Corte di Cassazione, penale, Sentenza|19 gennaio 2021| n. 2145.
Nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati nel giudizio penale di cognizione, senza che rilevi che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito, valendo soltanto in quest’ultima il criterio dell’ aldilà ogni ragionevole dubbio. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure il provvedimento di rigetto dell’istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, che aveva ravvisato la colpa grave dell’istante nella condotta consistita nell’intrattenere consapevolmente rapporti economici con società collegate a una cosca mafiosa, ritenuta dalla Corte – sebbene penalmente irrilevante in quanto tenuta per subordinazione e paura rispetto al sodalizio piuttosto che con l’intenzione di avvantaggiarlo – contraria alle regole di diligenza dell’operatore economico, tenuto ad agire in modo lecito e a non favorire soggetti che operano in modo illecito, esponendo, altrimenti, a rischi legali l’intera impresa).
Sentenza|19 gennaio 2021| n. 2145
Data udienza 13 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Ingiusta detenzione – Equa riparazione – Misura cautelare – Favoreggiamento di cosca mafiosa – Assoluzione – Dolo o colpa grave al riconoscimento dell’indennizzo – Nozione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente
Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere
Dott. NARDIN Maura – Consigliere
Dott. PICARDI Francesc – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 12/09/2019 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCA PICARDI;
lette le conclusioni del PG.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha impugnato l’ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria, con cui e’ stata rigettata la sua richiesta di riparazione per ingiusta detenzione patita in carcere dal 15 marzo 2011 al 4 agosto 2011.
2. Il ricorrente, sottoposto alla misura cautelare per aver favorito una cosca, dominante sul territorio, distribuendo appalti a societa’ strettamente collegate alla stessa, e’ stato condannato in primo grado, ma assolto in appello per insussistenza del fatto, considerata la distinzione tra l’imprenditore sottomesso e quello colluso (nella sentenza di appello si e’ escluso che l’acquisizione dell’appalto da parte della societa’ rappresentata dal ricorrente sia avvenuto per il tramite della consorteria mafiosa e si e’ evidenziato che “nulla in atti consentiva di affermare che si operasse per favorire la cosca mafiosa dominante piuttosto che per lavorare senza problemi, come era loro diritto”).
Ad ogni modo, la misura cautelare era gia’ stata revocata dal G.i.p. all’esito dell’interrogatorio reso al P.m. della D.D.A..
3. La Corte di Appello ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, ritenendo causalmente rilevante nell’adozione della misura cautelare la condotta spregiudicata del ricorrente, tesa ad acquistare la benevolenza del capocosca (OMISSIS), nella piena consapevolezza della sua posizione di spicco nel gruppo criminale, desunta da quanto dichiarato dallo stesso ricorrente nel corso delle intercettazioni telefoniche (ad es., “Io qua preferisco tenere problemi con la legge che non con questi qua”; con riferimento al capocosca, “Sono diventato pure lo cugino ora”). In particolare, si e’ sottolineato che l’aver affidato lavori a societa’ collegate all’associazione criminale, sostituendo un soggetto che si era esposto contro le cosce locali con numerose denunce, integra un comportamento strumentale alla costruzione di una rete di rapporti economici e sociali enormemente superficiale, dando luogo per propria macroscopica colpa alla configurazione di elementi che hanno condotto alle contestazioni ed all’adozione del provvedimento cautelare.
4. Il ricorrente, con l’odierna impugnazione, ha denunciato la violazione di legge e la mancanza di motivazione, non spiegando il provvedimento impugnato ne’ in che termini l’interrogatorio di garanzia reso dinanzi al P.m. della D.D.A. sia stato determinante ed abbia giustificato la revoca della misura ne’ quali sono stati i nuovi elementi probatori che hanno condotto all’assoluzione per insussistenza del fatto rispetto a quelli della fase cautelare. Peraltro, il giudice della riparazione ha espressamente escluso la rilevanza dell’interrogatorio in cui l’istante si e’ limitato ad ammettere quanto gia’ emergeva chiaramente dagli atti.
5.La Procura Generale ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
6.L’Amministrazione resistente ha chiesto in via principale dichiararsi inammissibile il ricorso ed in via subordinata rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Il ricorso non puo’ essere accolto.
2. La giurisprudenza di legittimita’ e’ costantemente orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per verificare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, e’ incensurabile in sede di legittimita’. Si e’, inoltre, precisato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorche’ in presenza di errore dell’autorita’ procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita’ come illecito penale (Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016 Cc., dep. 23/01/2017, Rv. 268952). In definitiva, il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione e’ del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi, che possono portare a conclusioni del tutto differenti: cio’ sia in considerazione del diverso oggetto di accertamento (nel giudizio penale la condotta di reato; nel giudizio di riparazione la condotta gravemente colposa o dolosa causalmente rilevante ai fini della misura cautelare) sia in considerazione delle diverse regole di giudizio (applicandosi solo in sede penale la regola dell’al di la’ di ogni ragionevole dubbio ed una serie di limitazioni probatorie).
3. Nel provvedimento impugnato, con una motivazione esaustiva e non manifestamente illogica, si e’ evidenziata la condotta del ricorrente gravemente colposa e eziologicamente rilevante nell’adozione della misura cautelare, consistente nell’intrattenere consapevolmente rapporti economici con societa’ collegate alla cosca mafiosa, anche sostituendo soggetti, al contrario, esposti nella lotta contro la criminalita’, e nel tentare di compiacere il capo-cosca. Tali comportamenti, sebbene non penalmente rilevanti, per assenza dell’elemento soggettivo, in quanto tenuti per la condizione di subordinazione e paura rispetto al sodalizio, piuttosto che con l’intenzione di avvantaggiarlo e sostenerlo, sono, comunque, contrari non ad un mero dovere morale, ma alle regole di diligenza dell’operatore economico, il quale e’ tenuto ad agire in modo lecito e a non favorire i soggetti che operano in modo illecito, esponendo, altrimenti, a rischi legali l’intera impresa. Peraltro, il ricorrente, intrattenendo (consapevolmente) rapporti economici con imprenditori coinvolti in affari illeciti, si e’ presentato nei confronti del pubblico come soggetto potenzialmente affiliato o, comunque, coinvolto nel sodalizio, contribuendo all’errore dell’autorita’ giudiziaria.
Del tutto irrilevante risulta, invece, che si sia pervenuti in appello al giudizio di assoluzione in base allo stesso quadro indiziario esistente nella fase cautelare: si tratta di una possibilita’ fisiologica, visto che il giudizio cautelare non si fonda sulla regola dell’al di la’ del ragionevole dubbio, esigendo soltanto gravi indizi di colpevolezza. Neppure rileva la revoca della misura cautelare, all’esito dell’interrogatorio dinanzi al P.m. della D.D.A. (in cui, come si legge nel provvedimento impugnato, l’indagato riconosceva i comportamenti contestati e cercava di fornire delle giustificazioni, superando la genericita’ dell’originario interrogatorio), considerato che la diversa valutazione del g.i.p. successivamente intervenuto, alla luce dei nuovi elementi emersi, non esclude la colpa grave del ricorrente, come evidenziata dalla Corte di appello, causalmente rilevante ai fini dell’adozione della misura cautelare.
4.In conclusione, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dall’Amministrazione resistente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla rifusione delle spese sostenute dall’Amministrazione resistente in questo giudizio di legittimita’, che liquida in Euro mille.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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