Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo

Consiglio di Stato, Sentenza|6 aprile 2021| n. 2772.

Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure a distanza di un notevole lasso di tempo, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso.

Sentenza|6 aprile 2021| n. 2772

Data udienza 16 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Sanzioni – Ordinanza di demolizione – Impugnazione – Rigetto – Domande di condono non riferibili alle opere contestate

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1430 del 2013, proposto dalla signora Te. Mi., rappresentata e difesa dall’avvocato An. C. Ma., elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, non costituitosi in giudizio,
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma Sezione I quater, n. 6731 del 20 luglio 2012, resa inter partes, concernente un’ordinanza di demolizione di opere abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70) il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 2494/2012, proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, la signora Te. Mi. aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 15 del 23 gennaio 2012, con cui il Comune di (omissis) ordinava la demolizione di un fabbricato ad uso residenziale ad un solo piano di circa 200 mq ed una piscina di circa 40 mq, realizzati in area soggetta a vincoli archeologico e sismico in assenza di permesso di costruire.
2. A sostegno dell’impugnativa la ricorrente aveva dedotto quanto segue: – le opere edilizie suddescritte non avevano carattere abusivo perché di ampliamento di un manufatto (tinello agricolo) risalente ad epoca antecedente al 1967 ed interessato da ampliamenti oggetto di istanze di condono; – l’Amministrazione darebbe erronea applicazione a norme (vincolistiche o comunque richiedenti adempimenti formali) intervenute successivamente alla realizzazione delle opere; – vi sarebbe disparità di trattamento rispetto ad interventi edilizi realizzati in aree limitrofe; – il tempo trascorso dall’esecuzione delle opere avrebbe ingenerato una posizione di affidamento incolpevole.
3. Il Tribunale amministrativo adì to Sezione I quater, dopo apposita istruttoria, ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha ritenuto sussistenti i presupposti per emettere una decisione in forma semplificata;
– ha respinto il ricorso.
4. In particolare, il T.a.r. ha ritenuto che il titolo edilizio e le domande di condono invocati dalla parte ricorrente non possono riferirsi a quanto contestato, per la rilevata diversità delle opere rispettivamente descritte, tanto più che alcuna contestazione è stata formulata da parte ricorrente in ordine alla piscina.
5. Avverso tale pronuncia la signora Mi. ha interposto appello, notificato il 30 gennaio 2013 e depositato il 26 febbraio 2013, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame (pagine 15-21), quanto di seguito sintetizzato:
I) il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere che le opere edilizie non sarebbero riconducibili a quelle oggetto di due domande di condono (degli anni 1985 e 1986), relative agli ampliamenti del manufatto originario di mq. 50 costituito da un tinello agricolo, risalente al 1962 e quindi già presente prima dell’adozione di uno strumento urbanistico da parte del Comune di appartenenza (originariamente il Comune di (omissis));
II) il T.a.r. non avrebbe considerato che il Piano territoriale Pesistico è intervenuto dopo la realizzazione di tutte le opere eseguite cosicché tale disciplina vincolistica non è applicabile;
III) il T.a.r. non avrebbe considerato che non si tratta di una piscina bensì di una semplice vasca per la raccolta delle acque;
IV) il T.a.r. non avrebbe erroneamente ravvisato la violazione del principio di proporzionalità proprio in considerazione della natura non abusiva di tutte o quasi le opere contestate.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento degli atti con lo stesso impugnati.
7. Il Comune di (omissis), sebbene ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
8. Con ordinanza n. 2007 del 2 maggio 2017 il Collegio ha disposto una verificazione, da parte del Direttore dell’Agenzia del demanio (o un suo delegato) “volta a stabilire se vi sia identità tra le opere oggetto dell’ordinanza di demolizione e quelle oggetto delle domande di condono edilizio, sopra indicate, mettendo in rilievo, in caso di sola parziale identità, gli elementi di diversità riscontrati”.
9. Con successiva ordinanza n. 5061 del 2 novembre 2017, il Collegio ha disposto l’integrazione dell’attività istruttoria svolta, formulando i seguenti ulteriori quesiti:
“a) descrivere, anche mediante fotografie, l’opera oggetto dell’ordinanza di demolizione, indicando i piani di cui è costituito il fabbricato, l’attuale destinazione (se è ad uso residenziale), eventuali porzioni del fabbricato destinate ad altri usi, la divisione interna dell’edificio tra i tre fratelli, i mq. complessivi attuali;
b) descrivere le opere oggetto delle istanze di condono, specificando da chi sono state presentate le relative domande (se sono proprietari esclusivi e/o comproprietari) e indicando lo stato attuale del procedimento;
