Nel sistema della responsabilità civile (anche) della Pa

Consiglio di Stato, Sentenza|2 aprile 2021| n. 2734.

Nel sistema della responsabilità civile (anche) della Pa, il processo risarcitorio si snoda attraverso due fasi: la prima che tende a ricostruire il fatto dannoso mediante la ricerca del collegamento materiale tra la condotta e l’evento (risolto alla stregua degli articoli 40 e 41 c.p. e 1227, I, c.c.); la seconda che concerne il collegamento giuridico tra il fatto e le conseguenze dannose risarcibili e che ha la sua regola generale nell’articolo 1223 c.c., richiamato dall’art.icolo 2056 c.c. nel senso di limitare la risarcibilità ai soli danni diretti ed immediati e di cui l’articolo 1227, II, c.c. costituisce una specificazione. Opera dunque il generale principio di autoresponsabilità, ex articolo 1227, II, c.c., alla cui stregua il risarcimento deve essere negato in relazione a quei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. Si tratta di un precetto operante non soltanto nella materia della responsabilità da inadempimento, ma anche con riferimento alla responsabilità aquiliana, stante il rinvio operato a tale disposizione dall’articolo 2056 c.c.. Esso rinviene poi una sua specifica declinazione in sede amministrativa ai sensi dell’articolo 30, III, Dlgs n. 104/2010 che impone al Giudice, in sede di determinazione del risarcimento danni, di valutare tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude dal risarcimento quei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento dei previsti strumenti di tutela. La portata di tale norma è ricognitiva di principi già evincibili dell’articolo 1227 c.c. ed è quindi applicabile anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo.

Sentenza|2 aprile 2021| n. 2734

Data udienza 17 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Attività amministrativa autoritativa – Responsabilità civile della PA – Azione risarcitoria – Elementi costitutivi – Necessaria prova

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6836 del 2017, proposto da
Associazione Teatrale Abruzzese e Molisana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fr. Ca., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, viale (…);
contro
Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo Sezione Prima n. 00079/2017, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2020 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Fr. Ca. e dello Stato Gi. Sa., in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 25 Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, l’Associazione Teatrale Abruzzese e Molisana (per brevità, anche ATAM o Associazione) appella la sentenza n. 79 del 2017, con cui il Tar Abruzzo, L’Aquila, ha rigettato il ricorso di prime cure, diretto ad ottenere la condanna della Regione Abruzzo al risarcimento dei danni asseritamente subiti dal ricorrente per effetto di condotte provvedimentali illegittime ascritte in capo all’ente regionale.
In particolare, secondo quanto dedotto in appello:
– ATAM è un soggetto titolare di personalità giuridica autonoma, avente come fine la distribuzione, promozione e formazione del pubblico, riconosciuto ai sensi dell’art. 14 del decreto MIBAC del 12 novembre 2007, operante nelle Regioni Abruzzo e Molise, inserito dall’art. 5 L.R. n. 5/99 tra i soggetti, operanti nel settore del Teatro di Prosa, aventi diritto al sostegno finanziario della Regione Abruzzo;
– in particolare, ai sensi di quanto previsto dagli artt. 14 e 15 L.R. n. 5/99, il contributo dovuto dall’ente regionale viene corrisposto a titolo di acconto, in misura dell’80%, sulla base delle uscite del bilancio consuntivo dell’anno precedente, nonché a titolo di conguaglio, per l’ulteriore 20%, sulla base delle perdite dell’anno di riferimento;
– con nota n. 13372 del 19.1.2012 il dirigente del servizio Politiche Culturali della G.R.A ha comunicato all’Associazione che, all’esito delle attività svolte dal Nucleo di Verifica nelle sedute del 15 e del 28 novembre 2011, nonché del 18 gennaio 2012, avuto riguardo al conto consuntivo relativo all’annualità 2010, era stata accertata l’impossibilità di procedere alla liquidazione del contributo per l’anno 2011 ai sensi della L.R. n. 5/1999, essendo emerso, per il periodo in considerazione, un utile (e non dunque perdite) di esercizio;
– l’ATAM ha, quindi, proposto un primo ricorso dinnanzi al Tar Abruzzo (n. r.g. 206/2012, integrato da successivi motivi aggiunti), domandando l’annullamento del diniego di contributo e dei connessi atti;
– nel corso del giudizio il Tar ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio al fine di verificare, sulla base della documentazione contabile in atti, le circostanze di fatto contestate dalla ricorrente, con specifico riferimento all’eventuale ricomprensione tra i costi relativi al bilancio 2010 presentato dall’Associazione, di voci già coperte e comprese tra quelle finanziate dal FESR 2009-2010;
– il Tar, sulla base delle risultanze dell’istruttoria disposta, con sentenza n. 47/2015 ha accolto le censure svolte dalla ricorrente, in considerazione dell’assorbente ragione per cui, contrariamente a quanto ritenuto dalla Regione, da un lato, l’Atam nel bilancio 2010 aveva provveduto a detrarre dal conto economico presentato le componenti negative coperte dal contributo POR FESR, dall’altro, il risultato di esercizio conseguito in relazione al bilancio 2010, al netto costi relativi al bilancio 2010 già coperti e compresi tra quelli finanziati dal POR-FESR 2009-2010, si era chiuso in perdita;
– a fronte della condotta inottemperante della Regione, che aveva omesso di eseguire il giudicato di annullamento, astenendosi dal pagamento del contributo dovuto, l’ATAM ha proposto ricorso per l’ottemperanza, finalizzato ad ottenere la determinazione e l’erogazione del contributo regionale per l’annualità 2011;
– in pendenza del giudizio di ottemperanza la Regione ha assunto una determina di riconoscimento di Euro 91.000,00 a favore di ATAM;
– il Tar ha definito il giudizio di ottemperanza, limitandosi a dare atto dell’avvenuto pagamento del contribuito e rilevando che ogni questione relativa alla corretta quantificazione operata dalla Regione avrebbe dovuto essere devoluta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria;
– con successivo ricorso l’ATAM ha proposto dinnanzi al Tar Abruzzo una domanda risarcitoria contro la Regione Abruzzo, per ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto del provvedimento dirigenziale annullato dalla sentenza n. 47/2015 cit.;
– il primo giudice ha rigettato il ricorso.
2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza di primo grado, il Tar ha rilevato che:
-l’illegittimità del diniego di contributo, acclarata con la sentenza n. 47/2015, aveva comportato, come del pari accertato con il giudizio di ottemperanza proposto e definito, solo la mancata disponibilità dell’importo poi riconosciuto, rimanendo tuttora aperta la controversia, non definita, su ulteriori poste attive non ancora riconosciute e non direttamente riconoscibili nel (o dal) provvedimento (di diniego) impugnato;
– la mancata disponibilità di ulteriori somme non discendeva dal provvedimento di diniego illegittimo, ma, a tutto voler concedere, e dando per scontata la quantificazione operata da parte ricorrente, dalla mancata corresponsione di detto importo in epoca successiva, per effetto della carenza di atti (successivi o ulteriori) di impegno (la cui illegittimità parte ricorrente in alcun modo aveva fatto valere innanzi al TAR), ovvero in ragione del mancato adempimento di obblighi oramai consolidati ricadenti sull’Amministrazione e pienamente definiti nell’an e nel quantum; con la precisazione che, in tale ultima ipotesi, le conseguenze negative ulteriori avrebbero dovuto essere dedotte innanzi ad altro Giudice;
– in ogni caso, l’incertezza dell’ammontare del pregiudizio patrimoniale dato dal minore contributo complessivamente erogato non consentiva neppure di verificare l’esatta incidenza della mancata riscossione tempestiva delle dette poste attive (se non limitatamente al contributo effettivamente poi riconosciuto e pari a circa euro 92.000,00) sulle lamentate conseguenze negative; non essendo revocabile in dubbio che, sul piano meramente oggettivo, l’entità del preteso credito non riscosso non era affatto neutra sul patrimonio del creditore e sulle eventuali conseguenze ulteriori;
– posto che, allo stato, l’importo certo di cui ATAM non aveva avuto disponibilità per effetto dell’illegittimo provvedimento di diniego impugnato era limitato ai detti 92.000,00 euro, doveva in conseguenza concludersi che difettava la prova, incombente sull’attore/ricorrente, che era stata proprio tale mancata disponibilità (di euro 92.000.000) a “determinare” le lamentate conseguenze negative; occorrendo che il creditore dimostrasse che la mancata disponibilità di quella posta era stata l’unica causa del conseguente dissesto; tenuto conto, peraltro, di un’attività continuata negli anni successivi (con l’assunzione, volontaria, di altri impegni, nonostante le oggettive difficoltà di cassa) e della disponibilità di altre cospicue poste attive (i contributi ministeriali ottenuti fino al 2012);
– tale prova non era stata fornita dal ricorrente, né avrebbe potuto disporsi una CTU, che non avrebbe avuto la funzione di quantificare un danno già accertato nell’an ma appunto di accertare causalmente proprio l’an del danno, ossia se, dalle richiamate evenienze e solo in conseguenza di queste, fosse stato prodotto un danno risarcibile in capo ad ATAM;
– a fronte di interessi c.d. pretensivi, quali quelli rilevanti nella fattispecie, la necessità dell’intermediazione amministrativa ai fini dell’attribuzione del bene della vita poneva a carico del privato l’onere, da assolvere in base al principio dispositivo, di dimostrare la spettanza del bene in questione, ossia di acclarare che, ove l’amministrazione si fosse comportata legittimamente, avrebbe dovuto riconoscergli non solo il bene appetito, ma anche, ove proponesse una domanda risarcitoria relativa ai danni “ulteriori”, reintegrarlo delle altre utilità che solo e proprio la mancata disponibilità del bene “primario” aveva fatto mancare;
– nel caso di specie, era problematico individuare finanche l’entità della mancata erogazione economica, costituente l’asserita causa del declino della ricorrente; comunque, l’Associazione non aveva neanche dimostrato che, utilizzando i contributi pubblici (e le altre contribuzioni) percepiti successivamente per la copertura dei debiti poi specificamente contestati dall’Amministrazione MIBACT (il saldo alle compagnie ospitanti), non avrebbe comunque evitato il dissesto; con il che restava indimostrato, appunto, che il contributo denegato sarebbe stato l’unica origine delle non altrimenti evitabili conseguenze dannose prodotte;
– inoltre, nella specie, il danno lamentato da parte ricorrente non costituiva affatto la realizzazione di un rischio specifico creato dall’antecedente rappresentato dalla condotta illecita dell’Autorità ; né il lamentato pregiudizio poteva essere giustificatamente ricollegato alla condotta dell’Amministrazione sotto il profilo del c.d. “scopo della norma violata”.
