Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|5 novembre 2024| n. 28482.
Mutuo e termine di restituzione in potestate creditoris
Massima: È compatibile con il contratto di mutuo un termine di restituzione in potestate creditoris; tuttavia, la clausola di ripetibilità ad nutum deve rispettare lo schema causale del mutuo e, dunque, non implicare un’esigibilità immediata del debito di restituzione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva accertato la correttezza della richiesta di restituzione delle somme da parte della mutuante, senza la preventiva necessità di ricorrere alla fissazione di un termine ex art. 1817 c.c.).
Ordinanza|5 novembre 2024| n. 28482. Mutuo e termine di restituzione in potestate creditoris
Data udienza 11 settembre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Mutuo – Opposizione a decreto ingiuntivo – Onere della prova – prova testimoniale – Valutazione – Criteri
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere Relatore
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliera
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 21390 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto
da
Fu.Ga. (C.F.: Omissis)
rappresentato e difeso dall’avvocato Ma.Mo. (C.F.: Omissis)
– ricorrente –
nei confronti di
Pe.Cr. (C.F.: Omissis)
rappresentata e difesa dall’avvocato Giovanni Battista Cosimini (C.F.: Omissis)
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 4959/2020, pubblicata in data 9 marzo 2020;
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio dell’11 settembre 2024 dal consigliere Augusto Tatangelo.
Mutuo e termine di restituzione in potestate creditoris
FATTI DI CAUSA
Pe.Cr. ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di Fu.Ga., per l’importo di Euro 3.000,00, sull’assunto di avergli corrisposto detta somma, a titolo di mutuo, e di non averne mai ricevuto la restituzione.
L’opposizione del Fu.Ga. è stata accolta dal Giudice di Pace di Roma.
Il Tribunale di Roma, in riforma della decisione di primo grado, l’ha invece rigettata.
Ricorre il Fu.Ga., sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso la Pe.Cr.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Mutuo e termine di restituzione in potestate creditoris
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “nullità e illegittimità della sentenza ex art. 360, co. l n 3 e 5 cpc per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 118 Disp. Att., degli artt. 112, 115, 116 e 132 cpc, dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 633 e segg. cpc. Violazione art. 23 Cost. Motivazione apparente. Violazione del principio dell’onere della prova in caso di opposizione a D.L. Errore in giudicando. Gli errores denunciati hanno influito in maniera determinante sulla decisione.”.
Il ricorrente deduce, in particolare, quanto segue: “Il ricorso viene formulato avverso la sentenza, nella parte in cui (da pag. 4 a pag. 6), nel ritenere fondato l’appello proposto da Pe.Cr. avverso la sentenza del Giudice di Pace, con ragionamento incoerente e incongruente, male interpretando ed applicando la normativa di cui al richiamato art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 633 e segg. Cpc, afferma dapprima che l’onere della prova del titolo in base al quale la medesima aveva ottenuto il D.L. era a carico della medesima Pe.Cr. e successivamente asserisce, con ragionamento contrario e opposto, che il ricorrente non ha dato prova del titolo (diverso da quello della Pe.Cr.) dedotto in giudizio a sostegno della sua opposizione a D.L. La motivazione è del tutto apparente in quanto non conforme alle regole di intima coerenza e conciliabilità delle affermazioni contenute, quale garanzia di attendibilità del giudizio di fatto a sua volta premessa di quello di diritto.
La sentenza si sottrae alla verifica della correttezza del percorso logico tra premessa-massima di esperienza-conseguenza, cioè di esattezza della massima di esperienza poi applicata, come pure alla verifica della congruità – o accettabilità o plausibilità o, in senso lato, verità – della premessa in sé considerata”.
Mutuo e termine di restituzione in potestate creditoris
Il motivo è infondato.
Il Tribunale, quale giudice d’appello, ha correttamente premesso che, pacifica la corresponsione della somma di danaro controversa, avvenuta mediante la consegna di un titolo bancario, “incombesse sulla Pe.Cr., in quanto attrice in senso sostanziale nel procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo opposto, l’onere di provare il titolo dell’erogazione”.