c) accertare l’eventuale corrispondenza tra le opere oggetto delle istanze di sanatoria e quelle oggetto dell’ordine di demolizione e, nel caso di totale o parziale sovrapposizione, indicare gli elementi di diversità riscontrati e la loro eventuale autonomia rispetto alle domande di condono;
d) indicare, nella parte finale della relazione, le conclusioni finali cui il tecnico è pervenuto;
che tale supplemento istruttorio è necessario perché al Collegio serve acquisire dati certi per accertare se le opere oggetto di demolizione siano diverse, ed in che misura, rispetto a quelle oggetto delle istanze di condono e, conseguentemente, se dopo le domande di condono sono stati effettuati lavori diversi e autonomi rispetto a quelli oggetto della richiesta di sanatoria”.
10. In data 14 marzo 2018, è stata depositata agli atti del giudizio del giudizio la relazione di verificazione a cura del funzionario designato geom. Cl. Gi. D’A..
11. In data 14 gennaio 2021, parte appellante ha depositato memoria insistendo per l’accoglimento del gravame anche alla luce delle risultanze istruttorie acquisite mercé la disposta verificazione.
12. In data 10 febbraio 2021, parte appellante ha depositato note d’udienza ai sensi del d.l. n. 28/2020 e del d.l. n. 137/2020 ai fini del passaggio in decisione della causa.
13. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica svoltasi con modalità telematica del 16 febbraio 2021, è stata ivi trattenuta in decisione.
14. L’appello è infondato.
14.1 Si deve premettere alla disamina dei motivi d’appello, che, in data 14 marzo 2018, il verificatore designato geom. Cl. Gi. D’A. ha depositato documentata relazione di verificazione fornendo precisa e circostanziata risposta a tutti i quesiti posti dal Collegio con l’ordinanza istruttoria n. 5061 del 2 novembre 2017.
14.2 Come sopra esposto, il nucleo delle deduzioni di parte appellante attiene alla pretesa coincidenza tra le opere oggetto dell’ordinanza demolitoria per cui si controverte e quelle di cui alle plurime precedenti istanze di condono edilizio mai esitate dall’Amministrazione comunale. La disamina di tale rilievo assume carattere potenzialmente assorbente di ogni altra deduzione, in ragione della pretesa formazione dei titoli in sanatoria per silentium e la conseguente insussistenza dell’abusività delle opere postulata dal provvedimento sanzionatorio.
14.3 Fatta questa necessaria premessa di carattere generale, non resta che passare allo scrutinio delle deduzioni sollevate dall’appellante anche alla luce delle risultanze acquisite mercé la disposta verificazione, deduzioni con le quali, nel riproporre le censure di primo grado ritenute non adeguatamente vagliate, si insiste nel ritenere che l’immobile oggetto della sanzione demolitoria sarebbe costituito da un manufatto antecedente al 1967, epoca cui risale l’introduzione su tutto il territorio nazionale dell’obbligo di premunirsi di concessione edilizia per la realizzazione di opere rilevanti sul piano urbanistico, ed oggetto di successivi ampliamenti (per un totale di mq. 89,90) tutti oggetto di condono. Il comportamento dell’Amministrazione, sfociato nell’irrogazione della contestata demolizione, sarebbe contraddittorio avendo precedentemente autorizzato l’esercizio di “attività tipolitografica” proprio all’interno del manufatto originario.
14.4 L’infondatezza di tali deduzioni si deve, come detto, alle risultanze istruttorie, avendo il verificatore accertato che se è vero che una piccola parte del manufatto risale ad epoca antecedente al 1967, esso risulta stravolto rispetto alla sua consistenza originaria tant’è che da tinello agricolo, dalla conseguente autonomia funzionale e costruttiva, è divenuto parte integrante di un fabbricato a destinazione abitativa (invero coincide con il bagno, un deposito, una parte di una camera da letto ed una parte della cucina). Il verificatore ha infatti accertato che “ad un primo corpo di fabbrica molto vecchio, già descritto nell’atto di compravendita del 11/10/1960 come tinello agricolo, è stata aggiunto un primo ampliamento sul lato Nord-Ovest, un secondo sul lato Sud-Ovest ed un terzo sul lato Nord-Est” (cfr. pagina 2 della verificazione). E’ risultato quindi che il fabbricato, oggetto dell’ordinanza di demolizione per cui si controverte, è effettivamente “composto da un solo piano fuori terra” ed è “ad uso residenziale essendo presenti dei letti, una cucina, due bagni, una zona a giorno e ripostigli […] è di 188 m2, di cui 18 m2 oggetto di contestazione per occupazione e realizzazione di opere da parte del vicino […] Alla attualità questo porzione di fabbricato è nell’uso esclusivo della sig.ra Mi.”. Il verificatore ha precisato che la “Parte n° 2” del fabbricato, frutto dell’ampliamento dalla superficie netta di mq. 12 (e lorda di mq. 14), costituisce un unicum rispetto al nucleo originario rappresentato dall’ex tinello agricolo e pertanto non più distinguibile sul piano morfologico. Il fabbricato in questione, come agevolmente si evince dall’illustrazione grafica allegata alla relazione di verificazione (all. F), costituisce cioè un’entità edilizia unitaria ed infrazionabile, non suscettibile di essere scomposta risalendo all’edificazione originaria delle singole parti in ampliamento. Da ciò discende che non rileva la circostanza, pur evidenziata in sede di relazione di verificazione, della risalenza del nucleo originario del manufatto ad epoca antecedente al 1967 al di fuori del centro abitato dovendosi rilevare che quel manufatto non è più esistente nella sua conformazione originaria, quale opera a destinazione prima agricola e poi produttiva, essendo ormai parte integrante di un manufatto più ampio complessivamente destinato ad abitazione.
