – in base alle quali la profilassi antibiotica deve avvenire “immediatamente prima delle manovre anestesiologiche e comunque tra i trenta e i sessanta minuti che precedono l’incisione della cute” – la Corte ha ritenuto corretta la profilassi antibiotica svolta, in quanto essa era stata somministrata “allorche’ era stata effettuata l’induzione all’anestesia e quindi senz’altro nell’arco temporale prescritto rispetto all’incisione della cute”; ed ha considerato irrilevante la circostanza che l’antibiotico fosse stato somministrato separatamente o contestualmente all’anestetico, non risultando alcuna specifica controindicazione all’infusione contestuale ai fini di una corretta profilassi infettiva.
Passando all’esame dei successivi motivi di appello, aventi ad oggetto le contestazioni in ordine alla gestione dell’infezione batterica manifestatasi in seguito, la Corte torinese ha innanzitutto affermato che la situazione clinica della paziente, resa piu’ complessa dall’esistenza di cirrosi epatica e deficit di coagulazione, non era inizialmente tale da far sospettare che l’infezione batterica fosse molto approfondita (come purtroppo invece era). Da cio’ consegue che la sospensione della terapia antibiotica, a causa dell’allergia manifestatasi, dal (OMISSIS) fino al (OMISSIS), momento in cui l’infezione si era manifestata in “sepsi conclamata”, non poteva essere considerata fonte di responsabilita’ medica. Richiamati ampi passaggi dell’espletata c.t.u., della quale la Corte d’appello ha dichiarato di condividere integralmente le conclusioni, la sentenza ha osservato che l’idoneita’ o meno di una terapia deve essere valutata alla luce del quadro complessivo del paziente. Nel caso specifico, la c.t.u. aveva “decisamente escluso che alla signora (OMISSIS) in quei giorni potesse essere somministrata una qualche terapia antibiotica (e senz’altro non aggressiva)”, posto che la reazione allergica insorta “aveva caratteristiche tali da assumere un significato clinico piu’ urgente e prevalente rispetto all’infezione”. Per cui, considerato che la paziente era stata piu’ volte visitata dallo specialista allergologo e valutate le sue non buone condizioni generali, la Corte di merito ha ritenuto giustificata la sospensione della terapia antibiotica, posto che “la condizione di salute generale della paziente e l’insorgenza della reazione allergica non consentiva di individuare una condotta alternativa idonea ad impedire l’insorgenza della sepsi”.
Ha infine concluso la sentenza che l’insieme degli elementi risultanti dalla c.t.u. e dagli atti portavano ad escludere l’esistenza di una qualsiasi condotta colposa dei sanitari dell’ospedale; e comunque, ove pure si fosse reintrodotta una terapia antibiotica (neppure chiaramente individuabile) “il (OMISSIS) o nei giorni successivi, allorche’ si fosse risolta l’allergia, cio’ non avrebbe, con ogni probabilita’, potuto impedire l’insorgere della sepsi appena quattro giorni dopo”.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Torino propone ricorso (OMISSIS) con atto affidato a due motivi.
Resiste l'(OMISSIS) con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 111 Cost. e dell’articolo 132 c.p.c., n. 4), conseguente alla presenza di una motivazione contenente affermazioni tra loro logicamente inconciliabili o comunque obiettivamente incomprensibili.
La censura ha ad oggetto la gestione del trattamento antibiotico in occasione del primo intervento chirurgico e, in particolare, il momento in cui l’infusione ebbe luogo. Secondo le linee guida richiamate dalla stessa Corte d’appello, infatti, la terapia antibiotica deve essere somministrata almeno trenta minuti prima dell’incisione chirurgica e non prima di sessanta minuti dalla medesima, proprio per consentire il massimo afflusso del farmaco nel sangue nel momento in cui c’e’ l’intervento. Nella specie, invece, la sentenza avrebbe dato atto che l’antibiotico era stato iniettato insieme al cocktail dei narcotici con un’unica infusione, dimostrando cosi’ di per se’ la violazione delle suddette linee guida. L’errata somministrazione dell’antibiotico e’ da ritenere, secondo il ricorrente, causa dell’infezione che poi condusse la paziente alla morte; e la sentenza sarebbe nulla perche’ la Corte d’appello, con motivazione incongrua e del tutto contraddittoria, avrebbe richiamato il contenuto delle linee guida senza trarne le dovute conclusioni, perche’ non ha dedotto dall’indicata violazione l’unica conclusione logica, e cioe’ la responsabilita’ colposa della struttura ospedaliera.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1228 e 2697 c.c. e dell’articolo 116 c.p.c., sul rilievo che la sentenza impugnata si sarebbe basata unicamente sulle risultanze della c.t.u. che ha ritenuto corretto il comportamento dei medici, senza considerare le carenze ed illogicita’ della stessa; tanto piu’ in quanto risultava la scorretta tenuta della cartella clinica sia in occasione del primo intervento che della sospensione e mancata ripresa della terapia antibiotica dal (OMISSIS) al (OMISSIS).
