Ove il giudice pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile abbia proceduto al suo esame nel merito

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|29 settembre 2022| n. 28364.

Ove il giudice pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile abbia proceduto al suo esame nel merito

Ove il giudice, pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile, anche in dispositivo, abbia proceduto al suo esame nel merito, esprimendosi, con motivazione preponderante e diffusa, nel senso della infondatezza, è ammissibile l’impugnazione della motivazione concernente sia l’inammissibilità che il merito, dovendosi riconoscere l’interesse della parte soccombente all’impugnazione di quello che si configura come un provvedimento di rigetto nel merito; ne consegue che in sede di legittimità, nonostante l’accoglimento della doglianza concernente l’inammissibilità, il motivo attinente al merito va comunque esaminato e non può reputarsi assorbito, avuto anche riguardo al principio di economia dei mezzi processuali.

Ordinanza|29 settembre 2022| n. 28364. Ove il giudice pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile abbia proceduto al suo esame nel merito

Data udienza 7 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: EMIGRAZIONE ED IMMIGRAZIONE – PROFUGHI E RIFUGIATI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. CASO Giuseppe Francesco L. – rel. Consigliere

Dott. MICHELINI Gualtiero – Consigliere

Dott. BOGHETIC Elena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 9112/2020 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Bologna, depositato il 27.1.2020, R.G. n. 9401/2018;
LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

Ove il giudice pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile abbia proceduto al suo esame nel merito

RILEVATO IN FATTO

che:
1) con il decreto in epigrafe indicato, il Tribunale di Bologna ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale (OMISSIS), proveniente dalla Nigeria, si era opposto al provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale in tutte le sue forme (principale, sussidiaria e umanitaria).
2) avverso detta provvedimento, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
3) Il Ministero intimato ha depositato un “atto di costituzione” in cui non ha svolto alcuna difesa.

Ove il giudice pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile abbia proceduto al suo esame nel merito

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce: “Erronea motivazione per non avere il Tribunale di Bologna correttamente applicato il Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 28-bis e il Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 35 bis comma 2 ultima parte”. Osserva che: “Motiva il Tribunale di Bologna che, avendo la Commissione rigettato la richiesta ritenendo sussistente l’ipotesi di cui all’articolo 28 bis, comma 2, lettera a) nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 113 del 2018 – richiamata dal Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 35 bis comma 2 ultima parte, i termini per la proposizione del ricorso sono ridotti della meta’. Poiche’ quindi, specie, il provvedimento risulta notificato al ricorrente il 24.5.2018 e poiche’ il ricorso risulta proposto il 19.6.2018, ossia ben oltre il termine previsto di 15 giorni, va dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso. Non apparirebbe condivisibile l’assunto difensivo secondo cui nel provvedimento notificato al ricorrente sarebbe erroneamente indicato il maggior termine di 30 giorni, posto che nel citato provvedimento espressamente si da’ atto – con la relativa traduzione in lingua inglese – della riduzione del termine nell’ipotesi di cui al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 28-bis.
Si rileva l’erroneita’ di tale motivazione poiche’ nell’ordinanza notificata (doc. n. 3) si fa espressamente riferimento al termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento per poter ricorrere avverso la decisione negativa. E’ evidente ghe tale indicazione e’ stata fuorviante per il ricorrente che si e’ attenuto aquanto esposto nel provvedimento rispettando i termini ivi indicati. Cio’ stante non puo’ essere addebitata tardivita’ alcuna poiche’ si e’ agito nel pieno rispetto dei termini di decadenza”.
2. Con il secondo motivo, lo stesso denuncia “Violazione del Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articoli 3 e 5, per non avere il Tribunale di Bologna applicato nella specie il principio dell’onere della prova attenuato cosi’ come affermato dalle S.U. con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilita’ del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 3, comma 5, in relazione al punto 3 dell’articolo 360 c.p.c.”.
3. Con il terzo motivo, deduce: “Violazione del Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 14, lettera C) per non avere il Tribunale di Bologna verificato la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata esistente nel paese d’origine cosi’ come meglio definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-465/07 meglio conosciuta come Elgafaji e difetto di motivazione per non aver adeguatamente analizzato l’effettiva situazione socio-politica della Nigeria.
4. Con il quarto motivo, deduce: “Violazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1988, articolo 5 comma 6, per non avere il Tribunale di Bologna esaminato la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale ed internazionale a fornire protezione in capo a persone che fuggono da paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria vita ed incolumita’ e pertanto per palese difetto di motivazione”.
5. Occorre muovere dall’esame del primo motivo di ricorso, che attiene a questione di rito, la quale assume all’evidenza carattere prioritario sul piano logico-giuridico.
6. Giova allora premettere testualmente quanto in proposito scritto dal Tribunale: “Tanto premesso, va osservato che preliminare a ogni altra valutazione e’ la questione – gia’ posta all’attenzione delle parti, anche in udienza – relativa all’ammissibilita’ del ricorso proposto avverso la decisione della Commissione territoriale che ha rigettato la richiesta di protezione internazionale per manifesta infondatezza.

