Nel concetto di invalidità del licenziamento del dirigente

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 8 gennaio 2020, n. 148.

La massima estrapolata:

Nel concetto di invalidità del licenziamento del dirigente non può ricondursi l’ipotesi di “ingiustificatezza” di fonte convenzionale, cui consegue la tutela meramente risarcitoria dell’indennità supplementare. Quest’ultima si collega ad un atto incontestatamente e pacificamente valido, che incide in termini solutori sul rapporto di lavoro. A ciò consegue che l’ambito di applicabilità oggettiva dell’art. 32, secondo comma, legge n. 183/2010 non può che riferirsi alle ipotesi di stretta invalidità (rectius nullità) menzionate dall’art. 18, comma 1, St. Lav. come modificato.

Sentenza 8 gennaio 2020, n. 148

Data udienza 10 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 2208/2017 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro elettivamente domiciliata (OMISSIS), presso lo dell’avvocato (OMISSIS) Legale (OMISSIS)), rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3977/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/07/2016 R.G.N. 2912/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/10/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbito il resto;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. L’ing. (OMISSIS), gia’ dirigente della (OMISSIS) s.p.a., licenziato il 29 agosto 2012, agiva per il riconoscimento della “ingiustificatezza” del recesso intimatogli dalla datrice di lavoro e per il pagamento dell’indennita’ supplementare ex articolo 19 CCNL Dirigenti Aziende Industriale, unitamente ad altre connesse pretese (differenze dell’indennita’ di preavviso e premio di produzione), che in questa sede piu’ non rilevano, essendosi formato il giudicato interno sulle relative statuizioni di rigetto.
2. Sull’impugnativa del licenziamento, il Giudice del lavoro del Tribunale di Velletri rilevava l’intervenuta decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 1, non avendo il lavoratore provveduto ad impugnare il recesso nei termini previsti dalla citata norma.
3. L’appello proposto dal dirigente veniva accolto dalla Corte d’appello di Roma che, con sentenza n. 3977/2016, riformando sul punto la pronuncia di primo grado, dichiarava tempestiva l’impugnativa e privo di giustificatezza il licenziamento intimato dalla societa’ datrice di lavoro, che veniva condannata al pagamento dell’indennita’ supplementare di cui all’articolo 19 CCNL pro tempore vigente nella misura di Euro 196.109,82, oltre accessori.
3.1. Quanto al regime della decadenza, prevista nei termini di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento e di ulteriori 180 giorni per la proposizione di ricorso giurisdizionale, la Corte di appello, pur rilevando che la L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2, aveva esteso il relativo regime a tutti i casi di invalidita’ del licenziamento e che tale estensione riguardava anche i dirigenti, come affermato da Cass. n. 22627/2015, osservava tuttavia che l’istituto non poteva che riguardare i soli casi di difformita’ del licenziamento dal modello legale, in quanto la patologia dell’invalidita’ comprende i licenziamenti nulli perche’ contrastanti con specifici divieti di legge, inefficaci perche’ verbali (in violazione della L. n. 604 del 1966, articolo 2, comma 1), privi di giusta causa o di giustificato motivo o anche soltanto viziati dal mancato rispetto delle regole procedimentali di cui all’articolo 7 Stat. lav.; in tutti questi casi si tratta sempre di ipotesi in cui l’atto espulsivo datoriale, al di la’ delle tutele offerte dall’ordinamento, piu’ o meno intense, (dalla reintegrazione ad indennizzi monetari variamente graduati, tutele peraltro nel tempo piu’ volte rivisitate), si pone in contrasto con norme di legge, sia essa la L. n. 604 del 1966, siano fonti ad essa successive. In nessun caso puo’ invece qualificarsi come invalido il licenziamento del dirigente privo di “giustificatezza” a norma dei contratti collettivi di settore (nel caso in esame, dall’articolo 22 del CCNL Dirigenti Imprese industriali), poiche’ in questo caso l’illecito e’ solo convenzionale e l’atto che lo riflette integra soltanto un inadempimento contrattuale, cosi’ come di esclusiva regolamentazione contrattuale e’ la tutela in tal caso apprestata.