Ha, poi, ritenuto sufficientemente fornita tale prova sulla base: a) della deposizione testimoniale assunta nel giudizio di appello, avendo il teste escusso “integralmente confermato la versione dei fatti dell’opposta, ovvero la circostanza che quest’ultima avesse corrisposto la somma di Euro 3.000 in prestito al cognato al fine di fornirgli aiuto e che il medesimo si fosse impegnato alla restituzione dell’importo ricevuto a richiesta della mutuante”; b) dei documenti acquisiti, che confermavano la plausibilità di tale versione dei fatti, costituendo “prova dello stato di difficoltà economica in cui versava il mutuatario che avrebbe costituito il presupposto dell’erogazione del prestito”.
A mero scopo di completezza, ha, infine, aggiunto che il Fu.Ga. aveva specificamente allegato, a sostegno delle proprie difese, il diverso titolo in base al quale, a suo dire, aveva ricevuto la somma in questione (e cioè il pagamento del corrispettivo per lavori svolti in favore dell’opposta), ma non aveva fornito alcuna prova a sostengo di tale allegazione, non potendosi ritenere tale la sola fattura prodotta in giudizio e non sussistendo, evidentemente, altri elementi probatori idonei a corroborare il suo assunto.
L’articolazione delle argomentazioni logiche e giuridiche poste alla base della decisione impugnata risultano del tutto chiare ed adeguatamente esposte, oltre ad essere conformi a diritto sotto il profilo della corretta applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2697 c.c. sugli oneri probatori a carico delle parti (in particolare, essendo correttamente dapprima riscontrata la prova dei fatti costitutivi da parte dell’attrice e, poi, la carenza di quella degli impeditivi da parte del convenuto), onde la motivazione della sentenza stessa non può affatto ritenersi meramente apparente o insanabilmente contraddittoria sul piano logico, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente.
2. Con il secondo motivo si denunzia “Nullità e illegittimità della sentenza per violazione e falsa interpretazione degli artt. 2697 c.c. e 244 e segg. Cpc e degli artt. 112, 115, 116 e 132 cpc in riferimento all’art. 360 cpc, nn. 3, 4 e 5. Violazione art. 23 Cost. Non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 cpc. Insussistenza di prova idonea da parte della Pe.Cr. in relazione all’esistenza del contratto di mutuo tra la medesima e il ricorrente.
Mutuo e termine di restituzione in potestate creditoris
Inidoneità della prova testimoniale fornita dalla Pe.Cr.
Omessa disamina e valutazione dei rapporti tra la teste escussa e il ricorrente ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite. Erronea ed illegittima valutazione della attendibilità della teste escussa, tratta da elementi non coerenti. L’error denunciato ha influito in maniera determinante sulla decisione”.
Il ricorrente deduce, in particolare, quanto segue: “Il ricorso viene formulato avverso la sentenza, nella parte in cui (a pag. 6), in palese violazione e falsa ed erronea applicazione dei principi sulla prova testimoniale civile, da atto dell’esistenza di “rapporti conflittuali” tra detta teste e il ricorrente ma, nel contempo, non ne trae gli inequivocabili elementi per ritenere inattendibile la deposizione della stessa teste. La sentenza è emessa in violazione del disposto di cui agli artt. 2697 c.c. e 244 c.c., oltre che degli artt. 112, 115, 116 cpc perché non considera che, sulla base del consolidato orientamento di legittimità, la valutazione discrezionale che il giudice compie sulla prova testimoniale deve estendersi agli elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità”.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
2.1 Per quanto riguarda la corretta applicazione, da parte del Tribunale, quale giudice d’appello, delle disposizioni sull’assetto degli oneri probatori incombenti sulle parti, ai sensi dell’art. 2697 c.c., è sufficiente fare rinvio a quanto già esposto in relazione al primo motivo del ricorso.