– difettava, altresì, il requisito della prevedibilità del danno (operante in materia, dovendo ricondursi la responsabilità dell’Amministrazione alla disciplina di cui all’art. 1218 c.c.), non risultando provato, e neppure in alcun modo allegato, che, al momento del dovuto adempimento (o, come nel caso, della mancata erogazione del contributo), la situazione di insolvenza della creditrice fosse conosciuta o conoscibile dalla debitrice (l’Amministrazione);
– infine, non poteva configurarsi, sul piano soggettivo, neanche il dolo dell’Amministrazione, tenuto conto che il ruolo assunto dal nucleo di verifica, valorizzato dal ricorrente per la prova dell’elemento soggettivo dell’illecito, era risultato irrilevante ai fini causali e inutilizzabile ai fini dell’integrazione della fattispecie dolosa in funzione dell’ampliamento del perimetro dei danni risarcibili ex art. 1225 c.c. anche a quelli non prevedibili; pure la circostanza per cui la Regione avesse immediatamente distribuito le risorse liberate dal mancato contributo concesso ad ATAM agli altri organismi concorrenti costituiva un’evenienza del tutto ordinaria in ipotesi di esecutività del provvedimento non sospeso.
3. Il ricorrente in prime cure ha proposto appello avverso la sentenza pronunciata dal Tar, censurandone l’erroneità con l’articolazione di due complessivi motivi di impugnazione, incentrati sulla “sulla responsabilità della Regione e sul conseguente diritto di Atam al risarcimento del danno, nonché sulla violazione e non corretta applicazione da parte del Tar degli articoli 64 e 39 c.p.a. e dell’art. 115 c.p.c.”, nonché “sul quantum”.
4. La Regione intimata si è costituita in giudizio, al fine di resistere all’appello.
5. Le parti hanno argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni con il deposito di memorie conclusionali. L’appellante ha depositato anche repliche alle avverse deduzioni.
6. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 17 dicembre 2020.

DIRITTO

1. L’appello censura la sentenza di prime cure, per avere negato la sussistenza di una responsabilità civile della Regione intimata, nonché ripropone le difese di primo grado in ordine al quantum asseritamente dovuto dalla Regione a titolo risarcitorio.
Al riguardo, ATAM, nel contestare l’erroneità della sentenza pronunciata dal Tar, deduce che:
– la fattispecie non potrebbe essere ricondotta alla responsabilità contrattuale da inadempimento delle obbligazioni, non potendosi configurare in termini contrattuali il rapporto tra la Regione e l’Atam;
– l’illecito ascritto alla Regione, pertanto, dovrebbe essere ricondotto allo schema della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., con conseguente emersione dell’obbligazione risarcitoria a fronte dell’annullamento di un atto illegittimo e in presenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione; elementi riscontrabili nel caso di specie;
– in particolare, l’illegittimità del provvedimento sarebbe stata accertata con sentenza passata in giudicato, così come dovrebbe ritenersi incontrovertibile il diritto dell’Associazione alla percezione del contributo negato dalla Regione;
– il diniego di contributo avrebbe procurato “conseguenze deflagranti sull’equilibrio finanziario di ATAM”, che aveva sempre operato anche avvalendosi di contributi pubblici attribuiti dalla Regione e dal Ministero dei beni e delle attività culturali;
– nella specie, la mancata disponibilità, nell’esercizio 2012 del contributo ingiustamente denegato dalla Regione, avrebbe determinato l’impossibilità : a) di pagare per intero le compagnie ospitate nell’anno 2011 e, quindi, di ottenere dal Ministero il saldo del contributo relativo a tale annualità, per Euro 116.047,80; b) di pagare per intero le compagnie ospitate nell’anno 2012 e, quindi, di ottenere dal Ministero il saldo del contributo relativo a tale annualità, per Euro 130.045,60; c) di ottenere il contributo ministeriale per l’anno 2013 in misura pari a quella riconosciuta per gli anni precedenti, corrispondente ad Euro 580.000,00 circa, avendo ricevuto l’Associazione un contributo di Euro 250.000,00 per l’anno 2013, sempre in ragione del mancato integrale pagamento delle compagnie ospitate per gli anni 2011-2012;
– lo stesso Tar Abruzzo con sentenza n. 667/14, nel respingere il ricorso proposto dall’Associazione avverso il provvedimento ministeriale con cui veniva assegnato il contributo per l’anno 2013 in misura inferiore rispetto a quella riconosciuta negli anni precedenti, avrebbe ritenuto legittimo l’operato statale in ragione della irregolarità gestionale, correlata al mancato integrale pagamento delle compagnie ospitate;
– sempre il Ministero con decreto n. 2222 del 19.12.2014 ha negato l’assegnazione del contributo per l’anno 2014, assumendo una decisione, comunque, contestata in sede giurisdizionale;
– per effetto della privazione dei contributi ministeriale e regionale ATAM si sarebbe trovata costretta ad interrompere la propria attività, non potendo presentare neppure domanda al Ministero per la concessione del contributo per il triennio 2015-2017;
– i fatti a sostegno della domanda risarcitoria, inoltre, non sarebbero stati specificatamente contestati dalla Regione, sicché avrebbero dovuto ritenersi pacifici ai sensi del combinato disposto degli artt. 64, comma 2, c.p.a., 115 c.p.c. e 39 c.p.a.; con conseguente necessità di ritenere inoppugnabile la circostanza per cui l’Associazione aveva effettivamente subito le conseguenze dannose in esame;
– il Tar avrebbe anche svalutato il rilievo operato in prime cure, per cui l’Associazione, in forza dei contributi ricevuti, presentava una situazione economica di assoluta regolarità, figurando al primo posto degli organismi teatrali di cui all’art. 14 D.M. MIBACT del 12.11.2007, anche nel primo triennio successivo al sisma del 2009, che aveva danneggiato le sedi utilizzate per le manifestazioni teatrali; per l’effetto, la situazione di pareggio di bilancio non si era avuta nell’esercizio 2012 solo per la mancata concessione del contributo relativo all’anno 2011, che aveva impedito di coprire interamente le spese delle compagnie teatrali ospitate;
– il disavanzo economico nel 2012, pari ad Euro 250.000,00, si era elevato ad oltre Euro 570.000,00 nel 2013, il che aveva determinato la necessaria riduzione degli spettacoli, l’impossibilità di avvalersi delle migliori compagnie teatrali, la negazione dei contributi ministeriali per il 2014 e il 2015, nonché la cessazione dell’attività dopo il 2015, con il licenziamento di tutti i dipendenti, la cessazione dei rapporti di collaborazione e la ricezione della notificazione degli atti giudiziari prevenuti dopo l’aprile 2012, aventi ad oggetto crediti che l’Associazione non era stata in condizione di adempiere per via dell’illegittimo diniego di contributo per l’anno 2012;
– nella specie ricorrerebbe anche la colpa dell’Amministrazione, come desumibile dall’istituzione nel 2011 di un nuovo nucleo di verifica al fine di svolgere un controllo di merito e qualitativo non consentito dalla L.R. n. 5/1999, che non ammetteva alcun controllo della spesa rendicontata; né sarebbero stati acquisiti in atti i verbali delle sedute nelle quali tale nucleo aveva esaminato la documentazione prodotta dagli altri organismi che avevano chiesto ed ottenuto l’ammissione al contributo regionale, né vi sarebbero atti concernenti la convocazione a tale fine del N.I.V. stesso, con la conseguenza che tale nucleo avrebbe operato solo nei confronti della ricorrente, travisando i dati di bilancio e affermando che l’Associazione avrebbe duplicato le perdite, illazioni smentite dalla CTU acquisita al giudizio definito con sentenza n. 47/2015 cit.;
– la sussistenza di una volontà lesiva ascrivibile in capo alla Regione dovrebbe desumersi, altresì, dall’adozione delle determinazioni con cui l’Amministrazione regionale, appena due giorni dopo la notifica del ricorso, ha provveduto a ripartire tra gli altri quattro organismi istanti le somme residuate per effetto dell’esclusione dell’ATAM dai contributi per l’anno 2011; condotta illegittima, non avendo la Regione ancora ricevuto i rendiconti per l’anno 2011 degli organismi beneficiati dalla elargizione;
– in ogni caso, la colpa dell’Amministrazione sarebbe quella rimarcata dal Tar nella sentenza n. 47/2015 cit., per avere la Regione negato il contributo per erroneità dei presupposti e per difetto di istruttoria;
– il Tar avrebbe anche errato nell’ascrivere in capo all’Atam la prova del fatto che, in caso di tempestiva ricezione del contributo negato dalla Regione, Atam avrebbe evitato il dissesto, tenuto conto che l’Associazione, fruendo dei contributi pubblici aveva sempre chiuso in pareggio o in attivo la gestione contabile, quando, il venire meno del contributo regionale per l’anno 2011 aveva determinato, nell’arco di tre anni, la cessazione dell’attività ;
– non sarebbe neanche rilevante stabilire l’effettivo ammontare del contributo regionale dovuto ad Atam, tenuto conto che, anche prendendo in considerazione l’importo di Euro 92.000,00, ove tale somma fosse stata tempestivamente corrisposta, l’Associazione avrebbe pagato le spettanze delle Compagnie ospitate nel 2011 (il cui debito ammontava ad Euro 110.000), in tale modo chiudendo l’esercizio senza perdite.
In punto di quantum debeatur, l’Associazione rileva che i danni prodotti dalla Regione, oggetto della richiesta risarcitoria, potrebbero determinarsi anche in ragione dei costi da sopportare per ripristinare l’operatività dell’associazione, quantificabili in almeno 10 milioni di euro, con un mancato guadagno corrispondente ad almeno 1 milione di euro per ciascun anno di inoperatività, pari ai ricavi prodotti dall’attività dell’Associazione.
