Il diniego del permesso di soggiorno o del suo rinnovo

Consiglio di Stato, Sentenza|2 febbraio 2021| n. 955.

Il diniego del permesso di soggiorno o del suo rinnovo non discende automaticamente dalla presenza di una causa ostativa (quale ad es. le condanne penali), ma deve essere sempre preceduto da una valutazione discrezionale che tenga conto dell’interesse dello straniero e della sua famiglia alla conservazione dell’unità familiare, in comparazione con quello della comunità nazionale ad allontanare un soggetto socialmente pericoloso

Sentenza|2 febbraio 2021| n. 955

Data udienza 11 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Immigrazione – Rinnovo del permesso di soggiorno – Diniego – Condanna penale – Reato di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – Condanna preclusiva del rinnovo del permesso di soggiorno – Art. 4, comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, nr. 286 – Automatismo – Corte Costituzionale 18 luglio 2013, n. 202 – Valutazione discrezionale – Ricongiungimento familiare

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2915 del 2014, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Mo. Ba. e Fa. Gi., con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, via (…),
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, nonché la Questura di Alessandria, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Alessandria;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2020, in collegamento da remoto in videoconferenza, il Cons. Antonella Manzione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierno appellante, cittadino -OMISSIS-, ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. per il Piemonte ha respinto il ricorso da lui proposto avverso il diniego opposto dal Questore di Alessandria alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato.
Nell’appello, la sentenza di prime cure è censurata con un unico, articolato motivo, nel quale si lamenta la mancanza di motivazione, essendo l’atto basato solo con riferimento alla condanna riportata dall’istante per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, senza tenere conto della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, famigliare e lavorativo, siccome viceversa previsto dall’art. 9, comma 4, ultimo capoverso, del d.lgs. n. 286 del 1998. In particolare, l’appellante aveva fatto ingresso in Italia ancora minorenne, nel 2002, e il reddito da lavoro subordinato gli sarebbe indispensabile per il sostentamento -OMISSIS-, che vivono in -OMISSIS-.
Si è costituito il Ministero dell’Interno, opponendosi con atto di stile all’accoglimento dell’appello.
Con memoria versata in atti in data 9 novembre 2020, l’appellante ha ribadito l’unicità della condanna riportata, evidenziando come le altre risultanti ad un certo momento dal casellario sarebbero frutto di un errore in forza del quale gli sarebbero stati ascritti i reati di furto commessi da un compagno della comunità per minori ove era stato collocato al momento dell’ingresso in Italia. All’udienza dell’11 dicembre 2020, svoltasi con modalità da remoto ai sensi dell’art. 25, comma 2, del decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