3.2. La Corte di appello concludeva che la decadenza L. n. 604 del 1966, ex articolo 6 e L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2, non opera in questa evenienza, essendo l’istituto di stretta interpretazione, insuscettibile di applicazione estensiva.
3.3. Esaminando nel merito la domanda proposta dal dirigente, osservava che non risultava dimostrata in giudizio, quanto meno nella parte specificamente riferita alla funzione aziendale di cui era responsabile il ricorrente, la prospettata ristrutturazione aziendale, che la societa’ aveva addotto per far fronte alla drastica modifica dello scenario economico di riferimento e all’inversione del trend di crescita dell’intero gruppo, leader mondiale del comparto dell’elettronica per la difesa. Osservava che la prospettata revisione organizzativa della funzione Program Management, la cui posizione apicale era occupata dal (OMISSIS) e che sarebbe stata in esubero, non aveva trovato riscontro in giudizio, alla stregua dell’esame degli organigrammi aziendali e in assenza di documentazione ulteriore, non offerta dall’azienda, sulla quale gravava il relativo onere probatorio.
3.4. In conclusione al dirigente spettava l’indennita’ supplementare, determinabile in quindici mensilita’, aumentata a diciotto mensilita’ per l’eta’ anagrafica.
4. Per la cassazione di tale sentenza la (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso il Dott. (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e segg., L. n. 604 del 1966, articolo 6, L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2 (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la sentenza errato, da un lato, nell’interpretazione del ricorso introduttivo laddove il dirigente aveva allegato anche la natura ritorsiva o discriminatoria del licenziamento chiedendo l’accertamento della sua nullita’, dall’altro, nell’interpretazione della portata applicativa della fattispecie della decadenza, essendosi la Corte di appello discostata dai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimita’ (Cass. n. 22627 del 2015), il cui orientamento consente di superare la questione relativa alla applicabilita’ o meno dell’istituto a seconda delle ragioni poste a fondamento dell’illegittimita’ del recesso, siano esse la nullita’, l’invalidita’ o la mera ingiustificatezza del recesso.
1.1. Si osserva che sui concetti di invalidita’ e giustificatezza la Corte d’appello non aveva tenuto conto di quanto osservato dalla societa’ resistente in primo grado e precisamente che l’ingiustificatezza e’ un concetto di creazione giurisprudenziale e quindi come tale non puo’ costituire una categoria giuridica a se’ stante; che trattandosi di ipotesi patologica di illegittimita’ del licenziamento, essa non puo’ che essere ricondotta nell’ambito della categoria giuridica della invalidita’; che la questione poi se l’impugnativa del licenziamento debba essere attuata nel termine di decadenza legale solo nel caso in cui l’illegittimita’ dell’atto incida o meno sulla continuita’ del rapporto di lavoro, trattasi di questione ormai superata dalla luce del nuovo testo della L. n. 300 del 1970, articolo 18 e delle ulteriori modifiche al sistema di tutela dei lavoratori introdotte con il c.d. Jobs Act, secondo cui la regola del sistema di tutela del lavoratore e’ prima di tutto quella indennitaria e solo in casi particolari quella reale della reintegrazione nel posto di lavoro; che, in altri termini, la distinzione tra invalidita’ e giustificatezza, oggi, alla luce delle modifiche attuate dall’articolo 18, deve ritenersi venuta meno, tanto piu’ che costituirebbe una disparita’ di trattamento ingiustificata ritenere che il lavoratore di livello inferiore al dirigente debba impugnare il licenziamento nel termine previsto anche quando invoca la tutela indennitaria, mentre non debba farlo il dirigente.
