Opera di carattere precario

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 14 novembre 2019, n. 7835.

La massima estrapolata:

Per opera di carattere precario deve intendersi quella, agevolmente rimuovibile, funzionale a soddisfare un’esigenza fisiologicamente e oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione ecc.) destinata a cessare dopo il tempo, normalmente breve, entro cui si realizza l’interesse finale che la medesima era destinata a soddisfare.

Sentenza 14 novembre 2019, n. 7835

Data udienza 29 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2873 del 2014, proposto da
Lu. Pe. e Gi. Fo., rappresentati e difesi dall’avvocato Pa. Ro., con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. Mo., con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Lungotevere (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Umbria, Sezione I, n. 00463/2013, resa tra le parti, concernente la demolizione di un manufatto.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2019 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Cl. Mo., per delega di Pa. Ro., e Gi. Ar., per delega di Pa. Mo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ordinanza 1/3/2012, n. 6954 il Comune di (omissis) ha ingiunto ai sig.ri Lu. Pe. e Gi. Fo. la demolizione di un prefabbricato in cemento, di due pali in ferro che sorreggono parabole e antenne e di un traliccio stabilizzato al suolo su cui sono installate apparecchiature per telecomunicazioni, ubicati su un’area di loro proprietà .
Ritenendo il provvedimento sanzionatorio illegittimo i sig.ri Pe. e Fo. lo hanno impugnato con ricorso al T.A.R. Umbria, il quale con sentenza 30/8/2013, n. 463, lo ha respinto.
Avverso la sentenza hanno proposto appello i sig.ri Pe. e Fo..
Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di (omissis).
Con successive memorie la parte appellante ha meglio illustrato le proprie tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 29/10/2019 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo si denuncia l’errore asseritamente commesso dal Tribunale nel ritenere il provvedimento demolitorio correttamente rivolto nei confronti degli odierni appellanti.
Il giudice di prime cure non avrebbe, infatti, considerato che il traliccio e gli impianti di trasmissione radiotelevisivi oggetto dell’impugnata ordinanza sarebbero di proprietà di un soggetto terzo (ovvero l’associazione Te. Du.), mentre le porzioni di suolo su cui insistono traliccio e impianti suddetti sarebbero state concesse in comodato d’uso alla Te. Du. e alla Te. un. s.a.s.
Da quanto sopra conseguirebbe che gli odierni appellanti, proprietari catastali dell’area, non avrebbero alcuna possibilità di provvedere alla ordinata demolizione.
Peraltro, contrariamente a quanto affermato in sentenza, il Comune non avrebbe avuto alcuna necessità di compiere “accertamenti giuridici circa l’esistenza di particolari rapporti interprivati tra autore dell’abuso e proprietari”, in quanto all’amministrazione sarebbero stati ben noti i rapporti tra odierni appellanti e Te. Du..
Il Tribunale, del resto, aveva già annullato (si veda la sentenza n. 130 del 2011) una precedente ordinanza con cui il Comune aveva ingiunto ai sig.ri Pe. e Fo. la cessazione delle trasmissioni televisive, proprio in considerazione dell’erronea individuazione dei destinatari dell’ordine.
L’appellata pronuncia risulterebbe, pertanto, sotto questo profilo, viziata da contraddittorietà .
La doglianza è infondata.
Occorre preliminarmente rilevare che, per pacifica giurisprudenza, i difetti di motivazione della sentenza o la sua contraddittorietà, non sono idonei a viziare la pronuncia, atteso che, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, in secondo grado il giudice valuta tutte le domande proposte, integrando – ove necessario – le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le accidentali carenze motivazionali di quest’ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 18/4/2019, n. 2973; 6/2/2019, n. 897; 14/4/2015, n. 1915; Sez. V, 23/3/2018, n. 1853; 19/2/2018, n. 1032 e 13/2/2009, n. 824; Sez. IV, 5/2/2015, n. 562).
Ciò premesso, può procedersi all’esame della questioni poste.
Ai sensi dell’art. 31, comma 2, del citato D.P.R. n. 380 del 2001: “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”.
In base al chiaro tenore letterale della trascritta norma l’ordinanza di demolizione è, dunque, legittimamente adottata nei confronti del proprietario catastale dell’immobile su cui sorgono opere abusive, ancorché queste siano state realizzate da terzi e a questi appartengano, costituendo onere del detto proprietario opporsi alla realizzazione di illeciti edilizi sulla sua area (Cons. Stato, Sez. VI, 26/3/2018, n. 1893 e 28/7/2017, n. 3789; Sez. IV, 2/10/2017, n. 4571; 22/6/2016, n. 2747; Sez. V, 31/3/2010, n. 1878).
