Nel delitto di atti persecutori che ha natura di reato abituale di evento

Corte di Cassazione, penale, Sentenza 15 ottobre 2020, n. 28682.

Nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte – elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa – potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione.

Sentenza 15 ottobre 2020, n. 28682

Data udienza 25 settembre 2020

Tag – parola chiave: Atti persecutori ex art. 612 bis cp – Estensione della querela anche per i fatti commessi dopo la presentazionedella querela – Reato abituale di danno – Consumazione nel momento del compimento delle condotte tipiche – Dolo generico – Esclusione del beneficio della sospensione condizionale della pena

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASA Filippo – Presidente

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – rel. Consigliere

Dott. TALERICO Palma – Consigliere

Dott. ALIFFI Francesco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato al (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/11/2018 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. TERESA LIUNI;
udito il Procuratore generale, Dr. PERELLI SIMONE, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
L’avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia della parte civile (OMISSIS), conclude chiedendo il rigetto del ricorso e deposita conclusioni scritte e nota spese.
Il difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS) del foro di Torino, si riporta ai motivi del ricorso e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9/2/2018, la Corte di appello di Torino – giudicando in sede di rinvio della Cassazione – in riforma della sentenza del Tribunale di Aosta del 26/5/2016, ha ridotto ad un anno la pena inflitta a (OMISSIS), confermando l’accertamento di responsabilita’ dell’imputato per il reato ex articolo 612 bis c.p. in danno della moglie separata (OMISSIS), per i vari episodi di aggressione ed atti persecutori elencati nel capo di imputazione, commessi in (OMISSIS).
E’ stata altresi’ confermata la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla (OMISSIS), costituitasi parte civile, con provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 10.000 e rifusione delle spese per la costituzione e difesa in giudizio.
1.2. La Corte ha disatteso i motivi di appello avanzati dalla difesa del (OMISSIS) in ordine all’affermazione di responsabilita’ per il contestato delitto, del quale si sosteneva la carenza di prova tanto dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo; e’ stato altresi’ respinto il gravame in punto di invocazione delle circostanze attenuanti generiche e della provocazione, essendosi soltanto ridimensionata la pena nei termini sopra indicati, senza concessione del beneficio della sospensione condizionale attesa la reiterazione ossessiva di atti persecutori, anche durante l’applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi di impugnazione.
2.1. Si lamenta violazione di legge, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), con riferimento all’articolo 612 bis c.p. e articolo 336 c.p.p., in relazione all’insussistenza della condizione di procedibilita’.
Rileva il ricorrente l’irritualita’ della querela sporta il giorno 5 agosto 2015 dalla (OMISSIS), la cui firma era stata autenticata dal sostituto processuale del difensore della persona offesa, a cio’ non legittimato, come aveva statuito questa Corte nella sentenza di annullamento del 21/12/2017. Tuttavia, anche le querele sporte direttamente dalla persona offesa – in data 11/12/2014 e 8/4/2015 – sarebbero irrituali perche’ precedenti al perfezionarsi del reato in contestazione, in quanto a quelle date non si era ancora verificato l’evento di danno o di pericolo descritto dall’articolo 612 bis. c.p. (nel primo caso, alternativamente, l’alterazione delle abitudini di vita della vittima o l’induzione di un perdurante stato di ansia o paura; nel secondo caso il fondato timore per l’incolumita’ della vittima stessa o di un prossimo congiunto), ma semmai differenti fattispecie di reato.
Ritiene percio’ il ricorrente che la portata estensiva delle querele non si sia prodotta nel caso in esame, poiche’ gli atti persecutori si sono perfezionati successivamente, sicche’ dette querele sono state intempestive e non sono valse come condizione di procedibilita’ per un reato non ancora commesso.