Al riguardo, l’appellante ha chiesto l’ammissione di una consulenza tecnica per determinare l’ammontare del danno effettivamente subito, da parametrare non agli utili di esercizio, ma al complessivo volume di affari, derivante dalla somma dei contributi pubblici e dei ricavi dall’attività svolta dalla ricorrente. La determinazione del quantum debeatur potrebbe, inoltre, essere operata, secondo quanto dedotto in appello, in via equitativa da questo Consiglio.
2. In quanto preliminari rispetto alla corretta quantificazione degli importi asseritamente dovuti dall’ente regionale, occorre soffermarsi, in via prioritaria, sull’integrazione, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, di un illecito civile ascrivibile in capo alla Regione, oltre che sulla sussistenza di conseguenze dannose correlate al diniego di contributo regionale per cui è causa.
3. In materia di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione la parte che affermi di avere subito un danno in conseguenza dell’altrui condotta lesiva è, tenuta ad allegare e provare puntualmente gli elementi costitutivi dell’illecito e le conseguenze pregiudizievoli subite (Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 ottobre 2020, n. 6394).
In particolare, l’illecito civile ascrivibile all’Amministrazione nell’esercizio dell’attività autoritativa, quale quella rilevante nell’odierna sede processuale, richiede:
– sul piano oggettivo, la presenza di un provvedimento illegittimo causa di un danno ingiusto, con la necessità, a tale ultimo riguardo, di distinguere l’evento dannoso (o c.d. “danno-evento”) derivante dalla condotta, che coincide con la lesione o compromissione di un interesse qualificato e differenziato, meritevole di tutela nella vita di relazione, e il conseguente pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale scaturitone (c.d. “danno-conseguenza”), suscettibile di riparazione in via risarcitoria (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3);
– sul piano soggettivo l’integrazione del coefficiente di colpevolezza, con la precisazione che la sola riscontrata ingiustificata o illegittima inerzia dell’amministrazione o il ritardato esercizio della funzione amministrativa non integra la colpa dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358).
Sul piano probatorio, l’accertamento del nesso di causalità tra la condotta e l’evento lesivo – c.d. “causalità materiale” – impone, inoltre, di verificare “se l’attività illegittima dell’Amministrazione abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento” (Consiglio di Stato, sez. II, 25 maggio 2020, n. 3318).
Trattasi di un giudizio da svolgere in applicazione della teoria condizionalistica, governata dalla regola probatoria del “più probabile che non” e temperata in applicazione dei principi della causalità adeguata.
In particolare, occorre procedere ad un giudizio controfattuale, volto a stabilire “se, eliminando o, nell’illecito omissivo, aggiungendo quella determinata condotta, l’evento si sarebbe ugualmente verificato, e, una volta risolto positivamente tale scrutinio, un secondo stadio richiede di verificare, con un giudizio di prognosi ex ante, l’esistenza di condotte idonee – secondo il criterio del “più probabile che non” – a cagionare quel determinato evento.
Sicché l’esito positivo del predetto giudizio – riconducibile alla teoria della causalità adeguata – accerta definitivamente l’efficienza causale dell’atto illegittimo rispetto all’evento di danno, che va esclusa qualora emergano fatti o circostanze che abbiano reso da sole impossibili il perseguimento del bene della vita determinando autonomamente l’effetto lesivo (Cons. Stato, VI, 29 maggio 2014, n. 2792)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 luglio 2019, n. 4790).
Positivamente definito lo scrutinio in ordine alla causalità materiale, a fronte d’un evento dannoso causalmente riconducibile alla condotta illecita, occorre verificare la sussistenza di conseguenze dannose, da accertare secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 Cod. civ. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 agosto 2015, n. 3854).
4. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, è possibile soffermarsi sul caso di specie, verificando se possa ascriversi in capo alla Regione appellata un illecito civile, fonte dell’obbligazione risarcitoria, completo nei suoi elementi costitutivi, rilevanti tanto sul piano oggettivo che su quello soggettivo.
5. In primo luogo, si deve dare atto che nel caso in esame risulta accertata con sentenza passata in giudicato la sussistenza di una condotta provvedimentale illegittima.
Il Tar Abruzzo, difatti, con sentenza n. 47/2015 ha annullato il provvedimento regionale attraverso il quale, relativamente al conto consuntivo annualità 2010 prodotto dall’Atam, era stata rilevata l’impossibilità di procedere alla liquidazione del contributo previsto dalla Legge regionale 5/1999 per l’anno 2011.
In particolare, il giudice di primo grado, sulla base delle risultanze di apposita consulenza tecnica d’ufficio, ha rilevato che:
– l’Atam nel bilancio 2010 aveva provveduto a detrarre dal conto economico presentato le componenti negative coperte dal contributo POR FESR;
-il risultato di esercizio conseguito dall’Atam in relazione al bilancio 2010, al netto costi relativi al bilancio 2010 già coperti e compresi tra quelli finanziati dal POR-FESR 2009-2010, si era chiuso in perdita.
Per l’effetto, doveva ravvisarsi l’illegittimità del provvedimento di diniego del contributo de quo in relazione al lamentato vizio di erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria, risultando fallaci entrambi i presupposti posti a fondamento del diniego di contributi: che l’Atam aveva prodotto, per l’attività svolta nel 2010, la medesima rendicontazione presentata ai fini dell’erogazione del FESR-POR; nonché che l’Atam aveva conseguito un utile di esercizio.
Avendo dedotto la ricorrente che la sentenza n. 47/2015 non è stata censurata in appello, in assenza di contestazione sul punto opposta dalla Regione, deve ritenersi pacifico che tale pronuncia sia passata in giudicato e, pertanto, deve considerarsi incontrovertibile tra le parti l’avvenuta adozione di un provvedimento illegittimo nei confronti dell’Associazione odierna appellante, avente ad oggetto il diniego di contributo regionale per l’anno 2011.
6. L’illegittimità del provvedimento, come supra osservato, tuttavia, non può ritenersi sufficiente per ravvisare un’obbligazione risarcitoria a carico dell’Amministrazione procedente, occorrendo verificare se, nella specie, la condotta provvedimentale della Regione: a) abbia causato un danno evento ingiusto, in quanto lesivo di una situazione giuridica soggettiva attiva, qualificata e differenziale; b) abbia manifestato un atteggiamento doloso o colposo, attesa l’inescusabilità dell’errore in cui sia incorsa l’Amministrazione nell’esercizio del pubblico potere; c) nonché abbia prodotto conseguenze dannose risarcibili ex art. 1223 c.c..
Nel caso di specie, benché il diniego opposto dalla Regione abbia provocato la lesione della sfera giuridica dell’odierna ricorrente, violando un interesse qualificato e differenziato ascrivibile in capo all’Associazione e avente ad oggetto la percezione del contributo regionale, non si ritiene che le conseguenze pregiudizievoli lamentate dall’appellante possano ritenersi conseguenza immediata e diretta della condotta regionale, sia perché nella specie manca una prova in tale senso, che – come supra osservato – avrebbe dovuto essere fornita dal danneggiato, sia perché la documentazione in atti manifesta l’esistenza di scelte gestionali, ascrivibili all’Associazione ricorrente, che hanno interrotto il nesso eziologico intercorrente fra la condotta regionale e il dissesto associativo alla base della domanda risarcitoria.
In ogni caso, non si ravvisa nel caso esaminato neppure l’elemento soggettivo del coefficiente di colpevolezza, essenziale per ravvisare un illecito civile ascrivibile in capo alla Regione intimata; così come non risulta adempiuto l’onere probatorio in ordine al quantum oggetto della richiesta risarcitoria.
7. Soffermando l’attenzione, preliminarmente, sul profilo oggettivo e, in specie, sulla sussistenza di conseguenze dannose ascrivibili alla condotta regionale, deve, in primo luogo, rigettarsi la censura impugnatoria diretta a contestare la natura pacifica dei fatti allegati dall’appellante a sostegno della propria domanda risarcitoria.
In particolare, secondo la prospettazione della ricorrente, la Regione, in primo grado, non avrebbe specificatamente contestato la sussistenza del nesso eziologico intercorrente fra il diniego del contributo pubblico per cui è causa e lo stato di dissesto subito dall’Associazione, da ritenere, pertanto, pacifico, come tale non bisognoso di prova (cfr. pag. 13 appello, in cui si rileva che “la mancata contestazione da parte della Regione ha fatto divenire dato inoppugnabile che Atam, in conseguenza del provvedimento annullato dalla sentenza 47/2015, ha effettivamente subito le conseguenze dannose dianzi illustrate”).
Dunque, secondo quanto dedotto in appello, dovrebbe risolversi l’odierna controversia, ritenendo pacifico e comunque non contestato che il diniego di contributo, oltre a determinare la lesione del diritto alla percezione del contributo per l’anno 2011 e, dunque, la mancata tempestiva percezione del contributo nella misura effettivamente dovuta (questione non oggetto dell’odierno giudizio), abbia prodotto ulteriori conseguenze lesive, rappresentate dalla cessazione dell’attività dell’Associazione, costituente l’esito di una serie di circostanze, ricondotte – secondo quanto dedotto in appello – all’illegittima azione provvedimentale.
In particolare, il diniego di contributo avrebbe procurato:
a) l’impossibilità di pagare per intero le compagnie ospitate nell’anno 2011 e, quindi, di ottenere dal Ministero il saldo del contributo relativo a tale annualità, per Euro 116.047,80;
b) l’impossibilità di pagare per intero le compagnie ospitate nell’anno 2012 e, quindi, di ottenere dal Ministero il saldo del contributo relativo a tale annualità, per Euro 130.045,60;
c) l’impossibilità di ottenere il contributo ministeriale per l’anno 2013 in misura pari a quella riconosciuta per gli anni precedenti, corrispondente ad Euro 580.000,00 circa, avendo ricevuto l’Associazione un contributo di Euro 250.000,00 per l’anno 2013, sempre in ragione del mancato integrale pagamento delle compagnie ospitate per gli anni 2011-2012;
d) la negazione dei contributi pubblici per gli anni successivi;
e) l’interruzione dell’attività, con licenziamento dei lavoratori e cessazione di altri rapporti contrattuali.