2.2 Con riguardo ad ogni altra censura formulata con il motivo di ricorso in esame, si osserva che tali censure si risolvono nella contestazione delle valutazioni sull’attendibilità del teste escusso (sorella dell’opposta e coniuge separata dell’opponente), valutazioni che risultano, però, operate dal Tribunale sulla base di una motivazione del tutto adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sotto il profilo logico, come tale non censurabile nella presente sede, tenuto anche conto che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare, “la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; tale attività selettiva si estende all’effettiva idoneità del teste a riferire la verità, in quanto determinante a fornire il convincimento sull’efficacia dimostrativa della fontemezzo di prova” (Cass., Sez. 6 3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812 – 01; conf., ex multis: Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448 – 01; Sez. L, Sentenza n. 42 del 07/01/2009, Rv. 606413 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12747 del 01/09/2003, Rv. 566437 – 01; nel medesimo senso:
Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019, Rv. 655229 – 01) e, in particolare, che “in materia di prova testimoniale, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti, atteso che, caduto il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte cost. n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità” (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 6001 del 28/02/2023, Rv. 667002 – 01; analogamente, nel senso della insindacabilità in sede di legittimità delle valutazioni del giudice di merito adeguatamente motivate in ordine all’attendibilità dei testi, anche se legati da vincoli di parentela con le parti: Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 98 del 04/01/2019, Rv. 652214 – 02; Sez. L, Sentenza n. 17630 del 28/07/2010, Rv. 614324 – 01).
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2.3 D’altra parte, è appena il caso di osservare – quanto meno per completezza di esposizione – che le censure di violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonché 115 e 116 c.p.c., non risultano effettuate con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 – 01, 640193 – 01 e 640194 – 01; Sez. U, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, Rv. 647010 – 01, non massimata sul punto; da ultimo:
Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02: “in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione”).
3. Con il terzo motivo si denunzia “nullità e illegittimità della sentenza ex art. 360, co. 1 n. 3, 4, 5 cpc per violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 118 Disp. Att., 132, 112 cpc. Motivazione apparente. Violazione e falsa ed erronea interpretazione delle norme di cui agli artt. 2721 e 2697 c.c.; Violazione del principio dell’onere della prova in caso di opposizione a D.L. Errore in giudicando. Gli errores denunciati hanno influito in maniera determinante sulla decisione”.
Il ricorrente deduce, in particolare, quanto segue: “Il ricorso viene formulato avverso la sentenza, nella parte in cui (a pag. 5 e 6), in palese violazione e falsa applicazione dei principi di cui agli artt. 111 Cost. e 12 delle preleggi, contiene evidente anomalia motivazionale concretantesi in motivazione apparente. Il giudice di merito, alla pag. 5, ha invocato e fatto proprio il principio, in base al quale la contestazione dell’accipiens della sussistenza di una obbligazione restitutoria e la deduzione di un titolo diverso dal mutuo per la datio della somma di denaro “NON si configura quale eccezione in senso sostanziale e non vale ad invertire l’onere della prova”. Incorrendo nel vizio lamentato, alla successiva pag. 6 della sentenza, il giudice di merito asserisce invece che una tale eccezione sia di natura sostanziale e dunque debba essere provata. La motivazione risulta meramente apparente non trovandosi un riferimento logico giuridico univoco che possa sorreggere la decisione adottata. La sentenza è infine erronea ed illegittima per violazione dell’art. 2721 c.c., avendo ammesso la prova testimoniale per dimostrare l’esistenza del contratto di mutuo nonostante il divieto sancito dalla norma richiamata”.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.1 Per quanto riguarda le censure di apparenza e contraddittorietà logica della motivazione della decisione impugnata, nonché di violazione dei principi sull’assetto degli oneri probatori gravanti sulle parti, è sufficiente rinviare a quanto già osservato in relazione ai precedenti motivi del ricorso e, in particolar modo, in relazione al primo motivo.
3.2 Per quanto poi attiene alla censura di violazione dell’art. 2721 c.c., si tratta, in primo luogo, di una questione nuova, che risulta posta per la prima volta in sede di legittimità, senza che – in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. – sia precisato se, in quale fase processuale ed in quali termini fosse stata eventualmente già posta l’eccezione di inammissibilità della prova, sotto il profilo in esame, nel corso del giudizio di merito, se vi fosse stata una decisione sull’eventuale eccezione, in fase istruttoria, e se tale decisione fosse stata adeguatamente contestata in sede di precisazione delle conclusioni.