2. Il secondo motivo denuncia nullita’ della sentenza per manifesta e/o irriducibile contraddittorieta’ e o mera apparenza della motivazione (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) nella parte in cui, dopo avere correttamente osservato che la patologia dell’invalidita’ comprende i licenziamenti nulli, era giunta alla conclusione illogica e contraddittoria della inapplicabilita’ della decadenza L. n. 604 del 1966, ex articolo 6 e L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2.
3. Il terzo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere la sentenza tenuto conto della dettagliata descrizione della riorganizzazione aziendale contenuta nella memoria difensiva di primo grado, riportato in ricorso (da pagina 13 a pagina 22).
Si sostiene che i giudici di secondo grado, se avessero tenuto conto delle allegazioni svolte in tale memoria difensiva in ordine alla riorganizzazione aziendale, avrebbero dovuto affermare che licenziamento intimato al ricorrente era legittimo e giustificato perche’ connesso ad un’operazione di riorganizzazione effettiva e non pretestuosa, che aveva visto depotenziare l’ufficio diretto dal Dott. (OMISSIS) con riduzione totale della funzione gestoria apicale prima ritenuta necessaria, con l’eliminazione della postazione lavorativa del ricorrente.
4. Il ricorso e’ infondato e va pertanto respinto.
5. Con riguardo al primo motivo, attinente alla estensibilita’ al licenziamento del dirigente affetto da ingiustificatezza del termine decadenziale introdotto dall’articolo 32 del Collegato Lavoro, valgono le osservazioni che seguono.
5.1. La L. n. 604 del 1966, articolo 6, nel testo antecedente alla novella L. n. 183 del 2010, ex articolo 32, comma 1, disponeva che il licenziamento dovesse essere impugnato, a pena di decadenza, anche in sede extragiudiziale, entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione. Tale regime era pacificamente ritenuto inapplicabile ai dirigenti che agissero per la condanna datoriale al pagamento dell’indennita’ supplementare prevista dal contratto collettivo, in quanto si trattava di categoria di prestatori sottratta alle norme limitative dei licenziamenti individuali poste dalla L. n. 604 del 1966 (cfr. ex multis, Cass. n. 1641/1995, n. 20763 del 2012).
5.2. Deve ricordarsi che, fino al 2010, la disciplina contemplata nella L. n. 604 del 1966 (fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 4) non e’ stata applicata ai dirigenti, sulla base di quanto stabilito dall’articolo 10 della medesima normativa. In forza di tale esclusione ex lege, per questa categoria di lavoratori non e’ mai sussistito l’obbligo di impugnare il recesso secondo il regime decadenziale previsto L. n. 604 del 1966, ex articolo 6. Di conseguenza, si e’ attestata l’uniforme e pacifica interpretazione dei giudici di merito e di legittimita’: le tutele della prima legge sui licenziamenti individuali sono state estese ed applicate soltanto ai cc.dd. pseudo-dirigenti.
5.3. La citata L. n. 183, articolo 32, al comma 1, ha sostituito della L. n. 604, articolo 6 e, nel ribadire il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione extragiudiziale del licenziamento, prevede ora il termine ulteriore di 180 giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale. Al predetto articolo 32, comma 2, e’ previsto che le disposizioni di cui della L. n. 604, citato articolo 6, si applicano “anche a tutti i casi di invalidita’ del licenziamento”.
5.4. Dunque, il Collegato Lavoro, all’articolo 32, comma 2, ha previsto l’estensione della decadenza in tema di licenziamento anche a tutti i casi di invalidita’. Il termine invalidita’ ha un significato preciso, che presuppone che l’atto sia inficiato nella sua validita’ per un vizio intrinseco derivante dal discostamento dal modello legale o per effetto di una previsione legale che colleghi alla mancanza di requisiti che devono caratterizzare l’atto la conseguenza della invalidita’ (come per il licenziamento: articolo 2119 c.c.). La L. n. 183 del 2010, ha cosi’ inteso ricomprendere nell’ambito del regime caducatorio disciplinato ex novo rispetto alla L. n. 604 del 1966, articolo 6, casi di nullita’ e, in generale, di invalidita’ esterni alla L. n. 604 del 1966.