2.2. Con il secondo motivo di impugnazione si deducono violazione di legge e correlato vizio di motivazione in ordine alla mancanza di prova dell’elemento oggettivo del reato, inteso come evento e nesso di causalita’ con le condotte contestate. Il reato risulta supportato soltanto dalle generiche affermazioni della (OMISSIS) attestanti un suo stato di ansia. Tale situazione era pero’ riconducibile non all’azione dell’imputato, bensi’ al contesto di alta conflittualita’ della separazione coniugale in corso tra il (OMISSIS) e la denunciante, con gravi conseguenze sull’affidamento dei figli minori e sulle condizioni economiche della famiglia. E infatti dalla consulenza di parte della persona offesa emergerebbe uno stato psicopatologico determinato dalla separazione coniugale, gia’ in atto prima dei fatti contestati al (OMISSIS). Ne’ sarebbe tranquillizzante l’assunto della Corte territoriale, per cui l’azione dell’imputato aveva enfatizzato ed accresciuto il pregresso stato di malessere della (OMISSIS), poiche’ l’evento del reato ex articolo 612 bis c.p. non puo’ consistere in un mero aggravamento di una condizione psicopatologica preesistente. Difetta pertanto la prova del nesso di causalita’ tra l’azione del (OMISSIS) e lo stato di ansia lamentato dalla (OMISSIS).
Ulteriori conferme di cio’ trae il ricorrente dall’assoluzione conseguita dal medesimo imputato per il reato di cui all’articolo 572 c.p. contestato per fatti analoghi commessi in costanza del rapporto matrimoniale.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione si deducono violazione di legge e correlato vizio di motivazione in ordine alla mancanza di prova dell’elemento soggettivo del reato, essendo carente la consapevolezza da parte dell’imputato dell’effetto destabilizzante delle sue condotte sulla psiche della moglie in corso di separazione, nonche’ dovendosi considerare anche lo stato di esasperazione e frustrazione del (OMISSIS) per l’andamento della vicenda, sicche’ le sue condotte non erano dirette a cagionare l’evento tipico, ma erano scaturite da tale condizione particolare.
2.4. Con gli ultimi motivi di impugnazione, si deducono violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla negazione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante della provocazione. Quanto a quest’ultima, si ritiene che non sia necessaria una reazione immediata al fatto ingiusto altrui, nella specie potendosi invocare lo stillicidio delle condotte gravemente dannose della moglie in danno del (OMISSIS), tali da vanificare la condizione economica che egli aveva assicurato alla famiglia. Le attenuanti generiche erano state negate per l’ulteriore condotta molesta – affermata dalla (OMISSIS) – mentre era in corso la misura cautelare del divieto di avvicinamento: la circostanza dunque potrebbe rilevare soltanto in sede cautelare, e non nel giudizio di merito. Ne’ si era ritenuto di valorizzare a tal fine la gia’ descritta condizione di fragilita’ del (OMISSIS) durante la vicenda della separazione.
Infine, si censura che la determinazione del trattamento sanzionatorio in un anno di reclusione sia stata sostanzialmente immotivata, per essere sorretta dal mero richiamo all’articolo 133 c.p..
3. Con articolata memoria del 4 settembre 2020, il patrono della parte civile (OMISSIS) si e’ espresso a sostegno della declaratoria di inammissibilita’, o quanto meno del rigetto del ricorso, illustrando partitamente le argomentazioni a confutazione di ciascuno dei motivi di impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato nel primo motivo, ed inammissibile per gli ulteriori motivi di impugnazione, costituenti mera reiterazione di doglianze gia’ proposte con i motivi di gravame e disattese con corrette argomentazioni giuridiche e congrui rilievi fattuali.
1.1. Il tema della condizione di procedibilita’ e’ stato correttamente affrontato e risolto nell’impugnata sentenza, che si e’ richiamata al criterio dell’estensione della querela a tutti gli atti che integrano il delitto ex articolo 612 bis c.p., anche se commessi successivamente alla presentazione della medesima, come aveva rilevato anche la sentenza rescindente di questa Corte (Sez. 5, n. 1930 del 21/12/2017, dep. il 2018), formulando il principio di diritto al quale doveva attenersi il giudice del rinvio.
Deve infatti ribadirsi che il delitto di atti persecutori configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni (Sez. 5, n. 16977 del 12/02/2020, Rv. 279178; n. 17000 del 11/12/2019, dep. 2020, Rv. 279081), sicche’ cio’ che rileva non e’ la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilita’ quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, Rv. 275381). Tale struttura del reato si riflette nell’operativita’ della condizione di procedibilita’, con la conseguenza che nell’ipotesi in cui la reiterazione concerna anche condotte poste in essere dopo la proposizione della querela, la condizione di procedibilita’ si estende a queste ultime, le quali, unitariamente considerate con le precedenti, integrano l’elemento oggettivo del reato (Sez. 5, n. 31996 del 05/03/2018, Rv. 273640).