14.5 Nemmeno può rilevare la circostanza della presentazione delle inesitate domande di condono del 1985 e del 1994, per le quali non risulta prodotta, a beneficio degli uffici comunali, la documentazione integrativa e versato il saldo degli oneri concessori (per la prima) ovvero non è stata presentata alcuna documentazione nonostante sia stata più volte richiesta dall’Amministrazione (per la seconda). Tali istanze, peraltro, riguardavano parti in ampliamento del fabbricato originario a destinazione invece che abitativa, quale emersa dagli accertamenti come sopra svolti, bensì “non residenziale” (per la prima) e “artigianale” (per la seconda). Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, infatti, “il Comune ben può disporre la demolizione delle opere risultate abusive, senza previamente respingere la domanda di condono, quando risulti la sussistenza di una situazione di fatto diversa da quella posta a base della domanda, perché nel frattempo i lavori sono proseguiti e l’originaria domanda riguarda un manufatto poi modificato con ulteriori lavori abusivi” (cfr. T.a.r. Napoli, sez. VI, 13 novembre 2020, n. 5218).
Le altre parti del fabbricato – quali il ripostiglio, l’ampliamento al lordo di mq. 46, la piscina e l’ulteriore intervento (locale ancora in fase di finitura) descritto alla lett. g) pagina 6 della relazione – non sono oggetto di alcuna domanda di condono e sono pertanto da reputare comunque abusivi. Tra questi interventi si configura anche quello relativo alla realizzazione della piscina di mq. 40 (su un’area scoperta di mq.110) perché, contrariamente a quanto dedotto da parte appellante, presenta tali caratteristiche sebbene sia “a bassa profondità ” (cfr. relazione di verificazione pagina 7, punto 7), tanto che, come si evidenzia dalla documentazione fotografica in atti, è munita di apposita scaletta in acciaio inox.
Ritiene, quindi, il Collegio che l’immobile oggetto dell’ordine demolitorio non deve essere preso in considerazione in maniera parcellizzata secondo una logica che ne valorizzi la edificazione step by step, in quanto va riguardato nella sua unitaria conformazione morfologica-costruttiva, oltre che funzionale, così da risultare interamente abusivo e pertanto meritevole della sanzione demolitoria irrogata. Né possono rilevare le autorizzazioni a suo tempo rilasciate per l’espletamento di attività produttive, non avendo tali provvedimenti il valore anche di atti di assenso edilizio, ovvero le pur documentate condizioni di salute degli occupanti l’immobile, ivi compresa l’appellante, riferendosi a situazioni personali estranee alla piattaforma giuridico-fattuale sulla quale deve fondarsi lo scrutinio di legittimità della sanzione edilizia irrogata.
14.6 Devono, di conseguenza, reputarsi infondate tutte le altre deduzioni sollevate, che appunto postulano l’abusività soltanto parziale del fabbricato valorizzandone ora l’astratta condonabilità ora l’anteriorità rispetto al regime vincolistico introdotto dalla disciplina pianificatoria in materia paesaggistica.
14.7 Infondata è, di conserva, anche la censura relativa al difetto di proporzionalità, riproposta in questa sede proprio per la riscontrata illegittimità di tutte le opere accertate dall’Autorità comunale.
14.8 L’appellante, ipotizzando infine, la mancanza delle necessarie “ragioni di pubblico interesse” (cfr. pagina 21 dell’atto di appello) sembra alludere al fatto che la sanzione demolitoria è intervenuta molto tempo dopo la realizzazione delle opere, così come denunciato in prime cure.
Anche tale deduzione è infondata.
Infatti, quando l’Amministrazione comunale rileva la sussistenza di opere abusive (e non rilevando nella specie le domande di condono, per le ragioni sopra esposte), si deve considerare doverosa la misura della demolizione e del ripristino dello stato dei luoghi: non può sussistere un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo di per sé non può legittimare. D’altra parte, come precisato dall’Adunanza plenaria n. 9/2017, il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure a distanza di un notevole lasso di tempo, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso (Cons. Stato, sez. VI, 7 gennaio 2020, n. 93; id., 29 luglio 2019, n. 5330).
15. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
16. Nulla vi è a provvedere sulle spese del presente grado di giudizio stante la mancata costituzione dell’Amministrazione appellata. La liquidazione degli oneri connessi alla disposta liquidazione sarà effettuata con separato decreto a seguito di tempestiva istanza del verificatore designato geom. Cl. Gi. D’A..

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 1430/2013), lo respinge.
Nulla per le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 16 febbraio 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Francesco Frigida – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *