Nel processo amministrativo non possono essere utilizzati documenti non prodotti nel giudizio di prime cure

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 12 novembre 2019, n. 7754.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo, ai sensi dell’art. 104 del relativo Codice, non possono essere utilizzati documenti non prodotti nel giudizio di prime cure e che il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda sia le prove c.d. precostituite, quali i documenti, sia le prove c.d. costituende; la produzione di entrambe tali prove per la prima volta in appello sconta la verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirle in primo grado, ovvero la valutazione della loro indispensabilità.

Sentenza 12 novembre 2019, n. 7754

Data udienza 11 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1810 del 2019, proposto da
So. It. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fr. Fe., Fr. Go. e Lu. Pe., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Azienda Pubblica di Servizi alla persona La Quiete, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Mi., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
nei confronti
Se. Ri. s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Ca. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, sezione prima, n. 00065/2019, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Pubblica di Servizi alla persona La Quiete;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Se. Ri. s.p.a;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica dell’11 luglio 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Fr. Go., Gi. Mi. e Gi. Ca., in sostituzione dell’avv. An. Ma.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

I. Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, sezione prima, con sentenza breve n. 288 del 2018, passata in giudicato, accoglieva il ricorso proposto da So. It. s.p.a. (di seguito So.), gestore uscente e secondo graduato nella gara indetta nel 2017 dall’Azienda Pubblica di Servizi alla persona La Quiete (di seguito Azienda pubblica) per l’affidamento del servizio di ristorazione delle proprie strutture, ed annullava l’aggiudicazione in favore Se. Ri. s.p.a. (di seguito, Se.).
Il tribunale in particolare riteneva fondato il quarto motivo di ricorso sollevato da So., relativo al difetto di motivazione dei punteggi assegnati all’offerta tecnica di Se., precisando che “l’obbligo conformativo che deriva dalla presente decisione è unicamente quello di esternare in maniera descrittivamente intellegibile le ragioni della preferenza accordata all’offerta della controinteressata in relazione ai criteri di cui dianzi s’è fatto cenno e sui quali soli parte ricorrente ha concentrato le proprie doglianze, in quanto ritenuti determinanti ai fini dell’attribuzione del punteggio complessivo di punti 69,00 all’offerta tecnica della controinteressata, assumendo poi, all’esito del necessario (e quanto mai doveroso) controllo sulla sussistenza di effettiva coerenza tra gli esiti delle valutazioni già effettuate e i riscontri oggettivi rinvenibili nelle offerte tecniche presentate (di cui va data, ugualmente, intellegibile evidenza motivazionale), ogni conclusiva decisione sull’aggiudicazione dell’appalto”.
La stazione appaltante prestava ottemperanza alla predetta sentenza ed esternava le ragioni della preferenza accordata all’offerta di Se., giusta verbale n. 5 della commissione valutatrice, disponendo nuovamente con atto n. 240 del 20 novembre 2018 l’aggiudicazione della gara in suo favore.
II. So. impugnava anche la nuova aggiudicazione innanzi al Tar per il Friuli Venezia Giulia, che con la sentenza segnata in epigrafe, nella resistenza dell’Azienda pubblica e di Se., respingeva il ricorso, condannando la ricorrente alle spese di giudizio in favore delle parti resistenti.
III. Con atto di appello So. ha gravato tale sentenza deducendo: I) Errores in iudicando e in procedendo, sulla presunta inoppugnabilità del provvedimento in relazione al difetto di motivazione collegiale, sul difetto di motivazione collegiale e sull’inottemperanza al vincolo discendente dalla sentenza n. 288/2018; 2) Error in iudicando, sul presunto mancato superamento della prova di resistenza da parte di So.; 3) Error in iudicando, difetto di motivazione sul mancato riconoscimento dell’avvenuta modifica dei criteri di aggiudicazione da parte della commissione valutatrice; 4) Error in iudicando sull’eccesso di potere per difetto, contraddittorietà e illogicità delle motivazioni della commissione valutatrice, palese illogicità e travisamento dei fatti, violazione dell’art. 15 del disciplinare.
Ha quindi domandato, in riforma della stessa, l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, la condanna dell’Azienda pubblica ad aggiudicarle l’appalto, previa dichiarazione dell’inefficacia del contratto, ove medio tempore sottoscritto con Se., e ordine del suo subentro nel servizio.
Si sono costituite in resistenza l’Azienda pubblica e Se., concludendo entrambe per la reiezione del ricorso.