Secondo quanto dedotto dall’appellante, nel corso degli anni, la perdita non ripianata dal contributo regionale per l’anno 2011, avrebbe prodotto un disavanzo economico nel 2012, pari ad Euro 250.000,00, elevatosi ad oltre Euro 570.000,00 nel 2013, con conseguente necessaria riduzione degli spettacoli, impossibilità di avvalersi delle migliori compagnie teatrali, negazione dei contributi ministeriali per il 2014 e il 2015 e, dunque, cessazione dell’attività dopo il 2015.
Premesso che non rileva nell’odierno giudizio il danno integrato dalla mancata corretta percezione del contributo regionale, avendo lo stesso appellante precisato di attendere l’esito del presente giudizio “per agire dinanzi all’AGO per ottenere la condanna dell’ente al pagamento dell’anzidetto importo di Euro 252.379,03” (pag. 7 memoria di replica), le deduzioni fattuali sottese alla proposizione della domanda risarcitoria per cui è causa non possono ritenersi non specificatamente contestate dalla parte resistente.
La Regione Abruzzo, nel controdedurre all’avversa domanda, con memoria difensiva depositata dinnanzi al Tar in data 5 novembre 2016 ha specificatamente contestato che:
– dovevano ritenersi “insussistenti, nel caso di specie, gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, cui deve (pacificamente in giurisprudenza) ricondursi la domanda ex adverso proposta, e la cui prova, non assolta dall’ATAM, incombe sul ricorrente (ex multis Cons. di Stato, Sentenza del 17-02-2014, n. 744; TAR Veneto, sentenza 1° settembre 2015, n. 954)”;
– “Né paiono corrette le generiche argomentazioni proposte in punto di nesso causale dalla ricorrente. Al fine di giustificare l’abnorme richiesta risarcitoria, infatti, l’ATAM afferma che, per effetto degli squilibri finanziari cagionati dalla mancanza di quei 91.000,00 euro, non avrebbe potuto avere accesso agli ulteriori finanziamenti ministeriali del MIBAC. Finanziamenti negati in almeno due occasioni (e oggetto di relativi contenziosi), asseritamente in quanto il Ministero dei Beni Culturali avrebbe ritenuto ostativo il mancato pagamento di debiti gestionali pregressi, con particolare riferimento alle retribuzioni delle compagnie teatrali che per l’ATAM (società di distribuzione) avevano lavorato. Da qui sarebbe addirittura scaturita la sostanziale chiusura dell’attività dell’Associazione. Orbene, dalla documentazione in atti è possibile evincere chiaramente la pretestuosità della ricostruzione ex adverso proposta per giustificare il rapporto di causalità fra il mancato anticipo per l’anno 2011 e i danni lamentati”;
– in particolare, alla stregua di quanto risultante dalla sentenza n. 667/14 del Tar Abruzzo, emergeva che “Le difficoltà gestionali e l’esposizione debitoria contestata dal MIBAC erano assai maggiori dei soli 91.000,00 non versati dalla Regione Abruzzo, e soprattutto affondavano le radici in epoche anteriori al 2011”; “il MIBAC, in quegli anni, ha erogato “sulla fiducia” contributi ben superiori a 91.000,00 euro, e sufficienti per sanare i debiti con le compagnie, ma colpevolmente l’ATAM non ha mai utilizzato quelle somme per sistemare i propri conti, in vista di una ripresa e di un consolidamento dell’Associazione”; “i 91.000,00 euro, il cui ritardato versamento viene oggi posto come causa petendi di una sconcertante richiesta risarcitoria, non avrebbero consentito in alcun modo la sostenuta svolta nei conti della ricorrente”; “il motivo della parziale mancata contribuzione da parte del MIBAC non era legato soltanto alle difficoltà di gestione e all’esposizione debitoria nei confronti delle compagnie teatrali, essendo stata effettuata dal Ministero una valutazione negativa sull’attività dell’ATAM, anche sotto altri profili e parametri; a cominciare dalla qualità della produzione artistica”;
– “Deriva da quanto precede l’assoluta mancanza di prova del nesso causale (rectius: l’assoluta infondatezza ed erroneità del nesso rappresentato) fra il provvedimento illegittimo, annullato dalla sentenza 47, e i danni oggi lamentati”.
Diversamente da quanto dedotto dall’appellante, dunque, non può ritenersi che la Regione, nel difendersi in prime cure, abbia omesso di contestare la sussistenza di una correlazione causale tra il diniego di contributo e i danni lamentati dalla ricorrente, tradottisi nella cessazione dell’attività dell’Associazione, valutata in termini risarcitori come danno di importo non inferiore a 10 milioni di euro.
Trattandosi di fatti contestati, in adempimento dell’onere probatorio ricadente sulla parte asseritamente danneggiata, deve essere l’Associazione a dimostrare, come correttamente ritenuto dal Tar, che il diniego di contributo abbia prodotto, sul piano causale, le conseguenze dannose sopra descritte, alla base della richiesta risarcitoria per cui è causa.
Come precisato da questo Consiglio, “è tra l’altro onere del privato danneggiato dapprima allegare che il fatto colposo dell’amministrazione ha causato (ex art. 1223 cod. civ.) pregiudizi alla propria sfera soggettiva, quindi specificarne la tipologia, ed infine fornirne la prova (in questi termini: Sez. VI, 14 luglio 2013, n. 4176, 27 giugno 2013, n. 3521)” (Consiglio di Stato Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860).
8. Ciò rilevato, si osserva che nel caso in esame, non soltanto l’odierna appellante non ha fornito puntuale dimostrazione delle proprie allegazioni, come correttamente ritenuto dal Tar, ma emergono elementi di prova idonei a disattendere la tesi attorea, fondendo una spiegazione alternativa del dissesto dell’Associazione, incompatibile con la sua asserita riconduzione al diniego di contributo per cui è causa.
In particolare, non può ritenersi che la perdita di esercizio riferita all’anno 2011, non coperta mediante il contributo regionale illegittimamente denegato dall’Amministrazione regionale, abbia prodotto l’impossibilità di pagare le maestranze, la perdita dei contributi pubblici e, dunque, il dissesto dell’Associazione.
8.1. A tali fini, assume rilevanza l’accertamento recato nella sentenza n. 667 del 2014 del TAR Abruzzo, L’Aquila, pure citata nell’appello e comunque depositata dalla Regione in prime cure (deposito del 27.10.2016), in cui si rileva che:
– il decreto direttoriale di concessione del contributo statale per l’anno 2013 aveva fatto riferimento e, comunque, si era adeguato al parere della competente Commissione consultiva, motivato “piuttosto che sulla relazione introduttiva del suo Presidente – che svolge approfondita disamina sulla precedente attività dell’organismo e sulle carenze documentali (per gli anni 2011 e 2012) attestanti mancanza di correntezza gestionale, essenzialmente riferita al mancato pagamento delle compagnie ospitate, dato oggettivo (cfr. atti relativi alle procedure esecutive esibiti) e peraltro, sia pure in misura ridotta, non contestato dalla stessa ricorrente, oltre che sulla mancata copertura di tutte le province delle due regioni in sede di programmazione 2013, elementi che comporterebbero l’esclusione dal contributo ove non fosse stato applicabile il regime derogatorio di cui al D.M. 6 agosto 2009 -, sulla successiva relazione del componente Marinelli (cfr. stralcio verbale Commissione teatro del 10 luglio 2013, in produzione di parte resistente: “Commissione: concorda con quanto espresso da Marinelli”), che svolge analitico esame qualitativo della proposta, evidenziando, quanto alla relazione artistico-consuntiva dell’anno 2012, “perplessità sugli spazi utilizzati, in quanto sono indicati numerosi complessi scolastici e addirittura un ristorante in luogo delle sale indicate a preventivo” e “la scarsa qualità del programma artistico dell’anno 2013 nonché una flessione del numero delle recite, da n. 410 nell’anno 2012 a n. 340 nell’anno 2013 e la presenza in numero ridotto di compagnie teatrali di primaria importanza”, elementi con tutta evidenza rilevanti per la richiesta valutazione “qualitativa” di spettanza della Commissione”;
– “Quanto, invero, al mancato pagamento delle compagnie ospitate nel 2011 (che il Ministero avrebbe preteso in via prioritaria a fronte della concessa anticipazione del contributo 2012 e di cui ai punti 1) e 2) del secondo motivo aggiunto), la circostanza, al netto di versamento successivi non considerati dall’Amministrazione, è ammessa dalla stessa ricorrente (cfr. atto per motivi aggiunti, pag. 7: “Allo stato attuale la somma che l’ATAM deve ancora corrispondere a dette compagnie ammonta ad Euro 100.040,00, IVA compresa..”) onde è del tutto evidente che l’anticipazione concessa per euro 464.840,00 per l’anno 2012 non è stata utilizzata per far fronte a tale posta passiva nonostante gli impegni assunti per regolarizzare il disavanzo corrente (cfr. nota ATAM del 5 ottobre 2012; cfr. all. n. 6 della produzione di parte resistente in data 7 settembre 2013)..”.
Tale sentenza, per quanto ammesso nell’atto di appello -in cui si è dedotta la mancata “proposizione di appello avverso la sentenza n. 667/2014, essendo stata detta decisione correttamente motivata in relazione alla situazione di morosità nei pagamenti (determinata esclusivamente dalla mancata corresponsione del contributo regionale) considerata dal Ministero ai fini della drastica riduzione, in misura superiore al 50%, del contributo per l’anno 2013”- non risulta impugnata e, dunque, è passata in giudicato, recando un accertamento definitivo.
Benché la sentenza non sia stata pronunciata tra le stesse parti interessate dall’odierno giudizio, in quanto intervenuta tra l’ATAM e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si fa comunque questione di una sentenza emessa nei confronti dell’odierna appellante, recante, dunque, un accertamento giurisdizionale reso nel contraddittorio con l’Associazione ricorrente, avente ad oggetto questioni rilevanti anche nell’odierno giudizio – in quanto afferente alla debenza del contributo ministeriale per l’anno 2013, asseritamente negato in ragione della condotta illegittima ascritta nella presente sede processuale all’odierna parte appellata – da cui il Collegio può desumere elementi di prova ai fini della soluzione dell’odierna controversia.
