Il notaio incaricato e’ tenuto ad effettuare le visure catastali e ipotecarie

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 30 gennaio 2019, n. 2525.

La massima estrapolata:

Il notaio incaricato della redazione dell’atto richiesto, ovvero, di un atto pubblico di trasferimento immobiliare ha l’obbligo di compiere le attivita’ preparatorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, e’ tenuto ad effettuare le visure catastali e ipotecarie, la cui eventuale omissione e’ fonte di responsabilita’ per violazione non gia’ dell’obbligo di diligenza professionale qualificata, ma della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex articolo 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte.

Sentenza 30 gennaio 2019, n. 2525

Data udienza 16 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5047-2015 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2223/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/03/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 2223/14 del 21 maggio 2014, della Corte di Appello di Napoli, che – accogliendo il gravame esperito da (OMISSIS) contro la sentenza n. 10391/10 del 18 ottobre 2010 del Tribunale di Napoli – ha condannato l’odierno ricorrente, in solido con (OMISSIS), a pagare in favore della (OMISSIS) la somma di Euro 30.000,00, oltre rivalutazione e interessi.
2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di aver rogitato in data 26 maggio 2005, nella sua qualita’ di notaio, un atto con cui la (OMISSIS) acquistava dal (OMISSIS) la quota pari ad un terzo della proprieta’ di alcuni appartamenti siti in (OMISSIS), la cui restante parte era in proprieta’ di (OMISSIS).
Deduce, altresi’, che circa due anni dopo, l’acquirente e il di lei padre, (OMISSIS), apprendevano della pregressa pendenza di un giudizio di divisione dell’eredita’, pervenuto alla fase della vendita dei beni caduti in successione, proposta dalla (OMISSIS) con atto di citazione ritualmente trascritto nei registri immobiliari, tanto che la (OMISSIS), essendo stato rigettato definitivamente il ricorso con il quale aveva richiesto sospendersi la vendita dei lotti “Secondo” e “Terzo” (concernenti i beni da essa acquistati) interveniva volontariamente in quel giudizio, chiedendo l’attribuzione delle quote acquistate. Sempre dalla narrativa contenuta nel ricorso emerge, inoltre, che (OMISSIS) (rispettivamente, moglie di (OMISSIS) e madre di (OMISSIS)), all’esito delle operazioni di vendita disposte nel corso del giudizio divisionale, si rendeva aggiudicataria del lotto “Terzo”, per un prezzo di Euro 26.000,00.
Lamentando, dunque, la perdita dell’immobile acquistato, nonche’ – il solo (OMISSIS) – l’insorgenza di uno stato depressivo in conseguenza di detto evento, i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio il (OMISSIS) e il (OMISSIS) per conseguire il ristoro dei danni subiti, ipotizzando a carico del professionista – per quanto qui ancora interessa – un inadempimento all’obbligo di eseguire le verifiche sullo stato giuridico del bene e di informarne gli acquirenti.
Respinta la domanda attorea dal primo giudice, proposto appello dalla sola (OMISSIS), la Corte partenopea, in accoglimento dello stesso, provvedeva nei termini sopra meglio indicati.
In particolare, il secondo giudice perveniva a tale esito sulla base del seguente ragionamento.
Esso muoveva dalla premessa che l’atto rogitato dal notaio (OMISSIS) costituisse alienazione della quota ideale di un bene in comunione, ed inoltre che l’acquirente non fosse stata resa edotta in ragione della mancata esecuzione delle visure immobiliari, costituente per il notaio un obbligo derivante dal contratto di prestazione d’opera professionale – dell’esistenza della trascrizione della domanda giudiziale di divisione. Su tali basi la Corte territoriale riteneva che l’omissione avesse avuto un ruolo rilevante nella valutazione dell’acquisto, risultando l’effetto traslativo subordinato alla condizione che l’acquirente fosse immesso nella comunione ereditaria, sicche’ solo la conoscenza della pendenza del giudizio divisionale avrebbe consentito alla (OMISSIS) di valutare se assumere il rischio della mancata assegnazione degli immobili acquistati al proprio dante causa. Affermata su tali basi la responsabilita’ del professionista, il danno risarcibile era determinato in relazione all’importo della compravendita non andata a buon fine.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), sulla base di due motivi.
