I provvedimenti informativi e interdittivi dell’autorità di pubblica sicurezza

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 12 novembre 2019, n. 7751.

La massima estrapolata:

I provvedimenti informativi e interdittivi dell’autorità di pubblica sicurezza si collocano al di fuori della procedura a evidenza pubblica e attengono a profili di prevenzione del tutto tipici del nostro sistema nazionale.

Sentenza 12 novembre 2019, n. 7751

Data udienza 11 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 6022 del 2010, proposto da
Impresa I.C. s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria dell’associazione temporanea di imprese costituita con SO. s.r.l. e Ma. Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Au. Ca. e Al. Gu., con domicilio eletto presso lo studio della dottoressa An. Be. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis) ed altri, non costituiti in giudizio;
ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (sezione prima) n. 00248/2010, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, Prefettura di Palermo-Ufficio territoriale del Governo di Palermo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica dell’11 luglio 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti l’avvocato Iz., su delega dell’avv. Gu., e l’avvocato dello Stato Ma.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

I. Nell’atto di appello I.C. s.r.l. ha esposto:
a) che l’associazione temporanea di imprese costituita con SO. s.r.l. e Ma. Co. s.r.l., di cui essa era mandante, si era aggiudicata la gara di appalto dei lavori di adeguamento e razionalizzazione della rete idrica di distribuzione interna al capoluogo e zone limitrofe indetta dal Comune di (omissis), stipulando il 22 settembre 1998 il relativo contratto che veniva risolto subito dopo la stipula giusta deliberazione giuntale n. 421/1998 a causa dell’informativa della Prefettura di Palermo 16 ottobre 1998 che, ai sensi dell’allora vigente art. 4 del d.lgs. n. 490/1994, segnalava l’esistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose, tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi di gestione;
b) di aver impugnato detto provvedimento di risoluzione e gli atti presupposti e connessi innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria che, nella resistenza del Comune di (omissis), con sentenza n. 52/1999, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;
c) di aver riassunto il giudizio innanzi al giudice civile, domandando anche la condanna del Comune di (omissis) al risarcimento del danno patito dalla società a causa dell’atto di risoluzione contrattuale e del presupposto atto prefettizio, ma che l’adito Tribunale di Crotone con la sentenza n. 220/2002, accoglieva l’eccezione di incompetenza territoriale del giudice sollevata dalla Prefettura di Palermo, chiamata dal convenuto ente locale, e dichiara la propria incompetenza in favore del Tribunale di Palermo e che quest’ultimo, davanti al quale ancora una volta la causa era stata riassunta, a sua dichiarava la propria carenza di giurisdizione a favore del giudice amministrativo;
d) che con sentenza n. 21928/2008 le Sezioni Uniti della Cassazione, adita ex art. 362 Cod. proc. civ. per la pronunzia sul conflitto negativo di giurisdizione, aveva definitivamente dichiarato sulla controversia in questione la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo;
e) che il Tar per la Calabria, innanzi al quale era stato infine riassunto il giudizio, riproponendo tutte le domande già formulate (annullatorie e risarcitorie, oltre che istruttorie), nella resistenza del Comune di (omissis) e della Prefettura di Palermo, all’esito di un incombente istruttorio posto a carico della Prefettura di Palermo, con la sentenza segnata in epigrafe, annullava gli atti impugnati, ma respingeva la domanda risarcitoria per carenza del requisito soggettivo della colpa.
II. L’impresa ha impugnato in parte qua la predetta sentenza, dolendosi soltanto della reiezione della domanda risarcitoria avanzata nei confronti del Comune di (omissis), in quanto a suo avviso sarebbero stati presenti tutti i presupposti della stessa; ha chiesto pertanto, oltre all’accoglimento, se necessario, delle istanze istruttorie pure formulate, la condanna del Comune di (omissis) al pagamento in suo favore del risarcimento subito stimato in Euro 122.291,92 per rimborso spese vive, Euro 733.500,94 per mancato utile ed Euro 258.228,45 per danno curriculare, ovvero della diversa misura ritenuta di giustizia, anche in via equitativa, oltre rivalutazione e interessi.
Ha resistito al gravame l’Amministrazione dell’Interno/Prefettura di Palermo, depositando documentazione.
III. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza dell’11 luglio 2019.

