Chi lede un bene paesaggistico con un’opera abusiva

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 11 novembre 2019, n. 7696.

La massima estrapolata:

Chi lede un bene paesaggistico con un’opera abusiva crea un danno perdurante nel tempo per effetto di una condotta che, di momento in momento, sarebbe tenuto a far cessare, ovvero per effetto dell’inadempimento del proprio obbligo di rimessione in pristino. L’amministrazione quindi, in linea generale, può esercitare il proprio potere sanzionatorio sin quando la violazione persiste. Tale conclusione non cambia nelle fattispecie in cui venga rilasciata una concessione in sanatoria per effetto di un condono edilizio, e come presupposto di essa sia stato ottenuto il parere favorevole ai fini paesaggistici. Infatti tale parere si inserisce in un procedimento che, nel silenzio della legge su suoi effetti ulteriori, deve ritenersi volto a sanare solo ed esclusivamente l’illecito edilizio commesso nel caso specifico in cui esso riguardi immobili soggetti a vincoli paesaggistici o ambientali, e non illeciti di altro tipo come quello paesaggistico. Di conseguenza, esso non costituisce, atto idoneo a far decorrere il termine in cui si prescrive la relativa sanzione

Sentenza 11 novembre 2019, n. 7696

Data udienza 17 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3181 del 2013, proposto da
Si. Ro., rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Be., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Co., in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati To. Mo. e Um. Se., con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via (…);
nei confronti
Agenzia del Territorio – Direzione Regionale Umbria e Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (…), è legalmente domiciliata;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria Sezione Prima n. 00140/2013, resa tra le parti, concernente il pagamento di un’indennità pecuniaria per opere abusivamente realizzate.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e dell’Agenzia del Territorio – Direzione Regionale Umbria e Marche;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2019 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Gi. Co., in dichiarata delega di Ma. Be. e To. Mo., nonché l’avvocato dello Stato Al. Ia.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La sig.ra Si. Ro., proprietaria di un immobile destinato a civile abitazione ubicato nel territorio del Comune di (omissis) in area soggetta a vincolo paesaggistico ambientale ai sensi della L. 29/6/1939, n. 1497, ha presentato, in data 28/2/1995, due richieste di sanatoria ex L. 28/2/1985, n. 47, per alcune opere abusivamente eseguite sul detto immobile consistenti:
a) nell’aumento di superficie non residenziale al piano interrato e nella realizzazione di un piano soffitta (abuso 1);
b) nell’aumento della superficie del manufatto al piano terra e variazione della destinazione d’uso da superficie non residenziale a superficie residenziale (abuso 2).
Il Comune, acquisito, tra l’altro, il parere 5/1/1997, n. 47, attestante la compatibilità ambientale degli interventi ai sensi dell’art. 32 della citata L. n. 47/1985, ha accolto le domande rilasciando le concessioni edilizie nn. 613 e 614 del 8/8/2006.
Sennonché, in data 13/4/2007, l’amministrazione comunale ha comunicato l’avvio del procedimento volto all’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 167, comma 5, del D. Lgs. 22/1/2004, n. 42.
Il procedimento si è concluso con l’adozione dell’ordinanza 3/8/2011, n. 369, con la quale è stato ingiunto alla sig.ra Ro. il pagamento della somma di Euro 48.731,46 oltre a Euro 3.213,10 per spese di istruttoria, per un totale di Euro 51.944,66.
Ritenendo l’ordinanza n. 369/2011 illegittima la sig.ra Ro. l’ha impugnata con ricorso al T.A.R. Umbria, il quale, con sentenza 1/3/2013, n. 140, lo ha respinto.
Avverso la sentenza ha proposto appello la sig.ra Ro..
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio il Comune di (omissis) e l’Agenzia del Territorio – Direzione Regionale Umbria Marche.
Con successive memorie le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 17/10/2019 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo l’appellante denuncia l’errore asseritamente commesso dal Tribunale nel ritenere non prescritto il diritto del Comune di esigere il pagamento della sanzione.