Né vale ad escludere l’incombenza dei doveri di gestione dominicale, la circostanza per cui nel caso che occupa l’area interessata dagli abusi era stata concessa in comodato. Tale negozio, se infatti comporta il trasferimento al comodatario dell’uso e del godimento di un immobile, non fa venir meno l’esercizio dei poteri di cura, controllo, e vigilanza spettanti al proprietario-comodante il quale – ancorché in un ambito in parte diverso da quello in cui si esplica a sua volta il potere di custodia del comodatario – conserva un effettivo potere fisico sull’entità immobiliare data in comodato con conseguente obbligo, sotto tutti i profili, di vigilanza sull’immobile (cfr., con riguardo all’analoga ipotesi del bene dato in locazione, Cons. Stato, Sez. IV, 26/2/2013, n. 1179).
Correttamente pertanto il Comune ha rivolto il provvedimento sanzionatorio nei confronti dei proprietari catastali dell’area interessata dai ravvisati abusi, ovvero i sig.ri Pe. e Fo..
Col secondo motivo questi ultimi deducono che il Tribunale avrebbe errato a ritenere non formatosi il silenzio-assenso, di cui all’art. 35, comma 17 (rectius 18), della L. 28/2/1985, n. 47, sull’istanza di condono edilizio presentata al Comune di (omissis) in data 1/4/1986.
Secondo il giudice di prime cure il tacito accoglimento della domanda non risulterebbe nella fattispecie configurabile in quanto:
a) l’area sarebbe vincolata come zona boschiva e di interesse faunistico;
b) i richiedenti non avrebbero prodotto la documentazione integrativa chiesta dalla ASL di (omissis);
c) i manufatti oggetto dell’avversato ordine di demolizione sarebbero diversi da quelli a cui si riferisce la domanda di condono edilizio.
Sennonché, il detto giudice non avrebbe considerato che:
1) all’epoca in cui furono realizzati i manufatti abusivi l’area era soggetta unicamente a un vincolo idrogeologico con conseguente piena applicabilità dell’art. 35 della L. n. 47/1985;
2) il silenzio-assenso si sarebbe formato, al più tardi, in data 15/10/2000, con la conseguenza che la richiesta di integrazione documentale avanzata dalla ASL, intervenuta in data 14/3/2002, non avrebbe potuto incidere sul silenzio-assenso ormai formatosi;
3) la detta richiesta non sarebbe stata, comunque, idonea a interrompere la formazione del silenzio-assenso in quanto relativa a documenti diversi da quelli che, in base all’art. 35, comma 3, della citata L. n. 47/1985, sono da allegare alla domanda di condono edilizio;
4) la richiesta della ASL non sarebbe pervenuta agli odierni appellanti;
La sentenza sarebbe, comunque, erronea anche laddove non si fosse formato il silenzio-assenso, atteso che:
5) prima di emanare l’ordine di demolizione il Comune avrebbe dovuto pronunciarsi sulla condonabilità delle opere;
6) il provvedimento sanzionatorio, adottato a circa trent’anni di distanza dalla realizzazione degli interventi abusivi, sarebbe lesivo del legittimo affidamento creatosi in capo agli appellanti;
7) le opere edilizie sanzionate con l’avversato provvedimento demolitorio sarebbero del tutto simili a quelle oggetto della domanda di condono edilizio e in ogni caso si sarebbe dovuto considerare coperto dalla detta domanda quantomeno il prefabbricato in cemento;
8) il traliccio su cui sono installate apparecchiature per le telecomunicazioni avrebbe dovuto essere considerato un’opera precaria essendo il medesimo munito di ruote che lo renderebbero facilmente amovibile, né sarebbe corretto escludere tale natura in considerazione dalla funzione (non temporanea) che il bene sarebbe destinato a soddisfare, posto che quest’ultima gli sarebbe stata assegnata dai proprietari dell’impianto e non dagli appellanti.
La doglianza, così sinteticamente riassunta, può esser accolta solo entro gli stretti limiti di seguito specificati.
Occorre premettere che, come si ricava agevolmente dalla documentazione prodotta in causa (si veda in particolare la domanda di condono e gli elaborati grafici ad essa allegati), la richiesta di sanatoria presentata nell’anno 1986 riguardava unicamente il prefabbricato in cemento.
Pertanto, con riguardo alle ulteriori opere oggetto dell’ordine di demolizione, sono sicuramente infondate sia la doglianza con cui gli appellanti hanno sostenuto essersi formato il silenzio-assenso, sia quella con cui hanno dedotto che, in ogni caso, prima di adottare il provvedimento sanzionatorio il Comune si sarebbe dovuto pronunciare sull’istanza di condono.
Relativamente al prefabbricato in cemento, siccome oggetto della domanda di condono, occorre invece verificare se, come sostengono gli appellanti, si sia formato l’invocato silenzio-assenso.
La risposta non può essere positiva.
Per quanto qui rileva l’art. 32, comma 1, della L. n. 47/1985 dispone che: “Fatte salve le fattispecie previste dall’articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto”.
L’art. 35, al comma 18, stabilisce a sua volta che “Fermo il disposto del primo comma dell’art. 40 e con l’esclusione dei casi di cui all’art. 33, decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l’eventuale diritto conguaglio o al rimborso spettanti”.