IV. Abbinata al merito, su concorde richiesta delle parti, la trattazione della domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, tutte le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle rispettive argomentazioni difensive.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza dell’11 luglio 2019.

DIRITTO

1. Il primo motivo di gravame So. lamenta l’erroneità della sentenza che ha ritenuto tardivo il suo primo motivo di ricorso imperniato sul difetto di collegialità del giudizio finale, in quanto le “censure diverse da quelle inerenti al segmento procedimentale, di cui è espressione il verbale n. 5, cioè dirette contro ogni altro aspetto del procedimento concorsuale in controversia, non possono trovare ingresso nel presente ricorso. Cioè, non vi può essere luogo ad una rimessione in termini della ricorrente So. (come pure di altre partecipanti alla gara) per proporre censure nuove o per riproporre censure già esaminate con la citata sentenza n. 288/2018, in violazione dei termini processuali di decadenza già abbondantemente spirati nei confronti di atti ormai divenuti inoppugnabili, salvo solo il rinnovato segmento procedimentale. Ciò premesso, col primo motivo di ricorso viene censurata la non collegialità dell’operato della commissione giudicatrice nel rinnovato svolgimento (questa volta motivato) del confronto a coppie, poiché le valutazioni preferenziali sono state espresse, separatamente, da ciascuno dei tre commissari ed, infine, sono stati sommati e mediati i punteggi relativi, senza alcuna sintesi collegiale. La censura, però, sarebbe dovuta essere svolta fin dall’inizio, cioè col primo ricorso, in quanto tale modus operandi della commissione giudicatrice non è nuovo di questo segmento procedimentale, ma è stato adottato e seguito fin dall’inizio. La censura è quindi tardiva ed il motivo di ricorso è dunque irricevibile”.
Ad avviso dell’appellante, tale conclusione sarebbe erronea perché il vizio denunciato presupponeva una effettiva motivazione assolutamente carente nel primo provvedimento di aggiudicazione e comunque era da ritenersi compresa nel motivo di difetto assoluto di motivazione sollevato col il primo ricorso, accolto dallo stesso tribunale con la sentenza n. 288/2018; in definitiva quel vizio di carenza di collegialità sarebbe stato apprezzabile solo all’esito del verbale n. 5 della commissione valutatrice ed era stato perciò tempestivamente denunziato come vizio di quest’ultimo; esso peraltro il difetto di collegialità avrebbe assunto nella fattispecie una particolare gravità, stante la differenza esistente tra le diverse valutazioni dei commissari.
Per quanto suggestivo, il motivo è destituito di fondamento.
1.1.Occorre premettere che la gara in questione era da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (offerta tecnica max 70 punti; offerta economica max 30 punti) con valutazione degli elementi qualitativi dell’offerta mediante il metodo del confronto a coppie, per il quale il disciplinare aveva previsto, tra altro, che “al termine dei confronti si sommano i punteggi di ciascun concorrente ottenendo i punteggi attribuiti da ciascun commissario”.
Ogni commissario poteva pertanto attribuire un punteggio a seguito del confronto tra le diverse coppie in relazione a ciascun parametro.
Nell’ambito di un siffatto modus procedendi la valutazione collegiale era costituita dal punteggio finale, quale mera sommatoria dei punteggi attribuiti dai commissari alle offerte, frutto di un’operazione matematica, insuscettibile ex se di motivazione.
Con il verbale n. 5 la commissione di gara, in ottemperanza alla sentenza n. 288 del 2018 del Tar Friuli Venezia Giulia, ha motivato le sole valutazioni dei singoli commissari, in conformità alle previsioni del disciplinare. Tali valutazioni integrano nel loro insieme la valutazione della commissione richiesta dal Tar: infatti laddove esse si sono rivelate convergenti, il giudizio collegiale ha coinciso con quello dei singoli commissari; nell’opposta ipotesi, il giudizio collegiale coincide con il giudizio numerico, fatto oggetto di apposita riparametrazione matematica.
1.2. Tanto chiarito, deve osservarsi che il giudice di primo grado ha ritenuto tardiva la censura concernente il presunto difetto di collegialità, osservando in definitiva che con la propria precedente sentenza n. 288/2018 aveva ritenuto fondato il vizio di difetto di motivazione dei punteggi attribuiti alle offerte, ma che nessuna censura era stata sollevata nei confronti delle modalità previste dalla lex specialis per l’attribuzione dei punteggi, di cui il nuovo provvedimento impugnato costituiva mera applicazione.