3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi, congiuntamente, dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – viene dedotta violazione degli articoli 1103, 1176 e 1218 c.c..
Si assume l’irriducibile contraddittorieta’ del ragionamento svolto dalla Corte partenopea, giacche’ essa, proprio muovendo dalla constatazione che oggetto della compravendita era la quota di un bene individuato facente parte di una piu’ ampia comunione ereditaria, avrebbe dovuto trarne come conseguenza che il medesimo, per sua stessa natura, non poteva che avere effetti obbligatori.
Difatti, a differenza di quanto accade nella comunione ordinaria, nella quale il rapporto tra il comproprietario del bene (che poi aliena) ed il bene stesso e’ diretto, nella comunione ereditaria esso e’ “mediato” dal diritto alla quota ereditaria, diritto in virtu’ della cui titolarita’ il coerede e’ anche comproprietario dei beni costituenti la massa ereditaria, sicche’ egli e’ titolare solo di una quota di eredita’, e non di una quota ideale della proprieta’ di ogni singolo bene ereditario, in proporzione alla quota ereditaria medesima.
Orbene, stando cosi’ le cose, anche nell’ipotesi in cui la (OMISSIS) fosse stata informata della pendenza del giudizio di divisione, tale circostanza sarebbe stata ininfluente ai fini dell’assunzione del rischio della mancata assegnazione dell’immobile compravenduto al proprio dante causa, giacche’ tale rischio era connaturato all’atto di compravendita, o meglio allo stato giuridico dell’immobile acquistato, del quale – osserva il ricorrente – la (OMISSIS) non ha mai affermato di non aver avuto conoscenza o comprensione.
3.2. Con il secondo motivo e’ dedotta – ai sensi, nuovamente, dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – “violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 1223 e 2697 c.c.”.
Nel quantificare il pregiudizio subito dalla (OMISSIS) con riferimento all’intero corrispettivo versato per la vendita, la Corte partenopea avrebbe violato le norme sulla necessita’ dell’esistenza del nesso causale tra l’inadempimento e il danno lamentato, nonche’ sulla distribuzione dell’onere della prova, incorrendo in un vizio rilevabile non solo “sub specie” di violazione di legge, ma pure alla stregua di una motivazione perplessa.
Ed invero, nell’affermare che l’ammontare del danno non sarebbe stato oggetto di specifica contestazione tra le parti, il giudice di appello, avrebbe disatteso un rilievo in tal senso formulato dall’odierno ricorrente sin dalla sua costituzione nel giudizio di primo grado. Inoltre, il (OMISSIS) sottolinea come parte attrice non abbia mai provato non solo di aver effettivamente perso il bene, e il suo controvalore, all’esito della divisione, ma neppure di averne perso la disponibilita’ materiale, per essere stata costretta a rilasciarlo.
4 Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, (OMISSIS), per chiedere che la stessa sia dichiarata inammissibile o comunque rigettata.
Quanto al primo profilo, si rileva – essenzialmente – che il ricorso del (OMISSIS) opererebbe una non consentita mescolanza di censure eterogenee rivolte all’indirizzo della sentenza impugnata, ed inoltre che questa avrebbe deciso la presente controversia conformemente alla giurisprudenza di questa Corte.
5. Ha proposto controricorso anche (OMISSIS), aderendo, tuttavia, alle conclusioni del ricorrente.
6. Il ricorrente (OMISSIS) e la controricorrente (OMISSIS) hanno presentato memorie, ex articolo 378 c.p.c., insistendo nelle rispettive argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. In via preliminare vanno disattese le eccezioni preliminari della (OMISSIS), circa l’inammissibilita’ dell’impugnazione del (OMISSIS).