D’altra parte, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare, “in tema di prova testimoniale, i limiti di valore, sanciti dall’art. 2721 c.c., non attengono all’ordine pubblico, ma sono dettati nell’esclusivo interesse delle parti private, con la conseguenza che la prova deve ritenersi ritualmente acquisita, ove la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito l’inammissibilità in sede di assunzione o nella prima difesa successiva, senza che la relativa nullità, ormai sanata, possa essere eccepita per la prima volta nel giudizio di legittimità” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18971 del 13/06/2022, Rv. 665182 – 03; Sez. 1, Ordinanza n. 3956 del 19/02/2018, Rv. 647235 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3959 del 13/03/2012, Rv. 621403 – 01)
Mutuo e termine di restituzione in potestate creditoris
3.3 In ogni caso, l’eccezione è da ritenersi altresì infondata nel merito, in quanto, sempre secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare, “non viola l’art. 2721, comma 1, c.c. il giudice che, relativamente ad un contratto di mutuo concluso in forma orale, ammetta la prova di tale stipulazione a mezzo testimoni, allorché ritenga verosimile la conclusione orale del contratto, avuto riguardo alla sua natura ed alla qualità delle parti, nonostante il valore della lite ecceda il limite previsto dalla citata disposizione” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1751 del 24/01/2018, Rv. 647153 – 03; conf.: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14457 del 07/06/2013, Rv. 626705 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 21411 del 06/07/2022, Rv. 665546 – 01) e, nella specie, emerge con evidenza dalla complessiva motivazione della decisione impugnata, che il Tribunale, quale giudice d’appello, ammettendo nel corso del giudizio di secondo grado la prova testimoniale già negata dal giudice di pace, ha ritenuto sussistere tali presupposti, del resto palesemente evincibili dalle circostanze di fatto alla base della controversia.
4. Con il quarto motivo si denunzia “nullità e illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 360, co. 1 n. 3, 4, 5 cpc in relazione agli artt. 112, 132, 118 Disp. Att., e art. 111 Cost. Errores in iudicando e in procedendo in tema di interpretazione e applicazione di norme nello specifico dell’art. 1817 c.c. Omessa valutazione della inesigibilità della somma oggetto del D.L. Natura decisiva di tale risultanza e conseguente violazione di legge costituzionalmente rilevante. Gli errores denunciati hanno influito in maniera determinante sulla decisione”.
Il ricorrente deduce, in particolare, quanto segue: “Il ricorso viene formulato avverso la sentenza, nella parte in cui (a pag. 9 e 10) incorrendo nel vizio logico giuridico lamentato, omette di considerare quanto previsto dall’art. 1817 c.c. in tema di mancanza del termine per la restituzione del mutuo in relazione all’esigibilità del credito. La sentenza è erronea e illegittima in quanto incorrendo in errore in giudicando, ritenendo di rinvenire la prova dell’esistenza di un contratto di mutuo tra le parti, tralascia di esaminare che ove in ipotesi fosse ritenuto esistente il mutuo, manca ogni e qualsivoglia pattuizione in merito alla restituzione della somma mutuata e, in ottemperanza a quanto disposto dal richiamato art. 1817 c.c. Di conseguenza, non si avvede che, in difetto di pattuizione del termine per la restituzione, ai sensi dell’art. 1817 c.c., la parte mutuante, al fine di agire per la restituzione, aveva l’onere di chiedere previamente al Giudice la fissazione di detto termine per poter poi successivamente agire per il recupero della somma. In difetto, manca il requisito di esigibilità della somma”.
Il motivo è infondato.
La decisione impugnata, contrariamente a quanto sostiene la parte ricorrente, risulta del tutto conforme, in diritto, alle disposizioni in tema di mutuo, senza che possa ravvisarsi la dedotta violazione di quelle previste dall’art. 1817 c.c.
Il Tribunale, quale giudice d’appello, ha, infatti, ritenuto provato, sulla base degli elementi di prova acquisiti, che il mutuo fosse stato stipulato con pattuizione della “restituzione dell’importo ricevuto a richiesta della mutuante”.