Difatti, una sentenza intervenuta tra parti parzialmente diverse è, comunque, idonea ad essere valorizzata – anziché in ragione degli effetti vincolanti (in specie, preclusivi e conformativi) propri del giudicato di annullamento, operanti solo tra le parti del giudizio a definizione del quale è stata resa – quale fonte di prova atipica; “ciò, in applicazione dei generali principi processuali (applicabili anche al processo amministrativo) dell’atipicità dei mezzi e delle fonti di prova e del libero convincimento del giudice, che implicano la possibilità di valorizzare, in sede di prudente apprezzamento delle risultanze probatorie, anche sentenze intervenute tra terzi, venendo in tale caso la sentenza in rilievo non per gli effetti suoi propri (forza di giudicato, effetti esecutivi, ecc.), ma come elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che forma oggetto dell’accertamento giudiziale, da valutare unitamente alle altre risultanze istruttorie (v., sul punto, ex plurimis, Ca.. civ., 5 novembre 2009, n. 23446; Ca.. civ., 29 gennaio 2003, n. 1372)” (Consiglio di Stato sez. VI, 12 giugno 2015, n. 2894).
8.2 Dalla sentenza n. 667/14, in particolare, emerge che:
– la riduzione del contributo per l’anno 2013 era stata determinata in forza di un parere della Commissione consultiva, motivato, piuttosto che sulla base della relazione introduttiva del suo Presidente – riferita, in particolare, alla mancanza di correntezza gestionale, per effetto del mancato pagamento delle compagnie ospitate, oltre che alla mancata copertura di tutte le province delle due regioni in sede di programmazione 2013-, sulla successiva relazione del componente Marinelli, incentrata su un analitico esame qualitativo della proposta, evidenziando, quanto alla relazione artistico-consuntiva dell’anno 2012, “perplessità sugli spazi utilizzati, in quanto sono indicati numerosi complessi scolastici e addirittura un ristorante in luogo delle sale indicate a preventivo” e “la scarsa qualità del programma artistico dell’anno 2013 nonché una flessione del numero delle recite, da n. 410 nell’anno 2012 a n. 340 nell’anno 2013 e la presenza in numero ridotto di compagnie teatrali di primaria importanza”, elementi con tutta evidenza afferenti al profilo qualitativo dell’azione associativa, svolta e programmata;
– era stata concessa all’Associazione un’anticipazione di euro 464.840,00 per l’anno 2012, da utilizzare per far fronte al pagamento delle compagnie ospitate nel 2011, creditrici di una somma ammontante ad Euro 100.040,00, IVA compresa;
– la somma concessa dal Ministero, “nonostante gli impegni assunti per regolarizzare il disavanzo corrente (cfr. nota ATAM del 5 ottobre 2012; cfr. all. n. 6 della produzione di parte resistente in data 7 settembre 2013)..”, non era stata impiegata dall’Associazione per fare fronte al debito maturato nei confronti delle compagnie teatrali ospitate nel 2011.
8.3 Emerge, dunque, che non soltanto la parte appellante ha omesso di provare, come era invece suo onere, che il diniego di contributo regionale per cui è causa avesse determinato il mancato pagamento delle compagnie teatrali ospitate, la riduzione dei contributi pubblici e, infine, il loro integrale disconoscimento, con conseguente cessazione dell’attività dell’ente, ma risulta dalla sentenza n. 667/14 cit. che:
– da un lato, la riduzione del contributo statale per l’anno 2013 derivava, piuttosto che da un’irregolarità contabile procurata dal diniego di contributo regionale per l’anno 2011, in particolare da carenze qualitative dell’attività svolta nell’anno 2012 e del progetto artistico proposto per l’anno 2013 dall’Associazione; circostanze non riconducibili al diniego di contributo pubblico, ma a scelte gestionali della stessa ricorrente;
– dall’altro, il mancato pagamento delle compagnie ospitate nel 2011 era dipeso ancora una volta da una decisione gestionale dell’Associazione, la quale, benché avesse ricevuto dal Ministero un’anticipazione per l’anno 2012 e nonostante l’impegno assunto di utilizzare le somme così assegnate per l’estinzione della relativa posta debitoria, non vi aveva provveduto in concreto.
8.4 Tali circostanze evidenziano come la riduzione dei contributi statali e il mancato pagamento delle maestranze non siano derivati dal diniego di contributo regionale per l’anno 2011, ma da scelte gestionali della ricorrente, a sé ascrivibili.
Difatti, la scelta di impiegare complessi scolastici e un ristorante in luogo delle sale indicate a preventivo in modifica rispetto a quanto programmato costituisce una scelta gestionale dell’Associazione, così come la predisposizione di un programma artistico per l’anno 2013 ritenuto di scarsa qualità discende, parimenti, da decisioni assunte dalla ricorrente in ordine all’impostazione della propria attività teatrale.
Né potrebbe ritenersi che tali scelte gestionali siano state condizionate dalla indisponibilità delle migliori compagnia teatrali a collaborare con l’Associazione, in quanto non interamente remunerate in relazione alla stagione 2011 (per la mancata percezione del contributo illegittimamente negato dalla Regione Abruzzo con provvedimento annullato in giudizio).
Difatti, come appena osservato, l’Associazione aveva ricevuto apposita anticipazione ministeriale con l’impegno di utilizzare le risorse così assegnate per estinguere i debiti contratti con le compagnie teatrali ospitate nel 2011, omettendo, tuttavia, di procedere in tale senso, ancora una volta – deve ritenersi – in conseguenza, anziché del diniego di contributo per cui è causa, di una decisione gestionale dell’Associazione.
Il che trova conferma non solo nella sentenza n. 667/14 cit., ma anche nell’ulteriore documentazione in atti e, in specie, nei documenti nn. 5 e 6 dell’all. 21 deposito regionale di primo grado del 27 ottobre 2016, recanti la nota ministeriale del 3.10.2012 e il riscontro dell’odierna appellante del 5.10.2012.
In particolare, la Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali con nota n. 13412 del 3.10.2012 aveva chiaramente rappresentato all’Associazione che, “al fine di poter dar corso alla richiesta di anticipazione di cui all’oggetto [riferito al contributo 2012], è necessario trasmettere apposita dichiarazione, a firma del legale rappresentante, con la quale codesta Associazione si impegna a corrispondere, non appena incassata la somma a titolo di anticipazione del contributo 2012, i compensi ancora dovuti a parte delle compagnie ospitate nell’anno 2011”.
L’odierna appellante, in riscontro a tale nota ministeriale, con nota del 5.10.2012, n. 519 si era espressamente impegnata “a corrispondere, non appena incassata la somma a titolo di anticipazione del contributo 2012, il saldo dei compensi ancora dovuti alle compagnie ospitate nell’anno 2011”.
Come documentato dal doc. n. 7, all. 21 deposito 27.10.2016 cit., con decreto n. 24761 del 23.10.2012 il Ministero ha, dunque, autorizzato l’impegno in favore dell’Associazione ATAM della somma di Euro 464.840,00 a titolo di anticipazione del contributo concesso per l’anno 2012.
Sebbene, dunque, da un lato, l’Associazione si fosse impegnata a saldare ogni debito maturato verso le compagnie ospitate nell’anno 2011, dall’altro, proprio in virtù di tale impegno, il Ministero avesse concesso l’anticipazione richiesta per un importo superiore rispetto ai residui crediti vantati nei confronti dell’Associazione dalle relative compagnie teatrali, l’odierna appellante non risulta avere provveduto al pagamento di siffatti crediti, né emergono – e tanto meno risultano provate – cause oggettive ostative ad un tale adempimento.
Il mancato pagamento dei crediti de quibus, pertanto, diversamente da quanto dedotto in appello, non può essere causalmente correlato al diniego di contributo opposto dalla Regione con nota n. 13372 del 19.1.2012, essendo sopravvenuta, rispetto alla condotta illegittima regionale, la concessione di apposito contributo ministeriale, che l’Associazione si era impegnata ad utilizzare proprio per adempiere alle obbligazioni pecuniarie assunte nei confronti delle compagnie teatrali ospitate nel 2011.
8.5 Dalla documentazione in atti, in conclusione, non soltanto si desume che la riduzione del contributo ministeriale per l’anno 2013 era stata determinata, in specie, da carenze qualitative dell’attività svolta dall’Associazione, che l’appellante non prova essere correlate al diniego del contributo regionale e che, invero, trattandosi di programmazione artistica, risentono delle scelte gestionali assunte dall’Associazione, ma ancora prima emerge che il mancato pagamento delle compagnie operanti nell’anno 2011 – assunto dall’appellante come il fattore causale intermedio prodotto dal diniego di contributo regionale, a sua volta causa di un’irregolarità contabile, ostativa all’ottenimento degli ulteriori contributi pubblici e determinante per la riduzione e, infine, la cessazione dell’attività associativa – è dipeso da una scelta gestionale dell’appellante che, contravvenendo ad un impegno assunto verso il Ministero, ha omesso di impiegare le consistenti risorse ricevute per saldare ogni debito verso le compagnie teatrali ospitate.
Facendosi questione di decisioni imputabili all’odierna ricorrente, deve trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 1227, comma 2, c.c., ostativo al riconoscimento delle conseguenze risarcitorie che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Trattasi di precetto, da un lato, operante non soltanto nella materia della responsabilità da inadempimento, ma anche con riferimento alla responsabilità aquiliana, stante il rinvio operato a tale disposizione dall’art. 2056 c.c.; dall’altro, avente una sua specifica declinazione anche in sede amministrativa ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., in forza del quale “nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
Anche l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio ha precisato che “l’obbligo di cooperazione di cui al comma 2 dell’art. 1227 ha fondamento proprio nel canone di buona fede ex art. 1175 c.c. e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà ” (Consiglio di Stato, Ad. Plen 23 marzo 2011, n. 3).
Nella specie, ricorrono dunque i presupposti di applicazione dell’art. 1227 c.c.
In primo luogo, la decisione dell’Associazione si è tradotta in un’omissione del creditore, che non si è attivato per destinare il contributo statale al pagamento delle compagnie teatrali ospitate nel 2011: si è in presenza di una condotta, che oltre a tradursi nella violazione dell’impegno assunto nei confronti del Ministero e in un inadempimento contrattuale nei confronti delle compagnie creditrici, disvela una decisione gestionale non compatibile con i principi dell’ordinaria diligenza ex art. 1227, comma 2, c.c., tenuto conto che, permanendo uno stato di inadempienza verso le compagnie ospitate, l’Associazione sarebbe incorsa in una causa ostativa alla concessione dei contributi pubblici ex art. 14, comma 2, lett. g), DM 12.11.2007, con conseguente riduzione delle somme riscuotibili ed impiegabili per lo svolgimento dell’attività associativa.