6. Il licenziamento del dirigente originariamente era tutelato dal divieto del licenziamento discriminatorio e ritorsivo (colpito da nullita’: della L. n. 604 del 1966 cit., articoli 2 e 4), lasciando la normativa immutato il regime di libera recedibilita’ come criterio generale, salva sempre la possibilita’ per la contrattazione collettiva di introdurre un regime di controllo delle ragioni del licenziamento individuale.
6.1. Ai limiti di tutela ha posto, quindi, in qualche misura, rimedio la contrattazione collettiva col prevedere, generalmente, che nei casi in cui non sussista la giustificatezza del licenziamento, ferma la validita’ e l’efficacia del recesso, al dirigente spetta una speciale indennita’ supplementare di carattere risarcitorio.
6.2. Soltanto con la L. n. 92 del 2012, nella nuova formulazione dell’articolo 18, comma 1, i dirigenti sono stati per la prima volta destinatari di una tutela piena per le ipotesi anche ad essi applicabili di nullita’ del licenziamento perche’ discriminatorio ai sensi della L. 11 maggio 1990, n. 108, articolo 3, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del codice delle pari opportunita’ tra uomo e donna, di cui al Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’, di cui al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e successive modificazioni, ovvero perche’ riconducibile ad altri casi di nullita’ previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 c.c..
7. Con la sentenza 22627/2015, questa Corte ha affermato che “i suddetti termini di decadenza e di inefficacia dell’impugnazione devono trovare applicazione quando si deduce l’invalidita’ del licenziamento, come nella specie, prospettandone la nullita’ in quanto discriminatorio, non assumendo rilievo la categoria legale di appartenenza del lavoratore”. A questa decisione la Corte di Cassazione e’ pervenuta rilevando che “la ratio della disciplina introdotta dalla L. n. 604 del 1966, articolo 6, in combinato disposto con la L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2, si rinviene nell’esigenza di garantire la speditezza dei processi attraverso la previsione di termini di decadenza ed inefficacia in precedenza non previsti, in aderenza e non in contrasto con l’articolo 111 Cost.. Il legislatore ha cosi’ operato, facendo riferimento ad un criterio oggettivo, un non irragionevole bilanciamento tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa del lavoratore”.
7.1. Secondo la Corte “la ratio della disciplina introdotta dalla L. n. 604 del 1966, articolo 6, in combinato disposto con la L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2, e’ coerente con l’ottica di tutela del datore di lavoro in relazione all’esigenza di conoscere in un tempo sufficientemente breve i rischi economici ed organizzativi connessi alla lite ed all’esigenza di garantire la speditezza dei processi attraverso la previsione di termini di decadenza ed inefficacia prima non previsti in consonanza con il principi dell’articolo 111 Cost”.
7.2. Alla luce delle considerazioni espresse da Cass. 22627/15, una volta che l’articolo 32, comma 2, ha previsto un onere di impugnativa a pena di decadenza per ogni recesso datoriale invalido – con un metro che per sua natura e’ indipendente dalla categoria legale di appartenenza del lavoratore – e’ ragionevole ritenere che la norma regoli “anche” il caso del licenziamento vietato o nullo del dirigente, identico nella disciplina (sostanziale e sanzionatoria) al corrispondente licenziamento di un impiegato o di un operaio.
7.3. Cio’ comporta che solo in virtu’ di tale estensione la disciplina della decadenza per i casi di “invalidita’” e’ stata resa applicabile ai recessi intimati ai dirigenti, una volta ritenuto che l’ambito soggettivo di applicabilita’ del regime decadenziale comprenda anche tale categoria.