Difatti, il giudice di prime cure è pervenuto a tale conclusione sulla base della considerazione che “l’esercizio del potere sanzionatorio della p.a. in materia urbanistico-edilizia e paesistica non è soggetto a prescrizione; quindi l’accertamento dell’illecito amministrativo paesistico e l’applicazione della relativa sanzione può intervenire anche dopo il decorso di un decennio dalla consumazione dell’abuso, al quale deve riconoscersi, peraltro, natura permanente sino al conseguimento della titolo autorizzatorio, il cui solo rilascio – essendo irrilevante a tal fine la semplice emanazione del parere favorevole alla condonabilità dell’abuso espresso dall’autorità preposta alla tutela del vincolo ai sensi del citato art. 32, l. n. 47 del 1985 – determina il venir meno della violazione e la decorrenza del termine prescrizionale – ex art. 28, l. 24 novembre 1981 n. 689 – per la riscossione della sanzione pecuniaria”.
Sennonché, la ravvisata distinzione tra parere di compatibilità ambientale e autorizzazione paesaggistica sarebbe priva di fondamento normativo, dato che, in entrambi i casi, l’atto attesterebbe la conciliabilità dell’intervento abusivo con le esigenze di tutela del vincolo.
Peraltro, gli illeciti ambientali emersi in sede di esame della pratiche di condono non sarebbero soggetti ad un’autorizzazione paesistica ulteriore rispetto a quella rilasciata sotto forma di parere ai sensi dell’art. 32 della L. n. 47/1985.
Poiché nella specie il parere di compatibilità paesaggistica è stato rilasciato il 5/1/1997, il termine di prescrizione quinquennale per l’irrogazione della sanzione si sarebbe dovuto far decorrere da tale data, con la conseguenza che il Comune avrebbe azionato la propria pretesa oltre il termine di prescrizione.
Non sarebbe condivisibile nemmeno l’affermazione secondo cui “l’esercizio del potere sanzionatorio della p.a. in materia urbanistico-edilizia e paesistica non è soggetto a prescrizione; quindi l’accertamento dell’illecito amministrativo paesistico e l’applicazione della relativa sanzione può intervenire anche dopo il decorso di un decennio dalla consumazione dell’abuso”.
Difatti a prescindere dall’incomprensibilità del richiamo alla prescrizione decennale, risulterebbe, comunque, dirimente osservare che nella fattispecie il termine quinquennale per l’irrogazione della sanzione avrebbe iniziato a decorrere dal momento del rilascio del parere di compatibilità paesaggistica.
La doglianza non merita accoglimento per due differenti ordini di considerazioni.
a) In primo luogo “il credito dell’amministrazione rappresentato dalla sanzione in esame a ben vedere sorge non con la commissione del fatto illecito, ma solo nel momento successivo in cui, al termine di un apposito subprocedimento, si perfeziona una fattispecie complessa, data dall’accertamento dei caratteri concreti dell’illecito e dal calcolo del dovuto, in base al criterio della maggior somma fra danno e profitto indicato dalla norma… prima di questo momento, a rigore i presupposti per il decorso della prescrizione non ci sono, perché da un lato non esiste ancora un diritto dell’amministrazione, perché il credito corrispondente non è liquido, né un inadempimento del trasgressore, come si conferma in base al dato che sulla sanzione dovuta non si calcolano interessi dalla data dell’illecito alla sua liquidazione” (Cons. Stato, Sez. VI, 12/10/2018, n. 5892).
b) In secondo luogo “le conclusioni non cambierebbero anche ritenendo che il diritto fosse sorto, e quindi si potesse prescrivere prima della liquidazione della sanzione. Infatti, l’illecito in questione si configura come permanente, dato che chi lede un bene paesaggistico con un’opera abusiva crea un danno perdurante nel tempo per effetto di una condotta che, di momento in momento, sarebbe tenuto a far cessare, ovvero per effetto dell’inadempimento del proprio obbligo di rimessione in pristino. L’amministrazione quindi, in linea generale, può esercitare il proprio potere sanzionatorio sin quando la violazione persiste. Tale conclusione non cambia nelle fattispecie in cui venga rilasciata una concessione in sanatoria per effetto di un condono edilizio, e come presupposto di essa sia stato ottenuto il parere favorevole ai fini paesaggistici. Infatti tale parere si inserisce in un procedimento che, nel silenzio della legge su suoi effetti ulteriori, deve ritenersi volto a sanare solo ed esclusivamente l’illecito edilizio commesso nel caso specifico in cui esso riguardi immobili soggetti a vincoli paesaggistici o ambientali, e non illeciti di altro tipo come quello paesaggistico. Di conseguenza, esso non costituisce, atto idoneo a far decorrere il termine in cui si prescrive la relativa sanzione” (citato Cons. Stato, n. 5892/2018).