A tal fine non e’ necessario che i primi episodi denunciati gia’ integrino compiutamente e in se’ esauriscano il delitto ex articolo 612 bis c.p., essendo sufficiente che assumano un rilievo penale, e in ordine ad essi vi sia la richiesta di intervento punitivo da parte della vittima: la qualificazione delle condotte, unitariamente considerate, resta poi affidata agli organi giurisdizionali, in primis al Pubblico ministero quale organo dell’accusa, che valuteranno se il comportamento globale diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio, qualora il disagio accumulato dalla persona offesa a seguito dei singoli e ripetuti episodi degeneri in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall’articolo 612 bis c.p..
1.2. Cio’ e’ accaduto nella vicenda in esame, in cui la (OMISSIS) ha sporto varie querele, le prime personalmente e l’ultima – quella giudicata irrituale – con atto la cui firma era stata autenticata da difensore non legittimato.
Le condotte indicate nell’imputazione devono dunque considerarsi nel loro insieme, in presenza di due valide condizioni di procedibilita’, rispettivamente in data 11/12/2014 e 8/4/2015, che consentono di valorizzare ai fini della compiuta individuazione dell’articolo 612 bis c.p. anche le condotte integrate successivamente ad esse, come hanno affermato le richiamate pronunce di legittimita’.
Peraltro, non e’ esatto affermare che all’epoca di consumazione degli episodi denunciati con le due rituali querele non si fosse gia’ verificato l’evento tipico del reato ex articolo 612 bis c.p., avendo gia’ i primi ripetuti episodi ingenerato nella persona offesa quello stato di ansia e paura costituente appunto uno degli esiti delle condotte persecutorie, come rilevavano i giudici di appello osservando che a causa dell’agitazione accumulata per questi fatti la (OMISSIS) aveva dovuto farsi visitare al Pronto soccorso.
Il tema sara’ ripreso infra, trattando del rapporto di causalita’ tra l’azione del (OMISSIS) e lo stato di ansia lamentato dalla (OMISSIS), ma lo si introduce fin d’ora ai limitati fini della verifica della validita’ e dell’estensione delle condizioni di procedibilita’.
Invero, nell’impugnata sentenza si legge che la persona offesa seguiva gia’ dal novembre 2014 un programma di psicoterapia per fronteggiare lo stato di ansia derivante dal conflittuale epilogo coniugale, e non a caso nel novembre 2014 (epoca in cui si situano le prime due aggressioni denunciate) la donna aveva sentito la necessita’ di un supporto psichiatrico per affrontare la situazione.
Come correttamente hanno rilevano i giudici di appello, nelle querele del dicembre 2014 e dell’aprile 2015 la (OMISSIS) gia’ aveva accusato il marito di condotte rilevanti ex articolo 612 bis c.p..
Pertanto, l’eccepito vizio processuale risulta infondato.
2. Come si e’ anticipato, gli ulteriori motivi sono inammissibili, per essere reiterativi di doglianze gia’ proposte al vaglio dei giudici di secondo grado e da questi correttamente e motivatamente disattese.
In sintesi, la pretesa mancanza di prova dell’elemento oggettivo del reato, inteso come evento e nesso di causalita’ con le condotte contestate, e’ del tutto infondata: le plurime denunce della vittima e la consulenza psichiatrica in atti, attestante un disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso misti, sono indici eloquenti della relazione diretta tra gli episodi di aggressione e violenza riportati nel capo di imputazione e le conseguenze sulla salute mentale della (OMISSIS), cosi’ da integrare l’evento del contestato delitto nella forma dell’induzione di un perdurante stato di ansia o paura, obiettivato nella diagnosi dello specialista psichiatra (risalente al 22/5/2016, epoca successiva agli episodi in esame), che lo connetteva ad eventi recenti e lo considerava compatibile con gli episodi di persecuzione riferiti dalla vittima.
Tale conclusione non risente di una eventuale preesistenza di un embrionale analogo disagio che la (OMISSIS) potrebbe aver avvertito nelle fasi finali della vicenda coniugale – esitata per il profilo giudiziario, nella condanna, e non nell’assoluzione, del (OMISSIS) per i delitti aggravati di minaccia e lesioni, e nella dichiarazione di responsabilita’ civile per il reato ex articolo 572 c.p. in danno della moglie, come da sentenza di questa Corte, Sez. 6, n. 8813 del 23/1/2020 – poiche’ in questa sede rileva la certa ricollegabilita’ del diagnosticato disturbo conclamato della donna alle specifiche azioni del ricorrente, il cui macroscopico carattere molesto e’ stato accertato nella sentenza impugnata, con le quali vi e’ un evidente nesso temporale e causale.