7.4. L’estensione dei termini di decadenza ed inefficacia dell’impugnazione del licenziamento, disposta dalla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2, e’ ritenuta operare, in conclusione, con riguardo al dato oggettivo costituito dalla invalidita’ del licenziamento e al di fuori della limitazione posta della L. n. 604 del 1966, citato articolo 10, con riguardo alla posizione lavorativa dell’interessato.
8. Piu’ problematica e’ la questione, oggetto del presente giudizio, dell’applicabilita’ della decadenza al licenziamento del dirigente in ipotesi non riconducibile ad invalidita’ dell’atto, ma a fattispecie di mera ingiustificatezza del licenziamento, per le quali e’ dibattuto se possano operare le decadenze di legge.
8.1. Secondo l’opinione largamente prevalente, della L. n. 604 del 1966, vecchio articolo 6, si applicava ai soli recessi “interni” al sistema della stessa L. n. 604 del 1966: rimanevano, pertanto, escluse le fattispecie assoggettate a discipline particolari, quali quelle dei licenziamenti intimati a lavoratori in prova o a dirigenti (il licenziamento del dirigente privato), o posti in essere in violazione delle norme a tutela delle lavoratrici madri e che contraggono matrimonio, o quelli intimati in violazione dell’articolo 2112 c.c. e delle discipline del comporto.
8.2. La L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2 – come gia’ detto – ha esteso l’applicazione della nuova disciplina “anche a tutti i casi di invalidita’ del licenziamento”, e, dunque, anche a fattispecie “esterne” alla disciplina della L. n. 604 del 1966 e sue modifiche. Il Collegato Lavoro non ha previsto alcuna estensione ai dirigenti delle ipotesi di nullita’ del licenziamento esterne alla L. n. 604 del 1966, essendo tale estensione avvenuta soltanto con la previsione dell’articolo 18, comma 1, dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 42, cio’ che consente di ritenere che solo con tale normativa l’espressione “anche a tutti i casi di invalidita’ del licenziamento”, riferita alla disciplina della decadenza, possa essere riempita di significato anche per la categoria dei dirigenti. L’articolo 32, comma 2, del Collegato Lavoro non poteva, dunque, riferirsi, quanto alla previsione di decadenze, ai dirigenti, se non per le ipotesi di nullita’ gia’ previste per gli stessi dalla L. n. 604 del 1966 (articoli 2 e 4, quest’ultimo come modificato dalla L. n. 108 del 1990, articolo 3, che ne ha disposto espressamente l’applicabilita’ anche ai dirigenti) e solo con la L. n. 92 del 2012, che ha previsto ipotesi di nullita’ dei licenziamenti cui consegue di diritto la tutela reintegratoria anche per i dirigenti (testo novellato dell’articolo 18, comma 1, St. Lav.), risultano per questi ultimi ipotizzabili fattispecie di invalidita’ esterne alla L. n. 604 del 1966, con conseguente estensibilita’ anche ad essi del regime della decadenza di cui all’articolo 32, comma 2 del Collegato Lavoro. Questo induce a ritenere che la disciplina sulla decadenza del Collegato Lavoro non potesse nelle intenzioni del legislatore riferirsi anche alle ipotesi di mera ingiustificatezza del licenziamento dei dirigenti, se per questi ultimi non era ancora stata prevista alcuna tutela rafforzata propria di un regime di invalidita’, riguardante casi esterni alla L. n. 604 del 1966, che giustificasse il regime decadenziale introdotto, ispirato ad esigenze di certezza e di celerita’ nella stabilizzazione di conseguenze reintegratorie previste a carico del datore di lavoro.
