Non è abnorme il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare…

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|10 marzo 2021| n. 9601.

Non è abnorme il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio per il delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen., anche dopo l’aumento dei limiti edittali previsto dalla legge 26 aprile 2019 n. 36, disponga, fuori dall’udienza preliminare, la restituzione degli atti al pubblico ministero per l’esercizio dell’azione penale nelle forme della citazione diretta a giudizio.

Sentenza|10 marzo 2021| n. 9601

Data udienza 3 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Gup – Decreto di restituzione degli atti al Pm per procedersi con citazione diretta emesso fuori udienza – Abnormità del provvedimento – Esclusione – Ratio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FOGGIA;
nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 12/11/2020 del GIP TRIBUNALE di FOGGIA;
udita la relazione svolta da Consigliere SESSA RENATA;
lette le conclusioni del PG che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il pubblico ministero ricorre avverso il provvedimento, emesso fuori udienza dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Foggia, di restituzione degli atti al P.m., che aveva avanzato richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di (OMISSIS) per il delitto di cui agli articoli 56 e 624-bis c.p., sul presupposto che dovesse procedersi, invece, con citazione diretta.
Il ricorrente insta per l’annullamento di tale provvedimento ritenendolo, in buona sostanza, abnorme, assumendo che esso sia stato emesso in violazione delle norme che disciplinano la materia ed abbia determinato una indebita regressione del procedimento nonche’ una situazione di stallo, non potendo egli, a fronte di esso, reiterare la richiesta rispetto alla quale il giudice si e’ gia’ pronunciato, ne’ emettere decreto di citazione diretta a giudizio dell’imputato, atteso che – per le ragioni esposte in ricorso che attengono all’inasprimento della pena in relazione al reato di cui all’articolo 624-bis c.p., di recente intervenuto in virtu’ della L. n. 36 del 2019, articolo 5, comma 1, lettera a, – si tratterebbe di esercizio dell’azione penale in forma non corretta avuto riguardo al tiolo del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso dev’essere rigettato.
1.1. Le censure espresse dal ricorrente, pur fondate in relazione all’adozione de plano, in assenza di una specifica previsione normativa, del provvedimento impugnato, che avrebbe potuto essere emesso nell’ambito dell’udienza preliminare ai sensi dell’articolo 33-sexies c.p.p., – vizio che di per se’ non comporta le conseguenze invocate dal ricorrente una volta che, come si dira’, e’ da ritenere correttamente adottato il provvedimento impugnato -, tuttavia non sono condivisibili nella parte in cui assumono che, in conseguenza delle modifiche introdotte dalla L. n. 36 del 2019 al trattamento sanzionatorio previsto per il reato di cui all’articolo 624-bis c.p., deve, ora, trovare applicazione il disposto di cui all’articolo 550, comma 1 codice di rito, in virtu’ del quale sussiste la limitazione dell’accesso alla citazione diretta per i reati con pena massima edittale non superiore a quattro anni di reclusione.
L’orientamento – pressoche’ costante – della giurisprudenza di legittimita’, secondo il quale “e’ abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento che disponga la restituzione degli atti al P.M., per avere esercitato l’azione penale – in ordine al delitto di cui all’articolo 624-bis c.p. – nelle forme della citazione diretta a giudizio, senza celebrazione dell’udienza preliminare, attesa la conseguente stasi insuperabile del processo, non potendosi, da un lato, reiterare il medesimo decreto di citazione diretta (perche’ gia’, annullato) e, dall’altro, procedere con una richiesta di rinvio a giudizio, perche’ non corretta, avuto riguardo al titolo di reato” (Sez. 4, Sentenza n. 1792 del 16/10/2018 Cc. (dep. 16/01/2019) Rv. 275078 – 01) appare fondato su un criterio discretivo focalizzato, appunto, sul titolo di reato, con un rinvio “mobile” alle indicazioni contenute nell’articolo 550 c.p.p., comma 2 e non quoad poenam, secondo i parametri indicati dell’articolo 550 cit., comma 1.