In secondo luogo, sotto il profilo eziologico, procedendo ad un giudizio controfattuale sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, volto a verificare la probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, ponendo al posto dell’omissione il comportamento positivo esigibile secondo l’ordinaria diligenza, è possibile ritenere che la differente scelta di impiegare l’anticipazione statale del 2012 per il pagamento delle compagnie ospitate nel 2011 avrebbe permesso sia di evitare l’indisponibilità degli stessi creditori a partecipare alle ulteriori manifestazioni organizzate dall’Associazione (a pag. 16 dell’appello si discorre di indisponibilità delle compagnie teatrali rimaste creditrici per gli spettacoli relativi agli esercizi 2011 e 2012), sia, più in generale, di incorrere in cause ostative alla concessione di futuri contributi pubblici.
Ne deriva che le conseguenze dannose lamentate dall’appellante, integrate dalla riduzione e perdita dei contributi pubblici, fattori incidenti sulla condotta dei creditori rimasti insoddisfatti, nonché sulla contrazione e, infine, sulla cessazione dell’attività associativa, non può essere correlata al diniego di contributo regionale per cui è causa.
L’appellante avrebbe potuto impiegare diversamente le ulteriori e sopravvenute risorse economiche statali assegnate, peraltro nel rispetto degli impegni assunti, proprio per evitare quelle conseguenze alla base dell’odierna domanda risarcitoria, saldando tempestivamente le compagnie teatrali e, in tale modo, evitando un’irregolare gestione, suscettibile di essere negativamente valorizzata per il futuro ai fini del diniego o della decurtazione di ulteriori contributi pubblici, necessari per l’operatività dell’Associazione.
9. La pronuncia del Tar, peraltro, non potrebbe essere riformata valorizzando l’asserita erronea qualificazione giuridica del rapporto intercorrente fra l’Associazione appellante e la Regione Abruzzo, ricondotto dal primo giudice allo schema della responsabilità da inadempimento contrattuale.
9.1 Al riguardo, difatti, in primo luogo si osserva che il Tar ha chiaramente evidenziato le peculiarità della responsabilità civile della pubblica amministrazione, rilevando che “il danno da responsabilità della P.A. è diverso da quello da inadempimento contrattuale, e che, dunque, il diniego illegittimo di un atto ampliativo della sfera soggettiva del privato non può essere sic et simpliciter trattato alla stregua del comune inadempimento dell’obbligo contrattuale di conformarsi all’interesse del richiedente, ponendo in essere i fatti (quali il pagamento) satisfattivi di quello”; sicché, il Tar non ha meramente trasposto i principi civilistici in materia di inadempimento contrattuale alla fattispecie in esame, avendo, invece, evidenziato le differenze intercorrenti tra un atto amministrativo illegittimo e un inadempimento contrattuale.
9.2 In secondo luogo, la qualificazione della responsabilità civile in termini di responsabilità da inadempimento, proposta dal TAR, nella specie non è determinante al fine di condurre ad un diverso esito dell’odierna controversia.
Come supra osservato, la domanda risarcitoria proposta dall’Associazione non può essere accolta, in quanto non soltanto il danneggiato non ha dimostrato la sussistenza di danni conseguenza della condotta illegittima tenuta dall’Amministrazione regionale, ma anche perché emergono in atti elementi documentali da cui si desume la riconducibilità del dissesto a scelte gestionali dell’Associazione, di cui, dunque, in applicazione di un principio di autoresponsabilità, deve rispondere lo stesso danneggiato ex art. 1227 c.c.
L’ascrizione in capo al danneggiato dell’onere della prova delle conseguenze risarcitorie lamentate e l’applicazione del principio di autoresponsabilità ex art. 1227, comma 2, c.c. risultano operanti tanto in relazione alla responsabilità da inadempimento, quanto con riferimento alla responsabilità aquiliana.
Difatti, come osservato, l’art. 1227 c.c. è espressamente richiamato dall’art. 2056 c.c. in materia di responsabilità aquiliana, trovando dunque applicazione a prescindere dalla natura giuridica della responsabilità civile in concreto riscontrabile; così come l’onere della prova delle conseguenze risarcitorie lamentate dall’attore e del nesso eziologico con la condotta ascritta alla controparte trova il proprio fondamento nella generale regola del riparto dell’onere probatorio sancita dall’art. 2697 c.c., in forza della quale è l’attore – nella specie, l’Associazione ATAM, in qualità di proponente la domanda risarcitoria – a dovere allegare e provare i fatti costitutivi della pretesa azionata in giudizio, tra cui devono certamente ricondursi anche le conseguenze risarcitorie alla base della domanda processuale all’uopo esperita.
In particolare, anche in relazione alla responsabilità da inadempimento, in cui l’onere probatorio gravante sul danneggiato è attenuato, essendo sufficiente che questi alleghi l’altrui inadempimento (incombendo sul convenuto l’onere di provare il fatto estintivo dell’obbligazione asseritamente inadempiuta o la sussistenza di una causa non imputabile ostativa all’adempimento), è comunque l’attore a dovere dimostrare l’esistenza del danno conseguenza e la sua correlazione causale all’altrui inadempimento (cfr. ex multis, Cass. civ. sez. I, 7 febbraio 2020, n. 2975)
Ne deriva che, a prescindere dalla qualificazione sulla natura giuridica della responsabilità ascritta in capo alla Regione, dovrebbe comunque confermarsi la sentenza gravata, per avere correttamente escluso la prova di una correlazione causale tra il diniego di contributo e i danni lamentati dalla ricorrente.
In ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’appello, l’erronea motivazione di una decisione corretta nel dispositivo, non determina infatti l’annullamento con rinvio della sentenza gravata (non ricorrendo alcuna delle fattispecie di rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.), né comporta la riforma della pronuncia di prime cure, ammissibile soltanto ove si giunga ad un diverso esito controversia; bensì determina la conferma della sentenza, seppure con diversa motivazione.
Il giudice di appello è, infatti, chiamato ad emettere una decisione sul merito delle censure svolte dalla parte ricorrente, verificando se l’eventuale erronea motivazione in cui sia incorso il Tar abbia determinato un’erronea decisione sul ricorso di primo grado (sulla conferma del rigetto dei motivi di ricorso in prime cure, attraverso un percorso argomentativo diverso rispetto a quello adottato dal Tar, cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 15 marzo 2021, n. 2191; cfr. anche art. 113, comma 1, c.p.a. che regola la competenza del giudice dell’ottemperanza a seconda che la conferma in appello della sentenza di prime cure avvenga o meno con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado, a dimostrazione della possibilità di configurare la conferma della decisione gravata con un impianto motivazionale differente rispetto a quello seguito dal primo giudice).
Nel caso di specie, pure ricorrendo allo schema della responsabilità aquiliana, come dedotto dall’appellante, graverebbe sul danneggiante l’onere di provare le conseguenze risarcitorie subite e comunque troverebbe applicazione l’art. 1227 c.c.
Pertanto, non avendo l’ATAM dimostrato il nesso causale tra condotta amministrativa provvedimentale illegittima e dissesto dell’Associazione, emergendo, anzi, dai documenti di causa una correlazione del dissesto a scelte imputabili all’associazione in applicazione del principio di autoresponsabilità, pure ricorrendo allo schema della responsabilità aquiliana, la domanda risarcitoria non potrebbe trovare accoglimento.
9.3 Né potrebbe argomentarsi diversamente, valorizzando il riferimento operato dal Tar, proprio ricorrendo allo schema della responsabilità da inadempimento, alla non prevedibilità del danno ex art. 1225 c.c., in effetti inapplicabile in materia aquiliana (Cass. civ. Sez. III, 16 ottobre 2015, n. 20932).
Trattasi, difatti, di una ulteriore autonoma ratio decidendi a sostegno del rigetto della domanda risarcitoria, tale per cui l’esito della controversia non muterebbe prescindendo da tale argomentazione giuridica.
Come supra statuito, il rigetto della domanda risarcitoria non discende – in tale caso, dunque, correggendo la motivazione alla base della statuizione del Tar – dall’imprevedibilità del danno, ma dall’assenza del nesso eziologico tra il diniego di contributo e le conseguenze dannose invocate dal ricorrente, in applicazione, dunque, di regole precettive, che presidiano al rapporto di causalità, operanti anche in materia aquiliana.
9.4 Deve, dunque, confermarsi la sentenza gravata, per avere correttamente negato il richiesto risarcimento del danno, non influendo sull’esito della lite e, dunque, non essendo nella specie determinante, ai fini della riforma della pronuncia di prime cure, il riferimento allo schema contrattuale, operato dal primo giudice nella ricostruzione dei rapporti tra l’ATAM e la Regione Abruzzo.
10. La domanda risarcitoria deve essere rigettata, in ogni caso, non soltanto perché non ricorre nella specie un nesso eziologico tra il provvedimento illegittimo assunto dalla Regione e il dissesto subito dall’Associazione, ma anche per la mancata prova del coefficiente psicologico di colpevolezza, dovendosi anche sotto tale profilo confermare le statuizioni di prime cure.
10.1 Nel richiamare le considerazioni sopra esposte, il solo riscontrato illegittimo esercizio della funzione amministrativa – nella specie integrato dal “vizio di erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria”, come acclarato nella sentenza n. 47/2015 cit. – non integra la colpa dell’Amministrazione, dovendo anche accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede – alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio dell’attività amministrativa – e si sia verificata in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione ovvero se per converso la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, Stato, V, 9 ottobre 2013, n. 4968; VI, 14 novembre 2014, n. 5600).
Per la configurabilità della colpa dell’Amministrazione assume rilievo, altresì, la tipologia di regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità .
A fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell’Amministrazione può, infatti, essere affermata nei soli casi in cui l’azione amministrativa abbia disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell’imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell’errore scusabile (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 05 giugno 2019, n. 3799).