8.3. Le considerazioni che precedono inducono ad escludere l’estensione del regime decadenziale, che dipende dal significato che si attribuisce al termine “invalidita’”, a casi che rientrano nel piu’ ampio concetto di illegittimita’, cio’ che condurrebbe a ritenere la nuova disciplina applicabile all’impugnazione di qualsiasi licenziamento. Corollario delle stesse e’, al contrario, l’attribuzione al termine invalidita’ del significato suo proprio, cui consegue l’affermazione che la norma opera solo quando il vizio sia suscettibile di determinare la demolizione del negozio e dei suoi effetti solutori.
8.4. Secondo questo Collegio, l’espressione “invalidita’” deve essere inteso in senso restrittivo, avendo riguardo ai confini della categoria di tale vizio propriamente inteso, in relazione alla rilevata incapacita’ di un atto privato contrario ad una norma di produrre effetti conformi alla sua funzione economico sociale. La nozione generalmente accolta di invalidita’ presuppone, pertanto, un atto inidoneo ad acquisire pieno ed inattaccabile valore giuridico.
8.5. L’estensione della disciplina della decadenza al di la’ dei casi di invalidita’ comporterebbe del resto un’inammissibile applicazione analogica di una norma eccezionale, che, in quanto contemplante decadenze, deve essere interpretata nell’ambito della stretta previsione normativa e non al di la’ dei casi considerati, diversamente privandosi la previsione specifica della invalidita’ di ogni portata precettiva. In altri termini, stante il principio di stretta interpretazione delle norme in materia di decadenza, non e’ possibile pervenire ad un ampliamento della portata “oggettiva” della norma in esame tale da includervi ogni ipotesi di “patologia” del licenziamento, neanche considerando la specialita’ della materia relativa all’impugnazione dei licenziamenti rispetto ai principi di diritto comune.
8.6. Dunque, nel concetto di invalidita’ non puo’ ricondursi l’ipotesi della “ingiustificatezza” di fonte convenzionale, cui consegue la tutela meramente risarcitoria dell’indennita’ supplementare. Quest’ultima si collega ad un atto incontestatamente e pacificamente valido, che incide in termini solutori sul rapporto di lavoro.
8.7. A cio’ consegue che l’ambito di applicabilita’ oggettiva della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 2, non puo’ che riferirsi alle ipotesi di stretta invalidita’ (rectius, nullita’) menzionate dall’articolo 18, comma 1, St. Lav. come modificato, essendo tale opzione interpretativa maggiormente coerente con la descritta evoluzione normativa e con i canoni interpretativi previsti dall’articolo 12 preleggi.
9. A cio’ aggiungasi che la nozione di “ingiustificatezza”, quale elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte e’ rimasta, a tutt’oggi, invariata.
9.1. Trattandosi di nozione contrattuale, il suo contenuto deve essere enucleato attraverso l’accertamento, con indagine interpretativa della clausola collettiva, con riguardo ai motivi che possono dare luogo alla giustificatezza del licenziamento del dirigente (cfr., tra e altre, Cass. 19.6.1999 n. 6169, Cass. 5.10.2002 n. 14310, 1.6.2005 n. 11691, da ultimo, Cass. 22.2.2019 n. 5372 (par. 6 delle considerazioni in diritto).
10. In senso rafforzativo dell’interpretazione qui accolta deve considerarsi la giurisprudenza che afferma l’autonomia delle due azioni, l’una avente ad oggetto la reintegrazione nel posto di lavoro ex articolo 18 St. Lav. in caso di nullita’ e l’altra diretta ad ottenere l’indennita’ supplementare, occorrendo, caso per caso, valutare la prospettazione della domanda giudiziale. E’ stato statuito da questa Corte che “In materia di rapporto di lavoro del dirigente, poiche’ ai fini della giustificatezza del licenziamento rileva qualsiasi motivo che escluda l’arbitrarieta’ del licenziamento, la domanda avente ad oggetto l’accertamento della illegittimita’ del recesso per non giustificatezza del licenziamento con condanna del datore di lavoro alla corresponsione dell’indennita’ supplementare e’ diversa da quella avente ad oggetto l’accertamento della illegittimita’ del licenziamento comminato in tronco per giusta causa e la condanna al pagamento dell’indennita’ sostitutiva del preavviso; pertanto, accolta quest’ultima per insussistenza della giusta causa, il relativo giudicato non preclude la proposizione della prima (cfr. Cass. 20.11.2000 n. 14974). Il vincolo di pregiudizialita’ logica tra le due domande proposte separatamente e’ stato ritenuto non idoneo ad annullare le intrinseche differenze delle stesse nei profili della causa petendi e del petitum.