Tale conclusione è corretta e convincente, essendo appena il caso di osservare che in realtà l’appellante, attraverso il vizio di difetto di collegialità, finisce proprio per contestare indirettamente la predetta clausola della lex specilias che disciplinava le modalità di attribuzione dei punteggi alle offerte: in tal senso sussisteva in capo a So. un preciso onere di formulare nei termini di legge, in realtà, scaduti in occasione della proposizione del primo ricorso tutte le proprie contestazioni in relazione ai singoli profili di censura evincibili, ivi compreso quello in esame.
Del resto proprio il principio di autonomia delle impugnazioni e quello di decadenza dall’azione giudiziale una volta decorso inutilmente il termine per la rituale impugnazione di un provvedimento, esclude in radice la stessa possibilità di ammettere che il vizio di carenza di motivazione collegiale fosse implicito in quello di carenza di motivazione (sollevato nei confronti della prima aggiudicazione e accolto con la sentenza n. 288/2018), trattandosi di due vizi ontologicamente diversi e afferenti a due diversi fenomeni patologici, il primo relativo alle modalità della formazione della motivazione, il secondo al suo contenuto oggettivo, con la conseguente preclusione di dedurre la carenza delle motivazione collegiale finale solo nell’ambito delle contestazioni avanzate, pena, come già rilevato, l'”assoluto svilimento dei limiti temporali imposti dal legislatore per la sindacabilità dei provvedimenti amministrativi” (Cons. Stato, V, 10 ottobre 2017, n. 4680; 6 novembre 2015, n. 5070; 6 novembre 2015, n. 5075) o comunque l'”abusivo frazionamento della controversia in spregio al principio di ragionevole durata del giudizio” (così, Cons. Stato, V, n. 4680 del 2017).
2. Preliminare all’esame del secondo motivo di appello è rammentare che la già citata sentenza n. 288 del 2018 del Tar Friuli Venezia Giulia, in accoglimento del ricorso proposto da So. avverso l’originaria aggiudicazione della gara de qua a Se., ha imposto all’amministrazione appaltante e per essa alla commissione valutatrice di esternare le motivazioni dei punteggi assegnati all’offerta di Serenessima.
Tali punteggi afferivano ai seguenti criteri:
– “organizzazione dell’appalto” (max 16 punti), da valutarsi in base “all’organigramma, alle unità di personale impiegato con relative qualifiche, mansioni e ore di servizio e in relazione all’articolazione e distribuzione del monte ore settimanale, alle modalità di turnazione e sostituzione, ivi compreso il caso di sciopero”;
– “menù giornaliero” (max 5 punti), da valutarsi alla stregua della “presenza di ulteriori elementi e caratteristiche superiori rispetto a quanto già previsto in capitolato”;
– “caratteristiche tecniche delle attrezzature” (max 5 punti), da valutarsi in forza delle “caratteristiche delle attrezzature oggetto di sostituzione di cui all’art. 5 del capitolato: prestazioni, contenimento energetico, rumorosità, ecc”;
– “proposte migliorative” (max 2 punti), ritenute quelle “di interesse in relazione alla qualità del servizio e al benessere dei residenti”.
2.1. Ciò premesso, con il secondo motivo So. ha lamenta che il primo giudice avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile, per carenza della c.d. “prova di resistenza”, il secondo motivo del ricorso di primo grado, volto a censurate puntualmente le valutazioni esternate dalla commissione valutatrice nel verbale n. 5 quanto al confronto a coppie tra le offerte tecniche di So. e Se. in relazione ai predetti quattro criteri.
2.1.1. Non ha rilievo la contestazione di So. che la differenza tra i punteggi assegnati alle due offerte tecniche è pari a 11,25 punti.
Il primo giudice ha infatti tenuto ben presente tale differenza, rilevando che “la graduatoria finale contempla una differenza di ben 11,25 punti tra la controinteressata e la ricorrente…”.
2.1.2. So. contesta altresì l’affermazione del primo giudice secondo cui So. “non ha coinvolto, nelle proprie contestazioni, anche gli altri confronti a coppie, essendosi limitata a quello tra le due contendenti, prima e seconda in graduatoria. Conseguentemente, non è in alcun modo plausibile che un più elevato grado di preferenza (ma non la preferenza massima, come nemmeno la ricorrente pretende) dell’offerta della ricorrente rispetto a quella della controinteressata, limitata al solo confronto tra di loro, e senza coinvolgere gli altri confronti a coppie che non sono oggetto di censura, sia in grado di modificare le prime due posizioni in graduatoria. Basti osservare, al riguardo, che anche ribaltando i punteggi di preferenza attribuiti alle due contendenti per tutti i quattro criteri in contestazione, si otterrebbe una differenza di 8,10 punti a favore della ricorrente, non sufficiente a farle vincere la gara”.