Sotto tale profilo, l’interpretazione prospettata dal ricorrente, pur coerente con il principio tempus regit acutm (essendo stato nel caso di specie, l’azione penale esercitata dopo l’entrata in vigore dell’innalzamento della pena massima editale ad anni sette di reclusione e lo stesso reato commesso, secondo la contestazione, successivamente a tale momento), non e’ avallabile, non versandosi in ipotesi di modifica strutturale o ponderale di un reato “a citazione diretta” ai sensi dell’articolo 550 c.p.p., comma 1,(Sez. 3 n. 18297 Anno 2020, Rv. 279238 – 01).
1.2. Occorre, invero, prendere le mosse dalla giurisprudenza di legittimita’ formatasi anteriormente all’entrata in vigore della L. 23 giugno 2017, n. 103 (quindi al 3.8.2017), che aveva affermato che per i delitti di furto in abitazione e di furto con strappo, previsti dall’articolo 624-bis c.p., si procede con citazione diretta a giudizio, ai sensi dell’articolo 550 c.p.p., comma 2, atteso che la mancata espressa previsione di tale fattispecie nell’elencazione di cui alla predetta norma e’ da ricondursi unicamente ad un difetto di adeguamento normativo, cui e’ possibile supplire in via interpretativa, considerato che il delitto di furto aggravato, ai sensi dell’articolo 625 c.p., e’ inserito tra quelli elencati ed e’ punito con la medesima pena della reclusione da uno a sei anni (Sez. 5, n. 3807 del 28/11/2017, dep. 2018, Cipolletti, Rv. 272439; analogamente, Sez. 6, n. 29815 del 24/04/2012, Levakovic, Rv. 253173; Sez. 5, 12 aprile 2011, n. 2256, Castriota; Sez. 4, 22 maggio 2009, n. 36881, Nasufi; Sez. 5, 05/11/2002, n. 40489, Zagami; contra, Sez. 4, 7 febbraio 2003, Ciliberti).
Ebbene, tale interpretazione, ritenuta diritto vivente, essendo rimasto isolato il contrapposto precedente interpretativo di questa Corte del 2003, e’ stata mantenuta anche in seguito alla modifica dell’articolo 624-bis c.p., apportata dalla L. n. 103 del 2017 (che, pur non avendo inciso sui massimi edittali, rimasti allineati con la pena massima prevista per il reato di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625 c.p., ha mutato i minimi edittali previsti rispettivamente per il furto in abitazione non aggravato, comma 1: da uno a tre anni di reclusione, e per il furto in abitazione aggravato, comma 3: da tre a quattro anni di reclusione; e ha peraltro aggiunto all’articolo 624-bis c.p., un ultimo comma, nel quale si prevede il divieto di equivalenza e di prevalenza delle circostanze attenuanti, diverse da quelle di cui agli articoli 98 e 625-bis c.p., eventualmente concorrenti con le aggravanti di cui all’articolo 625 c.p.; ed e’ stata proprio quest’ultima previsione a sollecitare la valutazione di una sopravvenuta maggior gravita’ del trattamento sanzionatorio disegnato dal legislatore per il furto in abitazione rispetto a quello delle diverse ipotesi di furto riconducibili alle previsioni degli articoli 624 e 625 c.p.).
Il novum normativo non e’ stato ritenuto idoneo a fondare il ripudio dell’interpretazione elaborata nel precedente regime.
In primo luogo, non si e’ mancato di osservare che la modifica e’ intervenuta in presenza, appunto, di un diritto vivente che sin dall’anno 2002 (Sez. 5, n. 40489 del 05/11/2002, Zagami, Rv. 225705) riconduce anche il furto di cui all’articolo 624-bis c.p. (introdotto dalla L. n. 128 del 2001) alla previsione di cui all’articolo 550 c.p.p., comma 2, lettera f); sicche’ viene in rilievo il tradizionale canone interpretativo “ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit”. In secondo luogo, si e’ altresi’ osservato come la selezione dei reati operata con l’articolo 550 c.p.p., comma 2, tragga origine non tanto da una minore gravita’ degli stessi, come dimostrano la varieta’ dei livelli sanzionatori corrispondenti alle diverse fattispecie e la vetta raggiunta proprio con l’inclusione del delitto di cui agli articoli 624 e 625 c.p.p., quanto da valutazioni di tipo “economicistico” e di funzionalita’ organizzativa, ritenute esposte al pericolo di compromissione dall’adozione generalizzata del modulo procedimentale previsto per i reati attribuiti al Tribunale in composizione collegiale.