Ove il giudice pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile abbia proceduto al suo esame nel merito

Al riguardo, occorre rilevare che ai sensi dell’articolo 35 bis, comma 2, ultima parte del Decreto Legislativo n. 25 del 2008 i termini previsti da tale comma sono ridotti della meta’ (oltre che nei casi in cui nei confronti del ricorrente sia stato adottato un provvedimento di trattenimento ai sensi del Decreto Legislativo n. 142 del 2015, articolo 6 nei “casi di cui all’articolo 28 bis, comma 2”, ossia anche nell’ipotesi contemplata dalla lettera a) della citata norma, espressamente richiamata dalla Commissione con il provvedimento di rigetto, sul rilievo della ritenuta “palese insussistenza dei presupposti previsti dal Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251″.
Ne consegue che, avendo la Commissione rigettato la richiesta ritenendo sussistente l’ipotesi di cui all’articolo 28 bis, comma 2, lettera a) – nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 113 del 2018 – richiamata dall’articolo 35 bis, comma 2, ultima parte del Decreto Legislativo n. 25 del 2008, i termini per la proposizione del ricorso sono ridotti della meta’.
Poiche’ quindi, nella specie, il provvedimento risulta notificato al ricorrente il 24.5.2018 e poiche’ il ricorso risulta proposto il 19.6.2018, ossia ben oltre il termine previsto di 15 giorni, va dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso.
Ne’ appare condivisibile l’assunto difensivo secondo cui nel provvedimento notificato al ricorrente sarebbe erroneamente indicato il maggior termine di 30 giorni, posto che nel citato provvedimento espressamente si da’ atto – con la relativa traduzione in lingua inglese – della riduzione del termine nell’ipotesi di cui al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 28-bis ” (cosi’ alla pag. 4 dell’impugnato decreto)”.
7. Come si e’ visto, l’impugnante nella sua prima censura lamenta l’erroneita’ della su riportata motivazione, anche se in realta’ si duole della lesione del principio dell’affidamento circa il termine da osservare per impugnare il provvedimento della Commissione, perche’ il Tribunale aveva dato maggior peso, da questo punto di vista, al dato che nel provvedimento espressamente si dava atto “della riduzione del termine nell’ipotesi di cui al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 28-bis”, piuttosto che a quello dell’indicazione del termine di 30 giorni per impugnare lo stesso provvedimento.
8. Tale deduzione come tale non era priva di fondamento, essendo poco questionabile che la chiara indicazione esplicita e numerica di un termine a giorni sia piu’ immediatamente percepibile e comprensibile rispetto a quella dell’indicazione della riduzione alla meta’ del medesimo termine in una particolare ipotesi normativa.
9. Nota comunque il Collegio che il ricorrente fa valere anche la falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 28-bis e del Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 35-bis, comma 2, ultima parte.
Ed e’ in questa chiave che la doglianza e’ senz’altro fondata.
In particolare, questa Corte di recente ha riaffermato che la decisione di manifesta infondatezza della domanda puo’ ritenersi adottata sulla base di una “procedura accelerata” Decreto Legislativo n. 25 del 2008, ex articolo 28 bis (nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 113 del 2020, convertito con modifiche in L. n. 173 del 2020), solamente quando il presidente della C.T., a seguito della trasmissione degli atti da parte della questura abbia deciso in tal senso e l’iter processuale abbia rispettato i termini di cui all’articolo 28 bis, comma 1, previsti per l’audizione