Poiché, secondo l’indirizzo di questa Corte, puntualmente richiamato dallo stesso giudice d’appello, che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare, “è compatibile con il contratto di mutuo un termine di restituzione in potestate creditoris; tuttavia, la clausola di ripetibilità ad nutum deve rispettare lo schema causale del mutuo e, dunque, non implicare un’esigibilità immediata del debito di restituzione” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13661 del 05/11/2001, Rv. 550003 – 01) e poiché, come è pacifico e come, comunque, è stato accertato in fatto dallo stesso giudice del merito, nel caso di specie la richiesta di restituzione della mutuante è avvenuta a diversi anni dalla stipulazione del mutuo e dall’erogazione della somma mutuata (e, quanto meno, con la proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, se anche non potessero ritenersi rilevanti le precedenti richieste scritte, che il ricorrente, invero, contesta di avere ricevuto), la decisione impugnata si sottrae alle censure di cui al motivo di ricorso in esame, in quanto non può ritenersi applicabile la disposizione di cui all’art. 1817 c.c., che opera esclusivamente in caso di mancata fissazione di un termine per la restituzione dell’importo mutuato, ovvero di restituzione correlata alla possibilità del mutuatario, ipotesi non ricorrenti nella fattispecie in esame.
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5. Con il quinto motivo si denunzia “nullità e illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 360, co. 1 n. 3, 4, 5 cpc in relazione all’art. 167 c. 1 del D.Lgs. 196/03 e 160 bis del medesimo D.Lgs. 196/03 Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali 2016/679. Error in iudicando e in procedendo in punto di ritenuta legittimità della produzione documentale lesiva della privacy del ricorrente da parte della Pe.Cr.
Erronea percezione dei dati documentali in atti”.
Il ricorrente, in particolare, deduce quanto segue: “Il ricorso viene formulato avverso la sentenza, nella parte in cui (a pag. 6) in palese violazione degli artt. 360, comma 1 n. 3, 4, 5, in riferimento agli artt. 112, 132, 118 Disp. Att., e art. 111 Cost. e 160 bis e 167 c. 1 del D.Lgs. 196/03, erroneamente trae conferma della asserita plausibilità delle dichiarazioni della teste Pe.Gi. dallo stato di difficoltà economica del ricorrente documentato dalla produzione illegittima della resistente. Inoltre, ritiene legittima una tale produzione documentale che assume giustificata dalle “esigenze di difesa dell’appellante nel presente giudizio”, non avvedendosi che una tale produzione era stata già effettuata illegittimamente a sostegno del ricorso per decreto Ingiuntivo”.
5.1 In primo luogo, la censura in esame deve ritenersi, in radice, inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto il ricorrente non richiama in modo adeguato il contenuto del documento o dei documenti di cui contesta la legittima produzione in giudizio da parte dell’opposta.
5.2 In ogni caso, è opportuno, altresì, osservare, anche a fini di completezza espositiva, che, per quanto può evincersi dall’esposizione contenuta nel ricorso, la decisione impugnata deve ritenersi, in diritto, conforme ai principi affermati da questa Corte, secondo cui “la produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza” (Cass., Sez. L, Sentenza n. 33809 del 12/11/2021, Rv. 662774 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3358 del 11/02/2009, Rv. 606935 – 01), tenuto conto che, nella specie, le indicate esigenze di difesa erano palesemente sussistenti, essendo per l’opposta necessario dimostrare la verosimiglianza delle proprie allegazioni in ordine alle ragioni della corresponsione all’opponente, a titolo di mutuo, della somma richiesta in restituzione.
5.3 Non potrebbero, d’altronde, ritenersi sufficientemente specifiche le censure in ordine alla pretesa violazione, nella specie, dei “doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza” di detta facoltà, in mancanza, se non altro, dei necessari specifici riferimenti al contenuto concreto dei documenti in questione.
Mutuo e termine di restituzione in potestate creditoris
6. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore della parte controricorrente, che ha reso la prescritta dichiarazione di anticipo, ai sensi dell’art. 93 c.p.c.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 1.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avvocato Giovanni Battista Cosimini, ai sensi dell’art. 93 c.p.c.;
– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 11 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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