DIRITTO

1.Come evidenziato in fatto l’appello in trattazione riguarda solo il capo della sentenza in epigrafe che ha respinto la domanda di risarcimento dei danni formulata nei confronti del Comune di (omissis) dalla I.C. s.r.l. a causa della risoluzione del contratto con essa stipulato il 22 settembre 1998 (quale capogruppo di associazione temporanea di imprese, aggiudicataria della gara di appalto dei lavori di adeguamento e razionalizzazione della rete idrica di distribuzione interna al capoluogo e zone limitrofe) e della presupposta informativa della Prefettura di Palermo 16 ottobre 1998 che, ai sensi dell’allora vigente art. 4 del d.lgs. n. 490/1994, provvedimento di risoluzione e informativa prefettizia che sono stati annullati.
2. Secondo l’appellante il rigetto della domanda risarcitoria sarebbe erroneo ed ingiusto, ricorrendo nel caso di specie in capo all’amministrazione comunale tutti i presupposti della responsabilità aquiliana ex art. 20143 (illegittimità dell’atto; insorgenza di un pregiudizio con perdita del “bene della vita”; esistenza di un nesso di derivazione causale tra danno e atto; riconducibilità del danno a un comportamento quantomeno colposo dell’amministrazione).
3. L’appello è infondato.
3.1. Il primo giudice, nel respingere la domanda risarcitoria:
a) ha ritenuto che la determinazione del Comune di (omissis) di risolvere il contratto di appalto a causa della informativa prefettizia fosse “sostanzialmente dovuta” e che pertanto la responsabilità per i danni lamentati dalla società non fosse a lei riferibile;
b) ha poi escluso l’applicazione alla fattispecie dell’art. 4, comma 6, ultima parte, del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490 allora vigente, il quale stabiliva, limitatamente al caso di lavori o forniture di somma urgenza, che l’amministrazione interessata “può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”, osservando, per un verso, che l’esecuzione di opere da parte della società andava esclusa, in quanto la consegna dei lavori non risultava avvenuta, e, per altro verso, che il diritto “al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente” presupponeva il riconoscimento dell’utilità della prestazione, non desumibile dalla mera acquisizione e successiva utilizzazione della prestazione stessa, ma abbisognevole di un’inequivoca, ancorché implicita, manifestazione di volontà promanante da organi rappresentativi dell’amministrazione interessata (Cass. 27 giugno 2002, n. 9348; 18 novembre 2003, n. 17440; 25 febbraio 2004, n. 3811; 20 agosto 2004, n. 16348; 26 luglio 1999, n. 8070; 3 agosto 2000, n. 10199; n. 2312 del 2008), non potendo essere effettuata dal giudice (il quale può solo accertare se ed in quale misura l’opera o la prestazione sono state effettivamente utilizzate (Cass. 26 luglio 1999, n. 8070)), riconoscimento di cui nel caso di specie non vi era alcuna traccia.
3.2. Ciò precisato e chiarito altresì che nessuna critica l’appellante ha mosso sulla motivazione della sentenza come sintetizzata nel paragrafo precedente sub b), si osserva che le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice non meritano censure, tanto più che esse risultano coerenti con l’indirizzo giurisprudenziale di cui alla recente sentenza 5 marzo 2018, n. 1401, della Sezione III di questo Consiglio di Stato.
Va infatti ribadito che, quanto all’ammissibilità della domanda di risarcimento dei danni nella fattispecie in esame, non possono trovare applicazione i principi di matrice comunitaria, invocati dall’appellante, in forza dei quali una qualsiasi violazione degli obblighi sovranazionali in materia di appalti è generatrice di danni, a prescindere dall’accertamento della colpevolezza dell’ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione (Corte di giustizia, III, 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz).
Infatti i provvedimenti informativi e interdittivi dell’autorità di pubblica sicurezza si collocano al di fuori della procedura a evidenza pubblica e attengono a profili di prevenzione (Cons. Stato, III, 3 maggio 2016, n. 1743; 9 maggio 2012, n. 2678) del tutto tipici del nostro sistema nazionale. Nello stesso senso debbono essere vagliate le scelte dell’amministrazione appaltante che dei citati provvedimenti informativi e interdittivi costituiscono diretta e immediata conseguenza, fuoriuscendo anch’essi dall'”ordinario” schema della responsabilità operante nella materia dei pubblici appalti, definito dalla giurisprudenza comunitaria.