del richiedente e per l’adozione della decisione finale, non potendo la qualificazione peculiare della procedura come “accelerata” discendere dalla formula di manifesta infondatezza contenuta nel provvedimento di rigetto della C.T. Conseguentemente, solo nel primo caso sara’ applicabile il termine dimezzato di quindici giorni per l’impugnazione del provvedimento della Commissione territoriale previsto dall’articolo 28 bis comma 3 del Decreto Legislativo citato, dovendosi applicare in tutti gli altri casi il termine ordinario, pena la violazione del diritto di difesa del richiedente, che ha il diritto di conoscere preventivamente il modello procedimentale con il quale verra’ esaminata la sua domanda (cosi’ Cass. civ., sez. I, ord. 10.3.2021, n. 6745).
10. Per maggior chiarezza, appare opportuno qui richiamare la parte motiva saliente della decisione di legittimita’ teste’ richiamata:
“10.1 In primo luogo deve rilevarsi che le norme relative all’applicazione ai procedimenti di protezione internazionale delle c.d. procedure accelerate hanno subito continui cambiamenti dalla loro entrata in vigore. Al fine di individuare correttamente il paradigma normativo composito applicabile al caso di specie, e’ necessario precisare che il ricorrente, nato il 15/09/1998, al momento della proposizione della domanda di protezione internazionale e della conseguente instaurazione del procedimento davanti la C.T., era minorenne. Precisamente, si trattava di minore non accompagnato, come emerge dalla nomina dell’Avv. G.P. come suo tutore, in ottemperanza a quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 142 del 2015, articolo 19, comma 5. Siffatta circostanza si evince chiaramente dal ricorso per Cassazione, dove si legge che il giudizio davanti al Tribunale, promosso in opposizione avverso la decisione di diniego della C.T., e’ stato rubricato nel 2016 (R.G. 8255 del 2016). Di conseguenza, la C.T. ha ritenuto applicabile al caso concreto il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 19, comma 3, inserito nella norma dal Decreto Legislativo n. 142 del 2015, articolo 27, comma 1, lettera b) entrato in vigore il 30/09/2015 al fine di dare attuazione alla direttiva UE 2013/32. La disposizione e’ rimasta vigente fino al 30/04/2017, essendo stata abrogata con l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 13 del 2017. Essa stabilisce quanto segue: “Nei casi di cui al Decreto Legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, articolo 28-bis, comma 2, e nei casi in cui nei confronti del ricorrente e’ stato adottato un provvedimento di trattenimento nei centri di cui al Decreto Legislativo 25 luglio del 1998, n. 286, articolo 14 i termini previsti dal presente comma sono ridotti alla meta’”.
10.2 Per comprendere a pieno la portata della norma e’ necessario esaminare il Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 28-bis, comma 2 rubricato “procedure accelerate”. Tale disposizione e’ stata inserita dal Decreto Legislativo n. 142 del 2015, articolo 25 entrato in vigore il 30/09/2015, e poi modificata dapprima dal Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113 (convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018, pubblicata in G.U. il 3/12/2018) e, successivamente, dal Decreto Legge n. 173 del 2020, entrato in vigore il 20/12/2020. Dunque, la versione ratione temporis applicabile e’ quella vigente dal 30/09/2015 al 3/12/2018 che cosi’ dispone: “1. Nel caso previsto dall’articolo 28, comma 1, lettera c)., appena ricevuta la domanda, la questura provvede immediatamente alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all’audizione. La decisione e’ adottata entro i successivi due giorni.

