Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 dicembre 2020| n. 29577.

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere del convenuto di prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore in monitorio a fondamento della propria domanda, in tanto può esplicarsi, in quanto l’attore abbia, a propria volta, spiegato, nel ricorso per ingiunzione, una pretesa fondata su fatti esposti in modo chiaro ed analitico: fatti cioè che, ove non specificamente contestati, possano risultare idonei a far scattare il meccanismo della non contestazione. Tali caratteri della pretesa posta a fondamento del procedimento d’ingiunzione non si riscontrano nel caso in cui la banca si sia avvalsa, nel ricorso per decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento del saldo passivo di conto corrente, dell’estratto conto previsto dall’articolo 50 del T.U.B., laddove quest’ultimo non contenga un completo resoconto delle varie partite in dare ed in avere, tale da palesare la sussistenza del credito azionato in monitorio. Ne consegue che solo se la banca ricorrente in monitorio abbia fondato la propria pretesa su estratti conto che consentano un pieno controllo in ordine alle poste considerate ed ai conteggi compiuti, l’opponente si troverà esposto all’onere di contestazione con tutte le conseguenze riconducibili al suo espletato o mancato assolvimento (Nel caso di specie, in applicazione degli enunciati principi, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il tribunale aveva respinto l’opposizione del ricorrente avverso il decreto a mezzo del quale lo stesso tribunale gli aveva ingiunto il pagamento, in favore della banca intimata, di un’ingente somma di danaro, sentenza contro la quale era stato spiegato appello, dichiarato inammissibile, per mancanza di probabilità di accoglimento).

Ordinanza|24 dicembre 2020| n. 29577

Data udienza 12 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: CONTO CORRENTE – ESTRATTO CONTO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 12238/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1684/2014 del TRIBUNALE di FIRENZE, pubblicata il 23/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/10/2020 dal Cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