In logica derivazione, deve altresi’ rilevarsi l’infondatezza della esclusione dell’elemento soggettivo del reato, per la pretesa carente consapevolezza dell’imputato dell’effetto destabilizzante delle sue ripetute condotte sulla psiche della moglie. Sul punto, deve darsi continuita’ all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui “nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l’elemento soggettivo e’ integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volonta’ di porre in essere piu’ condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneita’ a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualita’ del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte – elemento non previsto sul fronte della tipicita’ normativa – potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, Pm in proc. A., Rv. 265230). E, come hanno coerentemente osservato i giudici di appello, la reiterazione ossessiva delle condotte aggressive e le manifeste ed inequivocabili reazioni della vittima (rifiuto di incontrare il (OMISSIS), richieste di intervento di amici e parenti, ricorso alle forze dell’ordine, plurime querele, manifestazioni di paura) devono senz’altro avere indotto nell’imputato la consapevolezza dell’effetto destabilizzante delle sue condotte, ad onta di ogni contraria affermazione di quest’ultimo.
Ne’ l’allegato stato di esasperazione e frustrazione del (OMISSIS) derivante dall’infausto epilogo coniugale puo’ incidere sul dolo nel senso di escluderlo: correttamente la Corte ha ricondotto tale profilo ad una condizione psicologica attinente al movente ritorsivo e punitivo della condotta, cosi’ facendo corretta applicazione del principio per cui in tema di atti persecutori l’elemento soggettivo del reato non deve essere confuso con i motivi dell’azione criminosa, i quali restano fuori dalla sfera del dolo generico.
3. Con gli ulteriori motivi di ricorso si e’ censurata la negazione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante della provocazione.
Per quest’ultima, che intendeva valorizzare lo stillicidio delle condotte gravemente dannose della moglie in danno del (OMISSIS), tali da vanificare la condizione economica che egli aveva assicurato alla famiglia, la prospettazione del ricorrente tradisce una evidente inversione dei ruoli, priva di ogni substrato probatorio, che e’ stata correttamente stigmatizzata dalla Corte territoriale, che ha negato la ricorrenza della provocazione con considerazioni logiche saldamente ancorate ai dati fattuali e quindi inattaccabili in questa sede di legittimita’.
Quanto alle invocate circostanze attenuanti generiche, si ribadisce che la concessione o il diniego costituiscono l’esplicazione di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale non e’ tenuto in particolare a motivare il diniego ove, in sede di conclusioni, non sia stata formulata specifica istanza con l’indicazione delle ragioni atte a giustificarne il riconoscimento (Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Boateng, Rv. 276044). Nel caso in esame, peraltro, la Corte di appello ha espressamente motivato il diniego, indicando la pervicacia del (OMISSIS), il quale pur dopo la condanna di primo grado aveva violato il divieto di avvicinamento alla (OMISSIS), cosi’ rendendo necessario l’aggravamento della misura cautelare. Tale condotta, contrariamente alle asserzioni del ricorrente, non rileva soltanto sul piano cautelare, ma anche su quello delle determinazioni di merito, e ben puo’ essere assunta a indice negativo in ordine all’invocato beneficio, rientrando nei parametri elencati nell’articolo 133 c.p. sotto specie di manifestazione di particolare intensita’ del dolo e di protrazione della condotta molestatrice. Per queste ragioni, peraltro, la Corte territoriale ha escluso la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, ravvisando l’impossibilita’ di una prognosi di futura astensione dal delitto, apprezzamento coerente con i dati fattuali della vicenda e anch’esso inattaccabile in sede di legittimita’. Trattasi dunque di motivi manifestamente infondati.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con le conseguenze di legge in ordine all’imputazione delle spese processuali, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..
L’imputato va altresi’ condannato alla rifusione delle spese sopportate dalla costituita parte civile in questo grado di giudizio, liquidate – in relazione alle voci indicate nella nota depositata, nonche’ in considerazione dell’attivita’ effettivamente svolta e delle questioni trattate – nella misura di Euro 4.000,00, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articoli 12 e 16, come modificato dal Decreto Ministeriale n. 37 del 2018, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sopportate nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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