Al riguardo So. ritiene che la predetta operazione matematica sia affetta da errore, in quanto il “ribaltamento” operato dal primo giudice contempla solo la maggiorazione del punteggio da attribuirsi alla propria offerta e non anche la diminuzione del corrispondente punteggio a carico dell’offerta di Se., sicchè l’operazione, correttamente effettuata, porterebbe alla prevalenza dell’offerta di So. (62,76 punti versus 60,9), aggiungendo poi che sarebbero sufficienti anche minime o piccole attribuzioni di preferenza alla propria offerta tecnica in riferimento ai predetti criteri per pervenire, nella riparametrazione dei coefficienti da effettuarsi nei confronti di tutti i concorrenti, a una graduatoria completamente diversa, nella quale la sua offerta diverrebbe prevalente, superandosi in tal modo la prova di resistenza.
Tali censure non possono essere accolte.
La prima argomentazione è del tutto irrilevante, in quanto, come osservato anche dal primo giudice, una comparazione limitata al solo confronto tra le offerte tecniche dell’appellante e della controinteressata non è idonea di per se a modificare la graduatoria di gara, in quanto nel metodo del confronto a coppie l’attribuzione del punteggio è di carattere relativo e non assoluto (ex multis, Cons. stato, VI, 2 luglio 2015, n. 3295).
Quanto alla seconda argomentazione basti osservare che la dimostrazione del superamento della prova di resistenza è stato affidato dalla So. in questa sede a un documento indicativo dei “punteggi corretti” da attribuirsi alle offerte, indicato con il n. 28, che la società ha prodotto solo in sede di appello, che si palesa, come eccepito dall’Azienda pubblica, del tutto diverso da quello ana, depositato in primo grado con il n. 11, con conseguente violazione del divieto dei nova in appello.
La mancanza di correlazione tra i due documenti è confermata dalla stessa appellante, a pag. 8 della memoria conclusionale.
Sul punto, si rammenta che nel processo amministrativo, ai sensi dell’art. 104 del relativo Codice, non possono essere utilizzati documenti non prodotti nel giudizio di prime cure e che il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda sia le prove c.d. precostituite, quali i documenti, sia le prove c.d. costituende; la produzione di entrambe tali prove per la prima volta in appello sconta la verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirle in primo grado, ovvero la valutazione della loro indispensabilità (tra altre, Cons. Stato, II, 20 maggio 2019, n. 3217; IV, 20 agosto 2018, n. 4969).
Nel caso di specie non si rinviene nessuna delle predette cause: dagli atti di causa non risulta infatti la sussistenza di cause che abbiano impedito la produzione del documento di cui trattasi in primo grado; quanto, invece, al giudizio in ordine alla indispensabilità del documento, esso non può fondare sulla semplice affermazione contenuta nella memoria conclusionale, secondo cui il documento sarebbe “pienamente ammissibile, in quanto trova la sua giustificazione nella necessità di una specifica critica alla sentenza del Tar”.
Tale argomentazione, di carattere per così dire “circolare”, non convince, essendo evidente che l’ingresso del generico criterio in essa evocato refluirebbe nella sostanziale inoperatività del divieto in esame, con conseguente spregio della portata prescrittiva della ricordata norma codicistica.
Inoltre si deve rilevare che, come correttamente affermato dalla Azienda pubblica, tutti gli elementi idonei a comprovare il superamento del criterio della prova di resistenza, da lungo tempo elaborato dalla giurisprudenza amministrativa, andavano proposti già in primo grado, al fine di non incorrere, nel giudizio di appello, nella declaratoria di inammissibilità di cui al citato art. 104.
Infatti, rileva nella fattispecie il principio giurisprudenziale secondo cui, al fine dell’ammissibilità della produzione di nuovi documenti in appello, sono qualificabili come indispensabili i soli documenti la cui necessità emerga dalla sentenza impugnata, dei quali non era apprezzabile neppure una mera utilità nel pregresso giudizio di primo grado, mentre non è ammissibile il nuovo documento che già appariva indispensabile durante lo svolgimento del giudizio di primo grado e prima del formarsi delle preclusioni istruttorie, sicché la sentenza non si è potuta fondare su di esso per la negligenza della parte, che avrebbe potuto introdurlo (Cass. civ., II, 15 novembre 2016, n. 23244; VI, 15 marzo 2016, n. 5013).