Premette il ricorrente che, per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, la responsabilita’ dell’ente ospedaliero e’ da ritenere di natura contrattuale, regolata quindi dall’articolo 1218 c.c.; per cui il paziente ha il mero onere di allegare l’esistenza del contratto e del relativo inadempimento, mentre al debitore spetta dimostrare che l’inesattezza della prestazione dipende da causa a lui non imputabile, cioe’ dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere correttamente la propria obbligazione. Il ricorrente rileva di avere adempiuto al proprio onere di prova, mentre altrettanto non sarebbe stato fatto dalla struttura ospedaliera. Un primo elemento di responsabilita’ a carico dell’ospedale deriverebbe dalla non corretta tenuta della cartella clinica, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimita’, elemento dal quale si sarebbe dovuta trarre una prova presuntiva a carico del sanitario. In particolare, il ricorrente evidenzia due profili colposi, l’uno relativo alla corretta infusione dell’antibiotico in relazione al primo intervento chirurgico e l’altro relativo alla scorretta tenuta della cartella clinica in ordine agli esami emocolturali effettuati in corso di ricovero. Partendo dalla non corretta tenuta della cartella clinica, la censura sostiene che la questione della somministrazione dell’antibiotico, gia’ oggetto del primo motivo, sarebbe stata affrontata in modo errato dalla c.t.u., perche’ l’effettivo rispetto delle linee guida si sarebbe potuto desumere solo dalla corretta tenuta della cartella clinica; per cui la confusione circa l’orario dell’intervento determinerebbe addirittura il dubbio sul se la terapia antibiotica sia stata davvero somministrata. Quanto alle emocolture, la doglianza rileva che gia’ in data (OMISSIS) la paziente era affetta da febbre; in quel momento, se gli esiti dei controlli ematici fossero stati disponibili, la gravita’ dell’infezione batterica sarebbe stata evidente, con conseguente possibilita’ per i medici di riprendere subito la terapia antibiotica. Non sarebbe poi esatto che non si potesse sapere, in quel momento, quale fosse l’antibiotico utilizzabile, perche’ gia’ in data (OMISSIS) risultava che la vancomicina avrebbe potuto essere iniettata, in conformita’ al parere dell’allergologo; e comunque la (OMISSIS) era stata pacificamente dimessa in data (OMISSIS) pur in presenza di un’infezione conclamata, senza alcuna indicazione di terapia antibiotica con la vancomicina. L’incertezza probatoria complessiva si sarebbe dovuta riverberare in danno della struttura ospedaliera e non in suo favore.
3. I due motivi, benche’ tra loro diversi, possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’evidente connessione che li unisce. Essi sono fondati nei termini che si vanno a precisare.
3.1. Com’e’ noto, la giurisprudenza di questa Corte ha in tempi recenti rivisitato alcuni principi in tema di responsabilita’ professionale medica, di nesso di causalita’ e di relativo onere della prova.
E’ stato al riguardo affermato, con un orientamento che puo’ dirsi ormai consolidato, che, ove sia dedotta la responsabilita’ contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, e’ onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalita’ fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre e’ onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilita’ dell’esatta esecuzione della prestazione. Cio’ sul presupposto che nelle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione e’ preposta l’obbligazione, cioe’ il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore, ma del diritto alla salute, che e’ l’interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato (cosi’, da ultimo, le sentenze 11 novembre 2019, n. 28991 e n. 28992, in linea con la sentenza 26 luglio 2017, n. 18392).
Quest’orientamento, al quale l’odierno Collegio intende dare ulteriore continuita’, ha posto, in definitiva, regole in tema di onere della prova, le quali assumono rilievo solo nel caso di causa rimasta ignota. Nel caso di cui alla citata sentenza n. 28991, infatti, si era in presenza di una causa di responsabilita’ professionale nella quale, anche dopo l’espletamento di una c.t.u., pur in presenza di alcuni possibili errori riconducibili ai sanitari, era rimasta incerta la correlazione tra la condotta dei medici e la morte della paziente.
3.2. Questi principi vanno applicati al caso in esame, tenendo tuttavia presente la diversita’ della situazione.
Nel caso odierno, infatti, non puo’ dirsi esistente un dubbio sulle cause della morte della signora (OMISSIS). Risulta dagli atti in modo pacifico e non contestato che ella fu ricoverata in data (OMISSIS) per un intervento chirurgico di riduzione e sintesi di una frattura alla rotula e che pochi giorni dopo l’intervento si manifestarono i segni evidenti di un’infezione che risulto’ essere da stafilococco aureo. Le terapie furono ostacolate da una situazione di salute generale della paziente non buona (la sentenza impugnata riferisce di diabete, cirrosi e piastrinopenia); ma e’ certo che quell’infezione, resa particolarmente insidiosa dall’insorgenza di una significativa reazione allergica alle terapie antibiotiche, fu tra le cause che condussero, dopo ulteriori ricoveri successivi, alla morte della paziente il (OMISSIS) (l’intera dolorosa vicenda, cioe’, si svolse nell’arco di circa due mesi). Il collegamento tra l’infezione e la morte e’ da intendere nel senso che, in ossequio ad un’antica massima, causa causae est causa causati; materialmente, infatti, come la sentenza riferisce, la morte fu dovuta (come causa finale) ad uno shock settico, che pero’ rappresento’ il punto di arrivo di una vicenda che non avrebbe avuto inizio se non ci fosse stata l’infezione da stafilococco aureo.
Il ricorrente, a questo proposito, trascrive parte della sentenza del Tribunale che, nel riferire le osservazioni della c.t.u. svolta, individua l’infezione da stafilococco aureo “tra le concause della morte”. E il ricorso aggiunge, riportando osservazioni della c.t.u., che “se durante il primo intervento non fosse avvenuta la liberazione di costituenti batterici (progredita da semplice infezione in sepsi e probabilmente esita in shock settico brutale), la sopravvivenza della paziente agli esiti della caduta accidentale sarebbe stata “piu’ probabile che non”. Ne’ la sentenza della Corte d’appello qui impugnata smentisce in alcun modo tale ricostruzione, ma anzi implicitamente la conferma; quantomeno nel senso che da’ per pacifico che tutto comincio’ con l’infezione da stafilococco aureo.
3.3. Se i fatti si sono svolti in questi termini – e la Corte di legittimita’ non ha nessun potere di ritenere diversamente, anche perche’ non c’e’ un disaccordo tra le parti sulla cronologia degli eventi – si tratta di stabilire se sia o meno corretta la decisione qui impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda risarcitoria dell’odierno ricorrente, escludendo l’esistenza di una responsabilita’ sanitaria della struttura ospedaliera.
Il ricorso in esame concentra le proprie censure su due aspetti: il momento (asseritamente errato) in cui fu eseguita la profilassi antibiotica in occasione dell’intervento del (OMISSIS) (primo motivo) e il trattamento successivo dell’infezione insorta, fino alla data della morte (secondo motivo).
Giova ricordare, a questo proposito, che la Corte di cassazione puo’ accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, a condizione che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non puo’ comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio di una eccezione in senso stretto (in tal senso v., tra le altre, le sentenze 22 marzo 2007, n. 6935, 14 febbraio 2014, n. 3437, nonche’ l’ordinanza 28 luglio 2017, n. 18775). Non vi sono dubbi, nel caso in esame, sul fatto che i motivi di ricorso pongano all’esame di questa Corte il problema dell’insorgenza dell’infezione.
Rileva percio’ il Collegio che, a seguito del ricovero della signora (OMISSIS) per l’esecuzione dell’intervento chirurgico alla rotula, gravava sulla struttura sanitaria la relativa responsabilita’ contrattuale, che esige l’adempimento di una serie di obbligazioni. Tra queste, pacificamente esiste anche l’obbligazione di garantire l’assoluta sterilita’ non soltanto dell’attrezzatura chirurgica ma anche dell’intero ambiente operatorio nel quale l’intervento ha luogo; tanto che questa Corte ha affermato, proprio in un caso di infezione batterica contratta in ambiente operatorio, che il debitore (cioe’ la struttura sanitaria) risponde anche dell’opera dei terzi della cui collaborazione si avvale, ai sensi dell’articolo 1228 c.c., dato che la sterilizzazione della sala operatoria e dei ferri chirurgici e’ compito che non spetta direttamente al chirurgo operatore (sentenza 14 giugno 2007, n. 13953). Ora, che lo stafilococco aureo sia un batterio di frequente (anche se non esclusiva) origine nosocomiale e’ nozione che questa Corte puo’ dare come pacifica; ed e’ altrettanto noto che proprio per questa sua frequente origine, lo stafilococco aureo e’ un batterio particolarmente resistente agli antibiotici, ivi compresi quelli affini alla penicillina. Cio’ comporta la necessita’, da parte della struttura sanitaria, di una particolare attenzione alla sterilita’ di tutto l’ambiente operatorio, proprio perche’ l’insorgenza di un’infezione del genere non puo’ considerarsi un fatto ne’ eccezionale ne’ difficilmente prevedibile. E l’onere della prova di avere approntato in concreto tutto quanto necessario per la perfetta igiene della sala operatoria e’, ovviamente, a carico della struttura.