Ove il giudice pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile abbia proceduto al suo esame nel merito

2. I termini di cui al comma 1, sono raddoppiati quando: a) la domanda e’ manifestamente infondata in quanto il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale ai sensi del Decreto Legislativo 1 novembre 2007, n. 251; b) la domanda e’ reiterata ai sensi dell’articolo 29, comma 1, lettera b); c) quando il richiedente presenta la domanda dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera ovvero dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento. 3. I termini di cui ai commi 1 e 2 possono essere superati ove necessario per assicurare un esame adeguato e completo della domanda, fatti salvi i termini massini previsti dall’articolo 27, commi 3 e 3-bis. Nei casi di cui al comma 1, i termini di cui all’articolo 27, commi 3 e 3-bis, sono ridotti ad un terzo”. In sintesi, la dimidiazione dei termini per impugnare il provvedimento emesso dalla C.T. si applica, in virtu’ del rinvio espresso dell’articolo 19, comma 3, all’articolo 28-bis, anche ai casi di domanda manifestamente infondata che presenti le caratteristiche di cui alla lettera a) della norma da ultimo illustrata e sia stata esaminata e decisa sulla base della procedura accelerata.
10.3 L’articolo 28-bis, comma 1 evidenzia che le procedure accelerate seguono, anche nella fase istruttoria endoprocedimentale, una scansione temporale diversa da quella ordinaria. Invero, si tratta di domande che vengono trasmesse immediatamente alla C.T. dal questore e, pur ammettendo la norma, al successivo comma 3, la possibilita’ di prolungare i termini al fine di assicurare un esame esaustivo della domanda, ed evitare dunque di pregiudicare eccessivamente il diritto di difesa del richiedente, l’iter procedimentale si colloca sempre all’interno del binario accelerato previsto dallo stesso articolo 28-bis.
Il disposto di cui al medesimo Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 28, comma 1-bis nella versione ratione temporis applicabile (in vigore dal 30/09/2015 al 3/12/2018), fornisce un’indicazione ulteriore, affermando che spetta al Presidente della C.T. il compito di individuare i casi di procedura prioritaria (stabilite dal medesimo articolo 28, comma 1) e di procedura accelerata (di cui al successivo articolo 28-bis).
10.4 Ne consegue che la decisione di manifesta, infondatezza della domanda potra’ ritenersi adottata sulla base di una procedura accelerata solamente qualora il Presidente della C.T., a seguito della trasmissione degli atti da parte della questura, abbia deciso in tal senso e l’iter procedimentale seguito abbia rispettato i termini raddoppiati dell’articolo 28-bis, comma 1 pur sempre contratti rispetto a quelli ordinari, previsti per l’audizione del richiedente e per l’adozione della decisione finale. Pertanto, la qualificazione peculiare della procedura come accelerata deve porsi come antecedente logico alla statuizione finale, non potendo discendere dalla mera formula di “manifesta infondatezza” contenuta nel provvedimento di rigetto. Diversamente, si determinerebbe un grave vulnus all’esercizio del diritto di difesa endoprocedimentale del richiedente, anche ove lo stesso non si sia avvalso di difesa tecnica, essendo l’accertamento dell’autorita’ decidente diretta al riconoscimento di un diritto fondamentale, realizzato con la partecipazione ed il diretto ascolto del cittadino straniero, al quale non puo’ essere negata la possibilita’ di conoscere preventivamente il modello procedimentale con il quale verra’ esaminata la sua domanda, anche al fine di contestare l’eventuale erronea individuazione da parte del Presidente della Commissione e di esserne avvisato in sede di comunicazione dell’esito. Di conseguenza, come confermato da questa Corte, il termine dimezzato di 15 giorni potra’ operare solamente ove la procedura sia stata addotta sin dall’inizio nelle forme accelerate; in tutti gli altri casi, anche in presenza di un rigetto per manifesta infondatezza, il termine di ricorso sara’ quello ordinario (Cass., Sez. I, n. 2301/2020 e Cass., Sez. I, n. 7520/2020). Nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto applicabile il dimezzamento dei termini per impugnare sulla base della mera formula decisoria di manifesta infondatezza contenuta nel provvedimento amministrativo di rigetto, senza accertare preventivamente l’adozione, da parte della C.T., della procedura accelerata di cui all’articolo 28-bis.
Una simile verifica si presenta ineludibile ed officiosa, attesa la stretta incidenza della scelta del modello procedimentale sul diritto soggettivo di protezione del richiedente il quale, nel corso della procedura accelerata, subisce una restrizione delle garanzie partecipative proprie della fase amministrativa, nonche’ una contrazione di quelle difensive dinanzi l’Autorita’ giurisdizionale, mediante la drastica riduzione dei termini.
10.5 La Corte, omettendo tale indagine, ha violato il Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 28, comma 1-bis e articolo 28-bis dai quali si evince che il vero presupposto per l’applicazione dell’effetto processuale dell’abbreviazione dei termini per impugnare e’ costituito dall’adozione della peculiare procedura accelerata, non dalla formula decisoria”.
11. Osserva allora questo Collegio che anche nel caso che ci occupa trovava certamente applicazione ratione temporis la disciplina in vigore dal 30 settembre 2015 al 4 ottobre 2018.
Anche in questo caso, inoltre, il Tribunale in nessun punto del suo decreto ha dato conto che fosse stata nella specie adottata una procedura “accelerata”, o che almeno dagli atti a disposizione risultasse che fosse stata osservata la relativa tempistica contingentata, in base ad apposita decisione del Presidente della Commissione, e men che meno ha affermato che qualche indicazione in tal senso fosse contenuta nel provvedimento della Commissione innanzi allo stesso Tribunale opposto, onde rendere edotto di tanto l’interessato.