2. Il Collegio ritiene l’appello infondato.
3. Il provvedimento del Questore di Alessandria oggetto dell’odierna controversia motiva il diniego con l’esistenza della sola condanna penale per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, nr. 309, senza che sia stato dato rilievo ad altri procedimenti, asseritamente ascritti all’appellante per errore. Ridetta condanna, tuttavia, si palesa preclusiva del rinnovo ai sensi dell’art. 4, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, nr. 286.
4. Col proprio ricorso di primo grado, l’istante ha lamentato l’erroneità del giudizio di vincolatività del diniego, e il carattere solo apparente del bilanciamento operato fra le sue esigenze familiari e le esigenze di prevenzione evincibili dalla suindicata vicenda penale.
5. Rileva tuttavia il Collegio come per giurisprudenza assolutamente univoca, “le condanne in materia di stupefacenti sono “automaticamente” ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno all’extracomunitario, qualunque sia la pena detentiva riportata e non rilevando la concessione della sospensione condizionale, ai sensi del chiaro disposto dell’art. 4 comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e ciò per il grave disvalore che il legislatore attribuisce ai reati in questione ai fini della tutela della sicurezza pubblica” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 20 ottobre 2016, n. 4395; id., 26 febbraio 2016, n. 797; 10 aprile 2015, n. 1841; 24 febbraio 2015, n. 919). In altre parole, in presenza di siffatte condanne, anche solo una, non residua alcuna sfera di discrezionalità in capo all’Amministrazione, che deve dare immediata applicazione al disposto normativo (Cons. Stato, Sez. III, 1 agosto 2014, n. 4087).
6. La Corte Costituzionale ha giudicato non in contrasto con l’art. 3 Cost. la disposizione sull’automatismo del rifiuto del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, qualora lo straniero extracomunitario abbia riportato una condanna per un reato inerente agli stupefacenti, sottolineando la non manifesta irragionevolezza di tale previsione, anche perché detta ipotesi delittuosa, tra l’altro, spesso implica “contatti, a diversi livelli, con appartenenti ad organizzazioni criminali” (sentenza n. 148 del 2008). Tale principio è stato ribadito, poi, nella pronuncia del 12 dicembre 2014, n. 277, ove la Corte analizza le ragioni di un sistema espulsivo calibrato in funzione di “tipologie” di reati.
7. Nel caso in esame, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, non assume neppure rilievo il principio secondo cui l’automatismo delle cause ostative viene meno e dà luogo, al suo posto, ad una valutazione discrezionale, che opera solo quando sussistano gli speciali presupposti indicati dalla nuova formulazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, ed ulteriormente inciso dal dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale 18 luglio 2013, n. 202. La norma infatti riguarda l’extracomunitario che ha esercitato il ricongiungimento familiare o sia familiare ricongiunto, con riferimento al quale l’eventuale diniego del permesso di soggiorno o del suo rinnovo non discende automaticamente dalla presenza di una causa ostativa (quale ad es. le condanne penali), ma deve essere sempre preceduto da una valutazione discrezionale che tenga conto dell’interesse dello straniero e della sua famiglia alla conservazione dell’unità familiare, in comparazione con quello della comunità nazionale ad allontanare un soggetto socialmente pericoloso. Tale disciplina di maggior favore per lo straniero, benché riferita dalla succitata normativa allo straniero che abbia usufruito di una procedura di ricongiungimento familiare, deve essere applicata, per necessità logico-giuridica, in tutti i casi in cui vi sia un nucleo familiare la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo ad una procedura di ricongiungimento, non rilevando in contrario che tale procedura in effetti non vi sia stata, essendosi il nucleo familiare costituito o ricostituito senza aver dovuto ricorrervi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2016, nr. 1837; nello stesso senso, Cons. Stato, sez. III, 26 agosto 2014, nr. 4325). In sintesi, la giurisprudenza della Sezione ha già chiaramente statuito che la legittimità del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per la pregressa condanna per reati ostativi la giurisprudenza consegue al fatto che la valutazione sulla pericolosità sociale è stata eseguita “a monte” dallo stesso legislatore: ne consegue che nelle ipotesi tipizzate non è necessaria alcuna autonoma valutazione da parte del Questore sulla pericolosità sociale del cittadino straniero (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, 21 gennaio 2019, n. 494; id., 26 giugno 2015, n. 3210). Solo se sussistono vincoli familiari il Questore deve operare il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla vita familiare del cittadino straniero.
8. Sotto tale profilo, tuttavia, il Collegio osserva che la richiesta dell’istante non è in alcun modo connessa all’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare per l’esistenza di vincoli o legami familiari nel territorio nazionale, stante che egli stesso ammette che i propri familiari sono rimasti in -OMISSIS-.
9. Né infine può essere di aiuto il richiamo alla normativa sui soggiornanti di lungo periodo, stante che la Corte Costituzionale – allorché ha considerato applicabile il principio secondo cui l’art. 9 del d.lgs. n. 286/1998 esige che l’eventuale diniego di rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo sia sorretto da un giudizio di pericolosità sociale dello straniero, con una motivazione fondata anche sulla durata del soggiorno nel territorio nazionale e sull’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, escludendo l’operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penali riportate – si è riferita unicamente ai casi in cui si tratti della richiesta della carta di soggiorno di lungo periodo, e cioè ai casi in cui vi sia stata una specifica domanda in tal senso (cfr. Cons. Stato, III, n. 950/2017; n. 5014/2016; n. 4470/2015). Nel caso in esame, non si tratta dell’impugnazione di un provvedimento che ha esaminato la sussistenza dei requisiti per il rilascio della carta di soggiorno di lungo periodo, sicché non può applicarsi all’appellante l’interpretazione “costituzionalmente orientata” prefigurata dalla citata ordinanza n. -OMISSIS-.
10. Alla luce dei superiori rilievi, si impone una decisione di reiezione dell’appello, con la conferma della sentenza di primo grado.
11.In considerazione della mancanza di difese scritte da parte dell’Amministrazione nel presente grado, può disporsi la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso dalla Sezione Terza del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2020, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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