Non è reiterabile l’espulsione dello straniero quale misura alternativa alla detenzione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|21 aprile 2021| n. 15119.

Non è reiterabile l’espulsione dello straniero, quale misura alternativa alla detenzione ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nei confronti di un condannato che abbia fatto illegittimamente rientro nel territorio dello Stato prima del decorso di dieci anni dall’esecuzione del provvedimento, giacché, in tal caso, a termini del comma 8 di detto articolo, si ripristina lo stato detentivo del medesimo ai fini dell’esecuzione della residua pena espianda in relazione al titolo per il quale l’espulsione stessa era stata disposta. (In motivazione la Corte ha aggiunto che, diversamente opinando, il trasgressore potrebbe giovarsi dell’espulsione tendenzialmente all’infinito, con la conseguenza che la misura perderebbe di deterrenza e mancherebbe di raggiungere l’effetto deflattivo della popolazione carceraria cui è preordinata).

Sentenza|21 aprile 2021| n. 15119

Data udienza 26 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Ordinamento penitenziario – Sanzioni alternative alla detenzione – Espulsione dello straniero – Diniego – Condizioni – Art. 16, comma 8, T.U. Immigrazione – Rientro illegittimo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giusep – Presidente

Dott. BONI Monica – Consigliere

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. CENTOFANTI Francesc – rel. Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 22/01/2020 del Tribunale di sorveglianza di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CENTOFANTI Francesco;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MARINELLI Felicetta, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Milano confermava, in sede di opposizione ai sensi dell’articolo 16, comma 6, Testo Unico imm., l’anteriore decreto del Magistrato di sorveglianza di Varese, che aveva respinto l’istanza di (OMISSIS), tesa ad ottenere, per la seconda volta rispetto al medesimo titolo, l’espulsione dallo Stato a titolo di sanzione alternativa alla detenzione.
2. L’interessato ricorre per cassazione, con rituale ministero difensivo.
Nell’unico motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto nessuna disposizione vieterebbe di reiterare la misura, di obbligatoria adozione, ancorche’ il condannato abbia violato le prescrizioni ad essa sottese facendo rientro in Italia e venendo nuovamente arrestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2. Secondo la costante giurisprudenza di legittimita’, l’espulsione dello straniero non appartenente all’Unione Europea, identificato, irregolare, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena, anche residua, non superiore a due anni per reati non ostativi, prevista dal Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 16, comma 5, e successive modificazioni, ha natura sostanzialmente amministrativa e costituisce una misura alternativa alla detenzione atipica, la cui adozione segue al riscontro delle condizioni fissate dalla legge (Sez. 1, n. 50871 del 25/05/2018, Tello; Sez. 1, n. 6814 del 09/07/2015, dep. 2016, Nakai; Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, dep. 29/12/2010, Turtulli, Rv. 249175-01).
A fondamento della disposizione vi e’ l’esigenza di ridurre la popolazione carceraria. La legge persegue l’obiettivo facendo in modo che fuoriescano dal circuito penitenziario, e siano subito rimpatriati, i condannati comunque non reintegrabili nella comunita’ nazionale, perche’ sprovvisti di titolo per rimanervi, gia’ non avviati a percorsi proficui di risocializzazione e per i quali non sussistano prevalenti esigenze di tutela della loro incolumita’ e salute o delle loro relazioni familiari (Sez. 1, n. 9425 del 18/02/2019, G., Rv. 274885-01).
3. Per conseguire l’obiettivo, lo Stato abdica, sotto condizione, al soddisfacimento della pretesa punitiva.
L’articolo 16, comma 8, Testo Unico imm. stabilisce: “La pena e’ estinta alla scadenza del termine di dieci anni dall’esecuzione dell’espulsione di cui al comma 5, sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione e’ ripristinato e riprende l’esecuzione della pena”. Il rientro illegittimo ante tempus integra, altresi’, nuovo reato (articolo 13, comma 13-bis, stesso T.U.).
La legge e’ chiara nel prevedere che siffatto indebito rientro – il quale, una volta accertato, importa l’arresto del suo autore, anche fuori dei casi di flagranza (comma 13-ter del citato articolo 13 T.U.) – determini la reviviscenza della pena detentiva in relazione a cui l’esecuzione era stata disposta, nella parte che residuava all’atto dell’espulsione e che dunque non risulta ancora espiata.
Tale conseguenza e’ undefettibile, alla luce del chiaro dettato normativo, ne’ appare possibile, per ragioni logico-sistematiche, la riedizione dell’espulsione. Si consideri che, a ritenere diversamente, il trasgressore sarebbe passibile, almeno di regola, di essere immediatamente assoggettato a nuova identica misura, e il meccanismo potrebbe ripetersi tendenzialmente all’infinito, privando di serieta’ e sostanza l’esecuzione penale.
L’istituto rimarrebbe di fatto privo della clausola di deterrenza, studiata dal legisiatore per impedire l’elusione delle finalita’ ad esso sottese, mancando cosi’ anche di raggiungere realmente lo sperato effetto deflattivo della popolazione carceraria.
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e per i profili di colpa correlati all’irritualita’ dell’impugnazione (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000) – di una somma in favore della bassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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