Si rammenta ancora che il potere del giudice di ammettere nuove prove in appello non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado (Cass., II, 10 aprile 2013, n. 8777) e che la preclusione in esame è destinata anche a evitare l’apertura di nuovi fronti di indagine (Cass., III, 29 maggio 2013, n. 13432), che mal si concilierebbe con la dinamica impressa dal vigente ordinamento processuale ai rapporti tra il giudizio di appello e quello di primo grado.
2.1.3. Anche l’ultima argomentazione del motivo in esame va respinta: la tesi dell’appellante secondo cui gli elementi a sostegno dell’illogicità delle valutazioni espresse dalla commissione giudicatrice avrebbero dovuto comunque essere esaminati nel giudizio di primo grado, potendo comportare, ove accolti, se non l’aggiudicazione della gara alla società, quanto meno la rinnovazione della procedura, dimentica che nell’ambito della più volte citata sentenza di primo grado n. 288/2018, passata in giudicato, tutti i motivi che avrebbero potuto comportare alla riedizione della gara sono stati respinti. In particolare, tale sentenza, pur ritenendo necessario che la commissione valutatrice dovesse esternare le ragioni della preferenza accordata all’offerta di Se. quanto ai predetti quattro criteri, ha affermato il mancato riscontro della sussistenza di profili di manifesta illogicità o irragionevolezza negli esiti delle valutazioni effettuate dalla commissione, tali da doverne comportare la caducazione giurisdizionale.
3. Con il terzo motivo So. sostiene l’erroneità della sentenza appellata per non aver rilevato che nel verbale n. 5 la commissione valutatrice aveva indebitamente modificato i criteri di aggiudicazione, in particolare introducendo nel criterio “organizzazione dell’appalto”, riferito all’intero organigramma, il subcriterio delle “qualifiche di maggior interesse”, con particolare riferimento alle figure professionali della “dietista”, del “cuoco”, del “capo cuoco” e dell'”aiuto cuoco”.
3.1. Il motivo non convince.
Il primo giudice ha rilevato che si tratta soltanto di un apprezzamento, relativamente alle diverse qualifiche di personale contemplato nelle offerte tecniche, rientrante nella normale discrezionalità valutativa affidata alla commissione giudicatrice e tale conclusione è condivisibile.
Non si vede, infatti, in cosa possa consistere la valutazione dell’organigramma aziendale se nell’ambito della stessa fosse impedita la valutazione delle singole professionalità che la compongono e la valorizzazione di alcune di esse.
Del resto il criterio in questione contemplava la possibilità di apprezzare specificamente, nell’ambito dell’organigramma, le “unità di personale impiegato con relative qualifiche, mansioni e ore di servizio”.
3.2. Va respinta, tenuto conto anche qui della discrezionalità valutativa affidata alla commissione giudicatrice, l’ulteriore censura, riferita stavolta al criterio “caratteristiche tecniche delle attrezzature”.
L’esposizione di So. conferma infatti che la commissione ha tenuto conto delle principali attrezzature (lavastoviglie; pentole; carrelli) indicate nel criterio con il rimando alle “caratteristiche delle attrezzature oggetto di sostituzione di cui all’art. 5 del capitolato: prestazioni, contenimento energetico, rumorosità, ecc.”, mentre non è fondata la pretesa della società a che la motivazione dovesse riguardare, analiticamente, tutti i tipi di attrezzature di cui alla predetta disposizione (quali affettatrice, frullatore, taglia verdure, etc.).
4. Con il quarto motivo So. torna a illustrare con corpose argomentazioni i vizi rilevati nella valutazione della commissione giudicatrice in riferimento ai quattro criteri di aggiudicazione di cui sopra, che il giudice di primo grado ha ritenuto inammissibili per difetto di interesse.
Il motivo può essere respinto alla luce di quanto rilevato al precedente capo 2.
5. Per tutto quanto precede, l’appello deve essere respinto.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte appellante alla refusione in favore delle parti resistenti delle spese di giudizio del grado, che liquida nell’importo pari a Euro 5.000,00 (euro cinquemila/00) per ciascuna di esse, oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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