Consegue dal complesso di tali argomenti che, non essendo stata, a quanto risulta, neppure prospettata la possibilita’ che l’infezione da stafilococco aureo abbia avuto una genesi diversa da quella nosocomiale, deve darsi per accertato, anche se in via presuntiva, che i danneggiati abbiano dimostrato che il contagio sia avvenuto in ospedale, con ogni probabilita’ in occasione dell’intervento chirurgico del (OMISSIS); ne’ la sentenza impugnata sostiene alcunche’ di diverso su questo punto. Se cosi’ e’, non assume rilevanza decisiva il problema della correttezza o meno della profilassi antibiotica in relazione al momento dell’intervento (primo motivo); anche dando per assodato cio’ che la Corte d’appello afferma – e cioe’ che le linee guida non impedivano affatto la somministrazione contestuale dei narcotici e dell’antibiotico – resta comunque il dato pacifico che pochi giorni dopo l’intervento l’infezione si manifesto’, con tutto quello che ne consegui’. Il che porta a ritenere, almeno a livello indiziario, che qualcosa non era andato a dovere in sala operatoria; e la stessa sentenza in esame riferisce, pur non collegando a tale constatazione alcuna conseguenza, che vi erano state negligenze nella tenuta della cartella clinica, per cui non sembra che l’Azienda ospedaliera abbia dimostrato (come sarebbe stato suo dovere) la regolarita’ dell’operato dei suoi dipendenti anche in relazione alla sterilizzazione dell’ambiente operatorio. Alla luce della giurisprudenza suindicata, infatti, una volta dimostrata, da parte del danneggiato, la sussistenza del nesso di causalita’ tra l’insorgere (in questo caso) della malattia ed il ricovero, era onere della struttura sanitaria provare l’inesistenza di quel nesso (ad esempio, dimostrando l’assoluta correttezza dell’attivita’ di sterilizzazione) ovvero l’esistenza di un fattore esterno che rendeva impossibile quell’adempimento ai sensi dell’articolo 1218 c.c..
Per cui, in definitiva, la sentenza impugnata appare in contrasto con i principi enunciati da questa Corte in materia.
3.4. La sentenza in esame contiene, poi, una serie di passaggi che offrono il fianco alle critiche poste soprattutto nel secondo motivo di ricorso.
Senza entrare nel merito delle valutazioni compiute in ordine alla correttezza o meno della linea terapeutica seguita dai sanitari dopo il manifestarsi dell’infezione, il Collegio rileva che la sentenza della Corte torinese afferma che l’appellante non aveva indicato alcuna terapia antibiotica alternativa a quelle che non potevano essere seguite a causa della grave allergia manifestata dalla paziente. Risulta dal secondo motivo di appello, invece, che era stata proposta una possibile terapia con la vancomicina; punto, questo, che avrebbe meritato di essere almeno in qualche misura esaminato, essendo l’antibiotico suindicato tra quelli normalmente utilizzati per combattere l’infezione da stafilococco aureo.
Non e’ affatto chiaro, poi, ne’ per quale motivo la signora (OMISSIS) fu dimessa nuovamente, in data (OMISSIS), e senza alcuna terapia antibiotica, tanto che fu poi necessario un ulteriore ricovero pochi giorni dopo. Cosi’ come la sentenza impugnata non fornisce alcuna motivazione delle ragioni per le quali afferma (p. 8) che “quand’anche fosse stata reintrodotta una qualche terapia antibiotica il (OMISSIS) o nei giorni successivi, allorche’ si fosse risolta l’allergia, cio’ non avrebbe, con ogni probabilita’, potuto impedire l’insorgere della sepsi appena quattro (o meno) giorni dopo”. Considerazione che, posta in questi termini, e’ un’affermazione pura e semplice, del tutto sfornita di ogni motivazione.
4. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso e’ accolto e la sentenza impugnata e’ cassata.
Il giudizio e’ rinviato alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione personale, la quale tornera’ ad esaminare il merito dell’appello tenendo presenti le indicazioni contenute nella presente pronuncia.
Al giudice di rinvio e’ demandato anche il compito di liquidare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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