Sotto il profilo processuale del riparto dell’onere della prova, inoltre, deve rilevarsi che, in caso di acclarata illegittimità di un atto amministrativo asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell’elemento soggettivo della fattispecie; egli può, infatti, limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità, alle regole della comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 c.c., mentre spetta alla Pubblica amministrazione dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile.
Tale presunzione di colpa dell’amministrazione, tuttavia, può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale tale da palesarne la negligenza e l’imperizia, cioè l’aver agito intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell’assunzione del provvedimento viziato, mentre deve essere negata la responsabilità quando l’indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato Sez. VI, 28 giugno 2019, n. 4454).
L’applicazione delle superiori coordinate ermeneutiche al caso di specie evidenzia l’assenza non soltanto di un atteggiamento regionale dolosamente preordinato a danneggiare l’odierna ricorrente, ma anche di una condotta colposa ascrivibile in capo all’odierna parte resistente.
10.2 In primo luogo, deve ribadirsi che la mera circostanza per cui sia stata accertata l’illegittimità del diniego di contributo non è sufficiente per l’integrazione del coefficiente psicologico di colpevolezza occorrente per la configurazione di un illecito civile ascrivibile in capo all’Amministrazione procedente.
10.3 In secondo luogo, si ritiene che nella specie non possa operare la presunzione di colpevolezza discendente dall’illegittimità del provvedimento amministrativo.
Il diniego di contributo regionale è stato, infatti, assunto all’esito di una valutazione tecnica delle risultanze contabili presentate dall’Associazione istante, sulla base della quale l’Amministrazione aveva reputato che l’Atam avesse prodotto, per l’attività svolta nel 2010, la medesima rendicontazione presentata ai fini dell’erogazione del FESR-POR, nonché avesse conseguito un utile di esercizio (cfr. par. 17 sentenza n. 47/2015 cit.).
Il TAR, per pervenire alla decisione della controversia e per valutare la sussistenza del “vizio di erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria”, ha ritenuto di disporre apposita consulenza tecnica d’ufficio ai fini del decidere, ammissibile nel processo amministrativo soltanto se “indispensabile” ai sensi dell’art. 63, comma 4, c.p.a.
In siffatte ipotesi, in cui l’azione amministrativa non è governata da regole di azione dal contenuto vincolato, bensì è connotata da margini di discrezionalità tecnica nell’apprezzamento dei presupposti del provvedere, e in cui la decisione provvedimentale all’esito assunta viene sindacata in sede giurisdizionale solo con l’ausilio di apposita consulenza tecnica d’ufficio – mezzo istruttorio impiegabile soltanto ove indispensabile -, deve ritenersi che la situazione di fatto in cui si sia trovata ad operare l’Amministrazione presenti margini di complessità, tali da rendere inoperante la presunzione di colpevolezza discendente dalla mera illegittimità dell’azione provvedimentale.
Per l’effetto, occorre verificare se la parte ricorrente, in adempimento all’onere probatorio sulla stessa gravante, abbia dimostrato la sussistenza di una condotta dolosa o quanto meno colposa ascrivibile alla Regione.
10.4 A tali fini, l’Associazione appellante si riferisce all’attività di un nucleo di verifica, ritenuto illegittimamente costituito dalla Regione – in ipotesi operante soltanto nei confronti dell’ATAM -, oltre che alla tempestività con cui la Regione ha distribuito in favore di altri operatori gli importi spettanti all’Associazione.
Secondo la prospettazione dell’appellante, in particolare:
– l’istituzione nel 2011 di un nuovo nucleo di verifica, al fine di svolgere un controllo di merito e qualitativo, sarebbe stato illegittimo, in quanto non consentito dalla L.R. n. 5/1999, che non ammetteva alcun controllo della spesa rendicontata; tale nucleo avrebbe, inoltre, operato solo nei confronti della ricorrente, travisando i dati di bilancio e affermando che l’Associazione aveva duplicato le perdite, illazioni smentite dalla CTU acquisita al giudizio definito con sentenza n. 47/2015 cit.;
– la sussistenza di una volontà lesiva ascrivibile in capo alla Regione dovrebbe desumersi, altresì, dall’adozione delle determinazioni con cui l’Amministrazione regionale, appena due giorni dopo la notifica del ricorso, ha provveduto a ripartire tra gli altri quattro organismi istanti le somme residuate per effetto dell’esclusione dell’ATAM dai contributi per l’anno 2011; condotta ritenuta illegittima, non avendo la Regione ancora ricevuto i rendiconti per l’anno 2011 degli organismi beneficiati dalla elargizione.
Tali circostanze non consentono di ritenere adempiuto l’onere probatorio gravante in capo alla ricorrente, in quanto irrilevanti al fine di dimostrare il coefficiente psicologico di colpevolezza imputabile all’Amministrazione intimata.
10.4.1 Difatti, quanto all’azione del nucleo di verifica, deve osservarsi che il Tar Abruzzo, con la sentenza n. 47/2015 (acquisita agli atti del giudizio di prime cure), pronunciando a definizione del giudizio introdotto dall’odierna appellante conto il diniego regionale di contributo e, pertanto, a soluzione di una controversia instaurata tra le stesse parti processuali, ha chiaramente rilevato che “il diniego del contributo è stato determinato non già dai nuovi poteri di controllo di natura qualitativa sulle spese rendicontate attribuiti al nucleo di verifica dal relativo provvedimento istitutivo e dalle linee guida, bensì dal rilievo (evidenziato nel verbale del 28 novembre 2011 e del 5 marzo 2012 del nucleo di verifica) che l’Atam avrebbe prodotto, per l’attività svolta nel 2010, la medesima rendicontazione presentata ai fini dell’erogazione del FESR-POR che, alla luce della delibera di Giunta regionale n. 837/2009 recante il principio del divieto della doppia assegnazione per le medesime attività, non consentiva l’erogazione del contributo, con conseguente necessità di decurtare i contributi FESR-POR già ottenuti dall’Atam. Tale decurtazione dei finanziamenti FESR-POR, secondo i calcoli effettuati dal nucleo di verifica, avrebbe determinato il conseguimento di un utile di esercizio, che, a norma dell’art. 3 del Decreto ministeriale 12 novembre 2007 non dava pertanto diritto all’assegnazione di alcuna provvidenza finanziaria”.
Pertanto, il Tar ha ritenuto che “poiché il diniego del contributo non discende dall’applicazione del nuovo criteri di controllo di tipo qualitativo sulle singole voci di spesa introdotto dalle linee guida, alcun vantaggio potrebbe arrecare all’odierna ricorrente l’eventuale annullamento giurisdizionale del provvedimento istitutivo del nucleo di verifica e delle linee guida censurati per violazione della legge regionale n. 5/1999 proprio per l’introduzione di un criterio di valutazione di merito non previsto dalla legge per l’erogazione dei fondi in questione”, con la conseguenza del “sopravvenuto difetto di interesse di parte ricorrente all’esame della domanda impugnatoria proposta avverso il provvedimento istitutivo del nucleo di verifica e delle linee guida”.
Benché la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse al motivo di ricorso si atteggi quale statuizione di rito ex art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., deve, tuttavia, ritenersi che le statuizioni giudiziali intervenute sulla questione di carattere sostanziale – afferente all’assenza di qualsivoglia rapporto causale tra i nuovi poteri di controllo attribuiti al nucleo di verifica e il diniego di contributo – di natura preliminare rispetto alla rilevata carenza di interesse all’esame della domanda impugnatoria, siano idonee al giudicato sostanziale e, come tali, esprimano un accertamento incontrovertibile avente un effetto conformativo anche negli ulteriori giudizi intercorrenti tra le stesse parti e aventi ad oggetto questioni dipendenti da quelle acclarate nella pregressa sede giurisdizionale.
Difatti, “nel giudizio amministrativo, diversamente dal processo civile, l’accertamento negativo tanto dei presupposti processuali (intesi come requisiti per l’accesso alla pronunzia sul ricorso), tanto delle condizioni dell’azione (intese come condizioni per emettere una pronuncia favorevole al ricorrente) conduce, sì, a pronunce processuali di inammissibilità o di improcedibilità del ricorso, ma con l’effetto che anche la decisione “processuale”, ove investa l’accertamento sul fondamento di una domanda o perfino soltanto di una questione sostanziale necessariamente pregiudiziale, che sia dedotta dalle parti o sollevata d’ufficio, può condurre alla formazione del giudicato ai sensi dell’art. 2909 Cod. civ., con effetti eteroprocessuali sulle situazioni sostanziali delle parti; orientamento, questo, meglio rispondente alle peculiarità del metodo di soluzione delle vertenze del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. IV 12 giugno 2013 n. 3255, nonché sez. VI, 2 novembre 1999 n. 1662, 19 gennaio 1995 n. 40 e sez. IV, 8 settembre 1995 n. 687, ivi richiamate)” (Consiglio di Stato Sez. III, 11 luglio 2014, n. 3602).
Pertanto, posto che il Tar Abruzzo in un precedente giudizio corrente tra le stesse parti ha accertato, al fine di escludere la sussistenza di una condizione dell’azione data dall’interesse al ricorso, che “il diniego del contributo è stato determinato non già dai nuovi poteri di controllo di natura qualitativa sulle spese rendicontate attribuiti al nucleo di verifica dal relativo provvedimento istitutivo e dalle linee guida…”, deve ritenersi incontrovertibile la circostanza fattuale per cui il diniego di contributo non è stato influenzato dall’azione del nucleo di verifica.
Di conseguenza, non avendo influito sul diniego di contributo, l’attività dell’organo di verifica non può rilevare al fine di manifestare un atteggiamento colposo e tantomeno doloso tenuto dall’amministrazione nel negare all’odierna appellante il contributo per cui è causa, avendo deciso la Regione a prescindere dai risultati dell’attività del relativo nucleo.
10.4.2 La prova dell’esistenza di una condotta colposa o dolosa dell’odierna resistente non può desumersi neppure dall’avvenuta riassegnazione ad altri organismi teatrali degli importi illegittimamente negati dall’Associazione ricorrente.
Come correttamente osservato dal Tar, in assenza di diverso ordine giudiziale, la cui esistenza nella specie non è neanche dedotta in appello, la Regione ben poteva riassegnare le risorse divenute disponibili (in quanto negate alla ricorrente) per favorire l’immediata promozione delle attività culturali di altri operatori; senza che una tale condotta, a prescindere da asseriti rilievi riferiti alla sua illegittimità, potesse dimostrare un atteggiamento di sfavore nei confronti dell’appellante.