Invero, quanto alla denunciata “mescolanza” di censure eterogenee, e’ sufficiente rilevare che “il fatto che un singolo motivo sia articolato in piu’ profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per se’, ragione d’inammissibilita’ dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (cosi’ Cass. Sez. Un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, Rv. 635452-01; in senso sostanzialmente analogo, sebbene “a contrario”, si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 17 marzo 2017, n. 7009, Rv. 643681-01).
Ne’, d’altra parte, sussiste nella specie il motivo di inammissibilita’ contemplato dall’articolo 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1), considerato che la “quaestio iuris” sottoposta all’esame del giudice di appello (ed oggi, di questa Corte) presenta carattere di novita’, cio’ che per definizione esclude che la sua decisione essere avvenuta in conformita’ con i precedenti della giurisprudenza di legittimita’.
8. Cio’ premesso, il ricorso va rigettato.
8.1. Il primo motivo di ricorso – che, peraltro, si articola in due diverse censure – non e’ fondato.
8.1.1. Tale esito si impone, in primo luogo, per la censura proposta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), – che denuncia il vizio motivazionale dal quale la sentenza impugnata sarebbe affetta.
Ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – nel testo “novellato” dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte e’ destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale”. (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonche’, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 63778101; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).
Lo scrutinio di questa Corte e’, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01), o perche’ affetta da “irriducibile contraddittorieta’” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).
Orbene, nessuna delle descritte evenienze ricorre nel caso in esame, non potendo ritenersi affatto “perplesso” l’iter motivazionale sviluppato dalla Corte partenopea, come riassumibile nel passaggio da ritenersi quale sua “ratio decidendi” – che ravvisa nelle due omissioni del notaio rogante (mancato espletamento delle visure e successivo, conseguente, difetto di menzione, nel contratto, della trascrizione della domanda giudiziale di divisione) i comportamenti che avevano privato la (OMISSIS) “di poter valutare la convenienza dell’affare e di addivenire alla compravendita con la piena conoscenza di tutti gli elementi necessari”, e cio’ “pur volendo ritenere il contratto come compravendita di singoli beni”.
Il tema e’, piuttosto, quello – che forma oggetto della seconda censura articolata con il primo motivo, ovvero quella di violazione degli articoli 1103, 1176 e 1218 c.c., – se tale affermazione sia corretta “in iure”, o non integri, piuttosto, il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
8.1.2. Neppure tale censura e’, pero’, fondata.
La tesi sviluppata dal ricorrente, benche’ suggestivamente argomentata, non coglie nel segno.
Non puo’ condividersi, infatti, l’assunto su cui essa si fonda, ovvero che la qualificazione della vendita “de qua” come avente effetti obbligatori escluda la responsabilita’ del notaio, per non avere effettuato le ricerche e, dunque, prospettato – all’esito di esse – che vi era gia’ un’azione di divisione giudiziale trascritta.
Invero, colui che acquista una quota ideale di beni facenti parte di una comunione ereditaria, ignorando – per carenza della dovuta informazione da parte del notaio (e della parte venditrice) – che gia’ pende procedimento divisionale, non puo’ essere considerato alla stregua di chi, invece, opera l’acquisto conoscendo tale circostanza, o, addirittura, lo realizzi senza la pendenza di alcuna divisione. La circostanza che, in tutti questi casi, la vendita abbia effetti obbligatori non assume rilevanza in relazione a quanto – rispettivamente, dal notaio, nella corretta esecuzione della propria prestazione professionale, e dalla parte venditrice, ex articolo 1337 c.c. – e’ doveroso aspettarsi, nel momento in cui la parte acquirente si determini all’acquisto.
Difatti, e’ sul piano della libera formazione della volonta’ negoziale che la condizione di chi sia a conoscenza della pendenza del procedimento divisionale (o, a maggior ragione, della sua inesistenza) risulta diversa da quella di chi sia, viceversa, all’oscuro di tale circostanza. Non e’, infatti, la stessa cosa acquistare la quota ideale in un contesto in cui essa si ponga come “res litigiosa”, perche’ gli eredi (ivi compreso il venditore) non si sono messi d’accordo su come dividere avendo gia’ instaurato il giudizio divisionale, e acquistare, invece, in una situazione in cui non e’ certo se la divisione si dovra’ fare in un giudizio o potra’ avvenire amichevolmente.