Ove il giudice pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile abbia proceduto al suo esame nel merito

Come si e’ visto, il Tribunale s’e’ piuttosto limitato a dire, anche in parti del suo decreto diverse da quella sopra riportata, che la domanda dello straniero era stata rigettata “per manifesta infondatezza”; specificazione, quest’ultima, tuttavia di per se’ insufficiente a fondare la dimidiazione del termine per l’opposizione, secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte.
Risultava, percio’, applicabile l’ordinario termine di 30 giorni a riguardo, che – si noti – era l’unico termine esplicitamente e direttamente indicato nello stesso provvedimento della Commissione.
Sicche’ errata era la decisione gravata nell’aver ritenuto intempestivo il ricorso del richiedente protezione internazionale.
12. Quanto ai restanti motivi, in precedenza riassunti, si deve premettere e sottolineare che, pur avendo il Tribunale dichiarato anche in dispositivo inammissibile il ricorso, lo stesso si e’ diffusamente espresso sul merito dell’intera domanda (sebbene in assunti non condivisibili).
Com’e’ agevole riscontrare dal testo del decreto, infatti, non solo e’ stato riferito in dettaglio l’iter amministrativo percorso e, testualmente, quanto aveva dichiarato il ricorrente anche innanzi al medesimo Tribunale (cfr. pagg. 1-4 dello stesso), del che non vi sarebbe stato all’evidenza alcun bisogno nell’ottica della mera inammissibilita’ del ricorso per tardivita’, ma la parte motiva in senso stretto del tutto preponderante segue all’affermazione che: “In ogni caso, la domanda non sarebbe fondata” (cfr. pagg. 4-8 del decreto).
Ebbene, non ignora il Collegio che, secondo un indirizzo sancito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, in casi del genere, la parte soccombente non ha l’onere, ne’ l’interesse ad impugnare argomentazioni di “merito” da reputarse ininfluenti a fronte di una pronuncia di mero rito, quale quella d’inammissibilita’.
Nella peculiare fattispecie in esame, pero’, il Collegio ritiene che debba tenersi conto dell’evidente contenuto complessivo del decreto gravato, che si configura come un provvedimento di rigetto, nell’ambito del quale il primo giudice, verosimilmente non del tutto convinto della soluzione in termini d’inammissibilita’ (in effetti risultata errata e peraltro motivata sul punto in modo non condivisibile neppure in chiave d’ “apparenza” del termine da osservare per l’opposizione), ha ritenuto di esprimersi diffusamente sul merito della domanda di protezione.
Comprensibilmente, percio’, il ricorrente ha ritenuto di formulare ulteriori motivi di doglianza afferenti appunto il “merito” di tale domanda, rispetto ai quali non puo’ reputarsi privo d’interesse all’impugnazione, e che il Collegio reputa quindi di dover esaminare, non potendo reputarsi assorbiti nell’accoglimento del primo motivo, anche tenendo conto del principio di economia dei mezzi processuali.
13. E ritiene la Corte che tali ulteriori censure, che possono essere congiuntamente esaminate, siano meritevoli di accoglimento per quanto di ragione.