10.5 Attesa l’inconferenza delle circostanze fattuali allegate dall’appellante a sostegno della propria pretesa, non potendo operare la presunzione di colpevolezza a carico dell’Amministrazione, deve confermarsi anche l’autonomo capo decisorio con cui il Tar, negando la prova della colpa dell’Amministrazione regionale, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dall’odierna appellante.
11. Infine, ulteriore autonoma ragione ostativa all’accoglimento delle pretese avanzate dall’Associazione ATAM risiede nella mancata prova (non soltanto dell’an, ma anche) del quantum preteso in giudizio.
Nel caso di specie, l’Associazione ricorrente ha quantificato l’importo richiesto, avuto riguardo ai costi da sostenere per il ripristino dell’operatività dell’Associazione e ai ricavi prodotti dall’attività associativa.
L’importo complessivo richiesto nelle conclusioni rassegnate nell’atto di appello è pari ad Euro 10.000.000,00 “o l’altro importo, anche maggiore, che sarà ritenuto di giustizia, se del caso anche in via equitativa, maggiorato di rivalutazione monetaria ed interessi, sulla somma anno per anno rivalutata, dalla domanda al soddisfo”.
11.1 L’Associazione ricorrente, tuttavia, non dimostra che i costi da sostenere per “rimettere in piedi la propria organizzazione una volta ottenuto il giusto ristoro” siano pari ad almeno 10.000.000,00, non emergendo gli elementi documentali comprovanti tale importo economico.
Né potrebbe sopperirsi a tale lacuna probatoria mediante il ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio o ad una valutazione equitativa del giudice procedente.
Questo Consiglio ha infatti precisato che l’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., che onera l’interessato di dimostrare sia la sussistenza del danno che la responsabilità di chi lo ha provocato, “non può essere assolto mediante consulenza tecnica d’ufficio, che non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2016, n. 1649)” (Consiglio di Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3596).
Parimenti, in ordine alla valutazione equitativa del danno, è stato osservato che “Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, ritardato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito” (Consiglio di Stato, sez. II, 25 maggio 2020, n. 3269).
Pertanto, la domanda risarcitoria proposta da ATAM non può essere accolta (oltre che per le ulteriori autonome ragioni rappresentate nei precedenti paragrafi, anche) per la mancata prova del quantum richiesto dall’odierna appellante, cui non potrebbe sopperirsi:
– mediante il ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio, che verrebbe inammissibilmente impiegata per l’accertamento di fatti che la parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare in giudizio, rientrando nella propria disponibilità ; ovvero
– attraverso la valutazione equitativa del danno, che presupporrebbe l’impossibilità o l’estrema difficoltà di provare l’ammontare preso del pregiudizio subito, dipendente da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità (Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 22 febbraio 2017, n. 4534); nel caso di specie, la ricorrente non allega, né dimostra l’esistenza di tali fattori ostativi alla ricostruzione analitica delle poste di danno richieste, non potendo, dunque, operare il criterio di liquidazione equitativa del danno.
11.2 In ogni caso, l’Associazione appellante pretende di quantificare il danno subito, rappresentato dal dissesto economico e dalla successiva cessazione dell’attività associativa, avendo riguardo ai costi da sostenere per la riattivazione dell’azione associativa e ai ricavi persi in conseguenza della cessazione dell’attività : trattasi, tuttavia, di poste economiche che non consentono di valorizzare il danno emergente e il lucro cessante risarcibili ai sensi dell’art. 1223 c.c.
Difatti, nella determinazione delle perdite subite e del mancato guadagno conseguenti all’altrui illecito (nella specie, come osservato, comunque neanche integrato), ove si faccia questione di cessazione di un’attività produttiva di ricavi, non può farsi riferimento ai soli elementi attivi del patrimonio associativo o sociale, essendo essenziale, ai fini della determinazione del valore patrimoniale del soggetto giuridico leso, anche l’esame delle poste passive, al fine di verificare quali siano le prospettive reddituali e il valore patrimoniale netto dell’associazione pregiudicati dall’altrui illecito, da ricostruire attraverso un rigoroso esame della pertinente documentazione contabile.
Con riferimento ad una materia differente a quella di specie, data dall’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, secondo comma, legge fall, ma con l’enunciazione di principi generali pertinenti alla fattispecie esaminata, in quanto concernenti la quantificazione del danno patrimoniale riscontrabile in caso di dissesto economico, la Corte di cassazione ha precisato che “in materia societaria… si è sancito che il criterio di valutazione del danno sociale, deve riporsi su dati oggettivi direttamente collegati all’inadempimento, se nella disponibilità della parte deducente, potendo solo in via residuale valere il ricorso a dati presuntivi o equitativi riferiti ai risultati negativi di gestione. In tal senso si richiama Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015 (Rv. 635451 – 01) in cui è chiaramente espresso che nell’azione di responsabilità sociale “la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore della società, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, semprechè il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.” (v. anche Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 2500 del 01/02/2018 (Rv. 647230 – 01))” (Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2018, n. 25160).
Ne deriva che, anche ricorrendo a dati presuntivi o equitativi ai fini della determinazione del danno sociale, i risultati negativi della gestione ascrivibili all’altrui responsabilità non potrebbero comunque essere individuati computando i soli elementi attivi patrimoniali, dovendosi operare la differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato.
Tale regola risulta conferente al caso di specie, non ostandovi la circostanza per cui nella presente sede non si faccia questione di società deputata al perseguimento di uno scopo di lucro, ma di un’associazione culturale operante in ambito teatrale.
L’appellante ha, infatti, proposto una domanda risarcitoria riferita al dissesto economico asseritamente procurato dall’altrui condotta illecita, occorrendo determinare il valore patrimoniale di un’attività produttiva di ricavi economici, allo stato cessata.
A tali fini, deve ritenersi pertinente il principio di diritto operante in materia societaria, per cui il danno patrimoniale non può correlarsi al solo attivo, ma impone una valutazione di tutti gli elementi patrimoniali del soggetto giuridico leso.
Il risarcimento del danno patrimoniale, peraltro, tende pur sempre a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella esatta misura della sua lesione (Cass. civ. Sez. II, Ord., 08 gennaio 2020, n. 134), ragion per cui, ai fini della sua determinazione, deve comunque tenersi in considerazione della consistenza complessiva del patrimonio, come emergente anche dai suoi elementi passivi.
Nel caso esaminato, in primo luogo, non risulta quantificata la prospettiva reddituale dell’associazione vanificata dalla condotta regionale e, dunque, gli utili di gestione che la stessa avrebbe potuto conseguire nel corso degli anni.
Emerge, anzi, dalle deduzioni dell’appellante, che l’ATAM usufruiva di contributi pubblici per coprire le perdite di gestione che altrimenti avrebbe sopportato: cfr. pag. 17 in cui si rileva che “Atam in questo si è sempre distinta in maniera assoluta, avendo beneficiato di contributi pari circa ad 1 milione di Euro, chiudendo in pareggio bilanci superiori a 2 milioni, e quindi avendo ogni anno prodotto ricavi dagli spettacoli pari o superiori ai contributi pubblici assegnatile”; con la conseguenza che i ricavi, seppure superiori ai contributi, non erano da soli sufficienti a coprire i costi di gestione, con conseguente mancata emersione di utili.
L’Associazione, dunque, non potrebbe imputare alla condotta regionale un danno da lucro cessante, sub specie di mancata percezione di utili che con certezza o ragionevole probabilità avrebbe maturato ove l’azione associativa fosse proseguita, non avendo in passato tale azione maturato costantemente utili e comunque in misura tale da rendere ragionevole la loro percezione anche nel futuro.
In secondo luogo, nella determinazione della perdita patrimoniale subita in conseguenza della cessazione dell’attività associativa, diversamente da quanto dedotto dall’appellante -che opera un riferimento ai soli ricavi o che chiede l’ammissione di una C.T.U. per determinare l’ammontare di un danno “da parametrare, ovviamente, non agli utili di esercizio, ma al complessivo volume di affari determinato dalla sommatoria dei contributi pubblici e dei ricavi derivanti dall’attività svolta dalla ricorrente”-, non potrebbe farsi esclusivo riferimento alle poste attive del patrimonio associativo, date dai ricavi e dai contributi percepiti annualmente dall’Associazione nello svolgimento della propria attività, non risultando affatto provato che la dispersione integrale degli elementi attivi sia da addebitare alla condotta regionale.
Al riguardo, come osservato, pure ricorrendo, ai fini della determinazione del danno da cessazione dell’attività, al criterio presuntivo del risultato negativo di gestione, occorrerebbe comunque valorizzare, anziché il solo attivo, la differenza tra poste patrimoniali passive ed attive; elementi, tuttavia, non presi in esame nell’atto di appello, a conferma dell’inidoneità del criterio di calcolo proposto dall’appellante a supportare la richiesta risarcitoria all’uopo proposta.
Parimenti, non potrebbe farsi riferimento al costo futuro per la ripresa dell’attività, non configurante una perdita subita dal ricorrente (trattandosi di costi ancora da sostenere, peraltro ipotetici e non documentati), né un mancato guadagno (discorrendosi, anziché di poste attive che certamente o con ragionevole probabilità sarebbero state apprese al patrimonio individuale, di poste passive ipoteticamente da sostenere).
11.3 In conclusione, si ravvisa, quale causa ostativa all’accoglimento della domanda risarcitoria – ulteriore rispetto all’assenza di prova in ordine al coefficiente di colpevolezza e al nesso eziologico tra diniego di contributo e conseguenze lesive lamentate in ricorso-, il difetto di prova del quantum richiesto a titolo risarcitorio, non avendo la ricorrente dimostrato, mediante una valutazione analitica delle proprie risultanze contabili, l’effettivo danno, in termini di perdita subita e di mancato guadagno, subito per effetto del diniego del contributo regionale.
12. Alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello deve essere rigettato.
Le spese processuali del grado di appello sono poste a carico dell’appellante, nella misura liquidata in dispositivo, secondo il criterio di soccombenza ex artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’Associazione Teatrale Abruzzese e Molisana al pagamento in favore della Regione Abruzzo delle spese processuali del grado di appello, liquidate nella somma complessiva di Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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