FATTO E DIRITTO

rilevato che:
1. – (OMISSIS) S.r.l. ricorre ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., comma 3, per tre mezzi, nei confronti di (OMISSIS) S.p.A., contro la sentenza del 23 maggio 2014 con cui il Tribunale di Firenze ha respinto la sua opposizione avverso il decreto a mezzo del quale lo stesso Tribunale aveva ingiunto alla societa’ il pagamento, in favore della banca, della somma di Euro 304.691,99, con accessori e spese, sentenza contro cui e’ stato spiegato appello dichiarato inammissibile per mancanza di probabilita’ di accoglimento.
2. – (OMISSIS) S.p.A. non spiega difese.
considerato che:
3. – Il primo mezzo denuncia violazione degli articoli 163, 164, 167 e 645 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto la nullita’ dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo per violazione dell’articolo 164 c.p.c., comma 4, quantunque detta disposizione non possa in tale frangente trovare applicazione, attesa la natura dell’atto di opposizione di sostanziale comparsa di risposta avverso l’atto introduttivo del giudizio, ossia il ricorso per ingiunzione.
Il secondo mezzo denuncia violazione dell’articolo 2697 c.c. e del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 50, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, per illogicita’ della motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere il giudice di merito fondato la propria decisione sugli estratti di saldaconto prodotti dalla banca, privi di efficacia probatoria nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ed altresi’ per aver escluso la sussistenza di anatocismo sulla base di un dato insignificante, quale la stipulazione del contratto di conto corrente intercorso tra le parti successivamente alla Delib. CICR 9 febbraio 2000.
Il terzo mezzo, erroneamente indicato come quarto a pagina 12 del ricorso, denuncia violazione dell’articolo 1418 c.c. e del Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 2 bis, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la nullita’ della commissione di massimo scoperto perche’ pattuita nel contratto di conto corrente, trattandosi di clausola comunque nulla.
ritenuto che:
4. – Il ricorso va accolto.
4.1. – Vanno difatti accolti i motivi proposti, meritevoli di essere simultaneamente esaminati, giacche’ tutti diretti a dimostrare l’errore commesso dal Tribunale nel respingere l’opposizione a decreto ingiuntivo, quantunque la domanda della banca trovasse fondamento su documentazione priva di efficacia probatoria nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo.
4.2. – Accogliendo l’eccezione spiegata in proposito dalla banca opposta, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo introdotto da (OMISSIS) S.r.l., il Tribunale di Firenze ha osservato che “l’atto di citazione contiene censure assolutamente generiche, al limite della nullita’ dell’atto medesimo per violazione dell’articolo 164 c.p.c. (per mancata esposizione dell’oggetto della domanda, c.d. petitum, nonche’ dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, c.d. causa petendi), riferendosi l’attrice a non meglio precisate somme che la banca avrebbe illegittimamente trattenuto su suoi conti correnti, a titolo di commissioni non dovute o interessi convenzionali diversi da quelli pattuiti, ma senza pero’ assolutamente precisare a quali commissioni intenda riferirsi, ne’ quale sarebbe il tasso di interesse indebitamente applicato in luogo di quello pattuito… Cio’ premesso, si osserva che i contratti di apertura di conto corrente depositati in atti… chiariscono sia il tasso di interesse a credito che quello a debito e prevedono la commissione di massimo scoperto e ne determinano l’ammontare… A fronte di tale chiare pattuizioni contrattuali non sussiste alcun principio di prova… che possa ingenerare anche solo il legittimo dubbio che la banca non si sia attenuta nello svolgimento del rapporto di conto corrente alla rigorosa applicazione degli interessi, della CMS e delle spese cosi’ come esattamente pattuito dalle parti, anche perche’ non risulta che la societa’ opponente abbia nel corso del rapporto mai contestato gli estratti conto che la banca periodicamente gli inviava”. Ed ancora: “Quanto alla censura in ordine all’applicazione illegittima di interessi anatocistici, si osserva che essa e’ palesemente infondata, in quanto entrambi i conti correnti per cui e’ causa sono stati aperti dalla societa’ opponente successivamente alla modifica dell’articolo 120 TUB operata dal Decreto Legislativo n. 342 del 1999, articolo 25 e alla conseguente Delib. CICR 9 febbraio 2000… Inoltre si osserva che parte attrice opponente cita la Legge Antiusura n. 108 del 1996, per la prima volta solo nella sua terza memoria, sempre a supporto della richiesta di CTU, non avendo tuttavia allegato alcun principio di prova in ordine al possibile superamento del tasso soglia antiusura (anzi, la parte non ha neppure indicato quale sarebbe il tasso asseritamente usurario che sarebbe stato applicato dalla banca, ne’ il tasso-soglia vigente in quel momento, asseritamente inferiore)”.