14. Ebbene, il Tribunale, in decreto reso nel gennaio 2020, si e’ avvalso di fonti d’informazione manifestamente non aggiornate (essenzialmente degli anni 2017 e 2018: cfr. pagg. 6-7 dello stesso) e neppure riferibili alla zona di provenienza del ricorrente, ossia, l’Edo State (nel villaggio di Uba) e, men che meno, al conflitto interno alla comunita’ obazegbon di cui egli aveva parlato diffusamente nelle sue dichiarazioni, prima, davanti alla Commissione e, poi, innanzi allo stesso Giudice adito.
15. Lo stesso giudice non ha considerato inoltre che, secondo il racconto del ricorrente, egli aveva lasciato “la Nigeria il 23 ottobre 2016 e dopo un lungo viaggio giungeva in Libia il 2 dicembre 2016. Il viaggio era stato organizzato da un trafficante nigeriano che aveva un fratello in Libia e per il quale il ricorrente avrebbe dovuto lavorare fino a compensare il costo sostenuto per il viaggio. Quando giungeva in Libia a Sabrata, il ricorrente veniva sequestrato da alcuni miliziani che richiedevano un riscatto per liberarlo. Non avendo risorse per pagare il riscatto, il ricorrente veniva “ceduto” ad una persona araba che lo avrebbe fatto lavorare remunerando cosi’ il costo del riscatto….”.
15.1. Dunque, il ricorrente aveva rappresentato di essere stato ridotto gia’ nel Paese d’origine in una condizione analoga alla schiavitu’ per debiti o potenzialmente tale da indurlo in tale stato; il che parimenti richiedeva un approfondimento officioso da parte del giudicante, attraverso pertinenti C.O.I., agi riguardo, sicuramente non acquisite, prima di giudicare generiche le dichiarazioni dell’istante.
16. Infine, il giudice di merito erroneamente non ha apprezzato in maniera autonoma la ricorrenza dei presupposti della protezione umanitaria, ritenendo insussistenti i requisiti di una condizione di vulnerabilita’ tutelabile, “anche in ragione dell’inattendibilita’ in generale e nel complesso delle dichiarazioni del ricorrente” (cfr. pagg. 7-8 del suo provvedimento). Invero, essendo viziato il giudizio a quest’ultimo riguardo, in difetto degli occorrenti approfondimenti officiosi a mezzo di C.O.I. aggiornate e puntuali, il Tribunale si e’ per tal modo sottratto anche all’occorrente comparazione tra la situazione del ricorrente nel Paese di provenienza e quella raggiunta in Italia, pur avendo considerato elementi meritevoli di apprezzamento, quali lo studio della lingua italiana e lo svolgimento di attivita’ di lavoro negli anni 2018 e 2019.
17. Infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno insegnato che: “In base alla normativa del testo unico sull’immigrazione anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella societa’ italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravita’ nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello e’ stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’articolo 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno)” (cosi’, da ultimo, Cass. civ., Sez. un., 9.9.2021, n. 24413).
18. Il decreto pertanto deve essere cassato, con rinvio al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, affinche’ proceda ad un nuovo esame del caso.
19. Il medesimo giudice di rinvio provvedera’ anche a regolare le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

accoglie il ricorso. Cassa il decreto e rinvia al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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