Ed invero, non sembra agevolmente superabile l’obiezione secondo la quale non e’ possibile stabilire alcun rapporto di proporzionalita’ diretta tra entita’ della pena e complessita’ dell’accertamento del reato. Sicche’ l’assenza di un preventivo vaglio giudiziale sull’esercizio dell’azione penale sarebbe motivata, in tale ottica interpretativa, dalla volonta’ di limitare l’utilizzo delle risorse, da ottimizzare a favore di reati che il legislatore ha ritenuto meritevoli di un piu’ meditato accesso al dibattimento.
Tanto premesso, si e’ ritenuto palese che limitate variazioni della pena non sono suscettibili di incidere su quelle valutazioni concernenti l’organizzazione delle risorse giudiziarie, aventi nel loro fuoco l’identita’ tipologica del reato (inteso come furto, indicato nel genus dall’articolo 550 c.p.p., mediante il richiamo dell’articolo 625 c.p.); un’identita’ frutto non solo di profili “tecnici”, ma anche di aspetti sociali o criminologici ritenuti meritevoli di considerazione da parte del legislatore.
Cio’ posto, rimane evidente che tale interpretazione non puo’ che essere riaffermata anche a seguito delle modifiche della pena introdotte dalla L. n. 36 del 2019, in continuita’ al diritto vivente, essendosi ancora una volta il legislatore limitato ad introdurre l’aumento della pena edittale, massima, per il reato di cui all’articolo 624-bis c.p., innalzata da sei a sette anni, senza alcuna previsione aggiuntiva in punto di esercizio dell’azione penale.
1.3. L’assunto del ricorrente, secondo il quale l’innalzamento della pena prevista per il delitto di cui all’articolo 624-bis c.p., ha fatto, automaticamente, venir meno il fondamento del diritto vivente suindicato, formatosi a seguito dell’introduzione del delitto di cui all’articolo 624-bis c.p., e rimasto immutato pure dopo le modifiche normative successivamente intervenute, non e’, quindi, condivisibile.
D’altronde l’attuale pena massima prevista per il reato in parola – aumentata dalla L. n. 36 del 2019, da 6 a 7 anni di reclusione per il furto in abitazione, o con strappo, di cui all’articolo 624-bis c.p., commi 1 e 2 e rimasta invariata in anni 10 per l’ipotesi aggravata di cui all’articolo 624-bis c.p., comma 3, essendo stato in tal caso innalzato unicamente il minimo edittale da 4 a 5 anni (oltre che, di poco, l’importo della multa) – e’ in ogni caso, rispettivamente, inferiore o pari a quella massima, di anni dieci, prevista dall’articolo 625, u.c., per il furto pluriaggravato, pacificamente oggetto di citazione diretta (laddove rimane evidente che quanto prevede l’articolo 624-bis, u.c., in punto di bilanciamento di aggravanti e attenuanti non puo’, in ogni caso, incidere sulla questione in argomento).
Simili valutazioni, d’altronde, come ha gia’ avuto modo di precisare questa Corte, sono opinabili dal giudice ordinario solo ove siano ravvisabili gli estremi della questione di legittimita’ costituzionale, che non appare, nella specie, venire in rilievo, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, rientrando tali opzioni normative nell’ambito della discrezionalita’ del legislatore, e non ricorrendo una compromissione del principio di ragionevolezza.
1.4. Va pertanto affermato, in continuita’ col diritto vivente esistente, il seguente principio di diritto: per i delitti di furto in abitazione – e di furto con strappo – previsti dall’articolo 624-bis c.p., anche a seguito dalla L. 26 aprile 2019, n. 36, che ha apportato modifiche al massimo edittale previsto per essi e al minimo edittale previsto nel caso di cui all’articolo 624-bis c.p., comma 3, l’esercizio dell’azione penale va disposto con la citazione diretta a giudizio e non con la richiesta, avanzata al Giudice per le indagini preliminari, di rinvio a giudizio.
2. Cio’ posto, ne consegue che il provvedimento impugnato non e’ nel suo complesso illegittimo, ne’ tanto meno abnorme, e che il ricorso merita il rigetto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del P.M..

 

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