4.3. – Cio’ detto, non ha bisogno di essere rammentato che l’opponente a decreto ingiuntivo e’, come e’ noto, sostanzialmente convenuto, sebbene formalmente attore, sicche’ l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo deve avere tutti i requisiti formali previsti dagli articoli 163 e 163-bis c.p.c., ma non quelli concernenti il contenuto del normale atto di citazione, previsti dell’articolo 163 c.p.c., comma 3, n. 4, giacche’ sotto il profilo del contenuto e’ equiparabile ad una comparsa di risposta, di modo che deve presentare i requisiti di cui all’articolo 167 c.p.c. (Cass. 20 ottobre 2006, n. 22528).
Orbene, l’articolo 167 c.p.c., impone al convenuto di “proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda”. E dunque, il convenuto, ai sensi dell’articolo 167 c.p.c., e’ tenuto a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessita’ di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la sussistenza dei presupposti di legge per l’accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica (Cass. 6 ottobre 2015, n. 19896).
4.4. – Tanto premesso, e’ di tutta evidenza che la ratio decidendi sottesa all’adozione della decisione qui impugnata, nonostante l’erroneo richiamo all’articolo 164 c.p.c., si fonda per l’appunto sulla asserita genericita’ dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, mancante di una presa di posizione chiara e specifica, idonea a soddisfare la previsione del citato articolo 167 c.p.c. e, dunque, tale da far scattare il meccanismo della contestazione e, cosi’, da sollecitare il giudice all’effettuazione delle verifiche istruttorie del caso.
Conferma di cio’ si trae dal passaggio della sentenza del Tribunale di Firenze ove si da’ conto del diniego della consulenza tecnica richiesta dalla societa’ opponente in ragione del suo carattere “esplorativo”: il che, nel ricorrente linguaggio della prassi, sta ad indicare un’indagine istruttoria non gia’ diretta a verificare la fondatezza della prospettazione della parte interessata, ma a supplire al difetto del quadro delle allegazioni.
4.4. – L’impostazione che sorregge la decisione impugnata, cosi’ riassunta, e’ tuttavia errata in diritto, sia dal versante sostanziale del riparto degli oneri probatori, sia, conseguentemente, da quello processuale dell’onere di contestazione da parte dell’opponente a decreto ingiuntivo, giacche’ non tiene conto dell’atteggiarsi della controversia, esordita con il ricorso per ingiunzione fondato sull’estratto conto di cui all’articolo 50 del Testo Unico Bancario.
Questi i termini della questione.
4.5. – Il naturale radicamento della prassi, che il Collegio sovente ha avuto modo di constatare movendo dall’esperienza maturata nell’esaminare ricorrenti controversie quale quella oggi in esame, sembra non aver ancora del tutto cancellato dal mondo del diritto, a quasi trent’anni dall’abrogazione della norma, il dettato dell’articolo 102 della vecchia Legge Bancaria (L. 7 marzo 1938, n. 141, articolo 102) la quale consentiva alle banche di ottenere il decreto ingiuntivo sulla base dell'”estratto di saldaconto”.
La norma non chiariva cosa il “saldaconto” fosse, ma, nella pratica, si era assestata l’idea che si trattasse di una semplice dichiarazione, proveniente dalla banca, dell’entita’ del saldo, con la attestazione di “verita’ e liquidita’” da parte del funzionario addetto.
L’articolo 50 del Testo Unico Bancario ha introdotto una novita’ abbastanza modesta, se considerata sul piano strettamente lessicale: l'”estratto di saldaconto” e’ stato sostituito dall'”estratto conto”. Ma, al di la’ della permanente connotazione del documento quale “estratto”, la distanza tra la previgente previsione e l’attuale e’ invece nella sostanza assai marcata: se il “saldaconto” era qualcosa di non esplicitamente definito, sicche’ l’interpretazione poteva orientarsi nel senso anzidetto, l'”estratto conto” non puo’ che essere cio’ che la legge definisce e regola come tale, anzitutto all’articolo 119 del Testo Unico Bancario, oltre che agli articoli 1853 e 1857 c.c.. Dunque, secondo l’articolo 119, “una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto”.
In proposito, questa Corte e’ stata assai sollecita nel riconoscere la portata della novita’, a pochi mesi di distanza dall’entrata in vigore del testo unico bancario: “il saldaconto previsto dall’articolo 102 Legge Bancaria e’ affatto diverso dall’estratto periodico di conto corrente”; il primo e’ un “documento appositamente formato dalla banca per la finalita’ dell’articolo 102 Legge Bancaria e nel quale viene indicato soltanto il saldo debitore del conto, senza che sia riportata l’evoluzione delle operazioni attive e passive che l’hanno determinato”; il secondo, viceversa, “riproduce integralmente i dati annotati nella scheda del conto e relativi a tutte le operazioni affluite sullo stesso” (Cass., Sez. Un., 18 luglio 1994, n. 6707). Ed era ivi colta con la massima chiarezza la ratio ispiratrice della (allora) novita’ normativa, diretta a soddisfare – osservazione, quella che segue, essenziale per i fini dello scrutinio del motivo – la “necessita’ di tutelare il correntista anche nell’eventuale giudizio susseguente al procedimento monitorio, consentendogli una contestazione consapevole delle risultanze del documento stesso”, giacche’, al contrario, il vecchio “saldaconto” “non consente alcun controllo in ordine alle poste considerate e ai conteggi compiuti”.