11. Quanto alle ricadute processuali, in caso di proposizione di entrambe le azioni, e, pure in caso di comunanza del vizio, ossia della situazione che secondo la prospettazione – determinerebbe la nullita’ o, in subordine, l’ingiustificatezza, diverse sarebbero le due azioni e diverso il regime di impugnazione.
12. Applicando i suddetti principi al caso in esame, va rilevato che nessun cenno viene fatto nella sentenza impugnata ad una ipotesi di proposizione, nell’atto introduttivo del giudizio, di un’azione diversa ed ulteriore rispetto a quella volta a fare accertare l’ingiustificatezza del licenziamento per il riconoscimento della indennita’ supplementare. Di tale ulteriore domanda, la cui sussistenza e’ comunque contestata da parte del controricorrente, non vi e’ riscontro nel presente giudizio. Neppure i brevi passaggi dell’atto introduttivo trascritti nel ricorso per cassazione rivelano la proposizione (anche) di una domanda volta a fare dichiarare la nullita’ del recesso ai fini di un ordine di reintegra. E’ poi dirimente osservare che l’unica domanda accolta dal giudice di merito e’ quella intesa al riconoscimento dell’indennita’ supplementare, ossia una domanda che, per tutte le ragioni sopra illustrate, non era assoggettata al termine di decadenza di cui all’articolo 32, piu’ volte citato.
13. Il secondo motivo e’ inammissibile. Non si comprende quale sarebbe il vizio radicale che inficia la sentenza, la quale ha chiaramente distinto l’ipotesi della nullita’, che rende l’impugnativa assoggettabile al termine di decadenza, da quella della ingiustificatezza che, a differenza della prima, non rientra nell’ipotesi di invalidita’. Nessun vizio di contraddittorieta’ e’ ravvisabile nell’iter logico della sentenza.
14. Il terzo motivo e’ infondato.
14.1. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo e’ rimessa alla valutazione del datore di lavoro la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta e’ espressione della liberta’ di iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 Cost.. Tuttavia, spetta al giudice il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, per cui, se non e’ sindacabile nei suoi profili di congruita’ ed opportunita’ la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, deve pur sempre risultare in giudizio l’effettivita’ e la non pretestuosita’ del riassetto organizzativo operato.
Ne consegue che, ove il giudice accerti in concreto l’inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risultera’ ingiustificato per la mancanza di veridicita’ o per pretestuosita’ della causale addotta.
14.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha ritenuto, alla stregua degli elementi probatori ritenuti di maggiore attendibilita’ ed in particolare degli organigrammi aziendali, che la prospettata revisione organizzativa della funzione Program Management, la cui posizione apicale era occupata dal (OMISSIS) e che sarebbe stata in esubero, non aveva trovato riscontro in giudizio.
14.3. Il motivo di ricorso tende ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede, dovendosi ribadire che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013).
14.4. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha dato conto delle ragioni poste a base del decisum; la motivazione non e’ assente o meramente apparente, ne’ gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale appaiono manifestamente illogici o contraddittori. Nel contestare la soluzione cui e’ pervenuto il giudice di appello, parte ricorrente denuncia un’errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini di una alternativa ricostruzione dei fatti, con l’inammissibile intento di sollecitare una valutazione delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal giudice del merito.
15. Va pure ribadito che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, e’ invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014).
16. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, articolo 2.
17. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto del ricorso) per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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