Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 26 febbraio 2020, n. 7582
Massima estrapolata:
Non è abnorme l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari rigetti la richiesta di decreto penale di condanna per ritenuto errore nel calcolo della pena, atteso che il pubblico ministero può immediatamente esercitare l’azione penale nelle forme ordinarie, così dando nuovo impulso al procedimento.
Sentenza 26 febbraio 2020, n. 7582
Data udienza 21 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico – Presidente
Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere
Dott. AIELLI Lucia – Consigliere
Dott. PACILLI G.A.R. – rel. Consigliere
Dott. DI PISA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro;
c/
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa il 5 novembre 2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro;
Visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
Udita nell’udienza del 21.2.2020 la relazione fatta dal Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale in persona di Marilia di Nardo, che ha concluso chiedendo di annullare senza rinvio il provvedimento impugnato con rinvio degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5 novembre 2019 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, avendo ritenuto che sulla pena base dovesse, dapprima, operarsi la riduzione ex articolo 459 c.p.p., comma 2, e, poi, la diminuzione per le attenuanti generiche (mentre nella richiesta di emissione di decreto penale, dapprima, si era operata la riduzione per le attenuanti generiche e, poi, quella ex articolo 459 c.p.p., comma 2).
Avverso l’ordinanza anzidetta il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’abnormita’ del provvedimento, in quanto avrebbe determinato un’illegittima regressione del procedimento. Difatti, sarebbe errato l’ordine seguito dal giudice e, comunque, il risultato del calcolo sarebbe uguale se si effettui la riduzione per il rito prima anziche’ dopo la riduzione per le circostanze attenuanti. Il giudice poi avrebbe dovuto valutare la congruita’ della pena finale, a prescindere dai singoli passaggi interni di calcolo, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ con riguardo al patteggiamento. Inoltre, procedendo ad un’interpretazione sistematica dell’articolo 459 c.p.p., comma 2, inquadrandolo all’interno della disciplina dei riti alternativi premiali, non si comprenderebbe la ragione per cui solo nel procedimento per decreto la riduzione di pena, prevista per le peculiarita’ del rito, dovrebbe essere applicata prima e non dopo gli aumenti o le diminuzioni di pena, operate sulla pena edittale in ragione della presenza di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti.
All’odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell’articolo 611 c.p.p., si e’ proceduto al controllo della regolarita’ degli avvisi di rito; all’esito, questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile, perche’ proposto per motivo manifestamente infondato.
1.1 L’ordinamento non preveda un mezzo d’impugnazione avverso il provvedimento con cui il G.i.p., non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e non dovendo pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p., restituisce gli atti al Pubblico ministero a norma dell’articolo 459 c.p.p., comma 3. In forza del principio di tassativita’ dei mezzi d’impugnazione, previsto dall’articolo 568 c.p.p., comma 1, il ricorso in esame sarebbe dunque da ritenersi inammissibile, a meno che – come deduce il ricorrente – ci si trovi di fronte ad un atto abnorme.
1.2 In assenza di definizione normativa del concetto di atto abnorme, suscettibile d’autonoma impugnazione – che, per la difficolta’ di tipizzazione, anche il legislatore del 1988 ha preferito non disciplinare nel codice di rito, lasciando alla giurisprudenza il compito di delinearne i confini – questa Corte, con plurime decisioni assunte a Sezioni Unite (v. in particolare: Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, Di Battista, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, Magnani, Rv. 215094; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, Minervini; Sez. U, Sentenza n. 5307/2008 del 20/12/2007, Battistella; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a.) ha individuato la categoria, connotandola, per un verso, in negativo – nel senso che non puo’ definirsi abnorme l’atto che costituisce mera violazione di norme processuali – e, per altro verso, in positivo. Da quest’ultimo punto di vista si e’ affermato che e’ affetto da vizio di abnormita’, sotto un primo profilo (cd. strutturale), il provvedimento che, per singolarita’ e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di la’ di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si e’ posto in luce come sussista abnormita’ (c.d. funzionale) quando l’atto, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilita’ di proseguirlo (cosi’, in motivazione, Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., Rv. 243590).
In particolare, con riferimento al decreto penale di condanna, si e’ ritenuto che non e’ abnorme il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna che disponga la restituzione degli atti al P.M., salvo che il provvedimento sia fondato esclusivamente su ragioni di opportunita’ (Sez. 3, n. 5442 del 6/12/2017, dep. 2018, Montevecchi, Rv. 272580, che ha escluso l’abnormita’ del provvedimento di rigetto, fondato sull’applicabilita’ della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p.; Sez. 6, n. 23829 del 12/5/2016, C, Rv. 267272, relativa al rigetto per inadeguatezza della pena pecuniaria a sanzionare la condotta di omesso versamento delle somme, dovute dall’imputato al coniuge a titolo di mantenimento; Sez. 6, n. 6663 dell’1/12/2015, dep. 2016, R., Rv. 266111, in cui il rigetto era stato motivato con la ritenuta insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria; Sez. 4, n. 45683 del 18/09/2014, Mirra, Rv. 261063, che ha ritenuto legittimo il provvedimento di restituzione degli atti giustificato dalla valutazione di incongruita’ della pena richiesta in relazione alla gravita’ della violazione contestata; Sez. 6, n. 14764 del 18/03/2014, Pappalardo, Rv. 261473, che non ha qualificato abnorme il rigetto per l’inosservanza del termine di sei mesi per la presentazione della richiesta).
1.3 Nel caso in esame, dunque, il rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, motivato con l’asserita presenza di un errore di calcolo della pena, non e’ abnorme.
Difatti, l’esercizio dell’azione penale nelle forme ordinarie e’ attivita’ che il P.M. potra’ immediatamente esercitare, cosi’ dando nuovo impulso al procedimento.
Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso del Pubblico Ministero deve essere dichiarato inammissibile.
2. La declaratoria di inammissibilita’ del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, trattandosi di Parte pubblica ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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