4.6. – Allo stato, dunque, e’ un punto fermo che “l’estratto di saldaconto, di mera natura riassuntiva del debito finale, idoneo nel vigore del previgente articolo 102 della Legge Bancaria del 1938, non e’ piu’ sufficiente ai sensi dell’articolo 50 del T.u.b., che richiede finanche in monitorio un vero e proprio estratto conto con la registrazione delle varie partite in dare e avere” (Cass. 30 maggio 2017, n. 13542; ed inoltre Cass. 23 maggio 2017, n. 12935; Cass. 23 maggio 2017, n. 12936).
Sorge qui il quesito – destinato pero’ in quest’occasione a rimanere senza risposta certa – su cosa debba esattamente intendersi con la previsione secondo cui “le banche possono chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’articolo 633 c.p.c., anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili”: e cioe’, in particolare, se sia esatto ritenere, come e’ stato in un’occasione affermato, che nella “fase monitoria… possono essere prodotti gli estratti conto relativi all’ultima fase di movimentazione del conto” (Cass. 2 agosto 2013, n. 18541, in motivazione).
In verita’, non e’ ben chiaro quali sarebbero “gli estratti conto relativi all’ultima fase di movimentazione del conto”: ne’ pare che la norma offra appigli, almeno espliciti, all’opinione secondo cui essa si riferirebbe all’ultimo estratto conto: a meno di non voler valorizzare il troppo esile rilievo che “l’estratto conto” e’ citato al singolare.
Semmai, sembra preferibile ritenere che la facolta’ delle banche di chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’articolo 633 c.p.c., “anche in base all’estratto conto”, ossia ad “una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto”, richieda la produzione di quegli estratti conto dai quali sia possibile ricostruire, nello sviluppo temporale del rapporto, la sussistenza del credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione.
4.7. – Tuttavia, come si diceva, non e’ su questo quesito che occorre prendere posizione, giacche’ non e’ da esso che dipende l’esito dell’esame del motivo.
Cio’ che e’ certo e’ che l’onere del convenuto in senso sostanziale di prendere posizione, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore in monitorio a fondamento della propria domanda, in tanto puo’ esplicarsi, in quanto l’attore abbia a propria volta spiegato, nel ricorso per ingiunzione, una pretesa fondata su fatti esposti in modo chiaro ed analitico: fatti cioe’ che, ove non specificamente contestati, possano risultare idonei a far scattare il meccanismo della non contestazione.
Il che non accade ove la banca si avvalga, nel ricorso per decreto ingiuntivo, dell’estratto conto previsto dal citato articolo 50, laddove esso non contenga – e senza dubbio non e’ questo il caso che ci occupa – un completo resoconto delle varie partite in dare e avere, tale da palesare la sussistenza del credito azionato in monitorio.
Solo se la banca ricorrente in monitorio abbia fondato la propria pretesa su estratti conto che – per riprendere le parole delle Sezioni Unite citate poc’anzi – consentano un pieno “controllo in ordine alle poste considerate e ai conteggi compiuti”, l’opponente si trovera’ esposto all’onere di contestazione che, nel caso di specie, il Tribunale di Firenze gli ha erroneamente addebitato.
Nel qual caso, effettuata la contestazione, si applichera’ il noto principio secondo cui l’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca, di cui all’articolo 50 citato, in caso di contestazione non costituisce di per se’ prova del credito vantato dalla banca nei confronti del correntista (Cass. 3 maggio 2011, n. 9695): principio che si esplica ulteriormente nell’affermazione, di cui pure il giudice del rinvio dovra’ tener conto, secondo cui, nel caso in cui l’opposizione all’ingiunzione di pagamento del saldo passivo del conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali, ma anche sostanziali, quali la contestazione dell’importo a debito, risultante dall’applicazione di tassi di interesse ultralegali e di interessi anatocistici vietati, nel giudizio a cognizione piena, spetta alla banca produrre il contratto su cui si fonda il rapporto, documentare l’andamento di quest’ultimo e fornire cosi’ la piena prova della propria pretesa (Cass. 6 giugno 2018, n. 14640).
5. – La sentenza e’ cassata e rinviata anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, che si atterra’ a quanto indicato e provvedera’ anche sulle spese di questo giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

 

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