Il successivo comma 19 prevede infine che “Nelle ipotesi previste nell’art. 32 il termine di cui al dodicesimo comma del presente articolo (diciottesimo a seguito delle modifiche introdotte all’originario testo dell’articolo) decorre dall’emissione del parere previsto dal primo comma dello stesso art. 32”.
Nel caso di specie è incontroverso che l’area fosse soggetta a vincolo idrogeologico.
Non è nota la portata di tale vincolo, ma è verosimile ritenere che lo stesso non comportasse inedificabilità assoluta atteso che il Comune, con nota 29/12/1997, ha chiesto al sig. Pe. di depositare, ai fini del completamento della documentazione afferente alla pratica di condono, il “parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo idrogeologico di cui al R.D.L. 30 Dicembre 1923 n. 3267”.
Tale parere non è stato, però, prodotto (né risulta comunque emanato), essendo stato depositato agli atti del Comune, come emerge dalle non contestate affermazioni di quest’ultimo, soltanto la richiesta di parere rivolta all’amministrazione deputata alla salvaguardia del detto vincolo.
Conseguentemente, in base alle trascritte norme, deve escludersi che l’inerzia serbata dal Comune abbia potuto assumere il significato tipico preteso dagli appellanti (Cons. Stato, Sez. IV, 19/12/2016, n. 5366).
Costoro lamentano invece, a ragione, che l’amministrazione, prima di emettere l’ordinanza di demolizione, avrebbe dovuto definire il procedimento aperto con la domanda di condono edilizio.
E invero, in caso di presentazione di un’istanza di condono il procedimento sanzionatorio dev’essere sospeso (art. 38, comma 1, della L. n. 47/1985) e, in pendenza della definizione di tale domanda, non può essere adottato alcun provvedimento di demolizione (Cons. Stato, Sez. VI, 10/6/2019, n. 3875 e 29/11/2016, n. 5028; Sez. IV, 22/1/2013, n. 362).
E’ infondata la doglianza con cui si lamenta che l’impugnato ordine demolitorio, siccome intervenuto a distanza di molto tempo dalla realizzazione delle opere abusive, avrebbe inciso sull’incolpevole affidamento dagli appellanti risposto sulla legittimità delle stesse.
E invero, in base ad un condivisibile orientamento giurisprudenziale, il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva non è idoneo a radicare in capo al privato interessato alcun legittimo affidamento in ordine alla conservazione di una situazione di fatto illecita (Cons. Stato, Sez. VI, 8/4/2019, n. 2292; 26/3/2018, n. 1893 e 23/11/2017, n. 5472; Sez. II, 19/6/2019, n. 4184; Sez. IV, 11/12/2017, n. 5788).
E’ infondata, infine, la doglianza con cui si deduce che l’ordine di demolizione non avrebbe potuto riguardare il traliccio, data la sua natura di opera precaria.
In base a una pacifica giurisprudenza, per opera di carattere precario deve intendersi quella, agevolmente rimuovibile, funzionale a soddisfare un’esigenza fisiologicamente e oggettivamente temporanea (es. baracca o pista di cantiere, manufatto per una manifestazione ecc.) destinata a cessare dopo il tempo, normalmente breve, entro cui si realizza l’interesse finale che la medesima era destinata a soddisfare (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11/1/2018, n. 150; Sez. V, 25/5/2017, n. 2464).
E’ stato, inoltre, chiarito che il suddetto carattere deve essere escluso allorquando vi sia un’oggettiva idoneità del manufatto a incidere stabilmente sullo stato dei luoghi, essendo l’opera destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, ancorché a termine, in relazione all’obiettiva e intrinseca natura della costruzione (Cons. Stato, Sez. IV, 7/12/2017, n. 5762).
Da ciò discende, pure, che la natura precaria di un’opera non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando piuttosto la sua oggettiva idoneità a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (Cass. Pen., Sez. III, 8/2/2007 n. n. 5350).
Nel caso di specie, il traliccio, con le apparecchiature per telecomunicazioni su di esso installate, non è oggettivamente destinato a soddisfare un’esigenza meramente transitoria, per cui non può a esso riconoscersi, giusta quanto sopra osservato, l’invocata natura di opera precaria, senza che in contrario rilevi il fatto che il medesimo possa essere agevolmente spostato.
In definitiva l’appello merita parziale accoglimento, con conseguente illegittimità dell’ordinanza impugnata in primo grado limitatamente alla parte in cui dispone la demolizione del prefabbricato in cemento, essendo infondato e da respingere per il resto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, respingendolo per il resto e, per l’effetto, in parziale riforma della gravata sentenza, confermata per il resto, accoglie in parte il ricorso di primo grado, conseguentemente annullando l’ordinanza col medesimo impugnata limitatamente alla statuizione con cui si ingiunge la demolizione del prefabbricato in cemento.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Francesco Mele – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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