Le riferite conclusioni trovano, poi, conferma in un numerose pronunce giurisprudenziali (Cons. Stato, Sez. V, 11/1/2012, n. 81; Sez. IV, 11/4/2007, n. 1585; 15/11/2004, n. 7405; 25/11/2003, n. 7765 e 4/2/2002 n. 395, Sez. VI, 2/6/2000 n. 3184).
Col secondo motivo l’appellante critica la sentenza nella parte in cui ha respinto la censura con la quale era stato dedotto che il Comune di (omissis), nel quantificare la sanzione, avesse recepito la stima fatta dall’Agenzia del Territorio senza osservare le previsioni della delibera consiliare 25/3/2002 n. 40.
Nello specifico il Tribunale avrebbe errato a escludere che i Comuni possano regolamentare la materia, asseritamente riservata alla competenza statale, quando lo stesso D.M. 26/9/1997 avrebbe riconosciuto alle amministrazioni interessate il potere di provvedere.
La doglianza è inammissibile.
Il giudice di prime cure ha, infatti, motivato la reiezione della censura (secondo motivo) sulla base del rilievo che con l’invocata delibera consiliare l’amministrazione comunale non ha introdotto alcuna deroga al D.M. 26/9/1997, ma ha anzi inteso conformarsi ad esso come si ricaverebbe dai punti 6, 7 e 8 dalla delibera stessa.
Questa motivazione non è stata censurata dall’appellante che ha concentrato le sue obiezioni unicamente su una considerazione (quella secondo cui il potere di determinare i criteri di quantificazione della sanzione di cui all’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 apparterebbe in via esclusiva allo Stato) non decisiva e introdotta nell’iter argomentativo solo ad abundantiam.
Col terzo motivo si censura l’impugnata sentenza nella parte in cui (punto 2.4) ha ritenuto inammissibili e comunque infondate le doglianze rivolte contro la stima operata dall’Agenzia del Territorio (terzo motivo del ricorso di primo grado).
Diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, infatti, la sig.ra Ro. avrebbe dedotto:
a) quanto all’abuso 1, che questo non avrebbe riguardato la realizzazione ex novo di un piano soffitta ma solo la sopraelevazione (di circa 60/70 cm) di una parte della soffitta esistente (pari al 50% circa della complessiva superficie), cosicché l’incremento di valore avrebbe dovuto essere calcolato tenendo conto solo della parte di soffitta interessata dalla soprelevazione e che comunque il valore di mercato sarebbe stato sovrastimato;
b) quanto all’abuso 2 che all’epoca della richiesta di condono sia il valore di mercato del bene, sia il costo di costruzione sarebbe stato inferiore a quello considerato.
La doglianza non merita accoglimento.
Il Tribunale ha motivato la reiezione delle censure rivolte contro gli errori fattuali o di calcolo asseritamente commessi dall’Agenzia del Territorio nell’effettuare la stima rilevando come:
a) il calcolo della sanzione fosse stato fatto prendendo in considerazione la superficie autocertificata dall’odierna appellante in sede di domanda di condono;
b) il contestato metodo estimativo comparativo applicato, per quanto di per sé privo di assolutezza ed anzi opinabile in merito al valore dell’opera realizzata, risulta senz’altro corretto tra quelli astrattamente applicabili, senza prestare il fianco ad evidenti vizi logici sindacabili in sede di giurisdizione generale di legittimità, risultando effettuato, per altro, sulla base dei valori immobiliari desumibili dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare”.
Orbene tale motivazione non è stata fatta oggetto di censura e ciò rende il motivo d’appello inammissibile.
In ogni caso giova soggiungere che per un verso risulta del tutto logico considerare, ai fini della quantificazione della sanzione, la superficie autodichiarata da colui che richiede il condono edilizio, per altro verso non risulta fornito alcun elemento di prova atto a dimostrare la presenza di errori nell’individuazione del valore di mercato dell’immobile e dei costi di costruzione.
Il ricorso va in definitiva respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di (omissis) e dell’Agenzia del Territorio – Direzione Regionale Umbria e Marche, liquidandole forfettariamente in complessivi Euro 2.500/00 (duemilacinquecento), pro parte, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Francesco Mele – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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