Di conseguenza nella fattispecie in esame la valutazione sulla dedotta responsabilità della stazione appaltante non può prescindere dall’indagine sull’esistenza o meno del profilo soggettivo del dolo o della colpa.
3.3. Nel caso di specie, come correttamente ritenuto dal primo giudice, non è rinvenibile in capo al Comune di (omissis) alcuna colpa nell’aver disposto la risoluzione del contratto con la società non appena ricevuta l’informativa prefettizia.
Infatti la discrezionalità invocata dalla parte appellante, in quanto asseritamente riconosciuta all’Amministrazione dall’art. 4, comma 6, ultima parte del d.lgs. n. 490/1994 (secondo cui l’amministrazione “può ” revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti) non poteva estendersi sino a sindacare la veridicità dei fatti indicati dall’Autorità prefettizia, non essendo al riguardo ammissibili (in quanto intrinsecamente contraddittori) gli “approfondimenti tramite la competente prefettura”, evocati dall’appellante, tanto più che quel supplemento istruttorio avrebbe dovuto essere chiesto alla stessa Prefettura che aveva emesso l’informativa. Ciò poi senza contare che il tenore letterale del predetto articolo 4, comma 6, del d.lgs. n. 490/1994, piuttosto che fonte di un potere discrezionale in ordine alle determinazioni da assumere in conseguenza dell’informativa prefettizia, ben può essere considerato come un potere eccezionale concesso all’amministrazione di sciogliersi unilateralmente e legittimamente da obbligazioni validamente assunte.
E’ priva di qualsiasi fondamento poi la tesi dell’appellante circa l’esistenza di un mero “rapporto interno” tra Prefettura e Comune, con conseguente imputabilità del danno, a titolo solidale, a quella che ha adottato l’atto finale: è sufficiente per un verso rilevare che si tratta di plessi organizzativi assolutamente distinti e autonomi, titolari di funzioni diverse e in nessun modo neppure parzialmente coincidenti e per altro verso che quella relazione invocata dall’appellante non può discendere dal rapporto di presupposizione esistente tra la delibera di risoluzione contrattuale e l’informativa prefettizia, così che ogni ufficio o organo risponde per il solo fatto che le è direttamente imputabile a titolo di dolo o colpa; il che sotto altro concorrente profilo la configurabilità della condanna al risarcimento del danno del Comune per fatto della Prefettura e della possibilità del primo di agire poi in via di regresso nei confronti della seconda (che, per sua colpa, avrebbe indotto l’amministrazione comunale all’adozione dell’erroneo provvedimento causativo del danno).
3.4. Resta da aggiungere che non si rinvengono elementi di colpa neppure in relazione all’informativa prefettizia.
Come più volte affermato, l’attività di prevenzione dell’infiltrazione criminale di stampo mafioso presuppone e comporta un’ampia potestà discrezionale in capo all’organo istruttore, cui spettano i compiti di polizia e di mantenimento dell’ordine pubblico, in relazione alla ricerca e alla valutazione di tali elementi, da cui poter desumere eventuali connivenze e collegamenti di tipo mafioso (Cons. Stato, III, n. 1401/2018, cit.), sicchè, se è certo che tale discrezionalità non può sfociare in un arbitrio (tant’è che il suo esercizio non è sottratto al sindacato del giudice amministrativo in ordine all’esatto dispiegarsi del procedimento logico deduttivo e sulle conclusioni dell’istruttoria da cui si è ritenuto emergere una qualche influenza del sodalizio criminale sull’attività e sulle scelte del soggetto che ne sia destinatario), tuttavia anche laddove le conclusioni dell’Autorità siano ritenute illegittime, come nel caso di specie, l’illegittimità non comporta l’automatica illiceità dell’operato dell’Autorità di pubblica sicurezza e non si traduce automaticamente nella responsabilità risarcitoria dell’Autorità prefettizia che la ha adottata, dovendo sempre essere dimostrata la colpa in concreto.
4. Alla stregua delle osservazioni svolte l’appello deve essere respinto.
Si ravvisano giusti motivi, stante il peculiare andamento della vicenda contenziosa, per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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