Tanto e’ sufficiente per ritenere – ponendo a confronto le due situazioni – che, nel primo caso, l’acquirente non e’ messo in condizione di valutare pienamente l’opportunita’ (e la convenienza) dell’affare, dipendendo non solo la scelta di addivenire alla conclusione del contratto, ma anche quella di stipularlo a condizioni economiche differenti, proprio dalla ponderazione della situazione di litigiosita’ della “res”, nonche’, al limite, dallo stato in cui la procedura divisionale si trovi.
D’altra parte, a conferma della qui proposta conclusione, non pare irrilevante osservare come, nella piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, vi sia una tendenza a valorizzare, nella formazione del contratto, la tutela della liberta’ negoziale rispetto a comportamenti che – sebbene non assumano propriamente rilievo quali vizi del consenso – si presentano in contrasto con l’obbligo di buona fede, rivelandosi idonei ad indurre il contraente che ne sia vittima a realizzare un assetto di interessi piu’ svantaggioso rispetto a quello che sarebbe scaturito in loro assenza (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 17 settembre 2013, n. 21255, Rv. 628701-01; Cass. Sez. 1, sent. 23 marzo 2016, n. 5726, Rv. 639093-01).
Orbene, identica necessita’ di garantire la piu’ ampia tutela possibile alla liberta’ negoziale si pone non solo rispetto al comportamento di ciascuno dei paciscenti, ma anche di terzi, ivi compreso il notaio incaricato della redazione dell’atto, potendo, al riguardo, utilmente richiamarsi il principio secondo cui esso, “richiesto della redazione di un atto pubblico di trasferimento immobiliare ha l’obbligo di compiere le attivita’ preparatorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, e’ tenuto ad effettuare le visure catastali e ipotecarie, la cui eventuale omissione e’ fonte di responsabilita’ per violazione non gia’ dell’obbligo di diligenza professionale qualificata, ma della clausola generale della buona fede oggettiva o correttezza, ex articolo 1175 c.c., quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 16990, Rv. 636622-01).
8.1.3. Il primo motivo di ricorso va, dunque, nel complesso rigettato.
8.2. Il secondo motivo e’, invece, inammissibile, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
Siffatto esito si impone, innanzitutto, perche’ il ricorrente – a fronte dell’affermazione della Corte territoriale, secondo cui non sarebbe stato da esso contestato il danno, come individuato dall’attrice (ed appellante) (OMISSIS), ovvero “sub specie” di esborso del prezzo di acquisto – si e’ limitato a riprodurre un passo della comparsa di costituzione (e della memoria ex articolo 183 c.p.c.) da cui non si evince affatto l’esistenza di una simile contestazione. Ma, soprattutto, la declaratoria di inammissibilita’ del motivo, ai sensi della norma sopra richiamata, risulta conseguenza del fatto che il ricorrente neppure ha chiarito se tale contestazione fosse stata prospettata (“recte”: riproposta) nella comparsa di costituzione in appello. Difatti, nel giudizio di cassazione, “qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilita’ della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtu’ del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente cio’ sia avvenuto, giacche’ i motivi di ricorso devono investire questioni gia’ comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimita’, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito ne’ rilevabili di ufficio” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 9 agosto 2018, n. 20694, Rv. 650009-01).
9. Le spese – da liquidarsi come da dispositivo – seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico sia del ricorrente che del (OMISSIS), avendo costui proposto, nella sostanza, un ricorso adesivo rispetto a quello del (OMISSIS), e potendo ritenersi, pertanto, anch’esso soccombente (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 16 novembre 1976, n. 4252, Rv. 382940-01).
10. A carico del ricorrete (OMISSIS), stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di con sussiste tributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e, per l’effetto, condanna (OMISSIS) e di (OMISSIS) a rifondere a (OMISSIS) le spese del presente giudizio, nella misura che liquida – a carico di ciascuno di essi – in Euro 2.200,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente (OMISSIS), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Avv. Renato D’Isa

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